'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice, Richard Holloway, Akita Noek

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Temple Classics, reading in English
Girone VII, Lussuria



DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. PURGATORIO XXV


ra era onde 'l salir non volea storpio; 
ché 'l sole avëa il cerchio di merigge
   lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:

  per che, come fa l'uom che non s'affigge
  ma vassi a la via sua, che che li appaia,
  se di bisogno stimolo il trafigge,

7   così intrammo noi per la callaia,  
  uno innanzi altro prendendo la scala
  che per artezza i salitor dispaia.

10   E quale il cicognin che leva l'ala  
  per voglia di volare, e non s'attenta
  d'abbandonar lo nido, e giù la cala;

13   tal era io con voglia accesa e spenta
  di dimandar, venendo infino a l'atto
  che fa colui ch'a dicer s'argomenta.

16   Non lasciò, per l'andar che fosse ratto,
  lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
  l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto».

19   Allor sicuramente apri' la bocca
  e cominciai: «Come si può far magro
  là dove l'uopo di nodrir non tocca?».

22   «Se t'ammentassi come Meleagro
  si consumò al consumar d'un stizzo,
  non fora», disse, «a te questo sì agro;

25   e se pensassi come, al vostro guizzo, 
  guizza dentro a lo specchio vostra image,
  ciò che par duro ti parrebbe vizzo.

28  Ma perché dentro a tuo voler t'adage, 
  ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
  che sia or sanator de le tue piage».

31   «Se la veduta etterna li dislego»,
  rispuose Stazio, «là dove tu sie,
  discolpi me non potert' io far nego».

34   Poi cominciò: «Se le parole mie, 
  figlio, la mente tua guarda e riceve,
  lume ti fiero al come che tu die.
                                                                                                               

37   Sangue perfetto, che poi non si beve 
  da l'assetate vene, e si rimane
  quasi alimento che di mensa leve,

40   prende nel core a tutte membra umane
  virtute informativa, come quello
  ch'a farsi quelle per le vene vane.

 43  Ancor digesto, scende ov' è più bello
  tacer che dire; e quindi poscia geme
  sovr' altrui sangue in natural vasello.

46   Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
  l'un disposto a patire, e l'altro a fare
  per lo perfetto loco onde si preme;

49   e, giunto lui, comincia ad operare 
  coagulando prima, e poi avviva
  ciò che per sua matera fé constare.

52   Anima fatta la virtute attiva 
  qual d'una pianta, in tanto differente,
  che questa è in via e quella è già a riva,

55   tanto ovra poi, che già si move e sente, 
  come spungo marino; e indi imprende
  ad organar le posse ond' è semente.

58  Or si spiega, figliuolo, or si distende 
  la virtù ch'è dal cor del generante,
  dove natura a tutte membra intende.

61   Ma come d'animal divegna fante, 
  non vedi tu ancor: quest' è tal punto,
  che più savio di te fé già errante,

64   sì che per sua dottrina fé disgiunto
  da l'anima il possibile intelletto,
  perché da lui non vide organo assunto.

67  Apri a la verità che viene il petto;
  e sappi che, sì tosto come al feto
  l'articular del cerebro è perfetto,

70   lo motor primo a lui si volge lieto   
  sovra tant' arte di natura, e spira
  spirito novo, di vertù repleto,

73   che ciò che trova attivo quivi, tira 
  in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
  che vive e sente e sé in sé rigira.

76   E perché meno ammiri la parola,  
  guarda il calor del sole che si fa vino,
  giunto a l'omor che de la vite cola.

79   Quando Làchesis non ha più del lino,
  solvesi da la carne, e in virtute
  ne porta seco e l'umano e 'l divino:

82   l'altre potenze tutte quante mute; 
  memoria, intelligenza e volontade
  in atto molto più che prima agute.

85   Sanza restarsi, per sé stessa cade  
  mirabilmente a l'una de le rive;
  quivi conosce prima le sue strade.

88   Tosto che loco lì la circunscrive,  
  la virtù formativa raggia intorno
  così e quanto ne le membra vive.

91   E come l'aere, quand' è ben pïorno, 
  per l'altrui raggio che 'n sé si reflette,
  di diversi color diventa addorno;

94   così l'aere vicin quivi si mette    
  e in quella forma ch'è in lui suggella
  virtüalmente l'alma che ristette;

97   e simigliante poi a la fiammella   
  che segue il foco là 'vunque si muta,
  segue lo spirto sua forma novella.

100   Però che quindi ha poscia sua paruta,
  è chiamata ombra; e quindi organa poi
  ciascun sentire infino a la veduta.

103   Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
  quindi facciam le lagrime e ' sospiri
  che per lo monte aver sentiti puoi.

106   Secondo che ci affliggono i disiri    
  e li altri affetti, l'ombra si figura;
  e quest' è la cagion di che tu miri».

109   E già venuto a l'ultima tortura   
  s'era per noi, e vòlto a la man destra,
  ed eravamo attenti ad altra cura.
                                                                                                                 

112   Quivi la ripa fiamma in fuor balestra, 
  e la cornice spira fiato in suso
  che la reflette e via da lei sequestra;

115   ond' ir ne convenia dal lato schiuso
  ad uno ad uno; e io temëa 'l foco
  quinci, e quindi temeva cader giuso.

116   Lo duca mio dicea: «Per questo loco
  si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
  però ch'errar potrebbesi per poco».

                                                                                      
121   `Summae Deus clementïae' nel seno
  al grande ardore allora udi' cantando,
  che di volger mi fé caler non meno;

124   e vidi spirti per la fiamma andando;
  per ch'io guardava a loro e a' miei passi
  compartendo la vista a quando a quando.

127   Appresso il fine ch'a quell' inno fassi,
  gridavano alto: `Virum non cognosco';
  indi ricominciavan l'inno bassi.

120   Finitolo, anco gridavano: «Al bosco 
  si tenne Diana, ed Elice caccionne
  che di Venere avea sentito il tòsco».

133   Indi al cantar tornavano; indi donne 
  gridavano e mariti che fuor casti
  come virtute e matrimonio imponne.                                  

136   E questo modo credo che lor basti  
  per tutto il tempo che 'l foco li abbruscia:
  con tal cura conviene e con tai pasti

139   che la piaga da sezzo si ricuscia.


1 Dante's fourth motet: 4. Purgatorio XXV.121, XXVI.140-147, Summae Deus clementiae|| Arnaut Daniel/Dante, ‘Tan m’abellis vostre cortes deman’, contrafactum, Thibaut de Navarre, ‘Dex est ausi comme li pelicans’.

In Purgatorio XXV.121 the souls of the lustful,


Guido Guinizelli,
BNCF, Canzoniere Palatino, Banco Raro 418

who include the poet Guido Guinizelli, do not sing a psalm, but instead a hymn


Arnaut Daniel, Bibliothèque Nationale, BnF ms. 854 fol. 65

to which the contrafactum becomes Arnaut Daniel’s Provençal lyric, Purgatorio XXVI.140-147, in actuality again composed by the virtuoso Dante, showing off his not inconsiderable skills, and for which he plagiarizes not Arnaut Daniel but Folquet da Marsiglia’s and Berenguer de Palou’s ‘Tan m’abellis’. As author, Dante assumes the masks of many other authors, as poet that of other poets, purloining from them their poetry throughout his pages.


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