'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice
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Valli
Temple Classics, reading
in English
Girone V, Avarizia e Prodigalità
DANTE ALIGHIERI
a sete natural che mai non
sazia
se non con l'acqua onde la femminetta
samaritana domandò la grazia,
4 mi travagliava, e
pungeami la fretta
per la 'mpacciata via dietro al
mio duca,
e condoleami a la giusta
vendetta.
Vedi l'Officium
Peregrinorum
7 Ed ecco,
sì come ne scrive Luca
che Cristo apparve a' due ch'erano in via,
già surto fuor de la sepulcral buca,
10 ci apparve un'ombra, e
dietro a noi venìa,
dal piè guardando la turba che giace;
né ci addemmo di lei, sì parlò pria,
13 dicendo: «O frati miei, Dio
vi dea pace».
Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
rendéli 'l cenno ch'a ciò si conface.
16 Poi cominciò: «Nel beato
concilio
ti ponga in pace la verace corte
che me rilega ne l'etterno essilio».
19 «Come!», diss' elli, e
parte andavam forte:
«se voi siete ombre che Dio sù non degni,
chi v'ha per la sua scala tanto scorte?».
22 E 'l dottor mio: «Se tu
riguardi a' segni
che questi porta e che l'angel profila,
ben vedrai che coi buon convien ch'e'
regni.
25 Ma perché lei che dì e
notte fila
non li avea tratta ancora la conocchia
che Cloto impone a ciascuno e compila,
28 l'anima sua, ch'è tua e
mia serocchia,
venendo sù, non potea venir sola,
però ch'al nostro modo non adocchia.
31 Ond' io fui tratto fuor de
l'ampia gola
d'inferno per mostrarli, e mosterrolli
oltre, quanto 'l potrà menar mia scola.
34 Ma dimmi, se tu sai, perché
tai crolli
diè dianzi 'l monte, e perché tutto ad
una
parve gridare infino a' suoi piè molli».
37 Sì mi diè, dimandando, per
la cruna
del mio disio, che pur con la speranza
si fece la mia sete men digiuna.
40 Quei cominciò: «Cosa non è
che sanza
ordine senta la religïone
de la montagna, o che sia fuor d'usanza.
43 Libero è qui da ogne
alterazione:
di quel che 'l ciel da sé in sé riceve
esser ci puote, e non d'altro, cagione.
46 Per che non pioggia, non
grando, non neve,
non rugiada, non brina più sù cade
che la scaletta di tre gradi breve;
49 nuvole spesse non paion né
rade,
né coruscar, né figlia di Taumante,
che di là cangia sovente contrade;
52 secco vapor non surge più
avante
ch'al sommo d'i tre gradi ch'io parlai,
dov' ha 'l vicario di Pietro le piante.
55 Trema forse più giù poco o
assai;
ma per vento che 'n terra si nasconda,
non so come, qua sù non tremò mai.
58 Tremaci quando alcuna anima
monda
sentesi, sì che surga o che si mova
per salir sù; e tal grido seconda.
61 De la mondizia sol voler fa
prova,
che, tutto libero a mutar convento,
l'alma sorprende, e di voler le giova.
64 Prima vuol ben, ma non
lascia il talento
che divina giustizia, contra voglia,
come fu al peccar, pone al tormento.
67 E io, che son giaciuto a
questa doglia
cinquecent' anni e più, pur mo sentii
libera volontà di miglior soglia:
70 però sentisti il tremoto e
li pii
spiriti per lo monte render lode
a quel Segnor, che tosto sù li 'nvii».
73 Così ne disse; e però
ch'el si gode
tanto del ber quant' è grande la sete,
non saprei dir quant' el mi fece prode.
76 E 'l savio duca: «Omai
veggio la rete
che qui vi 'mpiglia e come si scalappia,
perché ci trema e di che congaudete.
79 Ora chi fosti, piacciati
ch'io sappia,
e perché tanti secoli giaciuto
qui se', ne le parole tue mi
cappia».
82 «Nel tempo che 'l buon
Tito, con l'aiuto
del sommo rege, vendicò le fóra
ond' uscì 'l sangue per Giuda venduto,
85 col nome che più dura e più
onora
era io di là», rispuose quello spirto,
«famoso assai, ma non con fede ancora.
88 Tanto fu dolce mio vocale
spirto,
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
dove mertai le tempie ornar di mirto.
91 Stazio la gente ancor di là
mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma.
94 Al mio ardor fuor seme le
faville,
che mi scaldar, de la divina fiamma
onde sono allumati più di mille;
97 de l'Eneïda dico, la qual
mamma
fummi, e fummi nutrice, poetando:
sanz' essa non fermai peso di dramma.
100 E per esser vivuto di là
quando
visse Virgilio, assentirei un sole
più che non deggio al mio uscir di
bando».
103 Volser Virgilio a me
queste parole
con viso che, tacendo, disse `Taci';
ma non può tutto la virtù che vuole;
106 ché riso e pianto son
tanto seguaci
a la passion di che ciascun si spicca,
che men seguon voler ne' più veraci.
109 Io pur sorrisi come l'uom
ch'ammicca;
per che l'ombra si tacque, e riguardommi
ne li occhi ove 'l sembiante più si
ficca;
112 e «Se tanto labore in
bene assommi»,
disse, «perché la tua faccia testeso
un lampeggiar di riso dimostrommi?».
115 Or son io d'una parte e
d'altra preso:
l'una mi fa tacer, l'altra scongiura
ch'io dica; ond' io sospiro, e sono
inteso
118 dal mio maestro, e «Non
aver paura»,
mi dice, «di parlar; ma parla e digli
quel ch'e' dimanda con cotanta cura».
121 Ond' io: «Forse che tu ti
maravigli,
antico spirto, del rider ch'io fei;
ma più d'ammirazion vo' che ti pigli.
124 Questi che guida in alto
li occhi miei,
è quel Virgilio dal qual tu togliesti
forte a cantar de li uomini e d'i dèi.
127 Se cagion altra al mio
rider credesti,
lasciala per non vera, ed esser credi
quelle parole che di lui dicesti».
130 Già s'inchinava ad
abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: «Frate,
non far, ché tu se' ombra e ombra vedi».
133 Ed ei surgendo: «Or puoi
la quantitate
comprender de l'amor ch'a te mi scalda,
quand' io dismento nostra vanitate,
135 trattando l'ombre come
cosa salda».
«COME NE
SCRIVE LUCA»:
JULIA
I. IL VANGELO DI LUCA
Riprendendo il vangelo di Luca (Lc 24,13-15) nel
luogo in cui sulla via di Emmaus Cleopa e un altro
discepolo, non identificato per nome («duo ex illis»),
incontrano Cristo risorto, Dante descrive in una
similitudine l’incontro suo e di Virgilio con Stazio.
che Cristo apparve ai due
ch’erano in via,
già surto fuor de la
sepulcral buca -
ci apparve
un’ombra, e dietro a noi venìa,
dal piè guardando la turba
che giace;
né ci addemmo di lei, sì
parlò pria,
dicendo:
«O frati miei, Dio vi déa pace». (XXI, 7-13, ed. A. LANZA)
In una bella scultura sul
cammino di Santiago di Compostela, nel chiostro di Santo
Domingo de Silos, vediamo Cristo raffigurato come pellegrino
con Clèopa al suo fianco, che punta il dito verso il sole e
Luca, l’autore/pellegrino che porta il libro del suo vangelo
e che ancora non comprende (Lc 24,16-27)1. Questa
scena riflette i drammi liturgici medievali in latino (e in
volgare fiorentino), nei quali i due discepoli sono
identificati per nome: l’anziano Clèopa, e con lui Luca, il
giovane autore del vangelo2. Nella struttura del
poema i due poeti, Virgilio e Dante, rappresentano e
adombrano in modo tipologico i due discepoli, Clèopa e Luca,
mentre il Terzo, il poeta Stazio, rappresenta Cristo stesso.
In tal modo Dante concilia l’allegoria dei poeti con quella
dei teologi in un dramma liturgico inserito nel suo testo,
nel quale egli stesso è il paradigma dell’evangelista Luca,
che inizialmente non comprende, ma diviene poi il discepolo
che proclama
Il Professor Vincenzo Placella e il Rettore
Magnifico Mons. Vescovo Enrico dal Covolo, scrivendo
sull’anagogia in Dante, ne spiegano l’uso nello stesso
vangelo di Luca dove Cristo risorto parla ai discepoli dell’Esodo - Et incipiens a Moyse
et omnibus prophetis interpretabatur illis in omnibus
Scripturis, quae de ipso erant (Lc 24,27) –
riaccendendo il loro cuore a nuova speranza, facendosi
egli stesso maestro autentico della quadruplice esegesi
della lectio divina,
théia anágnosis,
cioè «divina ricognizione»3. Questo
saggio indaga anche l’uso che
Dante e Luca fanno dell’episodio
di Emmaus e dell’Esodo quali modi per giungere al concetto
dantesco dell’anagogia come «divina ricognizione».
La lettura medievale delle Sacre Scritture che
adottava la quadruplice esegesi (estranea alla moderna) che
comprendeva il livello letterale, l’allegorico, il
tropologico, l’anagogico era quindi lettura ricca e
profonda. In Omero tale ricchezza è espressa dalla parola politropon4,
proteiforme, riferita al suo eroe (Odisseo/Ulisse), che in
Dante trova il suo equivalente in polisemos, cioè che
ha più significati. “Allegoria” (állos + agorá, agoreúo = altro +
piazza, parlo), nella Grecia classica designa l’astratto, il
mitologico, ciò che è reso in chiave platonica, capace di
esprimere la verità ideale, distinta dal mercenarismo dei
logografi della piazza, dall’oratoria forense che conferisce
alla menzogna la parvenza di verità, alla parte peggiore il
valore della parte migliore.
I modi tipologico e
tropologico dell’allegoria medievale, durante il
Rinascimento e in epoca moderna, diventano sempre più
confusi e erroneamente intesi. Il terzo, il modo
tropologico morale, corrisponde
più al modo allegorico greco, romano, moderno: «Allegoria est tropus
quo aliud significant quiam dicitur», l’allegoria
personificata di vizi e virtù. Brunetto Latino nel Tesoretto è il
precursore di Dante nella Commedia; egli nel
suo poemetto egli è un pellegrino in cammino, che le
personificazioni allegoriche della Natura, della Giustizia e
di altre virtù, come anche Ovidio e Tolomeo, ammaestrano, correggendo così
la sua coscienza morale fino alla conversione; lo stesso
farà Christine de Pizan nel suo Chemin de Long Estudes10.
Il modo della seconda “allegoria” medievale, il tipologico,
invece, deriva dall’incarnazione giudaico-cristiana del
Verbo nel Mondo, un mondo in cui Isacco è typos e figura di
Cristo. Ambedue sono figure storiche di carne e sangue,
che si rispecchiano l’una nell’altra, Isacco che porta sul
monte la legna per il suo olocausto, Cristo che porta il
legno della croce, nella salita al Calvario. Per Dante la
personificazione della Filosofia di Boezio e la
personificazione della Natura di Brunetto,
personificazioni tropologiche, sono incarnate anche
tipologicamente nella figura in carne e ossa, storica e
letterale, di Beatrice Portinari, come Teologia,
come théia anágnosis,
a Firenze, per cui elladiventa figura letterale, allegorica,
tropologica, anagogica,
combinazione della quadruplice esegesi («Et Verbum caro factum
est, et habitavit in nobis»). Non è possibile,
vedremo, per Dante il senso allegorico senza un fondamento
letterale storico - o letterario.
Anche il senso anagogico non va
erroneamente inteso in modo lineare, moderno, nella
visione futura della fine del tempo, ma piuttosto pensato
in quell’eternità dei tempi in cui passato, presente, futuro coesistono al
centro del cerchio, il paradosso del regno dei cieli – parousia – in mezzo
a noi (Lc
17,20-21). È possibile riscontrare un’analogia tra la
quadruplice esegesi della lectio divina e i quattro gradi della vita
contemplativa, ad esempio nella Scala Paradisi di
Guigo II: «lectio,
meditatio, oratio, contemplatio»; come nella
descrizione che san Gregorio fa della visione di san
Benedetto, ripetuta nella visione di Giuliana di Norwich
nella quale in contemplazione
vedono anagogicamente il cosmo intero diventare un
solo raggio di luce; e Giuliana
poi lo vede come una nocciola
nel palmo della mano, così come la creazione è al cospetto
del Creatore («quia
anima videnti Creatorem angusta est omnis creatura»),
sprofondamento di spazio e tempo nell’anima, nel “centrum circuli”11.
Non diversamente Auerbach in La ferita di Ulisse,
e Freud nella metafora di Roma quale mente umana.
Possiamo
spiegare questa quadruplice esegesi e la sua applicazione
alla Commedia di
Dante da un altro punto di vista. Ricerche e studi recenti nel campo delle neuroscienze
hanno permesso di comprendere come i due emisferi del nostro
cervello operino in parallelo, sebbene le loro funzioni
siano differenziate e specializzate. L’emisfero sinistro
controlla la mano destra che scrive; è letterale, logico,
lineare, conscio
del passato; pianifica il futuro ed è incentrato su se
stesso. L’emisfero
destro precipita tutto il tempo e lo spazio nell’eternità dell’attimo presente,
sfida i limiti, partecipa all’energia del cosmo e
universalizza.. L’emisfero sinistro è la mente, letterale,
logica, razionale, mentre il destro è l’anima, è intuitivo, immaginativo,
contemplativo, anagogico12. Il modo più
antico di leggere i testi sacri è dato dal simultaneo
coinvolgimento dei due emisferi, laddove il più moderno,
anche in ambito educativo e formativo, procede escludendo e
rigettando l’emisfero destro che è arcaico, così fa Freud
che abbandona la magnifica immagine di Roma quale metafora
della mente umana. Se riusciamo a capire ciò possiamo
consapevolmente tornare a comprendere il modo di scrivere di
Dante che permette il gioco tra i due emisferi, di destra e
di sinistra, del mistico e dello scientifico,
dell’universale e del particolare («Nel mezzo del cammin di
nostra vita, mi ritrovai per una
selva oscura», Inferno
I, 1-2, «Mi parve
pinta della nostra
effige», Paradiso XXXIII,
131). Potremo così avere una lettura ricca e variegata nei
quattro modi, letterale, tipologico, morale, anagogico,
intrecciati in reciproca armonia, in splendida polifonia,
polisemica e politrope. Nelle vorticose spirali dei
labirinti (Fibonacci e Vico)
composti in terza
rima, nella quadruplice esegesi, tra l'intreccio della
trama e dell’ordito della realtà virtuale alternata, potremo
quasi intravedere il cosmo intero
riflesso, creato di molecole, atomi, charm, quark, bosoni,
negli opposti conciliati, nel quadrato inscritto in un
cerchio, nell’arcobaleno dell’Apocalisse che lo racchiude. L'immagine di Boezio,
che Dante ama, della circonferenza come tempo,
particolarità, schiavitù, peccato, e del centro, come del
collasso nell'eternità, nell'universalità, nella libertà,
in Dio, apre tutte queste molteplici letture e prospettive13.
Nella Vita Nova
XII Amore dice, «Ego
tamquam centrum circuli, cui simili modi se habent
circumferentiae partes: tu autem non sic». La visione
di Dio e della libertà dell’anima alla sua presenza come
Amore, il sovrasenso
dell’emisfero destro della Vita Nova e della Commedia, giunge
dopo la rinuncia e la purificazione di
tutto ciò che è illusorio,
di tutto ciò che è idolatra, di tutto ciò che è centrato su
se stesso, di tutto ciò che è solo dell’emisfero sinistro,
persino trascendendo la stessa poesia, «Fili mi, tempus est ut
pretermictantur simulacra nostra»).
Dante descrive due volte questo modo
allegorico. La prima in Convivio II, i, 6-
Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè
sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una
scrittura, la quale ancora [che sia vera] eziandio nel senso
litterale, per le cose significate significa delle superne
cose dell'etternal gloria: sì come vedere si può in quello
canto del Profeta che dice che nell'uscita del popolo
d'Israel d'Egitto Giudea è fatta santa e libera: Chè avegna
essere vera secondo la lettera sia manifesto, non meno è
vero quello che spiritualmente s'intende, cioè che
nell'uscita dell'anima dal peccato, essa sia fatta santa e
libera in sua potestate. E in dimostrare questo, sempre lo
litterale dee andare innanzi, sì come quello nella cui
sentenza li altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe
impossibile ed inrazionale intendere alli altri, e
massimamente allo allegorico14.
La seconda nell’Epistula XIII a Can
Grande della Scala VII, in latino:
[20] Ad evidentiam itaque dicendorum, sciendum est
quod istius operis non est simplex sensus, ymo dici potest polIsemos, hoc est
plurium sensuum; nam primus sensus est qui habetur per
litteram, alius est qui habetur per significata per
litteram. Et primus dicitur litteralis, secundus vero
allegoricus sive moralis sive anagogicus. [21] Qui modus
tractandi, ut melius pateat, potest considerari in hiis
versibus: «In exitu Israel de Egypto, domus Iacob de populo
barbaro, facta est Iudea sanctificatio eius, Israel potestas
eius». Nam si ad litteram solam inspiciamus, significatur
nobis exitus filiorum Israel de Egypto, tempore Moysis; si
ad allegoriam, significatur nobis nostra redemptio facta per
Christum; si ad moralem sensum, significatur nobis conversio
anime de luctu et miseria peccati ad statum gratie; si ad
anagogicum, significatur exitus anime sancte ab huius
corruptionis servitute ad eternam glorie libertatem. [22] Et quomodo isti sensus mistici variis
appellantur nominibus, generaliter omnes dici possunt
allegorici, cum sint a litterali sive historiali diversi.
Nam allegoria dicitur ab «alleon» grece, quod
in latinum dicitur «alienum», sive «diversum»15.
I paradigmi dell’Esodo e di Emmaus usati da
Dante spiegano, vedremo, la combinazione dell’allegoria dei
poeti e dell’allegoria dei teologi nella sua poesia.16
II. I LIBRI,
Nelle miniature della Commedia, come
anche nei suoi ritratti, Dante è spesso rappresentato con un
libro. Nell’affresco di Andrea del Castagno, ora agli Uffizi
di Firenze, con un libro che porta sotto il braccio; nel
dipinto di Domenico di Michelino nel Duomo di Firenze
vediamo Dante che legge dalla pagina di apertura;
nell’affresco di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto, Dante
è intento a
scrivere un libro mentre altri ne consulta nella sua
biblioteca. Nelle miniature dei manoscritti della Commedia questo
libro dapprima appare essere l’Eneide di Virgilio,
il poema tragico «de li dèi falsi e bugiardi» (Inferno I.72), su
cui Dante leggendo si addormenta, prendendo a modello il Roman de
Sappiamo che il giovane orfano Dante ebbe come
suo tutore Brunetto Latino. Questi nell’incipit del suo
enciclopedico Tresor/Tesoro, in francese
e italiano, data la sua autorità di magister è
raffigurato in una veste di colore rosso. Parimenti
Virgilio, guida e pedagogo di Dante nel suo poema, è
rappresentato con la veste rossa di magister e
dottore. Un testo assai diffuso nel medioevo per
l’insegnamento del latino era il corpus delle Commedie di
Terenzio, dal quale, scrive Pietro Alighieri, Dante trae
anche il titolo per la sua Commedia (pp. 9-12). Nelle Commedie di
Terenzio, in luogo di un unico narratore udiamo una
polifonia di voci. Un armadio di maschere, donne, ragazzi,
schiavi, maestri, genitori, un’agorà, una città che vive, un
mondo intero. S’ intrecciano le voci degli umili (“sermo humilis”,
come le voci nel vangelo di Luca), le voci dei giovani e
degli anziani, delle donne e degli uomini (De vulgari eloquentia
I, 1; Paradiso XV, 121-126).
Nei ritratti fuori testo della Commedia Dante,
rappresentato con la toga rossa, simbolo di autorità, appare
come maestro. All’interno delle pagine della Commedia, Dante sotto la tutela
di Virgilio prima, e Beatrice poi, è, invece, come il
giovane pellegrino Luca del dramma liturgico, il Virgilio di
Domenico Comparetti, mago e negromante medievale, è un anziano Clèopa in
cammino sulla via di Emmaus, che lo conduce lontano da
Gerusalemme come Mefistofele svia Faust e Falstaff il
giovane principe Hal. Entro le carte che «più ridon…», Dante
discepolo è sempre rappresentato con la lunga veste di
apprendista di colore azzurro. Egli si comporta come
Agostino a Cartagine, che piange per Didone nell’Eneide, che
frequenta il teatro familiarizzandosi con le Commedie di
Terenzio. Dante è sia se stesso, il fiorentino Dante
Alighieri, individuo particolare, sia la persona universale
che è Ognuno, riecheggiando l’«Homo sum: humani
nichil a me alienum puto» (Heautontimorumenos 77)
di Terenzio, che riflette ciascuno di noi.
Dobbiamo ora studiare i diversi livelli di
realtà, l’uso che Dante fa di realtà dissimili, il dentro e
il fuori del suo testo, che riflette il Libro di Dio,
scritto intus et
foris. Al di fuori del testo che egli scrive, nel
mondo della piazza del mercato e della realtà, foris, agorá, egli è
Dante Alighieri, l’autore, in
carne e ossa, che poi, come attestano le miniature
dei manoscritti, talora intrude nel testo, interrompendone
la composizione. Thomas G. Bergin in una lettera a Theodore
Bogdanos menziona Erich Auerbach e riferisce di lui che
questi ebbe a chiedergli se ogni qualvolta che Dante fa
ricorso nella Commedia
al «qui» questo stesse ad indicare «qui sulla terra», dove
l’autore/Dante vive, e non il paesaggio di sogno di Dante
pellegrino/apprendista del mago Virgilio18. Queste
interruzioni di Dante, questa rottura della composizione,
queste lacerazioni del velo, dell’integumentum,
comprendono i suoi accenni al lettore, che, pure essendo
inseriti nel testo lo travalicano – e con essi i suoi sogni
all’interno dei suoi sogni19. Nel testo Dante
intreccia la materia attinta dai menzogneri poeti pagani – e
i propri vanagloriosi componimenti – con le Sacre Scritture
costruendo parallelismi e combinando l’allegoria dei poeti e
l’allegoria dei teologi. Egli opera interruzioni letterarie
che provengono dall’agorà, dalle aule di tribunale, dove
incontra i caratteri della sua Commedia. Prime
persone reali, persone fatte di
carne e sangue, che figurano negli atti notarili redatti
in inchiostro bruno da Brunetto Latino nei capitoli
del comune di Firenze, per i quali Dante costruisce
menzogneri discorsi logografi che hanno la parvenza di
verità in una paesaggio di finzione colmo di chĭmaeara, di
centauri e grifoni. Similmente la trama talora appare piena
di spiragli, attraverso i quali s’intravedono, in
similitudini epiche, scene e quadretti di vita quotidiana,
dove si muovono personi umile, non nobili ed eroi; si scorge
qui la piazza del mercato, la vita agreste e del mare,
quella degli artigiani, dei contadini, dei marinai. Sia
Dante, sia Pietro Alighieri affermano che questo poema è una
Commedia, il suo
stile umile, è lo stile umile del vangelo (p. 10). Questi
livelli letterali si infiltrano spesso entro il livello
poetico, forzando l’allegoria dei poeti (il cui livello
letterale è solo testuale, non carnale) entro l’incarnazione
dell’allegoria dei teologi. Per tutto il tempo questi
livelli hanno un fine morale e tropologico, correggendo
Dante in quanto persona,
il giovane apprendista/pellegrino del mago Virgilio, e con
lui, oltre il testo, il suo
lettore, fino a liberarsi dalla falsa retorica. Per far questo Dante tradirà il
suo lettore, facendo uno spergiuro, come la spia Sinone
nell’Eneide
(«accipe nunc Danaum insidias et crimine ab uno/ disce
omnis» II. 65-66; Sinone poi levando le mani sciolte verso
il cielo, giura per le stelle alla
luce del giorno, per gli altari, le spade, le
ghirlande sacrificali, ma tutte le
sue parole sono false, 152-160). E’ nel regno
di menzogna del peccato, in finzione, quando, ad esempio,
giura per questa commedia, la sua Commedia, che il
fraudolento Gerione “li salva” facendoli con un volo ancor
più discendere nel baratro infernale (Inferno XVI,
127-128). Nell’Inferno
i peccatori accusano gli altri dei peccati da loro
stessi commessi, e l’immaturo Dante, ingannato, concorre a
questo. Poi il testo si rovescia, Inferno XXXIV,
76-139, Paradiso
XXX, 62-132 (si ricordino gli angeli nella Cappella
dell’Arena di Giotto che avvolgono e dispiegano il rotolo
del cielo), per mostrarci il lato opposto, alla fine,
inesprimibile; la sua anagogia, il fine per cui è stato
creato.
Per il terzo senso, il tropologico, o morale,
Dante, così come Brunetto nel Tresor/Tesoro, si
riferisce all’Etica
Nicomachea di Aristotele che egli conosce bene
proprio grazie all’insegnamento del suo maestro. Altre
sezioni del testo enciclopedico del Tresor/Tesoro sono anche
fonti primarie da cui Dante ricava le conoscenze della
storia, della geografia, delll’astronomia, di tutti gli
animali conosciuti (il bestiario) –
che il suo maestro aveva ampiamente acquisito in occasione
dell’ambasceria presso Alfonso el Sabio in Spagna - e della retorica, che Brunetto già,
invece, conosceva da Cicerone. Queste conoscenze permetteranno
a Dante di creare il mondo parallelo di finzione della Commedia. L’«alta
fantasia» (Paradiso
XXXIII.142), che adombra l’«alta tragedia» di Virgilio (Inferno
XX, 113), il mondo alternativo, virtuale, finalmente
armonizzato con il mondo della Bibbia20.
Noi con Dante, con
Agostino, loro e noi insieme, come
apprendisti/discepoli tra i loro libri faustiani delle loro
biblioteche, condividiamo questo studio/formazione, in
questo ammaestramento che ci conduce dalla menzogna alla
verità, a comprendere e discernere il bene e il male. A
Cartagine Agostino leggendo l’Eneide,
frequentando il teatro e apprezzando le Commedie di Terenzio cade
nel peccato. A Milano, invece, con la lettura dell’Epistola
di Paolo apre la sua anima a Dio e alla conversione, la sua
metánoia. In
questa stessa luce vediamo l’incontro di Dante con Paolo e
Francesca. Dante trae la storia del loro adulterio, e di
come insieme essi leggano i romanzi cavallereschi arturiani
(«ambages pulcerrime»,
Eneide VI, 98; De
Vulgari eloquentia I, x, 2) dal De arte honeste amandi
di Andreas Capellanus, scritto per l’amico Gualterius. Libro
che, come sappiamo dal figlio Pietro, faceva parte della
biblioteca del padre21.
Dante incontra poi il Catone della Farsalia di Lucano,
che nell’allegoria figurale
corrisponde al Mosè dell’Esodo22. E ancora poi
osserviamo il suo incontro con Stazio, l’autore della Tebaide, che si
trasfigura nel Cristo del vangelo di Luca. L’Eneide di
Virgilio,
E’ utile qui richiamare alla memoria i
canzonieri provenzali ricchi di miniature che ritraggono i
trovatori, di vidas,
di razos, di
musica, che richiamano i canzonieri siciliani e toscani. Tra
questi il Canzoniere
Palatino, raccolta di rime di poeti quali Messer Piero
della Vigna, Bonagiunta da Lucca, Guido Guinizzelli da
Bologna, Fra Guidone d’Arezzo, Rex Fredericus, Saladino, e
di Dante Alighieri che compare per errata attribuzione come
autore di una lirica di Guido Cavalcanti, anche lui
discepolo di Brunetto23. Le canzoni che Dante fa
talora intonare alle anime peregrine sono in
realtà suoi stessi componimenti: «Rifà la polizia con voci
diverse» (Il nostro
comune amico, Charles Dickens). Nel Purgatorio
Virgilio e Dante dapprima incontrano Catone (I, 22-208), poi
Casella (II, 76-119). Quest’ultimo intona la canzone di
Dante del Convivio III, e del De Vulgari eloquentia
II, vi, 6, «L’amor che ne la
mente mi ragiona», subito dopo che più di cento pellegrini
all’unisono hanno cantato il salmo 113. Dante ci dice che il
senso anagogico di questo salmo è la liberazione dell’anima
dal peccato, che per la potenza di questa via è resa libera
e santa («ne l'uscita de l'anima dal peccato, essa sia fatta
santa e libera in sua potestate»).
Il salmo 113 è così come l’Arca della Legge di Mosè,
riecheggiata dalla figura del giusto Catone nel deserto
libico. È, invece, Virgilio a permettere l’amoroso canto di
Dante/Casella, il
typos di Aronne, che permise la fabbricazione e
l’adorazione idolatra del vitello d’oro. Il canto delle
“simulacra nostra” della Vita Nova XII,
delle illusioni, degli idoli, della schiavitù che devono
essere abbandonati, “pretermictantur”, senza mai
accondiscendervi. Così l’allegoria funziona musicalmente, e
ci ritroviamo in un mottetto, dove il contrafactum gioca
contro il canto sacro in
latino servendosi della musica e della poesia profana in
volgare, giustapponendo allegoria e “agorà”24.
Ritroviamo lo stesso gioco nelle miniature piccarde dei
manoscritti de Li Livres dou Tresor di Brunetto Latino prodotti nell’area
di Arras, dove vediamo l’identica “variabilità di
registro”, il passaggio da un livello a un altro, la
giustapposizione degli opposti.
Non è questa l’unica volta d’altra parte che
Dante si serve della musica sacra in latino come Arca della
Legge, e della musica profana in volgare come vitello d’oro,
sempre comunque mettendo
i suoi componimenti in bocca ad altri cantori. In Purgatorio XXIV,
19-63, è Bonagiunta Orbiciani da Lucca a cantare ‘Donne che
avete intelletto d’amore’ tratta dalla Vita Nova XIX, 2-3;
in Purgatorio
XXVI, 136-148, Arnaut Daniel canta in provenzale, e non in
volgare fiorentino, «Tan
m’abellis vostre cortes deman»; in Paradiso VIII,
31-IX, 9, è Carlo Martello a cantare «Voi che 'ntendendo il
terzo ciel movete» del Convivio I, 6. Così
Dante è sia logografo sia trovatore. Accanto ai
canzonieri con i loro amorosi canti in volgare, nella
Firenze del tempo, appaiono i bellissimi laudari delle
compagnie dei laudesi, espressione della devozione laicale
in volgare fiorita sotto il grande impulso e l’ispirazione
delle laude di san Francesco. E una splendida lauda è la
traduzione di Dante del «Padre Nostro» in Purgatorio XI,
1-24, «laudato sia ‘l tuo nome... da ogne creatura, com’è
degno». Tutta questa tensione infine si risolve. La sacra
teologia anagogica è scritta e
rappresentata in lingua volgare - il volgare
fiorentino parlato in Toscana, anche comprensibile alle
donne e ai bambini, la lingua cantata da san Francesco in
Umbria – con l’invocazione alla Vergine di san Bernardo in Paradiso XXXIII,
1-39 «Vergine madre, figlia del tuo figlio». Così san
Bernardo sussume nella Lectio divina dei suoi sermoni sul Cantico dei Cantici
III. IL LIBRO DI DIO
In Purgatorio XXIX,
82-134, vediamo ventiquattro vegliardi, cui se ne aggiungono
dopo altri quattro, e altri ancora, allegoricamente l’intera Bibbia, che
insieme avanzano davanti a noi in processione sacra. Gli
autori dell’Antico Testamento con il capo cinto da corone
di gigli (uno dei quali è il Salomone del Canticum Canticorum) e gli
autori del Nuovo con il capo cinto di corone di rose,
simboleggiano i loro libri, e
Giovanni, l’ultimo nella figurazione, che “dormendo” sogna
la sua Rivelazione,
l’Apocalisse.
Botticelli nei suoi disegni così
tratteggia ciascuna di queste figure con il proprio libro
in mano. L’incastonatura di Beatrice in mezzo a loro su
una quadriga, un carroccio, trainata dalle quattro bestie
di Ezechiele e dell’Apocalisse (che il Grifone riunisce in
sé), accompagnata dalle tre virtù teologali, Fede,
Speranza, Carità, e dalle quattro virtù pagane (morali o
cardinali), Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza (che
sono anche le sette stelle, i sette pianeti), è
l’apparizione di lei come théia anágnosis.
Le quattro bestie simboleggiano i quattro vangeli, i
quattro evangelisti25, e forse al contempo i
quadruplici modi di lettura della Bibbia, della Lectio divina, in
combinazione con l’allegoria personificata delle virtù dei
filosofi e dei poeti pagani. La processione
liturgica riecheggia la processione della “Cena Domini” in
Santa Reparata a Firenze, ancora oggi rimasta in uso nei
riti del Giovedì Santo nel Duomo di Santa Maria del Fiore,
con i candelabri e il grande stendardo adorno in
cima di ramoscelli d’ulivo.
Più tardi in Paradiso incontreremo
i Padri della Chiesa e i loro volumi: i commenti sulle
Scritture, sulla Bibbia, il Verbum. Gli
incontri antecedenti sono avvenuti con gli autori della
letteratura pagana, compositori di una menzognera poesia profana, che pure
sarà scritta nel Libro che Dio tiene in mano. Verso la fine
della terza cantica (Paradiso
XXXI, 7-12), incontriamo la similitudine virgiliana della
costruzione di Cartagine della Didone di Agostino
(palinsesto della Città Eterna, Roma, e della Gerusalemme
Celeste) paragonata alle api che raccolgono il nettare (Eneide I, 430-437,
«Qualis apes aestate nova per florea rura/ exercet sub sole
labor, cum gentis adultos/ educunt fetus, aut cum liquentia
mella/ stipant et dulcis distendunt nectare cellas,/ aut
onera accipiunt venientum, aut agmine facto/ ignavum fucos
pecus a praesepibus arcent/ fervet opus redolentque thymo
fragrantia mella») e che
paradossalmente inseminano la rosa celeste («sì come schiera
d’ape che s’infiora/ una fiata e una si ritorna/ là dove suo
laboro s’insapora,/ nel gran fior discendeva che s’adorna/
di tante foglie, e quindi risaliva/ là dove ‘l suo amor
sempre soggiorna», poi XXXIII, 9, «così è germinato questo
fiore»). L’anagogia è la rivelazione dell’inclusione persino
delle città nemiche, è l’amore del vangelo dell’emisfero
destro, la sincronicità nello spazio e nel tempo. La
separazione Guelfo/Ghibellino, la separazione
potente/povero, la separazione farisaica, puritana e
nazionalista, dell’emisfero sinistro, contro gli
insegnamenti di Cristo, è annullato.
Nel
suo profondo vidi ch’è s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si
squaderna.
È un libro che racchiude tutti i generi: epica,
lirica, similitudini, favole, profezie, storia, vangelo,
epistole, dramma, filosofia, teologia, epitalami, tragedia,
commedia, satira, trattati, orazioni, giuramenti, scultura,
canzoni, mottetti, salmi, e tutte le sette arti. Un libro
che racchiude le pagine di Aristotele, di Cicerone, di
Virgilio, di Terenzio, di Lucano, di Stazio, di Sallustio,
di Seneca, di Esopo, di Ovidio, di Claudiano, di Orazio, di
Macrobio, di Alfragano, al servizio del testo cristologico.
Esso include anche i documenti conservati negli archivi, i
registri del governo della città di Firenze redatti da
Brunetto Latino, in cui figurano i nomi di personaggi storici in carne e ossa: Carlo
d’Angiò, Alfonso el Sabio, Federigo II, Manfredi, Pier delle
Vigne, Cavalcante Cavalcanti, Guido Guerra, Tegghaio
Aldobrandi, Iacopo Rusticucci, Ugolino della Gherardesca,
l’Arcivescovo Ruggiero, Tesauro di Vallombrosa, Bocca degli
Alberti, Farinata degli Uberti, Cardinale Latino Orsini,
Andrea Spigliati de’ Mozzi, Gianni da Procida, Vanni Fucci,
Rinieri de’ Pazzi26. Pietro Alighieri ci dice che
l’incontro di Dante con la figura storica di Brunetto Latino
nel poema è una finzione («Fingendo auctor se ibi invenire
inter sodomitas Ser Brunettum Latinum de Florentia», p.
175), come è una finzione l’incontro con gli altri
personaggi. È un libro che include un florilegio della
poesia d’amore dei “provenzali”, dei “siciliani”, dei
“toscani” del “dolce stil nuovo”, come fosse l’oro degli
egiziani usato prima per foggiare il vitello d’oro, poi
nella forma dei salmi e delle
laude come oro per adornare l’Arca, che insieme ai loro
versi custodisce
Si può pensare a
questo punto a Dante Alighieri storico, figura in carne e
ossa, in esilio da Firenze, incarnato nel senso letterale,
come Adamo cacciato dall’Eden, che nel suo poema evolve in
un Luca cristiano, un contemplativo Bernardo, in un Viaggio (Progresso) del Pellegrino. La
quadruplice allegoria teologica non è interamente entro
Nel Medio Evo, abbiamo già osservato, fra gli
autori e i loro libri esiste una stretta analogia, autore e
libro si identificano l’un con l’altro. Gerhart Ladner
mostra che i ritratti degli autori nell’arte sono rifrazioni
dell’immagine di Dio e del suo Libro,
Mi parve pinta
della nostra effige (XXXIII, 131).
Horia-Roman Patapievici, professore di Fisica
all’Università di Bucarest, mostra che nell’istante in cui
Dante beve con gli occhi dal fiume di stelle che brillano
come gioielli egli entra oltrepassati
gli «umbriferi prefazi» nel vero Paradiso (XXX, 61-130)
NOTE
1. Fray J. PERES DE URBEL, El Claustro de Silos,
Fernán Gonzáles, Burgos
1975, pp. 95-98, tavole a pp. 96, 98, 100-101, 103-105.
2. Lc 24,13-35; http://www.umilta.net/peregrinus.html
data
di accesso 23/07/2012; BOLTON HOLLOWAY, J., The Pilgrim and the
Book: A Study of Dante Langland and Chaucer, Peter
Lang, Berne1987/1992; trad. it., Il Pellegrino e il
libro: Uno studio su Dante Alighieri, «De strata
francigena» 20/1 (2012), Centro Studi Romei, Firenze; E. DE
COUSSEMAKER, Drames
liturgiques du Moyen Âge, Didron, Parigi 1861; Una rappresentazione
inedita dell’apparizione ad Emmaus, «Rendiconti della Reale
Accademia dei Lincei», 5° ser., 1 (1892),
pp. 769-782; K. YOUNG, A New Version of the
Peregrinus, «PMLA» 34 (1919), pp. 114-129; Ibid., The
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1933, vol. I, p. 451-483; O. SCHÜTTPELZ, Der Weltlauf der
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geistlichen spiel des Mittelalters, «Germanistische
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pp. 63-88; Sacre rappresentazioni nel manoscritto 201
della Bibliothèque Municipale di Orléans, ed. G. TINTORI e R. MONTEROSSO, Athenaeum Cremonense,
Cremona 1958; F. C. GARDINER, The Pilgrimage of Desire: A Study of Theme and
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1971; The Fleury Playbook: Essays and Studies, a
cura di T. P. CAMPBELL e C. DAVIDSON, Medieval Institute,
Kalamazoo 1985; R. EDWARDS, The Montecassino Passion and the Poetics of
Medieval Drama, University of California Press,
Berkeley 1977, rileva il nesso tra le Sacre rappresentazioni della
Passione e i testi dei pellegrini; il «Prologo del pellegrino», ouverture a «La
commedia di Robin e Marion» di ADAM DE
3. Mons. Vescovo E. DAL COVOLO, Prefazione, in
J. BOLTON HOLLOWAY, Il
Pellegrino e il libro: Uno studio su Dante Alighieri,
«De strata francigena» 20/1 (2012), Centro Studi Romei,
Firenze, p. 10; V. PLACELLA, «Guardando nel suo
Figlio… » Saggi di esegesi dantesca, Federigo &
Ardia, Napoli 1990, p. 66.
4. OMERO, Odissea I.1.
5. H. DE LUBAC, Exégèse mediévale: les
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PLACELLA, «Guardando
nel suo Figlio… » op. cit., pp. 61-124;
ID., Dante e
l’Anagogia, «Studi medievali e moderni» 1 (2006), pp. 70-86.
8. E. AUERBACH, La cicatrice di Ulisse,
in Mimesis: Il
Realismo nella letteratura occidentale, Einaudi,
Torino 1956, pp. 3-29;
Figura, Studi su Dante,
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205-207.
9. S. FREUD, Civilization and its
Discontents Civilization and its Discontents,
10. B. LATINI, Il Tesoretto, ed.
J. BOLTON HOLLOWAY, Garland, New York 1981; B. LATINI, Il Tesoretto, eds.
G. FINI, F. ARDUINI, F. MAZZONI, I. G. RAO, J. BOLTON
HOLLOWAY, Le Lettere, Firenze 2000.
11. JULIAN OF NORWICH, Showing of Love: Extant
Texts and Translations, ed. Sr A. M. REYNOLDS, C.P. e J. BOLTON HOLLOWAY,
SISMEL Edizioni del Galluzzo, Firenze 2001, pp. 40-43.
12. J. JAYNES, The Origin of
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bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi,
Milano 1984; J. B. TAYLOR, My Stroke of Insight: A
Brain Scientist’s Personal Journey, Hodder, London
2009; trad. it., La
scoperta del giardino della mente. Cosa ho imparato dal
mio ictus cerebrale, Mondadori,
Milano 2009; conferenza TED 02/2008, data di
accesso23/7/2012: http://www.ted.com/talks/lang/en/jill_bolte_taylor_s_powerful_stroke_of_insight.html.
13. BOEZIO, La consolazione della
filosofia, III.xii.
14. D. ALIGHIERI, Convivio, ed. F. B.
AGENO, Le Lettere, Firenze 1995, pp. 66-67.
15. ID., Epistola
a Cangrande, ed. E. CECCHINI, Biblioteca del Medioevo
Latino, Giunti, Firenze 1995, pp. 10-11; P. ALIGHIERI, Petri Allegherii super
Dantis ipsius genitoris Comoediam
commentarium, ed.
Vincenzo Nannucci, Lord Vernon, Firenze 1845, pp.
4-6, «anagogicus, unde anagogia, idest spiritualis
intellectus».
16. J. BOLTON HOLLOWAY, Il Pellegrino e il
libro, cit.,
capp. III-VII, pp. 63-150.
17. P. ALIGHIERI, op. cit,
pp. 9,12. «Fingendo auctor se ibi invenire inter sodomitas
Ser Brunettum Latinum de Florentia», p. 175. «Et ideo fingit
Bernardum pro ea orantem ita ed illam, quae est gratiarum
nostra rum imperatrix, scilicet Virgo Maria», p. 735.
18. T. G. BERGIN, lettera al
Professor THEODORE BOGDANOS su ERICH AUERBACH dell’11
ottobre 1971. «Ricordo
anche un’occasione in cui egli ha voluto consultarmi per
accertarsi ulteriormente che “qui” nella Commedia
sempre volesse significare “qui sulla
terra”… vale a dire, qui dove si “ritrova” Dante autore, e
non Dante pellegrino… ». Quando parlo di Dante come
“apprendista del mago” mi rifaccio a D. COMPARETTI, Virgilio nel Medio Evo,
3 voll., "
19. E. AUERBACH, Dante’s Addresses to
the Reader, in American
Critical Essays on The Divine Comedy, ed. R. CLEMENTS, New York University Press, New
York 1967, pp. 37-51.
20. J. BOLTON
HOLLOWAY, Twice-Told
Tales: Brunetto Latino and Dante Alighieri, Peter
Lang,
21. P. ALIGHIERI, op. cit.,
p. 89.
22. J. BOLTON HOLLOWAY, Il Pellegrino e il
libro, cit., pp. 132-137.
23. Il Canzoniere Palatino.
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Banco Rari 217
(ex Palatino 418). I Canzonieri della lirica italiana
delle origini III, ed. L.
LEONARDI, Biblioteche e Archivi 6/III, SISMEL Edizioni del
Galluzzo, Firenze 2000.
24. Y. ROKSETH. Polyphonies du XIIIe
siècle: Le manuscript H 196 de la faculté de médicine de
Montpellier, Oiseau Lyre, Paris 1936-1939, 4 voll.
Ricordiamo
che l’uso della poesia pagana e profana per le omelie sacre
è spiegato dal discorso/sermone di san Paolo all’Areopago,
citando i poeti pagani (At 17,22-31), in
sant’Agostino (De
Doctrina Cristiana XL),
e da Pietro il Venerabile nella lettera a Eloisa alla morte
di Abelardo, appellandosi alla figura dell’oro
degli egiziani, prima usato per forgiare il vitello d’oro,
poi per adornare il Tabernacolo dell’Arca (Es
3,21; 32,1).
25. Questo carro anche simboleggia il carro con l’Arca
trainato dai buoi (2 Sam
6,3-23), che vediamo già scolpito in Purgatorio X,
55-72, subito dopo la scena dell’Annunciazione, X, 28-48, Lc 1,26-38. Il simbolo di Luca è il bue, che forse
potrebbe significare l’evoluzione del vitello d’oro. In Purgatorio XII, 1,
vediamo poi Dante e Oderisi, che «come buoi che vanno a
giogo», scrittore e miniatore insieme, trascinando il libro
delle parole e delle immagini, parlano di Cimabue (testa di
bue), Giotto, e Francesco da Bologna. In Purgatorio XXIX,
92-105, 133-138, Luca è rappresentato due volte, prima come
bue per il suo vangelo, poi come medico per gli Atti degli Apostoli
con san Paolo. Fra altre vaghe allusioni si può osservare la
paronomasia fra Luca e Lucano, fra il vangelo e
26. J. BOLTON HOLLOWAY, Twice-Told Tale, cit.,
passim; Il
Tesoretto, ed. ID., cit.,
su come i discepoli trattano male e rovinano il suo libro:
«E di carte in quaderno/ Sia gettato in inferno», 105-112,
p. 6, che Dante rovescerà in Paradiso XXXIII, 85-87.
27. P. ALIGHIERI, op.cit.,
p. 6, difende e spiega la bontà di una favola con un
insegnamento morale, nega però la validità di un fabliau che non
istruisce «fabula,
quae dicitur a fando, quae nihil informationis habet nisi
vocem».
Questo lo schema per i
diversi registri, le
differenti realtà, nella scrittura di Dante:
I.
«Allegoria dei Poeti», letterale e allegorico, dai libri, foris:
L’Eneide di Virgilio,
Lirica
d’amore dei “provenzali”, “siciliani”, “toscani”, nella Vita Nova, nella Commedia
II. «Allegoria dei Teologi»,
1) Letterale, foris:
Beatrice, Dante,
figure storiche, Vita
Nova, Commedia
Altri personaggi
storici nella Commedia
Poeti classici,
provenzali, siciliani, toscani
Similitudini
nella Commedia
2) Tipologia allegorica,
Figura, intus:
Parallelismi con
3) Tropologico, Morale, intus:
Dante nella Vita Nova, nella Commedia
Altri personaggi storici
inseriti nella Commedia
Caratteri tratti dalla
poesia classica e medievale
Vita Nova, Commedia
4) Anagogico, foris:
Beatrice, théia anágnosis,
nella Vita Nova,
nella Commedia
Dio, oltre
28. Il Libro del Chiodo,
ed. F. KLEIN, Archivio di Stato di Firenze, Le Lettere,
Firenze 2004, pp. 4, 5, 147, 169, 170, 326.
30. H.-R. PATAPIEVICI, Gli occhi di Beatrice.
Com’era davvero il mondo di Dante?, Mondadori, Milano
2006.
31. E. PANOFSKY, Abbot Suger on the
Abbey Church of St.-Denis and its Art Treasures,
Princeton University Press, Princeton 1979, pp. 62-64, che
dà l’affine visione anagogica dell’Abate: «Omnes, inquam, lapis preciosus
operimentum tutum, sardius, topazius, japiis, crisolitus,
onix et berillus, saphirus, carbunculus et smaragdus [Ez 28.13]. De quorum numero, præter solum carbunculum, nullum
deesse, imo copiosissime abundare, gemmarum proprietatem
cognoscentibus cuum summa ammiratione claret. Unde, cum ex
dilectione decoris domus Dei aliquando multicolor, sanctarum
etiam diversitatem virtutum, de materialibus ad immaterialis
transferendo, honesta meditatio insistere persuaderet, video
videre me quasi sub aliqua extranea orbis terram plaga, quæ
nec tota sit in terrarum fæce nec tota in cœli puritate,
demorari, ab hac etiam inferiori ad illam superiorem
anagogico more Deo donante posse transferri.»
32. E. R. CURTIUS, Kritische Essays
zur europäishcen Literatur, trad. The Ship of the
Argonauts, Essays on European Literature,
Princeton University Press, Princeton 1973, pp. 465-496;
trad. it., Letteratura della letteratura. Saggi critici, Il Mulino, Bologna
1984, pp. 301-325. Ricordiamo lo scherzo di san Girolamo –
traduttore dall’ebraico e dal greco al latino della Bibbia,
Audrey: Io non so che cosa voglia dire «poetica»; vuol
dire: onesta negli atti e nelle parole?
Significa qualcosa di vero?
Touchstone: Francamente, no: poiché la poesia la più vera, è la più
piena di finzione.
Pietro Alighieri, op.cit, p. 740, scrive del poema del padre come di un falso
sogno/vera visione richiamando
l’immagine delle porte del
Sonno di Virgilio, l’una d’avorio, e l’altra di corno: «Et
hoc per fictam et phantasticam recitationem ut etiam nunc
autor iste fecit, et ibi dicit. Sed qui vere ab oculis visa
recitat, et scribit, exit per corneam portam.»
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ABSTRACT
Fondandosi sull’uso allegorico dei temi dell’Esodo
e di Emmaus nei testi della Vita Nova e della Commedia il saggio
analizza i quattro sensi dell’esegesi medievale con il
rimando al vangelo di Luca in Dante. Il saggio dimostra così
che per Dante il quarto senso, il senso anagogico, non è
lineare, ma ha la sua dimora laddove spazio e tempo si
comprimo. Il «regno dei cieli» è qui sulla terra (Lc 17.20-21); «Et Verbum caro factum
est, et habitavit in nobis» (Gv 1.14).
Sr JULIA BOLTON HOLLOWAY, inglese, Professor
Emerita, medievista, ha insegnato a Berkeley, Princeton, e
Boulder, ha pubblicato numerosi libri e saggi su Dante,
Brunetto Latino, le donne contemplative, cura tre Website.
Eremita, vive a Firenze dove si occupa di una biblioteca,
'DANTE VIVO'- LA COMMEDIA
DI DANTE ALIGHIERI (Testo, lectura,
musica, immagini dei manoscritti):
Inferno I, Inferno II, Inferno
III, Inferno IV, Inferno V, Inferno
VI, Inferno VII, Inferno VIII, Inferno
IX, Inferno X, Inferno XI, Inferno
XII, Inferno XIII, Inferno XIV, Inferno
XV, Inferno XVI, Inferno
XVII, Inferno XVIII, Inferno
XIX, Inferno XX,
Inferno
XXI, Inferno XXII, Inferno
XXIII, Inferno XXIV, Inferno
XXV, Inferno XXVI, Inferno
XXVII, Inferno XXVIII, Inferno
XXIX, Inferno XXX, Inferno
XXXI, Inferno XXXII, Inferno
XXXIII, Inferno XXXIV
Purgatorio I, Purgatorio II, Purgatorio
III, Purgatorio IV, Purgatorio V, Purgatorio
VI, Purgatorio VII, Purgatorio
VIII, Purgatorio IX, Purgatorio
X, Purgatorio XI, Purgatorio
XII, Purgatorio XIII, Purgatorio
XIV, Purgatorio XV, Purgatorio
XVI, Purgatorio XVII, Purgatorio
XVIII, Purgatorio XIX, Purgatorio
XX, Purgatorio XXI, Purgatorio
XXII, Purgatorio XXIII, Purgatorio
XXIV, Purgatorio XXV, Purgatorio
XXVI, Purgatorio XXVII, Purgatorio
XXVIII, Purgatorio
XXIX, Purgatorio XXX, Purgatorio XXXI, Purgatorio XXXII, Purgatorio XXXIII
Paradiso I, Paradiso II, Paradiso III, Paradiso IV, Paradiso V,
Paradiso VI, Paradiso VII, Paradiso VIII, Paradiso IX, Paradiso X, Paradiso XI, Paradiso XII, Paradiso XIII, Paradiso XIV, Paradiso XV, Paradiso XVI, Paradiso XVII, Paradiso XVIII, Paradiso XIX, Paradiso XX, Paradiso XXI, Paradiso XXII, Paradiso XXIII, Paradiso XXIV, Paradiso XXV, Paradiso XXVI, Paradiso XXVII, Paradiso XXVIII, Paradiso XXIX, Paradiso XXX, Paradiso XXXI, Paradiso XXXII, Paradiso XXXIII
'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice