'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice

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Girone IV, Pigrezza



DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. PURGATORIO XVIII


osto avea fine al suo ragionamento
l'alto dottore, e attento guardava
   ne la mia vista s'io parea contento;

  e io, cui nova sete ancor frugava,
  di fuor tacea, e dentro dicea: `Forse
  lo troppo dimandar ch'io fo li grava'.

7   Ma quel padre verace, che s'accorse 
  del timido voler che non s'apriva,
  parlando, di parlare ardir mi porse.

10   Ond' io: «Maestro, il mio veder s'avviva 
  sì nel tuo lume, ch'io discerno chiaro
  quanto la tua ragion parta o descriva.

13   Però ti prego, dolce padre caro, 
  che mi dimostri amore, a cui reduci
  ogne buono operare e 'l suo contraro».

16   «Drizza», disse, «ver' me l'agute luci 
  de lo 'ntelletto, e fieti manifesto
  l'error de' ciechi che si fanno duci.
                                                                                                                   

19   L'animo, ch'è creato ad amar presto,  
  ad ogne cosa è mobile che piace,
  tosto che dal piacere in atto è desto.

22   Vostra apprensiva da esser verace  
  tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
  sì che l'animo ad essa volger face;

25   e se, rivolto, inver' di lei si piega,
  quel piegare è amor, quell' è natura
  che per piacer di novo in voi si lega.

28   Poi, come 'l foco movesi in altura  
  per la sua forma ch'è nata a salire
  là dove più in sua matera dura,

31   così l'animo preso entra in disire,  
  ch'è moto spiritale, e mai non posa
  fin che la cosa amata il fa gioire.

34   Or ti puote apparer quant' è nascosa 
  la veritate a la gente ch'avvera
  ciascun amore in sé laudabil cosa;

37   però che forse appar la sua matera    
  sempre esser buona, ma non ciascun segno
  è buono, ancor che buona sia la cera».

40   «Le tue parole e 'l mio seguace ingegno»,
  rispuos' io lui, «m'hanno amor discoverto,
  ma ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno;

43   ché, s'amore è di fuori a noi offerto
  e l'anima non va con altro piede,
  se dritta o torta va, non è suo merto».

46   Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede, 
  dir ti poss' io; da indi in là t'aspetta
  pur a Beatrice, ch'è opra di fede.

49  Ogne forma sustanzïal, che setta 
  è da matera ed è con lei unita,
  specifica vertute ha in sé colletta,

52   la qual sanza operar non è sentita, 
  né si dimostra mai che per effetto,
  come per verdi fronde in pianta vita.

55   Però, là onde vegna lo 'ntelletto  
  de le prime notizie, omo non sape,
  e de' primi appetibili l'affetto,

59   che sono in voi sì come studio in ape 
  di far lo mele; e questa prima voglia
  merto di lode o di biasmo non cape.

61   Or perché a questa ogn' altra si raccoglia,
  innata v'è la virtù che consiglia,
  e de l'assenso de' tener la soglia.

64   Quest' è 'l principio là onde si piglia  
  ragion di meritare in voi, secondo
  che buoni e rei amori accoglie e viglia.

67   Color che ragionando andaro al fondo,
  s'accorser d'esta innata libertate;
  però moralità lasciaro al mondo.

70   Onde, poniam che di necessitate
  surga ogne amor che dentro a voi s'accende,
  di ritenerlo è in voi la podestate.

73   La nobile virtù Beatrice intende 
  per lo libero arbitrio, e però guarda
  che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende».

 76  La luna, quasi a mezza notte tarda, 
  facea le stelle a noi parer più rade,
  fatta com' un secchion che tuttor arda;

79   e correa contro 'l ciel per quelle strade 
  che 'l sole infiamma allor che quel da Roma
  tra ' Sardi e ' Corsi il vede quando cade.

82   E quell' ombra gentil per cui si noma  
  Pietola più che villa mantoana,
  del mio carcar diposta avea la soma;

85   per ch'io, che la ragione aperta e piana
  sovra le mie quistioni avea ricolta,
   stava com' om che sonnolento vana.

88   Ma questa sonnolenza mi fu tolta 
  subitamente da gente che dopo
  le nostre spalle a noi era già volta.

91   E quale Ismeno già vide e Asopo  
  lungo di sè di notte furia e calca,
  pur che i Teban di Bacco avesser uopo,

94   cotal per quel giron suo passo falca, 
  per quel ch'io vidi di color, venendo,
  cui buon volere e giusto amor cavalca.

97   Tosto fur sovr' a noi, perché correndo
  si movea tutta quella turba magna;
  e due dinanzi gridavan piangendo:

100   «Maria corse con fretta a la montagna; 
  e Cesare, per soggiogare Ilerda,
  punse Marsilia e poi corse in Ispagna».

103   «Ratto, ratto, che 'l tempo non si perda
  per poco amor», gridavan li altri appresso,
  «che studio di ben far grazia rinverda».

106   «O gente in cui fervore aguto adesso
  ricompie forse negligenza e indugio
  da voi per tepidezza in ben far messo,

109   questi che vive, e certo i' non vi bugio, 
  vuole andar sù, pur che 'l sol ne riluca;
  però ne dite ond' è presso il pertugio».

112   Parole furon queste del mio duca; 
  e un di quelli spirti disse: «Vieni
  di retro a noi, e troverai la buca.

115   Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,
  che restar non potem; però perdona,
  se villania nostra giustizia tieni.
                                                                                                               

118   Io fui abate in San Zeno a Verona
  sotto lo 'mperio del buon Barbarossa,
  di cui dolente ancor Milan ragiona.

121   E tale ha già l'un piè dentro la fossa, 
  che tosto piangerà quel monastero,
  e tristo fia d'avere avuta possa;

124   perché suo figlio, mal del corpo intero, 
  e de la mente peggio, e che mal nacque,
  ha posto in loco di suo pastor vero».

127   Io non so se più disse o s'ei si tacque,
  tant' era già di là da noi trascorso;
  ma questo intesi, e ritener mi piacque.

130   E quei che m'era ad ogne uopo soccorso
  disse: «Volgiti qua: vedine due
  venir dando a l'accidïa di morso».

133   Di retro a tutti dicean: «Prima fue
  morta la gente a cui il mar s'aperse,
  che vedesse Iordan le rede sue.

136   E quella che l'affanno non sofferse               
  fino a la fine col figlio d'Anchise,
  sé stessa a vita sanza gloria offerse».

139   Poi quando fuor da noi tanto divise 
  quell' ombre, che veder più non potiersi,
  novo pensiero dentro a me si mise,

142   del qual più altri nacquero e diversi;
  e tanto d'uno in altro vaneggiai,
  che li occhi per vaghezza ricopersi,

147   e 'l pensamento in sogno trasmutai.



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