'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice, Richard Holloway, Akita Noek

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Cerchio VIII, Bolgia 8, il Mal Governo



DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. INFERNO XXVI


+SUMMALEXANDER S[AN]C[TU]SQUE[M] MVNDVS ADORAT
CV[M] PASTOR MV[N]DI REGNABA[N]T REX[QVE] GVIELMVS.
ET CV[M] VIR SPLENDE[N]S ORNATVS NOBILITATE:
DE MEDIOLANO DE TVRRI SIC ALAMANNVS:
VRBEM FLORENTE[M] GAVDENTI CORDE REGEBAT
MENIA TVNC FECIT VIR CO[N]STA[N]S ISTA FVTVRIS.
QVI PREERAT P[O]P[V]LO FLORENTI BARTHOLOMEVS
MA[N]TVA QVEM GENVIT COGNOMINE DENVVVLONO
FVLGENTE[M] SENSV CLARV[M] PROBITATE REFVLTUM
QUE[M] SIGNA[N]T AQVILE REDDV[N]T SVA SIGNA DECORVM
INSIGNVM P[O]P[V]LI QUOD CO[N]FERT GAVDIA VITE:
ILLIS QVI CVPIVNT VRBEM CONSVRGERE CELO:


  Lapide del Primo Popolo, 1255, Bargello, Firenze
                                                                                                                                 Brunetto Latino
                                                                                                                                

QVAM FOVEAT [CHRISTV]S CO[N]SERVET FEDERE PACIS:
EST QVIA CV[N]CTORUM FLORENTIA PLENA BONORV[M].
HOSTES DEVICIT BELLO MAGNO[QUE] TVMVLTV:
GAVDET FORTVNA SIGNIS POPVLO[QUE] POTENTI:
FIRMAT EMIT FERVENS STERNIT NV[N]C CASTRA SALVTE
QVE MARE QVE TERRA[M] QUE TOTV[M] POSSIDET ORBEM.
PER QVAM REGNANTE[M] FIT FELIX TVSCIA TOTA:
TA[M]QUA[M] ROMA SEDET SEMPER DVCTVRA TRIVMPHOS.
OMNIA DISCERNIT CERTO SVB IVRE CONHERCENS:
ANNIS MILLENIS BIS CENTVM STANTIBUS ORBE:
PENTA DECEM IVNCTIS [CHRIST]I SVB NOMINE QVIN[QUE]
CUM TRINA DECIMA TVNC TE[M]PORIS INDITIONE.


odi, Fiorenza, poi che se' sì grande
  che per mare e per terra batti l'ali,
  e per lo 'nferno tuo nome si spande!

4   Tra li ladron trovai cinque cotali 
  tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
  e tu in grande orranza non ne sali.

7   Ma se presso al mattin del ver si sogna, 
  tu sentirai, di qua da picciol tempo,
  di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna.

10   E se già fosse, non saria per tempo.
  Così foss' ei, da che pur esser dee!
  ché più mi graverà, com' più m'attempo.

13   Noi ci partimmo, e su per le scalee
  che n'avea fatto iborni a scender pria,
  rimontò 'l duca mio e trasse mee;

16   e proseguendo la solinga via, 
  tra le schegge e tra ' rocchi de lo scoglio
  lo piè sanza la man non si spedia.

19   Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio  
  quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi,
  e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio,

22   perché non corra che virtù nol guidi;  
  sì che, se stella bona o miglior cosa
  m'ha dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi.

25   Quante 'l villan ch'al poggio si riposa, 
  nel tempo che colui che 'l mondo schiara
  la faccia sua a noi tien meno ascosa,

28   come la mosca cede a la zanzara,
  vede lucciole giù per la vallea,
  forse colà dov' e' vendemmia e ara:

31   di tante fiamme tutta risplendea  
  l'ottava bolgia, sì com' io m'accorsi
  tosto che fui là 've 'l fondo parea.
                                                                                                         

34   E qual colui che si vengiò con li orsi
  vide 'l carro d'Elia al dipartire,
  quando i cavalli al cielo erti levorsi,

37   che nol potea sì con li occhi seguire,
  ch'el vedesse altro che la fiamma sola,
  sì come nuvoletta, in sù salire:

40   tal si move ciascuna per la gola   
  del fosso, ché nessuna mostra 'l furto,
  e ogne fiamma un peccatore invola.

43   Io stava sovra 'l ponte a veder surto,
  sì che s'io non avessi un ronchion preso,
  caduto sarei giù sanz' esser urto.


Londra, British Library, Yates Thompson 36, fol . 47v
                                                                                 


46   E 'l duca che mi vide tanto atteso,
  disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
  catun si fascia di quel ch'elli è inceso».

49   «Maestro mio», rispuos' io, «per udirti
  son io più certo; ma già m'era avviso
  che così fosse, e già voleva dirti:


52   chi è 'n quel foco che vien sì diviso
  di sopra, che par surger de la pira
  dov' Eteòcle col fratel fu miso?».

55   Rispuose a me: «Là dentro si martira 
  Ulisse e Dïomede, e così insieme
  a la vendetta vanno come a l'ira;

58   e dentro da la lor fiamma si geme 
  l'agguato del caval che fé la porta
  onde uscì de' Romani il gentil seme.

61   Piangevisi entro l'arte per che, morta,
  Deïdamìa ancor si duol d'Achille,
  e del Palladio pena vi si porta».

64   «S'ei posson dentro da quelle faville
  parlar», diss' io, «maestro, assai ten priego
  e ripriego, che 'l priego vaglia mille,

67   che non mi facci de l'attender niego 
  fin che la fiamma cornuta qua vegna;
  vedi che del disio ver' lei mi piego!».

70   Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
  di molta loda, e io però l'accetto;
  ma fa che la tua lingua si sostegna.

73   Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto 
  ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi,
  perch' e' fuor greci, forse del tuo detto».
                                                                                                         

76   Poi che la fiamma fu venuta quivi 
  dove parve al mio duca tempo e loco,
i n questa forma lui parlare audivi:

79   «O voi che siete due dentro ad un foco, 
  s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
  s'io meritai di voi assai o poco

82   quando nel mondo li alti versi scrissi, 
  non vi movete; ma l'un di voi dica
  dove, per lui, perduto a morir gissi».

85   Lo maggior corno de la fiamma antica
  cominciò a crollarsi mormorando,
  pur come quella cui vento affatica;

88   indi la cima qua e là menando,   
  come fosse la lingua che parlasse,
  gittò voce di fuori e disse: «Quando                                                                                             

91   mi diparti' da Circe, che sottrasse 
  me più d'un anno là presso a Gaeta,
  prima che sì Enëa la nomasse,
                                                                                       

94   né dolcezza di figlio, né la pieta    
  del vecchio padre, né 'l debito amore
  lo qual dovea Penelopè far lieta,

97   vincer potero dentro a me l'ardore
  ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
  e de li vizi umani e del valore;

 100  ma misi me per l'alto mare aperto 
  sol con un legno e con quella compagna
  picciola da la qual non fui diserto.                                                                                             

103   L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
  fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
  e l'altre che quel mare intorno bagna.
                                                                                       

106   Io e ' compagni eravam vecchi e tardi
  quando venimmo a quella foce stretta
  dov' Ercule segnò li suoi riguardi

109   acciò che l'uom più oltre non si metta;
  da la man destra mi lasciai Sibilia,
  da l'altra già m'avea lasciata Setta.

112``O frati", dissi ``che per cento milia
  perigli siete giunti a l'occidente,
  a questa tanto picciola vigilia

115   d'i nostri sensi ch'è del rimanente
  non vogliate negar l'esperïenza,
  di retro al sol, del mondo sanza gente.

118   Considerate la vostra semenza:
  fatti non foste a viver come bruti,
  ma per seguir virtute e canoscenza".
                                                                                      

121   Li miei compagni fec' io sì aguti,
  con questa orazion picciola, al cammino,
  che a pena poscia li avrei ritenuti;

124   e volta nostra poppa nel mattino,
  de' remi facemmo ali al folle volo,
  sempre acquistando dal lato mancino.
                                                                                       

127   Tutte le stelle già de l'altro polo
  vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
  che non surgëa fuor del marin suolo.

130   Cinque volte racceso e tante casso
  lo lume era di sotto da la luna,
  poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,
                                                                                      

133   quando n'apparve una montagna, bruna 
  per la distanza, e parvemi alta tanto
  quanto veduta non avëa alcuna.

136   Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto
  ché de la nova terra un turbo nacque
  e percosse del legno il primo canto.

139   Tre volte il fé girar con tutte l'acque;  
  a la quarta levar la poppa in suso
  e la prora ire in giù, com' altrui piacque,

142   infin che 'l mar fu sovra noi richiuso».



1 Brunetto Latino, quoting Lucan, wrote the lines on the plaque on the Bargello, built by the Primo Popolo and lauding their exploits before Montaperti's disaster.
2 These words Dante takes from Brunetto's account of the traitor Catiline's suicide speech to his soldiers. It is an example of false rhetoric, not a heralding of the Renaissance. Twice-Told Tales, pp. 270-273 and passim.
3 Brunetto in Spain encountered Arabic knowledge of the Southern Hemisphere and its different stars, the Southern Cross.
4 In medieval mappae mundi the other side of the Ocean was Eden, Paradise.



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