'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice

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Temple Classics, reading in English
Girone V, Avarizia e Prodigalità



DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. PURGATORIO XXI


a sete natural che mai non sazia    
se non con l'acqua onde la femminetta
   samaritana domandò la grazia,

  mi travagliava, e pungeami la fretta
  per la 'mpacciata via dietro al mio duca,
  e condoleami a la giusta vendetta.
                                                                                    
  

                                                                                    
                                                                                     Vedi l'Officium Peregrinorum   
Ed ecco, sì come ne scrive Luca    
  che Cristo apparve a' due ch'erano in via,
  già surto fuor de la sepulcral buca,


A Santo Domingo de Silos, sulla strada di pellegrinaggio a Compostela, Luca con il suo Vangelo, Cleopas e Cristo.

10   ci apparve un'ombra, e dietro a noi venìa, 
  dal piè guardando la turba che giace;
  né ci addemmo di lei, sì parlò pria,

13   dicendo: «O frati miei, Dio vi dea pace».
  Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
  rendéli 'l cenno ch'a ciò si conface.

16   Poi cominciò: «Nel beato concilio
  ti ponga in pace la verace corte
  che me rilega ne l'etterno essilio».

19   «Come!», diss' elli, e parte andavam forte:
  «se voi siete ombre che Dio sù non degni,
  chi v'ha per la sua scala tanto scorte?».

22   E 'l dottor mio: «Se tu riguardi a' segni 
  che questi porta e che l'angel profila,
  ben vedrai che coi buon convien ch'e' regni.

25   Ma perché lei che dì e notte fila 
  non li avea tratta ancora la conocchia
  che Cloto impone a ciascuno e compila,

28   l'anima sua, ch'è tua e mia serocchia, 
  venendo sù, non potea venir sola,
  però ch'al nostro modo non adocchia.

31   Ond' io fui tratto fuor de l'ampia gola
  d'inferno per mostrarli, e mosterrolli
  oltre, quanto 'l potrà menar mia scola.

34   Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli 
  diè dianzi 'l monte, e perché tutto ad una
  parve gridare infino a' suoi piè molli».

37   Sì mi diè, dimandando, per la cruna 
  del mio disio, che pur con la speranza
  si fece la mia sete men digiuna.

40   Quei cominciò: «Cosa non è che sanza  
  ordine senta la religïone
  de la montagna, o che sia fuor d'usanza.

43  Libero è qui da ogne alterazione:  
  di quel che 'l ciel da sé in sé riceve
  esser ci puote, e non d'altro, cagione.

46   Per che non pioggia, non grando, non neve,
  non rugiada, non brina più sù cade
  che la scaletta di tre gradi breve;

49   nuvole spesse non paion né rade,
  né coruscar, né figlia di Taumante,
  che di là cangia sovente contrade;

52   secco vapor non surge più avante
  ch'al sommo d'i tre gradi ch'io parlai,
  dov' ha 'l vicario di Pietro le piante.

55   Trema forse più giù poco o assai;
  ma per vento che 'n terra si nasconda,
  non so come, qua sù non tremò mai.

58   Tremaci quando alcuna anima monda 
  sentesi, sì che surga o che si mova
  per salir sù; e tal grido seconda.

61   De la mondizia sol voler fa prova,
  che, tutto libero a mutar convento,
  l'alma sorprende, e di voler le giova.

64   Prima vuol ben, ma non lascia il talento
  che divina giustizia, contra voglia,
  come fu al peccar, pone al tormento.

67   E io, che son giaciuto a questa doglia    
  cinquecent' anni e più, pur mo sentii
  libera volontà di miglior soglia:

 70  però sentisti il tremoto e li pii 
  spiriti per lo monte render lode
  a quel Segnor, che tosto sù li 'nvii».

73   Così ne disse; e però ch'el si gode
  tanto del ber quant' è grande la sete,
  non saprei dir quant' el mi fece prode.

76   E 'l savio duca: «Omai veggio la rete  
  che qui vi 'mpiglia e come si scalappia,
  perché ci trema e di che congaudete.

79   Ora chi fosti, piacciati ch'io sappia, 
  e perché tanti secoli giaciuto
  qui se', ne le parole tue mi cappia».

Arch of Titus/Jerusalem Temple Spoils brought to Rome

Arch of Titus/Sculpted Scene of Emperor and Widow, Purgatorio X.73-93

The medieval Arch of Titus was beside what was called Virgil's Tower or Turris Cartularia where the Papal Archives were stored. It is
echoed also in the Hell Gate and Tower with the Furies, Inferno VII.130-IX106.

82   «Nel tempo che 'l buon Tito, con l'aiuto
  del sommo rege, vendicò le fóra
  ond' uscì 'l sangue per Giuda venduto,

85   col nome che più dura e più onora
  era io di là», rispuose quello spirto,
  «famoso assai, ma non con fede ancora.

88   Tanto fu dolce mio vocale spirto, 
  che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
  dove mertai le tempie ornar di mirto.

91   Stazio la gente ancor di là mi noma:
  cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
  ma caddi in via con la seconda soma.

94   Al mio ardor fuor seme le faville,
  che mi scaldar, de la divina fiamma
  onde sono allumati più di mille;

97   de l'Eneïda dico, la qual mamma  
  fummi, e fummi nutrice, poetando:
  sanz' essa non fermai peso di dramma.

100  E per esser vivuto di là quando 
  visse Virgilio, assentirei un sole
  più che non deggio al mio uscir di bando».

103   Volser Virgilio a me queste parole 
  con viso che, tacendo, disse `Taci';
  ma non può tutto la virtù che vuole;

106   ché riso e pianto son tanto seguaci
  a la passion di che ciascun si spicca,
  che men seguon voler ne' più veraci.

109   Io pur sorrisi come l'uom ch'ammicca; 
  per che l'ombra si tacque, e riguardommi
  ne li occhi ove 'l sembiante più si ficca;

112   e «Se tanto labore in bene assommi»,
  disse, «perché la tua faccia testeso
  un lampeggiar di riso dimostrommi?».

115   Or son io d'una parte e d'altra preso: 
  l'una mi fa tacer, l'altra scongiura
  ch'io dica; ond' io sospiro, e sono inteso

118   dal mio maestro, e «Non aver paura», 
  mi dice, «di parlar; ma parla e digli
  quel ch'e' dimanda con cotanta cura».

121   Ond' io: «Forse che tu ti maravigli,
  antico spirto, del rider ch'io fei;
  ma più d'ammirazion vo' che ti pigli.

124   Questi che guida in alto li occhi miei,
  è quel Virgilio dal qual tu togliesti
  forte a cantar de li uomini e d'i dèi.

127   Se cagion altra al mio rider credesti,
  lasciala per non vera, ed esser credi
  quelle parole che di lui dicesti».
                                                                                                     

130   Già s'inchinava ad abbracciar li piedi 
  al mio dottor, ma el li disse: «Frate,
  non far, ché tu se' ombra e ombra vedi».

133   Ed ei surgendo: «Or puoi la quantitate
  comprender de l'amor ch'a te mi scalda,
  quand' io dismento nostra vanitate,

135   trattando l'ombre come cosa salda».




Botticelli gives the dramatic sequence of events, clearly recalling the Emmaus iconography, now with Statius, Dante and Virgil, as Christ, Luke and Virgil.

   
Botticelli

1 Pilgrim and Book, pp. 27-84, discusses the pilgrim paradigm in the Commedia, based on Luke 24. This Officium Peregrinorum was also a popular medieval play throughout Europe, sung by Benedictine monks in Latin Gregorian chant, in Florence appearing in a Compagnie dei laudesi manuscript in Italian.



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«COME NE SCRIVE LUCA»: LA VITA NOVA E LA COMMEDIA

 

 

JULIA BOLTON HOLLOWAY

 

 

 

I. IL VANGELO DI LUCA

Riprendendo il vangelo di Luca (Lc 24,13-15) nel luogo in cui sulla via di Emmaus Cleopa e un altro discepolo, non identificato per nome («duo ex illis»), incontrano Cristo risorto, Dante descrive in una similitudine l’incontro suo e di Virgilio con Stazio.

   Ed ecco - sì come ne scrive Luca

che Cristo apparve ai due ch’erano in via,

già surto fuor de la sepulcral buca -

  

  ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,

dal piè guardando la turba che giace;

né ci addemmo di lei, sì parlò pria,

  

  dicendo: «O frati miei, Dio vi déa pace». (XXI, 7-13, ed. A. LANZA)

In una bella scultura sul cammino di Santiago di Compostela, nel chiostro di Santo Domingo de Silos, vediamo Cristo raffigurato come pellegrino con Clèopa al suo fianco, che punta il dito verso il sole e Luca, l’autore/pellegrino che porta il libro del suo vangelo e che ancora non comprende (Lc 24,16-27)1. Questa scena riflette i drammi liturgici medievali in latino (e in volgare fiorentino), nei quali i due discepoli sono identificati per nome: l’anziano Clèopa, e con lui Luca, il giovane autore del vangelo2. Nella struttura del poema i due poeti, Virgilio e Dante, rappresentano e adombrano in modo tipologico i due discepoli, Clèopa e Luca, mentre il Terzo, il poeta Stazio, rappresenta Cristo stesso. In tal modo Dante concilia l’allegoria dei poeti con quella dei teologi in un dramma liturgico inserito nel suo testo, nel quale egli stesso è il paradigma dell’evangelista Luca, che inizialmente non comprende, ma diviene poi il discepolo che proclama la Resurrezione di Cristo in mezzo a noi.

Il Professor Vincenzo Placella e il Rettore Magnifico Mons. Vescovo Enrico dal Covolo, scrivendo sull’anagogia in Dante, ne spiegano l’uso nello stesso vangelo di Luca dove Cristo risorto parla ai discepoli dell’Esodo - Et incipiens a Moyse et omnibus prophetis interpretabatur illis in omnibus Scripturis, quae de ipso erant (Lc 24,27) – riaccendendo il loro cuore a nuova speranza, facendosi egli stesso maestro autentico della quadruplice esegesi della lectio divina, théia anágnosis, cioè «divina ricognizione»3. Questo saggio indaga anche l’uso che Dante e Luca fanno dell’episodio di Emmaus e dell’Esodo quali modi per giungere al concetto dantesco dell’anagogia come «divina ricognizione».

        La lettura medievale delle Sacre Scritture che adottava la quadruplice esegesi (estranea alla moderna) che comprendeva il livello letterale, l’allegorico, il tropologico, l’anagogico era quindi lettura ricca e profonda. In Omero tale ricchezza è espressa dalla parola politropon4, proteiforme, riferita al suo eroe (Odisseo/Ulisse), che in Dante trova il suo equivalente in polisemos, cioè che ha più significati. “Allegoria” (állos + agorá, agoreúo = altro + piazza, parlo), nella Grecia classica designa l’astratto, il mitologico, ciò che è reso in chiave platonica, capace di esprimere la verità ideale, distinta dal mercenarismo dei logografi della piazza, dall’oratoria forense che conferisce alla menzogna la parvenza di verità, alla parte peggiore il valore della parte migliore. La Bibbia era letta ed interpretata 1) in senso letterale (in bianco e nero) secondo l’esegesi della scuola di Antiochia; poi seguendo la scuola di Alessandria secondo 2) l’allegoria tipologica di Filone Giudeo, di Paolo, di Origene; 3) secondo l’allegoria tropologica o morale, che maggiormente si accorda con il nostro senso moderno/classico dell’allegoria; 4) secondo l’allegoria anagogica, per la quale giungiamo facie ad faciem con Dio («littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agat, quo tendas anagogia»)5. Tutte sono unite in un arcobaleno, in un prisma di colori scintillanti (Paradiso XXX, 115-120). Questa quadruplice letture, suggerisce Angus Fletcher, corrisponde alle quattro cause aristoteliche: causa materiale, formale, efficiente, e finale6. Frederic Jameson (nel suo saggio Metacommentary7) ed Erich Auerbach (in La cicatrice di Ulisse nel suo Mimesis e nel saggio Figura8) spiegano che questi modi di lettura armonizzano e compongono le diverse culture mediterranee. L’ebraica, lineare, letterale, dominata dall’emisfero sinistro; l’ellenica, dominata dall’emisfero destro, che crea allucinate visioni di figure della divinità della guerra e della sapienza, abolisce e collassa il senso dello spazio e del tempo; la cristiana poi, basata sul senso letterale, che concilia e assimila le altre due. Tesi, antitesi, sintesi. Sigmund Freud in Il disagio della civiltà parla della città di Roma e delle sue stratificazioni storiche visibili simultaneamente come metafora della mente umana, ma subito abbandona questa intuizione scaturita dall’emisfero sinistro da lui stesso giudicata assurda e contraria alla ragione9.

I modi tipologico e tropologico dell’allegoria medievale, durante il Rinascimento e in epoca moderna, diventano sempre più confusi e erroneamente intesi. Il terzo, il modo tropologico morale,  corrisponde più al modo allegorico greco, romano, moderno: «Allegoria est tropus quo aliud significant quiam dicitur», l’allegoria personificata di vizi e virtù. Brunetto Latino nel Tesoretto è il precursore di Dante nella Commedia; egli nel suo poemetto egli è un pellegrino in cammino, che le personificazioni allegoriche della Natura, della Giustizia e di altre virtù, come anche Ovidio e Tolomeo, ammaestrano,  correggendo così la sua coscienza morale fino alla conversione; lo stesso farà Christine de Pizan nel suo Chemin de Long Estudes10. Il modo della seconda “allegoria” medievale, il  tipologico, invece, deriva dall’incarnazione giudaico-cristiana del Verbo nel Mondo, un mondo in cui Isacco è typos e figura di Cristo. Ambedue sono figure storiche di carne e sangue, che si rispecchiano l’una nell’altra, Isacco che porta sul monte la legna per il suo olocausto, Cristo che porta il legno della croce, nella salita al Calvario. Per Dante la personificazione della Filosofia di Boezio e la personificazione della Natura di Brunetto, personificazioni tropologiche, sono incarnate anche tipologicamente nella figura in carne e ossa, storica e letterale, di Beatrice Portinari, come Teologia, come théia anágnosis, a Firenze, per cui elladiventa figura letterale, allegorica, tropologica,  anagogica, combinazione della quadruplice esegesi («Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis»). Non è possibile, vedremo, per Dante il senso allegorico senza un fondamento letterale storico - o letterario.

 Anche il senso anagogico non va erroneamente inteso in modo lineare, moderno, nella visione futura della fine del tempo, ma piuttosto pensato in quell’eternità dei tempi in cui passato, presente, futuro coesistono al centro del cerchio, il paradosso del regno dei cieli – parousia – in mezzo a noi (Lc 17,20-21). È possibile riscontrare un’analogia tra la quadruplice esegesi della lectio divina e i quattro gradi della vita contemplativa, ad esempio nella Scala Paradisi di Guigo II: «lectio, meditatio, oratio, contemplatio»; come nella descrizione che san Gregorio fa della visione di san Benedetto, ripetuta nella visione di Giuliana di Norwich nella quale in contemplazione vedono anagogicamente il cosmo intero diventare un solo raggio di luce; e Giuliana poi lo vede come una nocciola nel palmo della mano, così come la creazione è al cospetto del Creatore («quia anima videnti Creatorem angusta est omnis creatura»), sprofondamento di spazio e tempo nell’anima, nel centrum circuli11. Non diversamente Auerbach in La ferita di Ulisse, e Freud nella metafora di Roma quale mente umana.

 

           Possiamo spiegare questa quadruplice esegesi e la sua applicazione alla Commedia di Dante da un altro punto di vista. Ricerche e studi recenti nel campo delle neuroscienze hanno permesso di comprendere come i due emisferi del nostro cervello operino in parallelo, sebbene le loro funzioni siano differenziate e specializzate. L’emisfero sinistro controlla la mano destra che scrive; è letterale, logico, lineare,  conscio del passato; pianifica il futuro ed è incentrato su se stesso.  L’emisfero destro precipita tutto il tempo e lo spazio nell’eternità dell’attimo presente, sfida i limiti, partecipa all’energia del cosmo e universalizza.. L’emisfero sinistro è la mente, letterale, logica, razionale, mentre il destro è l’anima, è intuitivo, immaginativo, contemplativo, anagogico12. Il modo più antico di leggere i testi sacri è dato dal simultaneo coinvolgimento dei due emisferi, laddove il più moderno, anche in ambito educativo e formativo, procede escludendo e rigettando l’emisfero destro che è arcaico, così fa Freud che abbandona la magnifica immagine di Roma quale metafora della mente umana. Se riusciamo a capire ciò possiamo consapevolmente tornare a comprendere il modo di scrivere di Dante che permette il gioco tra i due emisferi, di destra e di sinistra, del mistico e dello scientifico, dell’universale e del particolare («Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura», Inferno I, 1-2, «Mi parve pinta della nostra effige», Paradiso XXXIII, 131). Potremo così avere una lettura ricca e variegata nei quattro modi, letterale, tipologico, morale, anagogico, intrecciati in reciproca armonia, in splendida polifonia, polisemica e politrope. Nelle vorticose spirali dei labirinti (Fibonacci e Vico) composti in terza rima, nella quadruplice esegesi, tra l'intreccio della trama e dell’ordito della realtà virtuale alternata, potremo quasi intravedere il cosmo  intero riflesso, creato di molecole, atomi, charm, quark, bosoni, negli opposti conciliati, nel quadrato inscritto in un cerchio, nell’arcobaleno dell’Apocalisse che lo racchiude. L'immagine di Boezio, che Dante ama, della circonferenza come tempo, particolarità, schiavitù, peccato, e del centro, come del collasso nell'eternità, nell'universalità, nella libertà, in Dio, apre tutte queste molteplici letture e prospettive13. Nella Vita Nova XII Amore dice, «Ego tamquam centrum circuli, cui simili modi se habent circumferentiae partes: tu autem non sic». La visione di Dio e della libertà dell’anima alla sua presenza come Amore, il sovrasenso dell’emisfero destro della Vita Nova e della Commedia, giunge dopo la rinuncia e la purificazione di tutto ciò che è illusorio, di tutto ciò che è idolatra, di tutto ciò che è centrato su se stesso, di tutto ciò che è solo dell’emisfero sinistro, persino trascendendo la stessa poesia, «Fili mi, tempus est ut pretermictantur simulacra nostra»).

Dante descrive due volte questo modo allegorico. La prima in Convivio II, i, 6-8, in italiano:

Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora [che sia vera] eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa delle superne cose dell'etternal gloria: sì come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che nell'uscita del popolo d'Israel d'Egitto Giudea è fatta santa e libera: Chè avegna essere vera secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente s'intende, cioè che nell'uscita dell'anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate. E in dimostrare questo, sempre lo litterale dee andare innanzi, sì come quello nella cui sentenza li altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale intendere alli altri, e massimamente allo allegorico14.

La seconda nell’Epistula XIII a Can Grande della Scala VII, in  latino:

[20] Ad evidentiam itaque dicendorum, sciendum est quod istius operis non est simplex sensus, ymo dici potest polIsemos, hoc est plurium sensuum; nam primus sensus est qui habetur per litteram, alius est qui habetur per significata per litteram. Et primus dicitur litteralis, secundus vero allegoricus sive moralis sive anagogicus. [21] Qui modus tractandi, ut melius pateat, potest considerari in hiis versibus: «In exitu Israel de Egypto, domus Iacob de populo barbaro, facta est Iudea sanctificatio eius, Israel potestas eius». Nam si ad litteram solam inspiciamus, significatur nobis exitus filiorum Israel de Egypto, tempore Moysis; si ad allegoriam, significatur nobis nostra redemptio facta per Christum; si ad moralem sensum, significatur nobis conversio anime de luctu et miseria peccati ad statum gratie; si ad anagogicum, significatur exitus anime sancte ab huius corruptionis servitute ad eternam glorie libertatem. [22] Et quomodo isti sensus mistici variis appellantur nominibus, generaliter omnes dici possunt allegorici, cum sint a litterali sive historiali diversi. Nam allegoria dicitur ab «alleon» grece, quod in latinum dicitur «alienum», sive «diversum»15. 

I paradigmi dell’Esodo e di Emmaus usati da Dante spiegano, vedremo, la combinazione dell’allegoria dei poeti e dell’allegoria dei teologi nella sua poesia.16 La Vita Nova è opera di apprendistato alla Commedia. Nell’una e nell’altra l’autore/protagonista, che pecca, tradisce, e che inizialmente non comprende, giunge infine alla théia anágnosis, alla «divina ricognizione», alla conoscenza di sé e, in ciascuno esempio e per mezzo di Beatrice (che Pietro Alighieri afferma è Theologia17), alla conoscenza di Dio. Le quarantadue stazioni dell’Esodo di Numeri 33 sono utilizzate nella Vita Nova come sistema mnemonico per i 42 capitoli. In Purgatorio II, 46-48), l’allegoria dell’Esodo - dopo essere stata sparsa nelle pagine dell’Inferno come le dieci piaghe dell’Esodo e le sette piaghe dell’Apocalisse - è cristallizzata con il canto del salmo 113, «In exitu Israel de Aegypto», intonato all’unisono secondo il suo tonus peregrinus da un coro di più di cento anime, e ancora in Paradiso XXV,55-56, «che d’Egitto vegna in Ierusalemme». (Richiamiamo qui   Luca che nel suo vangelo mette insieme le parole dum fabularentur e hi sermonis, Lc 24,15 e 17, e che negli Atti racconta di Paolo che fonde poesia pagana e sermone cristiano nel suo discorso all’Areopago, At 17,22-31.) Per tre volte Dante usa la figura, il typos del paradigma di Emmaus, due volte nella Vita Nova (IX e XL), una volta esplicitamente in Purgatorio XXI, 7-13, dove spiega che ogni incontro di due pellegrini con un Terzo è ricalcato dagli scritti di Luca, dal suo vangelo. Gli altri incontri, sovente con altri autori e poeti, che sono ombre, typoi, attingendo da Luca 24, di Cristo che parla dell’Esodo, al tempo stesso sono typoi hemon, ombre di noi stessi (1 Cor 10,6-11) come lettori di questo libro - che adombra la sua biblioteca sacra e profana.

 

II. I LIBRI, LA BIBLIOTECA DI DANTE

Nelle miniature della Commedia, come anche nei suoi ritratti, Dante è spesso rappresentato con un libro. Nell’affresco di Andrea del Castagno, ora agli Uffizi di Firenze, con un libro che porta sotto il braccio; nel dipinto di Domenico di Michelino nel Duomo di Firenze vediamo Dante che legge dalla pagina di apertura; nell’affresco di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto, Dante è  intento a scrivere un libro mentre altri ne consulta nella sua biblioteca. Nelle miniature dei manoscritti della Commedia questo libro dapprima appare essere l’Eneide di Virgilio, il poema tragico «de li dèi falsi e bugiardi» (Inferno I.72), su cui Dante leggendo si addormenta, prendendo a modello il Roman de la Rose. Nel mondo classico di Virgilio e in quello medievale  di Dante, gli autori e i loro libri sono congiunti come atti performativi, al modo del verbo che si fa carne, corpo, voce, colmi di umanità, musica, e arte. Non hanno l’astrazione moderna delle nostre pagine silenziose stampate in bianco e nero. Anche quando i libri erano letti silenziosamente nella quiete del proprio studio, ancora permaneva il senso di una conversazione a più voci nei secoli. Del tempo contratto, immerso nell’eternità.

Sappiamo che il giovane orfano Dante ebbe come suo tutore Brunetto Latino. Questi nell’incipit del suo enciclopedico Tresor/Tesoro, in francese e italiano, data la sua autorità di magister è raffigurato in una veste di colore rosso. Parimenti Virgilio, guida e pedagogo di Dante nel suo poema, è rappresentato con la veste rossa di magister e dottore. Un testo assai diffuso nel medioevo per l’insegnamento del latino era il corpus delle Commedie di Terenzio, dal quale, scrive Pietro Alighieri, Dante trae anche il titolo per la sua Commedia (pp. 9-12). Nelle Commedie di Terenzio, in luogo di un unico narratore udiamo una polifonia di voci. Un armadio di maschere, donne, ragazzi, schiavi, maestri, genitori, un’agorà, una città che vive, un mondo intero. S’ intrecciano le voci degli umili (“sermo humilis”, come le voci nel vangelo di Luca), le voci dei giovani e degli anziani, delle donne e degli uomini (De vulgari eloquentia I, 1; Paradiso XV, 121-126).

Nei ritratti fuori testo della Commedia Dante, rappresentato con la toga rossa, simbolo di autorità, appare come maestro. All’interno delle pagine della Commedia, Dante sotto la tutela di Virgilio prima, e Beatrice poi, è, invece, come il giovane pellegrino Luca del dramma liturgico, il Virgilio di Domenico Comparetti, mago e negromante medievale, è un anziano Clèopa in cammino sulla via di Emmaus, che lo conduce lontano da Gerusalemme come Mefistofele svia Faust e Falstaff il giovane principe Hal. Entro le carte che «più ridon…», Dante discepolo è sempre rappresentato con la lunga veste di apprendista di colore azzurro. Egli si comporta come Agostino a Cartagine, che piange per Didone nell’Eneide, che frequenta il teatro familiarizzandosi con le Commedie di Terenzio. Dante è sia se stesso, il fiorentino Dante Alighieri, individuo particolare, sia la persona universale che è Ognuno, riecheggiando l’«Homo sum: humani nichil a me alienum puto» (Heautontimorumenos 77) di Terenzio, che riflette ciascuno di  noi.

Dobbiamo ora studiare i diversi livelli di realtà, l’uso che Dante fa di realtà dissimili, il dentro e il fuori del suo testo, che riflette il Libro di Dio, scritto intus et foris. Al di fuori del testo che egli scrive, nel mondo della piazza del mercato e della realtà, foris, agorá, egli è Dante Alighieri, l’autore, in carne e ossa, che poi, come attestano le miniature dei manoscritti, talora intrude nel testo, interrompendone la composizione. Thomas G. Bergin in una lettera a Theodore Bogdanos menziona Erich Auerbach e riferisce di lui che questi ebbe a chiedergli se ogni qualvolta che Dante fa ricorso nella Commedia al «qui» questo stesse ad indicare «qui sulla terra», dove l’autore/Dante vive, e non il paesaggio di sogno di Dante pellegrino/apprendista del mago Virgilio18. Queste interruzioni di Dante, questa rottura della composizione, queste lacerazioni del velo, dell’integumentum, comprendono i suoi accenni al lettore, che, pure essendo inseriti nel testo lo travalicano – e con essi i suoi sogni all’interno dei suoi sogni19. Nel testo Dante intreccia la materia attinta dai menzogneri poeti pagani – e i propri vanagloriosi componimenti – con le Sacre Scritture costruendo parallelismi e combinando l’allegoria dei poeti e l’allegoria dei teologi. Egli opera interruzioni letterarie che provengono dall’agorà, dalle aule di tribunale, dove incontra i caratteri della sua Commedia. Prime persone reali, persone fatte di carne e sangue, che figurano negli atti notarili redatti in inchiostro bruno da Brunetto Latino nei capitoli del comune di Firenze, per i quali Dante costruisce menzogneri discorsi logografi che hanno la parvenza di verità in una paesaggio di finzione colmo di chĭmaeara, di centauri e grifoni. Similmente la trama talora appare piena di spiragli, attraverso i quali s’intravedono, in similitudini epiche, scene e quadretti di vita quotidiana, dove si muovono personi umile, non nobili ed eroi; si scorge qui la piazza del mercato, la vita agreste e del mare, quella degli artigiani, dei contadini, dei marinai. Sia Dante, sia Pietro Alighieri affermano che questo poema è una Commedia, il suo stile umile, è lo stile umile del vangelo (p. 10). Questi livelli letterali si infiltrano spesso entro il livello poetico, forzando l’allegoria dei poeti (il cui livello letterale è solo testuale, non carnale) entro l’incarnazione dell’allegoria dei teologi. Per tutto il tempo questi livelli hanno un fine morale e tropologico, correggendo Dante in quanto persona, il giovane apprendista/pellegrino del mago Virgilio, e con lui, oltre il testo, il suo lettore, fino a liberarsi dalla falsa retorica. Per far questo Dante tradirà il suo lettore, facendo uno spergiuro, come la spia Sinone nell’Eneide («accipe nunc Danaum insidias et crimine ab uno/ disce omnis» II. 65-66; Sinone poi levando le mani sciolte verso il cielo, giura per le stelle alla luce del giorno, per gli altari, le spade, le ghirlande sacrificali, ma tutte le sue parole sono false, 152-160). E’ nel regno di menzogna del peccato, in finzione, quando, ad esempio, giura per questa commedia, la sua Commedia, che il fraudolento Gerione “li salva” facendoli con un volo ancor più discendere nel baratro infernale (Inferno XVI, 127-128). Nell’Inferno i peccatori accusano gli altri dei peccati da loro stessi commessi, e l’immaturo Dante, ingannato, concorre a questo. Poi il testo si rovescia, Inferno XXXIV, 76-139, Paradiso XXX, 62-132 (si ricordino gli angeli nella Cappella dell’Arena di Giotto che avvolgono e dispiegano il rotolo del cielo), per mostrarci il lato opposto, alla fine, inesprimibile; la sua anagogia, il fine per cui è stato creato.

Per il terzo senso, il tropologico, o morale, Dante, così come Brunetto nel Tresor/Tesoro, si riferisce all’Etica Nicomachea di Aristotele che egli conosce bene proprio grazie all’insegnamento del suo maestro. Altre sezioni del testo enciclopedico del Tresor/Tesoro sono anche fonti primarie da cui Dante ricava le conoscenze della storia, della geografia, delll’astronomia, di tutti gli animali conosciuti (il bestiario) – che il suo maestro aveva ampiamente acquisito in occasione dell’ambasceria presso Alfonso el Sabio in Spagna - e della retorica, che Brunetto già, invece, conosceva da Cicerone. Queste conoscenze permetteranno a Dante di creare il mondo parallelo di finzione della Commedia. L’«alta fantasia» (Paradiso XXXIII.142), che adombra l’«alta tragedia» di Virgilio (Inferno XX, 113), il mondo alternativo, virtuale, finalmente armonizzato con il mondo della Bibbia20.

 Noi con Dante, con Agostino, loro e noi insieme, come apprendisti/discepoli tra i loro libri faustiani delle loro biblioteche, condividiamo questo studio/formazione, in questo ammaestramento che ci conduce dalla menzogna alla verità, a comprendere e discernere il bene e il male. A Cartagine Agostino leggendo l’Eneide, frequentando il teatro e apprezzando le Commedie di Terenzio cade nel peccato. A Milano, invece, con la lettura dell’Epistola di Paolo apre la sua anima a Dio e alla conversione, la sua metánoia. In questa stessa luce vediamo l’incontro di Dante con Paolo e Francesca. Dante trae la storia del loro adulterio, e di come insieme essi leggano i romanzi cavallereschi arturiani («ambages pulcerrime», Eneide VI, 98; De Vulgari eloquentia I, x, 2) dal De arte honeste amandi di Andreas Capellanus, scritto per l’amico Gualterius. Libro che, come sappiamo dal figlio Pietro, faceva parte della biblioteca del padre21. Dante incontra poi il Catone della Farsalia di Lucano, che nell’allegoria figurale corrisponde al Mosè dell’Esodo22. E ancora poi osserviamo il suo incontro con Stazio, l’autore della Tebaide, che si trasfigura nel Cristo del vangelo di Luca. L’Eneide di Virgilio, la Farsalia di Lucano, la Tebaide di Stazio, l’Inferno di Dante sono tragedie pagane, tragedie che fanno versare lacrime (“lacrimarum rerum”). Nel Purgatorio e nel Paradiso però Dante rovescia il suo tragico poema pagano in una commedia cristiana.

E’ utile qui richiamare alla memoria i canzonieri provenzali ricchi di miniature che ritraggono i trovatori, di vidas, di razos, di musica, che richiamano i canzonieri siciliani e toscani. Tra questi il Canzoniere Palatino, raccolta di rime di poeti quali Messer Piero della Vigna, Bonagiunta da Lucca, Guido Guinizzelli da Bologna, Fra Guidone d’Arezzo, Rex Fredericus, Saladino, e di Dante Alighieri che compare per errata attribuzione come autore di una lirica di Guido Cavalcanti, anche lui discepolo di Brunetto23. Le canzoni che Dante fa talora intonare alle anime peregrine sono in realtà suoi stessi componimenti: «Rifà la polizia con voci diverse» (Il nostro comune amico, Charles Dickens). Nel Purgatorio Virgilio e Dante dapprima incontrano Catone (I, 22-208), poi Casella (II, 76-119). Quest’ultimo intona la canzone di Dante del Convivio III, e del De Vulgari eloquentia II, vi, 6, «L’amor che ne la mente mi ragiona», subito dopo che più di cento pellegrini all’unisono hanno cantato il salmo 113. Dante ci dice che il senso anagogico di questo salmo è la liberazione dell’anima dal peccato, che per la potenza di questa via è resa libera e santa («ne l'uscita de l'anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate»). Il salmo 113 è così come l’Arca della Legge di Mosè, riecheggiata dalla figura del giusto Catone nel deserto libico. È, invece, Virgilio a permettere l’amoroso canto di Dante/Casella, il typos di Aronne, che permise la fabbricazione e l’adorazione idolatra del vitello d’oro. Il canto delle “simulacra nostra” della Vita Nova XII, delle illusioni, degli idoli, della schiavitù che devono essere abbandonati, “pretermictantur”, senza mai accondiscendervi. Così l’allegoria funziona musicalmente, e ci ritroviamo in un mottetto, dove il contrafactum gioca contro il canto sacro in latino servendosi della musica e della poesia profana in volgare, giustapponendo allegoria e “agorà”24. Ritroviamo lo stesso gioco nelle miniature piccarde dei manoscritti de Li Livres dou Tresor di Brunetto Latino prodotti nell’area di Arras, dove vediamo l’identica “variabilità di registro”, il passaggio da un livello a un altro, la giustapposizione degli opposti.

Non è questa l’unica volta d’altra parte che Dante si serve della musica sacra in latino come Arca della Legge, e della musica profana in volgare come vitello d’oro, sempre comunque  mettendo i suoi componimenti in bocca ad altri cantori. In Purgatorio XXIV, 19-63, è Bonagiunta Orbiciani da Lucca a cantare ‘Donne che avete intelletto d’amore’ tratta dalla Vita Nova XIX, 2-3; in Purgatorio XXVI, 136-148, Arnaut Daniel canta in provenzale, e non in volgare fiorentino, «Tan m’abellis vostre cortes deman»; in Paradiso VIII, 31-IX, 9, è Carlo Martello a cantare «Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete» del Convivio I, 6. Così Dante è sia logografo sia trovatore.  Accanto ai canzonieri con i loro amorosi canti in volgare, nella Firenze del tempo, appaiono i bellissimi laudari delle compagnie dei laudesi, espressione della devozione laicale in volgare fiorita sotto il grande impulso e l’ispirazione delle laude di san Francesco. E una splendida lauda è la traduzione di Dante del «Padre Nostro» in Purgatorio XI, 1-24, «laudato sia ‘l tuo nome... da ogne creatura, com’è degno». Tutta questa tensione infine si risolve. La sacra teologia anagogica è scritta e rappresentata in lingua volgare - il volgare fiorentino parlato in Toscana, anche comprensibile alle donne e ai bambini, la lingua cantata da san Francesco in Umbria – con l’invocazione alla Vergine di san Bernardo in Paradiso XXXIII, 1-39 «Vergine madre, figlia del tuo figlio». Così san Bernardo sussume nella Lectio divina dei suoi sermoni sul Cantico dei Cantici la Commedia di Dante di tre cantiche composte di cento canti. Tuttavia quest’inno alla Vergine non è tra gli scritti di Bernardo sul Canticum Canticorum Salomonis (Pietro Alighieri scrive «Et ideo fingit Bernardum pro ea orantem ita ed illam, quae est gratiarum nostrarum imperatrix, scilicet Virgo Maria», p. 735), poiché Dante, non più vanaglorioso idolatra del suo talento, umilmente compone in atto di venerazione ed adorazione (dulia e latria) a Maria che porta nel grembo Cristo: «Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis» (Gv 1.14); o all’animicula di Maria quale scolpita da Arnolfo di Cambio, che la rappresenta come una bambina osservata nella sua perfezione anatomica, che con grande tenerezza il Figlio suo Gesù porta tra le braccia; «figlia del tuo figlio, umile ed alta… ».

 

 

III. IL LIBRO DI DIO

In Purgatorio XXIX, 82-134, vediamo ventiquattro vegliardi, cui se ne aggiungono dopo altri quattro, e altri ancora, allegoricamente l’intera Bibbia, che insieme avanzano davanti a noi in processione sacra. Gli autori dell’Antico Testamento con il capo cinto da corone di gigli (uno dei quali è il Salomone del Canticum Canticorum) e gli autori del Nuovo con il capo cinto di corone di rose, simboleggiano i loro libri, e Giovanni, l’ultimo nella figurazione, che “dormendo” sogna la sua Rivelazione, l’Apocalisse. Botticelli nei suoi disegni così tratteggia ciascuna di queste figure con il proprio libro in mano. L’incastonatura di Beatrice in mezzo a loro su una quadriga, un carroccio, trainata dalle quattro bestie di Ezechiele e dell’Apocalisse (che il Grifone riunisce in sé), accompagnata dalle tre virtù teologali, Fede, Speranza, Carità, e dalle quattro virtù pagane (morali o cardinali), Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza (che sono anche le sette stelle, i sette pianeti), è l’apparizione di lei come théia anágnosis. Le quattro bestie simboleggiano i quattro vangeli, i quattro evangelisti25, e forse al contempo i quadruplici modi di lettura della Bibbia, della Lectio divina, in combinazione con l’allegoria personificata delle virtù dei filosofi e dei poeti pagani. La processione liturgica riecheggia la processione della “Cena Domini” in Santa Reparata a Firenze, ancora oggi rimasta in uso nei riti del Giovedì Santo nel Duomo di Santa Maria del Fiore, con i candelabri e il grande stendardo adorno in cima di ramoscelli d’ulivo. Più tardi in Paradiso incontreremo i Padri della Chiesa e i loro volumi: i commenti sulle Scritture, sulla Bibbia, il Verbum. Gli incontri antecedenti sono avvenuti con gli autori della letteratura pagana, compositori di una menzognera poesia  profana, che pure sarà scritta nel Libro che Dio tiene in mano. Verso la fine della terza cantica (Paradiso XXXI, 7-12), incontriamo la similitudine virgiliana della costruzione di Cartagine della Didone di Agostino (palinsesto della Città Eterna, Roma, e della Gerusalemme Celeste) paragonata alle api che raccolgono il nettare (Eneide I, 430-437, «Qualis apes aestate nova per florea rura/ exercet sub sole labor, cum gentis adultos/ educunt fetus, aut cum liquentia mella/ stipant et dulcis distendunt nectare cellas,/ aut onera accipiunt venientum, aut agmine facto/ ignavum fucos pecus a praesepibus arcent/ fervet opus redolentque thymo fragrantia mella») e che paradossalmente inseminano la rosa celeste («sì come schiera d’ape che s’infiora/ una fiata e una si ritorna/ là dove suo laboro s’insapora,/ nel gran fior discendeva che s’adorna/ di tante foglie, e quindi risaliva/ là dove ‘l suo amor sempre soggiorna», poi XXXIII, 9, «così è germinato questo fiore»). L’anagogia è la rivelazione dell’inclusione persino delle città nemiche, è l’amore del vangelo dell’emisfero destro, la sincronicità nello spazio e nel tempo. La separazione Guelfo/Ghibellino, la separazione potente/povero, la separazione farisaica, puritana e nazionalista, dell’emisfero sinistro, contro gli insegnamenti di Cristo, è annullato.

La Commedia è un libro sui libri e sul Libro. La biblioteca di Dante, i libri della Commedia, la Commedia stessa, è costuita di libri sacri e profani, è l’allegoria dei poeti e l’allegoria dei teologi, collassate in un unico libro, e imperniata su un unico libro, la Bibbia (Paradiso XXXIII, 85-87).   

   Nel suo profondo vidi ch’è s’interna,

legato con amore in un volume,

ciò che per l’universo si squaderna.

È un libro che racchiude tutti i generi: epica, lirica, similitudini, favole, profezie, storia, vangelo, epistole, dramma, filosofia, teologia, epitalami, tragedia, commedia, satira, trattati, orazioni, giuramenti, scultura, canzoni, mottetti, salmi, e tutte le sette arti. Un libro che racchiude le pagine di Aristotele, di Cicerone, di Virgilio, di Terenzio, di Lucano, di Stazio, di Sallustio, di Seneca, di Esopo, di Ovidio, di Claudiano, di Orazio, di Macrobio, di Alfragano, al servizio del testo cristologico. Esso include anche i documenti conservati negli archivi, i registri del governo della città di Firenze redatti da Brunetto Latino, in cui figurano i nomi di personaggi storici in carne e ossa: Carlo d’Angiò, Alfonso el Sabio, Federigo II, Manfredi, Pier delle Vigne, Cavalcante Cavalcanti, Guido Guerra, Tegghaio Aldobrandi, Iacopo Rusticucci, Ugolino della Gherardesca, l’Arcivescovo Ruggiero, Tesauro di Vallombrosa, Bocca degli Alberti, Farinata degli Uberti, Cardinale Latino Orsini, Andrea Spigliati de’ Mozzi, Gianni da Procida, Vanni Fucci, Rinieri de’ Pazzi26. Pietro Alighieri ci dice che l’incontro di Dante con la figura storica di Brunetto Latino nel poema è una finzione («Fingendo auctor se ibi invenire inter sodomitas Ser Brunettum Latinum de Florentia», p. 175), come è una finzione l’incontro con gli altri personaggi. È un libro che include un florilegio della poesia d’amore dei “provenzali”, dei “siciliani”, dei “toscani” del “dolce stil nuovo”, come fosse l’oro degli egiziani usato prima per foggiare il vitello d’oro, poi nella forma   dei salmi e delle laude come oro per adornare l’Arca, che insieme ai loro versi custodisce la Bibbia. Esso include le similitudini dell’umile e povera gente del Magnificat, prese dall’agorà, dai campi, dal mare. È un ibrido di verità e menzogna, una mescolanza e una fusione dell’«allegoria dei poeti» e dell’«allegoria dei teologi»; unione di lectio profana e lectio divina, la quale intesse il mondo in un’unità incarnata che concilia le opposizioni binarie per mezzo della terza rima della Trinità: pagano/cristiano, male/bene, uomini/donne, buio/luce, profano/sacro, letterale/allegorico, sinistra/destra, se/universale, tempo/eternità, esclusione/inclusione, carne/spirito. La Bibbia parla di due discepoli in cammino, l’anziano Cleopa, con un giovane discepolo (nel quale, durante il Medio Evo si è creduto di riconoscere Luca) che “discorrevano e discutevano insieme”, dum fabularentur (Lc 24,15), e del loro incontro con il Terzo che nei sermoni (17, “hi sermones”) sulla via di Emmaus racconta dell’Esodo. Nel momento della visione del Libro di Dio, Dante specularmente riflette il Libro della Creazione, nell’enciclopedia che egli stesso scrive e che noi ora teniamo nelle nostre mani. La Commedia diventa la Bibbia, il Verbo in italiano, che egli colloca in un preciso momento nel tempo, «Nel mezzo del cammin di nostra vita», giocando con l’«In principio erat Verbum» (Gv 1,1), e così Firenze nell’anno giubilare del 1300 è al centro del cerchio, come il nostro spazio e tempo, oggi nel 2012, quando leggiamo la sua opera.    

 

Si può pensare a questo punto a Dante Alighieri storico, figura in carne e ossa, in esilio da Firenze, incarnato nel senso letterale, come Adamo cacciato dall’Eden, che nel suo poema evolve in un Luca cristiano, un contemplativo Bernardo, in un Viaggio (Progresso) del Pellegrino. La quadruplice allegoria teologica non è interamente entro la Commedia, che è «l’allegoria dei  poeti». Il senso letterale e anagogico, scopriamo, si collocano fuori dalle sue pagine. Queste sono pagine  scritte da Dio, non da Dante. Ma che Dante intesse nel suo testo per «l’allegoria dei teologi» 1) «Nam si ad litteram solam inspiciamus, significatur nobis exitus filiorum Israel de Egypto, tempore Moysis», exitus che per Dante sta a significare il suo esilio in carne e ossa da Firenze nel 1302; 2) «si ad allegoriam, nobis significatur nostra redemptio facta per Christum», redemptio presente nel poema ogni qualvolta un incontro di due (Dante con Virgilio pagano prima, con Beatrice cristiana poi, con innumerevoli altri, peccatori e santi) con il Terzo è figura, typos, dell’incontro dei due discepoli con Cristo sulla via di  Emmaus, che aiuta Dante (e con lui noi suoi lettori) a far si «che ne l'uscita de l'anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate» (Convivio II; Rm 8,21); 3) «si ad moralem sensum, significatur nobis conversio anime de luctu et miseria peccati ad statum gratie», conversio per la quale il poema ci induce alla confessione (Inferno), contrizione (Purgatorio), soddisfazione (Paradiso) con l’aiuto dell’Etica Nicomachea pagana di Aristotele, congiunta alla Consolazione cristiana di Boezio, al Magnificat (Lc 1.46-55), alle Beatitudini (Mt 5,3-12, Lc 8,20-45); 4) «si ad anagogicum, significatur exitus anime sancte ab huius corruptionis servitute ad eterne glorie libertatem», exitus che sta a significare la libertà conquistata dall’anima  fuori dal testo, oltre il testo, ma raggiunta per mezzo del testo stesso. Il poema è così uno strumento di salvezza, attraverso cui si giunge per gradi al centro del cerchio, facie ad faciem con Dio.27 È una felix culpa che Dante sia stato iscritto e condannato nel Libro del Chiodo.28 L’alta tragedia pagana, l’«alta mia tragedia» di Virgilio (Inferno XX, 113) è riscritta, riveduta, e rovesciata da Dio per mezzo dello Spirito Santo in un’umile e gioiosa commedia cristiana. Il poema di Dante è un  viaggio dalla schiavitù alla libertà, per diventare la lectio divina della Bibbia per la salvezza dei suoi lettori. Nelle miniature dei manoscritti della Commedia - che copiano le miniature della Consolazione della Filosofia, del Roman de la Rose - vediamo l’autore letterale, Dante in carne e ossa, rappresentato in esilio intento a scrivere il suo poema. Con lui poi entriamo nel suo incubo profano e infernale, un sogno di finzione che egli pretende esser vero nel regno degli dei falsi e bugiardi, ma che è profondamente falso. Poi tutto è rovesciato nel poema menzogna, che con un paradosso diventa vero e salvifico, quando egli confessa alla fine secondo verità che è «alta fantasia» (XXXIII.143), che è finzione, cioè l’allegoria dei teologi coincide con quella dei poeti. I manoscritti si aprono, dunque, al livello letterale con l'immagine dell'autore, Dante Alighieri che scrive il suo libro, per chiudersi al livello anagogico con l'immagine dell'Autore - Dio- e il suo Libro.

Nel Medio Evo, abbiamo già osservato, fra gli autori e i loro libri esiste una stretta analogia, autore e libro si identificano l’un con l’altro. Gerhart Ladner mostra che i ritratti degli autori nell’arte sono rifrazioni dell’immagine di Dio e del suo Libro, la Bibbia, la Creazione, il suo Verbo29. Tra le sculture della cattedrale di Chartres la statua raffigurante Dio/Cristo plasma  Adamo con tenero amore a sua immagine e somiglianza. Adamo ha lo stesso volto di Cristo. Dante quando giunge alla visione anagogica di Dio così esclama:

   Mi parve pinta della nostra effige (XXXIII, 131).

Horia-Roman Patapievici, professore di Fisica all’Università di Bucarest, mostra che nell’istante in cui Dante beve con gli occhi dal fiume di stelle che brillano come gioielli egli entra  oltrepassati gli «umbriferi prefazi» nel vero Paradiso (XXX, 61-130)30. In quell’istante il cosmo intero, la Creazione, è rovesciato, o piuttosto posto nel giusto ordine. Il piccolo mondo terreno e temporale non è più posto al centro, al centro c’è ora Dio nell’eternità di tutto il tempo. Passato, presente, futuro sono collassati in un solo istante, l’unico raggio di luce di san Benedetto, la nocciola nel palmo della mano di Giuliana di Norwich, le gemme dell’Abate Suger di Saint-Denis31. Il dio pagano Nettuno dalla profondità del mare a questa visione è colto dallo stupore (Paradiso XXXIII, 93-96)32. O forse il cosmo oscilla tra i due, e l’incontro con Cristo avviene, non nel Tempio a Gerusalemme ma sulla via di Emmaus, con lui che benedice e spezza il nostro pane quotidiano in una taverna, nell’agorà (Lc 24,30). È questo il momento in cui diventiamo cittadini del regno dei cieli (Lc 17, 20-21), il momento in cui il Verbo si fa carne in mezzo a noi (Gv 1,14), il momento dell’Eucharistia, della théia anágnosis. Quando vediamo Dio, l’Emanuele, il Dio con noi (come nei mosaici a Cefalù e a Monreale, che con la parte sinistra del suo volto si mostra quale Dio di misericordia, con la parte destra quale Dio di giustizia), è nel suo volto che noi ci rispecchiamo, con i nostri due emisferi; noi creati a sua immagine e somiglianza, noi pellegrini, contemplativi, lettori, che il suo volto riconosciamo in Ognuno sulla via.


NOTE

 

1. Fray J. PERES DE URBEL, El Claustro de Silos, Fernán Gonzáles, Burgos 1975, pp. 95-98, tavole a pp. 96, 98, 100-101, 103-105.

2. Lc 24,13-35; http://www.umilta.net/peregrinus.html data di accesso 23/07/2012; BOLTON HOLLOWAY, J., The Pilgrim and the Book: A Study of Dante Langland and Chaucer, Peter Lang, Berne1987/1992; trad. it., Il Pellegrino e il libro: Uno studio su Dante Alighieri, «De strata francigena» 20/1 (2012), Centro Studi Romei, Firenze; E. DE COUSSEMAKER, Drames liturgiques du Moyen Âge, Didron, Parigi 1861; Una rappresentazione inedita dell’apparizione ad Emmaus, «Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei», 5° ser., 1 (1892), pp. 769-782; K. YOUNG, A New Version of the Peregrinus, «PMLA» 34 (1919), pp. 114-129; Ibid., The Drama of the Medieval Church, Clarendon Press, Oxford 1933, vol. I, p. 451-483; O. SCHÜTTPELZ, Der Weltlauf der Apostel und die Erscheinungen des Peregrinispiels im geistlichen spiel des Mittelalters, «Germanistische Abhandlungen», 62 (1930), pp. 57-59; W. SMOLDON, Peregrinus (Beauvais MS), Oxford University Press, London 1965; F. COLLINS, The Production of Medieval Church Music-Drama, University Press of Virginia, Charlottesville 1972, pp. 99-116; ID., Medieval Church Music-Drama: A Repertory of Complete Plays, University Press of Virginia, Charlottesville 1976, pp. 63-88; Sacre rappresentazioni nel manoscritto 201 della Bibliothèque Municipale  di Orléans, ed. G. TINTORI e R. MONTEROSSO, Athenaeum Cremonense, Cremona 1958; F. C. GARDINER, The Pilgrimage of Desire: A Study of Theme and Genre in Medieval Literature, E. J. Brill, Leiden 1971; The Fleury Playbook: Essays and Studies, a cura di T. P. CAMPBELL e C. DAVIDSON, Medieval Institute, Kalamazoo 1985; R. EDWARDS, The Montecassino Passion and the Poetics of Medieval Drama, University of California Press, Berkeley 1977, rileva il nesso tra le Sacre rappresentazioni della Passione e i testi dei pellegrini; il «Prologo del pellegrino», ouverture a «La commedia di Robin e Marion» di ADAM DE LA HALLE (trad. it., Teatro Marsilio, Venezia 2004), è un dramma profano; Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Banco Raro 19, Laudario di Sant’Egidio, f. 9 «Onde ne vien tu pellegrino amore», citato da U. BETKA, ‘Marian Images and Laudesi Devotion in Late Medieval Italy, 1260-1350’, Ph.D. Thesis, University of Melbourne, Melbourne 2001, p. 588. Gerard Farrell e Dunstan Tucker, O. S. B. hanno condotto il lavoro di ricerca sulla musica e curato la messa in scena dell'Officium Peregrinorum all’Università di Princeton il Lunedì di Pasqua del 1976. Per l’iconografia della storia di Emmaus si veda L. RUDRAUF, Le Repas d’Emmaus, Nouvelles Éditions Latines, Paris 1955.

3. Mons. Vescovo E. DAL COVOLO, Prefazione, in J. BOLTON HOLLOWAY, Il Pellegrino e il libro: Uno studio su Dante Alighieri, «De strata francigena» 20/1 (2012), Centro Studi Romei, Firenze, p. 10; V. PLACELLA, «Guardando nel suo Figlio… » Saggi di esegesi dantesca,  Federigo & Ardia, Napoli 1990, p. 66.

4. OMERO, Odissea I.1.

5. H. DE LUBAC, Exégèse mediévale: les quattre sens de l’Ecriture, Aubier, Paris 1959-63; trad. it., Esegesi medievale, Opera Omnia n. 17-18.19.20, Jaca Book, Milano 1986/2006, passim; V. PLACELLA, «Guardando nel suo Figlio… » op. cit., pp. 61-124; ID., Dante e l’Anagogia, «Studi medievali e moderni» 1 (2006),  pp. 70-86.

6. A. FLETCHER, Allegory: The Theory of a Symbolic Mode, Cornell University Press, Ithaca 1964; trad. it., Allegoria: teoria di un modo  simbolico, Lerici Editore, Roma 1968, pp. 318-319.

7. F. JAMESON, Metacommentary, «PMLA» 86 (1971), pp. 9-17.

8. E. AUERBACH, La cicatrice di Ulisse, in Mimesis: Il Realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino 1956, pp. 3-29; Figura, Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 1991,  pp. 205-207.

9. S. FREUD, Civilization and its Discontents Civilization and its Discontents, Norton, New York 1962, pp. 16-18; trad. it., Il disagio della civiltà, in Opere, Vol. X, Bollati Boringhieri, Torino 1972.

10. B. LATINI, Il Tesoretto, ed. J. BOLTON HOLLOWAY, Garland, New York 1981; B. LATINI, Il Tesoretto, eds. G. FINI, F. ARDUINI, F. MAZZONI, I. G. RAO, J. BOLTON HOLLOWAY, Le Lettere, Firenze 2000.

11. JULIAN OF NORWICH, Showing of Love: Extant Texts and Translations, ed. Sr A. M. REYNOLDS, C.P. e J. BOLTON HOLLOWAY, SISMEL Edizioni del Galluzzo, Firenze 2001, pp. 40-43.

12. J. JAYNES, The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind, Houghton Miffin, Boston 1976; trad. it., Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi, Milano 1984; J. B. TAYLOR, My Stroke of Insight: A Brain Scientist’s Personal Journey, Hodder, London 2009; trad. it., La scoperta del giardino della mente. Cosa ho imparato dal mio ictus cerebrale, Mondadori, Milano 2009; conferenza TED 02/2008, data di accesso23/7/2012: http://www.ted.com/talks/lang/en/jill_bolte_taylor_s_powerful_stroke_of_insight.html.

13. BOEZIO, La consolazione della filosofia, III.xii. 

14. D. ALIGHIERI, Convivio, ed. F. B. AGENO, Le Lettere, Firenze 1995, pp. 66-67.

15. ID., Epistola a Cangrande, ed. E. CECCHINI, Biblioteca del Medioevo Latino, Giunti, Firenze 1995, pp. 10-11; P. ALIGHIERI, Petri Allegherii super Dantis ipsius genitoris Comoediam commentarium, ed. Vincenzo Nannucci, Lord Vernon, Firenze 1845, pp. 4-6, «anagogicus, unde anagogia, idest spiritualis intellectus».

16. J. BOLTON HOLLOWAY, Il Pellegrino e il libro, cit., capp. III-VII, pp. 63-150.

17. P. ALIGHIERI, op. cit, pp. 9,12. «Fingendo auctor se ibi invenire inter sodomitas Ser Brunettum Latinum de Florentia», p. 175. «Et ideo fingit Bernardum pro ea orantem ita ed illam, quae est gratiarum nostra rum imperatrix, scilicet Virgo Maria», p. 735.

18. T. G. BERGIN, lettera al Professor THEODORE BOGDANOS su ERICH AUERBACH dell’11 ottobre 1971. «Ricordo anche un’occasione in cui egli ha voluto consultarmi per accertarsi ulteriormente che “qui” nella Commedia  sempre volesse significare “qui sulla
terra”… vale a dire, qui dove si “ritrova” Dante autore, e non Dante pellegrino… ». Quando parlo di Dante come “apprendista del mago” mi rifaccio a D. COMPARETTI,
Virgilio nel Medio Evo, 3 voll., "La Nuova Italia" Editrice, Firenze 1955. Studio sul Virgilio medievale, mago e negromante.

19. E. AUERBACH, Dante’s Addresses to the Reader, in American Critical Essays on The Divine Comedy, ed. R. CLEMENTS, New York University Press, New York 1967, pp. 37-51.

20. J. BOLTON HOLLOWAY, Twice-Told Tales: Brunetto Latino and Dante Alighieri, Peter Lang, Berne 1993,

21. P. ALIGHIERI, op. cit., p. 89.

22. J. BOLTON HOLLOWAY, Il Pellegrino e il libro, cit., pp. 132-137.

23. Il Canzoniere Palatino. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Banco Rari 217 (ex Palatino 418). I Canzonieri della lirica italiana delle origini III, ed. L. LEONARDI, Biblioteche e Archivi 6/III, SISMEL Edizioni del Galluzzo, Firenze 2000.

24. Y. ROKSETH. Polyphonies du XIIIe siècle: Le manuscript H 196 de la faculté de médicine de Montpellier, Oiseau Lyre, Paris 1936-1939, 4 voll. Ricordiamo che l’uso della poesia pagana e profana per le omelie sacre è spiegato dal discorso/sermone di san Paolo all’Areopago, citando i poeti pagani (At 17,22-31), in sant’Agostino (De Doctrina Cristiana XL), e da Pietro il Venerabile nella lettera a Eloisa alla morte di Abelardo, appellandosi alla figura dell’oro degli egiziani, prima usato per forgiare il vitello d’oro, poi per adornare il Tabernacolo dell’Arca (Es 3,21; 32,1).

25. Questo carro anche simboleggia il carro con l’Arca trainato dai buoi (2 Sam 6,3-23), che vediamo già scolpito in Purgatorio X, 55-72, subito dopo la scena dell’Annunciazione, X, 28-48, Lc 1,26-38. Il simbolo di Luca è il bue, che forse potrebbe significare l’evoluzione del vitello d’oro. In Purgatorio XII, 1, vediamo poi Dante e Oderisi, che «come buoi che vanno a giogo», scrittore e miniatore insieme, trascinando il libro delle parole e delle immagini, parlano di Cimabue (testa di bue), Giotto, e Francesco da Bologna. In Purgatorio XXIX, 92-105, 133-138, Luca è rappresentato due volte, prima come bue per il suo vangelo, poi come medico per gli Atti degli Apostoli con san Paolo. Fra altre vaghe allusioni si può osservare la paronomasia fra Luca e Lucano, fra il vangelo e la Farsalia, in particolare con l’umile figura di Amiclate (Farsalia V, 510-531, Paradiso XI, 67-69), in riferimento a Maria e san Francesco. Si ricordi che Dante apparteneva alla stessa corporazione di Giotto, l’Arte dei medici e speziali, il cui stemma è la Vergine col Bambino quale  dipinta da san Luca.

26. J. BOLTON HOLLOWAY, Twice-Told Tale, cit., passim; Il Tesoretto, ed. ID., cit., su come i discepoli trattano male e rovinano il suo libro: «E di carte in quaderno/ Sia gettato in inferno», 105-112, p. 6, che Dante rovescerà in Paradiso XXXIII, 85-87.

27. P. ALIGHIERI, op.cit., p. 6, difende e spiega la bontà di una favola con un insegnamento morale, nega però la validità di un fabliau che non istruisce «fabula, quae dicitur a fando, quae nihil informationis habet nisi vocem».

Questo  lo schema per i diversi registri,  le differenti realtà, nella scrittura di Dante:

I. «Allegoria dei Poeti», letterale e allegorico, dai libri, foris:
    L’Eneide di  Virgilio, la Farsalia di  Lucano, la Tebaide di Stazio, ecc.,  nella Commedia
    Lirica d’amore dei “provenzali”, “siciliani”, “toscani”, nella Vita Nova, nella Commedia

II. «Allegoria dei Teologi», la Bibbia di Dio, la Creazione di Dio:

1)  Letterale, foris:

Beatrice, Dante, figure storiche, Vita Nova, Commedia

Altri personaggi storici nella Commedia

Poeti classici, provenzali, siciliani, toscani

Similitudini nella Commedia

2) Tipologia allegorica, Figura, intus:

Parallelismi con la Bibbia nella Vita Nova, nella Commedia

3) Tropologico, Morale, intus:

Dante nella Vita Nova, nella Commedia

Altri personaggi storici inseriti nella Commedia

Caratteri tratti dalla poesia classica e medievale

Vita Nova, Commedia

4) Anagogico, foris:

Beatrice, théia anágnosis, nella Vita Nova, nella Commedia

Dio, oltre la Vita Nova, oltre la Commedia

28. Il Libro del Chiodo, ed. F. KLEIN, Archivio di Stato di Firenze, Le Lettere, Firenze 2004, pp. 4, 5, 147, 169, 170, 326.

29. G. LADNER. Ad imaginem Dei: The Image of Man in Medieval Art, Wimmer Lecture, Latrobe 1965.

30. H.-R. PATAPIEVICI, Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante?, Mondadori, Milano 2006.

31. E. PANOFSKY, Abbot Suger on the Abbey Church of St.-Denis and its Art Treasures, Princeton University Press, Princeton 1979, pp. 62-64, che dà l’affine visione anagogica dell’Abate: «Omnes, inquam, lapis preciosus operimentum tutum, sardius, topazius, japiis, crisolitus, onix et berillus, saphirus, carbunculus et smaragdus [Ez 28.13]. De quorum numero, præter solum carbunculum, nullum deesse, imo copiosissime abundare, gemmarum proprietatem cognoscentibus cuum summa ammiratione claret. Unde, cum ex dilectione decoris domus Dei aliquando multicolor, sanctarum etiam diversitatem virtutum, de materialibus ad immaterialis transferendo, honesta meditatio insistere persuaderet, video videre me quasi sub aliqua extranea orbis terram plaga, quæ nec tota sit in terrarum fæce nec tota in cœli puritate, demorari, ab hac etiam inferiori ad illam superiorem anagogico more Deo donante posse transferri.»

32. E. R. CURTIUS, Kritische Essays zur europäishcen Literatur, trad. The Ship of the Argonauts, Essays on European Literature, Princeton University Press, Princeton 1973, pp. 465-496; trad. it., Letteratura della letteratura. Saggi critici, Il Mulino, Bologna 1984, pp. 301-325. Ricordiamo lo scherzo di san Girolamo – traduttore dall’ebraico e dal greco al latino della Bibbia,  la Vulgata - nella Vita Sancti Pauli, dove il centauro e l’ippogrifo, che sono chĭmaeram (menzogne), sono nel deserto veri testimoni di Cristo; J. BOLTON HOLLOWAY, Travelers’ Supreme Fictions: Homer and Plato, in Jerusalem: Essays on Pilgrimage and Literature, AMS Press, New York 1998, pp. 15-30, citando W. SHAKESPEARE,  As You Like It, III.iii.18-20, trad. it. Come vi piace, Le Monnier, Firenze 1920:

Audrey: Io non so che cosa voglia dire «poetica»; vuol dire: onesta negli atti e nelle parole?

Significa qualcosa di vero?  

Touchstone: Francamente, no: poiché la poesia la più vera, è la più piena di finzione. Pietro Alighieri, op.cit, p. 740, scrive del poema del padre come di un falso sogno/vera visione  richiamando l’immagine delle porte del Sonno di Virgilio, l’una d’avorio, e l’altra di corno: «Et hoc per fictam et phantasticam recitationem ut etiam nunc autor iste fecit, et ibi dicit. Sed qui vere ab oculis visa recitat, et scribit, exit per corneam portam.»

 
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ABSTRACT

Fondandosi sull’uso allegorico dei temi dell’Esodo e di Emmaus nei testi della Vita Nova e della Commedia il saggio analizza i quattro sensi dell’esegesi medievale con il rimando al vangelo di Luca in Dante. Il saggio dimostra così che per Dante il quarto senso, il senso anagogico, non è lineare, ma ha la sua dimora laddove spazio e tempo si comprimo. Il «regno dei cieli» è qui sulla terra (Lc 17.20-21); «Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis» (Gv 1.14).

 

Sr JULIA BOLTON HOLLOWAY, inglese, Professor Emerita, medievista, ha insegnato a Berkeley, Princeton, e Boulder, ha pubblicato numerosi libri e saggi su Dante, Brunetto Latino, le donne contemplative, cura tre Website. Eremita, vive a Firenze dove si occupa di una biblioteca, la Mediatheca “Fioretta Mazzei”, all’interno di un cimitero protestante, con una scuola di alfabetizzazione per le famiglie Rom rumene ortodosse. Traduzione di Assunta D’Aloi.

'DANTE VIVO'- LA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI (Testo, lectura, musica, immagini dei manoscritti):

Inferno I, Inferno II, Inferno III, Inferno IV, Inferno V, Inferno VI, Inferno VII, Inferno VIII, Inferno IX, Inferno X, Inferno XI, Inferno XII, Inferno XIII, Inferno XIV, Inferno XV, Inferno XVI, Inferno XVII, Inferno XVIII, Inferno XIX, Inferno XX, Inferno XXI, Inferno XXII, Inferno XXIII, Inferno XXIV, Inferno XXV, Inferno XXVI, Inferno XXVIIInferno XXVIII, Inferno XXIX, Inferno XXX, Inferno XXXI, Inferno XXXII, Inferno XXXIII, Inferno XXXIV 

Purgatorio I, Purgatorio II, Purgatorio III, Purgatorio IV, Purgatorio V, Purgatorio VI, Purgatorio VII, Purgatorio VIII, Purgatorio IX, Purgatorio X, Purgatorio XI, Purgatorio XII, Purgatorio XIII, Purgatorio XIV, Purgatorio XV, Purgatorio XVI, Purgatorio XVII, Purgatorio XVIII, Purgatorio XIX, Purgatorio XX, Purgatorio XXI, Purgatorio XXII, Purgatorio XXIII, Purgatorio XXIV, Purgatorio XXV, Purgatorio XXVI, Purgatorio XXVII, Purgatorio XXVIII, Purgatorio XXIX, Purgatorio XXX, Purgatorio XXXI, Purgatorio XXXII, Purgatorio XXXIII

Paradiso
I, Paradiso II, Paradiso III, Paradiso IV, Paradiso V, Paradiso VI, Paradiso VII, Paradiso VIII, Paradiso IX, Paradiso X, Paradiso XI, Paradiso XII, Paradiso XIII, Paradiso XIV, Paradiso XV, Paradiso XVI, Paradiso XVII, Paradiso XVIII, Paradiso XIX, Paradiso XX, Paradiso XXI, Paradiso XXII, Paradiso XXIII, Paradiso XXIV, Paradiso XXV, Paradiso XXVI, Paradiso XXVII, Paradiso XXVIII, Paradiso XXIX, Paradiso XXX, Paradiso XXXI, Paradiso XXXII, Paradiso XXXIII

'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice