‘rionfante
e sofferente insieme’ secondo le parole di John Henry Newman è
il destino immutabile della Chiesa, ‘portando sempre e dovunque
nel Suo corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si
manifesti nel Suo corpo’. La causa di Cristo sempre vive
l’ultima agonia. Il tempo della fine è sempre vicino: questo
stesso giorno o un altro. Quasi deserta di santi è la terra,
vicina la Venuta di Cristo, e, dunque, vicino il Giorno del
Giudizio. Della fine di questa storia i cristiani sono
consapevoli. Nella Provvidenza di Dio le nostre vite sono come
corsi d’acqua confluenti l’uno nell’altro, insieme riversandosi
nel grande fiume della storia universale. Di questo fiume
conosciamo la destinazione finale. Tra flussi e riflussi sotto
l’impeto soprannaturale della grazia in modo irreversibile
scorre alla sua foce. La foce della pace, dell’unità, e della
vita. La stessa visione del Profeta Isaia: ‘Tutte le genti
affluiranno verso il monte del tempio del Signore, verso
Gerusalemme, che significa ‘città di pace’. Dio indicherà le Sue
vie ed essi cammineranno per i Suoi sentieri. Forgeranno le loro
spade in vomeri, le loro lance in falci, un popolo non alzerà
più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più
nell’arte della guerra’. Al di là delle nostre ansie personali
il fiume della storia scorre verso l’unità delle diverse
confessioni cristiane, verso la riconciliazione tra tutti i
figli di Abramo, ebrei, cristiani, musulmani. Verso la
‘profetica utopia’ di Isaia. La nostra stessa età
dell’ansia, delle guerre nucleari, dello ‘scontro di civiltà’,
dunque, non è disgiunta dall’infinito empito di speranza che
viene da Dio. Speranza che rende la guerra impossibile, la pace,
l’unità, la giustizia tra tutti i popoli ineluttabile;
irresistibile e irreversibile, nonostante tutto, il viaggio
verso nuove frontiere. L’utopia di Isaia è l’autentico realismo
della storia. ‘Casa di Giacobbe’ egli dice ‘ ‘camminiamo nella
luce del Signore’.
Se noi Cristiani con gli altri figli della famiglia di Abramo
siamo insieme chiamati a sperare contro ogni speranza in questa
‘profetica utopia’, anche riceviamo il mandato per cambiare il
mondo. Chi ascolta la Parola è degno di vivere come profeta. In
questa nostra stessa era, tecnologica, atomica, apocalittica,
possiamo far sorgere la luce di Dio sul mondo. Negli anni
Cinquanta del Novecento qualcuno che sa di aver ricevuto questo
mandato viene eletto Sindaco di Firenze. Il suo nome è Giorgio
La Pira.
La Pira vive il motto del Savonarola – come nello stemma posto
sul frontone di Palazzo Vecchio, il Palazzo della Signoria
– e crede che la Firenze rinascimentale possa divenire la
nuova Gerusalemme: ‘JESVS CHRISTVS REX FLORENTINI POPVLI SENATVS
POPULUSQUE DECRETO ELECTVS’, Cristo, Re del popolo fiorentino,
eletto per decreto del Senato e del Popolo’ ( che i Medici
prontamente mutano in ‘REX REGNVM ET DOMINVS DOMINANTIVM’).
Contro le esigenze delle ‘forze di mercato’, sempre a fianco dei
poveri della città, La Pira scandalizza i potenti. Non era
inusuale vederlo scalzo in pubblico avendo dato via le proprie
scarpe e gran parte del suo stipendio. Le nostre ‘città cloni’
sempre più sono di dominio delle strade e di mega centri
commercial anonimi. Dopo le devastazioni della guerra, La Pira
vuole, invece, la ricostruzione di una Firenze concepita come
‘città umana’. Una città a misura d’uomo, e questo crede debba
realizzarsi con la creazione di ‘quartieri autosufficienti’, con
piccole botteghe, giardini pubblici, mercati, chiese, scuole,
strade alberate. Cerca così di sostenere la possibilità di un:
. . . riposato . . . e bello viver di cittadini; [una]
. . . fida cittadinanza, [e] . . .
dolce ostello
quel vivere sulla terra di cui parla nel Paradiso Cacciaguida,
trisavolo di Dante, nel ricordare la Firenze del suo tempo. Ogni
anno La Pira organizza quei convegni ai quali invita i
rappresentanti di tutto il mondo. Dal nord e sud del mondo, da
Washington e da Parigi, da Hanoi e da Algeri, da Tel Aviv e
dalla Gerusalemme orientale e araba. Così parlando loro:
Vorremmo che tutti i tesori di storia, di grazia, di bellezza e
di intelligenza che la Provvidenza ha accumulato a Firenze
costituiscano un gigantesco messaggio di pace rivolto a tutti i
popoli della terra: un messaggio che chiama tutti,
irresistibilmente, malgrado ogni resistenza ed ogni contrarietà
- spes contra spem, sperando contro ogni speranza – per dare
inizio alla storia nuova dei mille anni di civiltà e di pace.
Una civiltà e una pace destinate a rifrangere pienamente sulla
terra, la luce amorevole della paternità di Dio e la fraternità
degli uomini. I convegni di Giorgio La Pira sono nel concreto il
tentativo di abbattere muri e costruire ponti tra l’Occidente,
secolare e capitalista, e l’Islam. Egli vede nella città di
Firenze un ponte, una città la cui cultura di umanesimo
spirituale possa soccorrere i suoi stessi cittadini a resistere
al fascino di Mammone. Vede Firenze come la nuova Gerusalemme,
la città Santa, La Mecca e Medina, Qom, come la stessa
Gerusalemme del mondo islamico. La sua vita è espressione del
senso di una missione che porta a compimento l’essenza del
nostro Battesimo: una missione per portare il cielo sulla terra,
la luce laddove regnano le tenebre; una missione per trasfondere
di grazia la natura, per portare la città di Dio nella città
degli uomini, per edificare Gerusalemme nella verde, amena terra
d’Inghilterra.
La Provvidenza ha accumulato tesori di storia, grazia, bellezza,
intelligenza tanto a Cambridge quanto a Firenze. E ancora oggi
il nostro ideale di educazione effonde di santo splendore. Anche
noi abbiamo ricevuto un messaggio di pace. Come lo stesso
Giorgio La Pira abbiamo ricevuto la missione di essere ‘luce del
mondo’. Non può restare nascosta una città collocata sopra un
monte. Questa è la nostra vocazione, questo siamo chiamati ad
essere. Nelle nostre scelte come nelle incombenze della vita
quotidiana. Possiamo ‘rendere gentile la vita di questo mondo’,
attivamente partecipare nel flusso della storia verso la
‘profetica utopia’ di Isaia. Anche noi nelle città in cui
viviamo, nelle sataniche, tenebrose fabbriche possiamo edificare
Gerusalemme. Nel nostro pellegrinaggio, nel disordine-disarmonia
di città caotiche, sempre ci saranno momenti bui per ciascuno di
noi, ma
È di notte che è meraviglioso attendere la luce
Bisogna forzare l’aurora a nascere, credendoci.
Noi siamo il Corpo di Cristo. Il Corpo di Cristo trasfigurato,
il cui il volto diviene come il sole. E se crediamo, preghiamo,
perseveriamo, sappiamo che insieme loderemo Dio in cielo.
Loderemo Dio con tutti i Santi che prima di noi hanno pregato in
questo luogo. Loderemo Dio in quella Città nella cui luce
cammineranno tutte le nazioni, quella Città la cui luce è la
gloria di Dio.
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