'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice, Richard Holloway, Akita Noek
COMMEDIA. INFERNO XXIV
n quella parte del giovanetto
anno
che 'l sole i crin sotto l'Aquario tempra
e già le notti al mezzo dì sen vanno,
4 quando la
brina in su la terra assempra
l'imagine di sua sorella bianca,
ma poco dura a la sua penna tempra,
7 lo villanello
a cui la roba manca,
si leva, e guarda, e vede la campagna
biancheggiar tutta; ond' ei si batte l'anca,
10 ritorna in
casa, e qua e là si lagna,
come 'l tapin che non sa che si faccia;
poi riede, e la speranza ringavagna,
13 veggendo 'l
mondo aver cangiata faccia
in poco d'ora, e prende suo vincastro
e fuor le pecorelle a pascer caccia.
16 Così mi fece
sbigottir lo mastro
quand' io li vidi sì turbar la fronte,
e così tosto al mal giunse lo 'mpiastro;
19 ché, come
noi venimmo al guasto ponte,
lo duca a me si volse con quel piglio
dolce ch'io vidi prima a piè del monte.
22 Le braccia
aperse, dopo alcun consiglio
eletto seco riguardando prima
ben la ruina, e diedemi di piglio.
25 E come quei
ch'adopera ed estima,
che sempre par che 'nnanzi si proveggia,
così, levando me sù ver' la cima
28 d'un
ronchione, avvisava un'altra scheggia
dicendo: «Sovra quella poi t'aggrappa;
ma tenta pria s'è tal ch'ella ti reggia».
31 Non era via
da vestito di cappa,
ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,
potavam sù montar di chiappa in chiappa.
34 E se non
fosse che da quel precinto
più che da l'altro era la costa corta,
non so di lui, ma io sarei ben vinto.
37 Ma perché
Malebolge inver' la porta
del bassissimo pozzo tutta pende,
lo sito di ciascuna valle porta
40 che l'una
costa surge e l'altra scende;
noi pur venimmo al fine in su la punta
onde l'ultima pietra si scoscende.
43 La lena
m'era del polmon sì munta
quand' io fui sù, ch'i' non potea più oltre,
anzi m'assisi ne la prima giunta.
46 «Omai convien
che tu così ti spoltre»,
disse 'l maestro; «ché, seggendo in piuma,
in fama non si vien, né sotto coltre;
49 sanza la qual
chi sua vita consuma,
cotal vestigio in terra di sé lascia,
qual fummo in aere e in acqua la schiuma.
52 E però leva
sù; vinci l'ambascia
con l'animo che vince ogne battaglia,
se col suo grave corpo non s'accascia.
55 Più lunga
scala convien che si saglia;
non basta da costoro esser partito.
Se tu mi 'ntendi, or fa sì che ti vaglia».
58 Leva'mi
allor, mostrandomi fornito
meglio di lena ch'i' non mi sentia,
e dissi: «Va, ch'i' son forte e ardito».
61 Su per lo
scoglio prendemmo la via,
ch'era ronchioso, stretto e malagevole,
ed erto più assai che quel di pria.
64 Parlando
andava per non parer fievole;
onde una voce uscì de l'altro fosso,
a parole formar disconvenevole.
67 Non so che
disse, ancor che sovra 'l dosso
fossi de l'arco già che varca quivi;
ma chi parlava ad ire parea mosso.
70 Io era vòlto
in giù, ma li occhi vivi
non poteano ire al fondo per lo scuro;
per ch'io: «Maestro, fa che tu arrivi
73 da l'altro
cinghio e dismontiam lo muro;
ché, com' i' odo quinci e non intendo,
così giù veggio e neente affiguro».
76 «Altra
risposta», disse, «non ti rendo
se non lo far; ché la dimanda onesta
si de' seguir con l'opera tacendo».
79 Noi
discendemmo il ponte da la
testa
I ladri
dove s'aggiugne con l'ottava ripa,
e poi mi fu la bolgia manifesta:
Ginevra, 'Bestiario', Brunetto Latino Trésor, serpenti
http://www.florin.ms/Lectura.html
http://www.florin.ms/bestiary.html
82 e vidivi
entro terribile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa.
Brunetto Latino Tesoro, scriba
Francesco da Barberino
Biblioteca Medicea Laurenziana Plut. 42.19, c. 11v
85 Più non si
vanti Libia con sua rena;
ché se chelidri, iaculi e faree
produce, e cencri con anfisibena,
88 né tante
pestilenzie né sì ree
mostrò già mai con tutta l'Etïopia
né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
91 Tra questa
cruda e tristissima copia
corrëan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia:
94 con serpi le
man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e 'l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
97 Ed ecco a un
ch'era da nostra proda,
s'avventò un serpente che 'l trafisse
là dove 'l collo a le spalle s'annoda.
100 Né O sì
tosto mai né I si scrisse,
com' el s'accese e arse, e cener tutto
convenne che cascando divenisse;
103 e poi che
fu a terra sì distrutto,
la polver si raccolse per sé stessa
e 'n quel medesmo ritornò di butto.
106 Così per li
gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa;
109 erba né
biado in sua vita non pasce,
ma sol d'incenso lagrime e d'amomo,
e nardo e mirra son l'ultime fasce.
112 E qual è
quel che cade, e non sa como,
per forza di demon ch'a terra il tira,
o d'altra oppilazion che lega l'omo,
115 quando si
leva, che 'ntorno si mira
tutto smarrito de la grande angoscia
ch'elli ha sofferta, e guardando sospira:
118 tal era 'l
peccator levato poscia.
Oh potenza di Dio, quant' è severa,
che cotai colpi per vendetta croscia!
121 Lo duca il
domandò poi chi ello era;
per ch'ei rispuose: «Io piovvi di Toscana,
poco tempo è, in questa gola fiera.
124 Vita bestial
mi piacque e non umana,
sì come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana».
127 E ïo al
duca: «Dilli che non mucci,
e domanda che colpa qua giù 'l pinse;
ch'io 'l vidi uomo di sangue e di crucci».
130 E 'l
peccator, che 'ntese, non s'infinse,
ma drizzò verso me l'animo e 'l volto,
e di trista vergogna si dipinse;
133 poi disse:
«Più mi duol che tu m'hai colto
ne la miseria dove tu mi vedi,
che quando fui de l'altra vita tolto.
136 Io non posso
negar quel che tu chiedi;
in giù son messo tanto perch' io fui
ladro a la sagrestia d'i belli arredi,
139 e falsamente
già fu apposto altrui.
Ma perché di tal vista tu non godi,
se mai sarai di fuor da' luoghi bui,
142 apri li
orecchi al mio annunzio, e odi.
Pistoia in pria d'i Neri si dimagra;
poi Fiorenza rinova gente e modi.
145 Tragge Marte
vapor di Val di Magra
ch'è di torbidi nuvoli involuto;
e con tempesta impetüosa e agra
148 sovra Campo
Picen fia combattuto;
ond' ei repente spezzerà la nebbia,
sì ch'ogne Bianco ne sarà feruto.
151 E detto l'ho
perché doler ti debbia!».
William Blake, Hell Canto
24
1 Vanni Fucci figures in
Florentine and Pistoian documents and episodes: Twice-Told
Tales, pp. 151-152, 296, 300, 304, 418.
'DANTE VIVO'- LA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI (Testo,
lectura, musica, immagini dei manoscritti):
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XXII, Inferno XXIII, Inferno
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XXVI, Inferno XXVII, Inferno XXVIII, Inferno
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