'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice

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Temple Classics, reading in English
Saturno



DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. PARADISO XXII



Londra, British Library, Yates Thompson 36, fol. 168

ppresso di stupore, a la mia guida 
mi volsi, come parvol che ricorre
   sempre colà dove più si confida;

  e quella, come madre che soccorre  
  sùbito al figlio palido e anelo
  con la sua voce, che 'l suol ben disporre,

mi disse: «Non sai tu che tu se' in cielo?
  e non sai tu che 'l cielo è tutto santo,
  e ciò che ci si fa vien da buon zelo?

10   Come t'avrebbe trasmutato il canto,
  e io ridendo, mo pensar lo puoi,
  poscia che 'l grido t'ha mosso cotanto;

13   nel qual, se 'nteso avessi i prieghi suoi,
  già ti sarebbe nota la vendetta
  che tu vedrai innanzi che tu muoi.

16   La spada di qua sù non taglia in fretta
  né tardo, ma' ch'al parer di colui
  che disïando o temendo l'aspetta.

19  Ma rivolgiti omai inverso altrui; 
  ch'assai illustri spiriti vedrai,
  se com' io dico l'aspetto redui».

22   Come a lei piacque, li occhi ritornai,  
  e vidi cento sperule che 'nsieme
  più s'abbellivan con mutüi rai.
                                                                                                                  

25   Io stava come quei che 'n sé repreme
  la punta del disio, e non s'attenta
  di domandar, sì del troppo si teme;

28   e la maggiore e la più luculenta
  di quelle margherite innanzi fessi,
  per far di sé la mia voglia contenta.

31   Poi dentro a lei udi': «Se tu vedessi
  com' io la carità che tra noi arde,
  li tuoi concetti sarebbero espressi.

34   Ma perché tu, aspettando, non tarde
  a l'alto fine, io ti farò risposta
  pur al pensier, da che sì ti riguarde.
                                                                                   

37   Quel monte a cui Cassino è ne la costa
  fu frequentato già in su la cima
  da la gente ingannata e mal disposta;

40   e quel son io che sù vi portai prima
  lo nome di colui che 'n terra addusse
  la verità che tanto ci soblima;

43   e tanta grazia sopra me relusse,
  ch'io ritrassi le ville circunstanti
  da l'empio cólto che 'l mondo sedusse.

46   Questi altri fuochi tutti contemplanti
  uomini fuoro, accesi di quel caldo
  che fa nascere i fiori e ' frutti santi.

49   Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
  qui son li frati miei che dentro ai chiostri
  fermar li piedi e tennero il cor saldo».

52   E io a lui: «L'affetto che dimostri 
  meco parlando, e la buona sembianza
  ch'io veggio e noto in tutti li ardor vostri,

55   così m'ha dilatata mia fidanza, 
  come 'l sol fa la rosa quando aperta
  tanto divien quant' ell' ha di possanza.

58   Però ti priego, e tu, padre, m'accerta
  s'io posso prender tanta grazia, ch'io
  ti veggia con imagine scoverta».

61   Ond' elli: «Frate, il tuo alto disio 
  s'adempierà in su l'ultima spera,
  ove s'adempion tutti li altri e 'l mio.

64   Ivi è perfetta, matura e intera
  ciascuna disïanza; in quella sola
  è ogne parte là ove sempr' era,

67   perché non è in loco e non s'impola; 
  e nostra scala infino ad essa varca,
  onde così dal viso ti s'invola.

70   Infin là sù la vide il patriarca
  Iacobbe porger la superna parte,
  quando li apparve d'angeli sì carca.

73   Ma, per salirla, mo nessun diparte
  da terra i piedi, e la regola mia
  rimasa è per danno de le carte.

76   Le mura che solieno esser badia  
  fatte sono spelonche, e le cocolle
  sacca son piene di farina ria.

79   Ma grave usura tanto non si tolle 
  contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto
  che fa il cor de' monaci sì folle;

82   ché quantunque la Chiesa guarda, tutto
  è de la gente che per Dio dimanda;
  non di parenti né d'altro più brutto.

85   La carne d'i mortali è tanto blanda,
  che giù non basta buon cominciamento
  dal nascer de la quercia al far la ghianda.

88   Pier cominciò sanz' oro e sanz' argento,
  e io con orazione e con digiuno,
  e Francesco umilmente il suo convento;

91   e se guardi 'l principio di ciascuno,
  poscia riguardi là dov' è trascorso,
  tu vederai del bianco fatto bruno.

94   Veramente Iordan vòlto retrorso 
  più fu, e 'l mar fuggir, quando Dio volse,
  mirabile a veder che qui 'l soccorso».

97   Così mi disse, e indi si raccolse
  al suo collegio, e 'l collegio si strinse;
  poi, come turbo, in sù tutto s'avvolse.

100   La dolce donna dietro a lor mi pinse
  con un sol cenno su per quella scala,
  sì sua virtù la mia natura vinse;

103   né mai qua giù dove si monta e cala
  naturalmente, fu sì ratto moto
  ch'agguagliar si potesse a la mia ala.

106   S'io torni mai, lettore, a quel divoto
  trïunfo per lo quale io piango spesso
  le mie peccata e 'l petto mi percuoto,

109   tu non avresti in tanto tratto e messo
  nel foco il dito, in quant' io vidi 'l segno
  che segue il Tauro e fui dentro da esso.
                                                                                                                  

112   O glorïose stelle, o lume pregno                  Cielo Stellate
  di gran virtù, dal quale io riconosco
  tutto, qual che si sia, il mio ingegno,

115   con voi nasceva e s'ascondeva vosco
  quelli ch'è padre d'ogne mortal vita,
  quand' io senti' di prima l'aere tosco;

118   e poi, quando mi fu grazia largita
  d'entrar ne l'alta rota che vi gira,
  la vostra regïon mi fu sortita.

121   A voi divotamente ora sospira 
  l'anima mia, per acquistar virtute
  al passo forte che a sé la tira.

124   «Tu se' sì presso a l'ultima salute»,
  cominciò Bëatrice, «che tu dei
  aver le luci tue chiare e acute;

127   e però, prima che tu più t'inlei,
  rimira in giù, e vedi quanto mondo
  sotto li piedi già esser ti fei;

130   sì che 'l tuo cor, quantunque può, giocondo
  s'appresenti a la turba trïunfante
  che lieta vien per questo etera tondo».

133   Col viso ritornai per tutte quante
  le sette spere, e vidi questo globo
  tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante;

136   e quel consiglio per migliore approbo
  che l'ha per meno; e chi ad altro pensa
  chiamar si puote veramente probo.

139   Vidi la figlia di Latona incensa 
  sanza quell' ombra che mi fu cagione
  per che già la credetti rara e densa.

142   L'aspetto del tuo nato, Iperïone,
  quivi sostenni, e vidi com' si move
  circa e vicino a lui Maia e Dïone.

143   Quindi m'apparve il temperar di Giove
  tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
  il varïar che fanno di lor dove;

148   e tutti e sette mi si dimostraro
  quanto son grandi e quanto son veloci
  e come sono in distante riparo.

151   L'aiuola che ci fa tanto feroci,  
  volgendom' io con li etterni Gemelli,
  tutta m'apparve da' colli a le foci;

154  poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.





Londra, British Library, Yates Thompson 36, fol. 169



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