'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice

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Anti-Purgatorio



DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. PURGATORIO VI

                                                                    

uando si parte il gioco de la zara,  
colui che perde si riman dolente,
   repetendo le volte, e tristo impara;

con l'altro se ne va tutta la gente;  
  qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
  e qual dallato li si reca a mente;

7   el non s'arresta, e questo e quello intende;  
  a cui porge la man, più non fa pressa;
  e così da la calca si difende.

10  Tal era io in quella turba spessa,   
  volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
  e promettendo mi sciogliea da essa.
                                                                                                         

13   Quiv' era l'Aretin che da le braccia   
  fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
  e l'altro ch'annegò correndo in caccia.

16   Quivi pregava con le mani sporte  
  Federigo Novello, e quel da Pisa
  che fé parer lo buon Marzucco forte.

19   Vidi conte Orso e l'anima divisa    
  dal corpo suo per astio e per inveggia,
  com' e' dicea, non per colpa commisa;

22   Pier da la Broccia dico; e qui proveggia, 
  mentr' è di qua, la donna di Brabante,
  sì che però non sia di peggior greggia.

25   Come libero fui da tutte quante   
  quell' ombre che pregar pur ch'altri prieghi,
  sì che s'avacci lor divenir sante,

28   io cominciai: «El par che tu mi nieghi, 
  o luce mia, espresso in alcun testo
  che decreto del cielo orazion pieghi;

31   e questa gente prega pur di questo: 
  sarebbe dunque loro speme vana,
  o non m'è 'l detto tuo ben manifesto?».

34   Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;  
  e la speranza di costor non falla,
  se ben si guarda con la mente sana;

37   ché cima di giudicio non s'avvalla   
  perché foco d'amor compia in un punto
  ciò che de' sodisfar chi qui s'astalla;

40   e là dov' io fermai cotesto punto, 
  non s'ammendava, per pregar, difetto,
  perché 'l priego da Dio era disgiunto.

43   Veramente a così alto sospetto   
  non ti fermar, se quella nol ti dice
  che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto.

46   Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice; 
  tu la vedrai di sopra, in su la vetta
  di questo monte, ridere e felice».

49   E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
  ché già non m'affatico come dianzi,
  e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta».

52   «Noi anderem con questo giorno innanzi», 
  rispuose, «quanto più potremo omai;
  ma 'l fatto è d'altra forma che non stanzi.

55   Prima che sie là sù, tornar vedrai 
  colui che già si cuopre de la costa,
  sì che ' suoi raggi tu romper non fai.

58  Ma vedi là un'anima che, posta  
  sola soletta, inverso noi riguarda:
  quella ne 'nsegnerà la via più tosta».                                                                                                         

61   Venimmo a lei: o anima lombarda, 
  come ti stavi altera e disdegnosa
  e nel mover de li occhi onesta e tarda!
                                                                                                             

64   Ella non ci dicëa alcuna cosa,    
  ma lasciavane gir, solo sguardando
  a guisa di leon quando si posa.

67   Pur Virgilio si trasse a lei, pregando 
  che ne mostrasse la miglior salita;
  e quella non rispuose al suo dimando,

70   ma di nostro paese e de la vita   
  ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava
  «Mantüa . . . », e l'ombra, tutta in sé romita,
                                                                                     

73   surse ver' lui del loco ove pria stava,
  dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
  de la tua terra!»; e l'un l'altro abbracciava.
                                                                                                               

76   Ahi serva Italia, di dolore ostello,  
  nave sanza nocchiere in gran tempesta,
  non donna di province, ma bordello!

79   Quell' anima gentil fu così presta,  
  sol per lo dolce suon de la sua terra,
  di fare al cittadin suo quivi festa;

82   e ora in te non stanno sanza guerra  
  li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
  di quei ch'un muro e una fossa serra.

85   Cerca, misera, intorno da le prode
  le tue marine, e poi ti guarda in seno,
  s'alcuna parte in te di pace gode.

88   Che val perché ti racconciasse il freno 
  Iustinïano, se la sella è vòta?
  Sanz' esso fora la vergogna meno.

91   Ahi gente che dovresti esser devota, 
  e lasciar seder Cesare in la sella,
  se bene intendi ciò che Dio ti nota,

94   guarda come esta fiera è fatta fella  
  per non esser corretta da li sproni,
  poi che ponesti mano a la predella.

97   O Alberto tedesco ch'abbandoni  
  costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
  e dovresti inforcar li suoi arcioni,

100   giusto giudicio da le stelle caggia  
  sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
  tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!

103   Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,  
  per cupidigia di costà distretti,
  che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.

106   Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, 
  Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
  color già tristi, e questi con sospetti!

109   Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura   
  d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
  e vedrai Santafior com' è oscura!

112   Vieni a veder la tua Roma che piagne   
  vedova e sola, e dì e notte chiama:
  «Cesare mio, perché non m'accompagne?».

115   Vieni a veder la gente quanto s'ama!  
  e se nulla di noi pietà ti move,
  a vergognar ti vien de la tua fama.

118   E se licito m'è, o sommo Giove  
  che fosti in terra per noi crucifisso,
  son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?

121  O è preparazion che ne l'abisso  
  del tuo consiglio fai per alcun bene
  in tutto de l'accorger nostro scisso?

124   Ché le città d'Italia tutte piene
  son di tiranni, e un Marcel diventa
  ogne villan che parteggiando viene.
                                                                                    

127   Fiorenza mia, ben puoi esser contenta 
  di questa digression che non ti tocca,
  mercé del popol tuo che si argomenta.

130  Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca 
  per non venir sanza consiglio a l'arco;
  ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.

133   Molti rifiutan lo comune incarco; 
  ma il popol tuo solicito risponde
  sanza chiamare, e grida: «I' mi sobbarco!».

136   Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde: 
  tu ricca, tu con pace e tu con senno!
  S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.

139   Atene e Lacedemona, che fenno 
  l'antiche leggi e furon sì civili,
  fecero al viver bene un picciol cenno

142   verso di te, che fai tanto sottili   
  provedimenti, ch'a mezzo novembre
  non giugne quel che tu d'ottobre fili.

145   Quante volte, del tempo che rimembre,
  legge, moneta, officio e costume
  hai tu mutato, e rinovate membre!

148   E se ben ti ricordi e vedi lume, 
  vedrai te somigliante a quella inferma
  che non può trovar posa in su le piume,

152   ma con dar volta suo dolore scherma.


1 Brunetto Latino, Il Tesoretto, ed. J.B. Holloway, lines 1430-1446.


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