FLORIN WEBSITE
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ON FLORENCE © JULIA BOLTON HOLLOWAY, AUREO ANELLO ASSOCIAZIONE,
1997-2024: ACADEMIA
BESSARION
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LATINO, DANTE
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LATINO, DANTE
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BRUNETTO LATINO
AND CICERO'S RETTORICA,
PART II
Tulio ch'è preghiera et quando fu sa
P reghiera è quando l'accusato confessa
ch'elgli à commesso quel peccato et confessa che l'à facto
pensatamente, ma sì domanda che li sia perdonato, la qual
cosa molte rade fiate puote advenire. Sponitore.
T ullio mostra in questa piccola parte del
testo che cosa è appellata preghiera in questa arte. Et dice
che allocta è questione de preghiera quando l'accusato
confessa et dice ch'elgli fece quel peccato ch'elgli è apposto
e ricognoscie che l'à facto pensatamente, ma tutta volta
domanda perdono. Onde nota che questa preghiera puote essere
in due maniere, o aperta o nascosa. Verbi gratia: In questo
modo è la preghiera aperta: Dice l'accusato: "Io confesso bene
ch'io feci questo facto, ma pregovi per amore et per
reverentia di Dio che voi me perdoniate". ¶ La preghiera
ascosa è in questo modo: "Io confesso ch'io feci questo facto
e domando che voi mi perdoniate; ma se voi ripensaste quanto e
come grande honore i'o facto al comune, ben sarebbe degna cosa
che mi fosse perdonato." Ma si dice Tullio che queste
preghiere possono avenire rade fiate, spetialmente davante
a'giudici li quali sono giurati a leggi si che non anno podere
di perdonare. Bene puote alcuna fiata lo'mperadore e'l sanato
avere provedenza in perdonare gravi misfacti, sì come poteano
li anziani del popolo di Firenze ch'aveano podere di gravare
et di disgravare secondo il loro parimento./An excellent paralleling of Roman
Senate, Florentine anziani./ ¶ Et poi che Tullio à detto de la prima parte de la
constitutione assuntiva, cioè de la concessione et che cosa è
concedere, e à detto due maniere di concedere, cioè de
purgatione e de preghiera, si dicerà de la seconda parte, cioè
rimuovere lo peccato./Again, see Catilinaria,
Twice.Told Tales, chapter 4./
Quando e rimuovere il peccato
R imuovere lo peccato è
quando l'accusato si sforça di rimuovere quel peccato da
sè et da sua colpa et metterlo sopra un altro per força e
per podestà di lui; la qual cosa si puo fare in due guise:
o mettere la colpa o mettere il facto sopr'altrui. Et
certo la colpa et la cagione si mette sopra altrui dicendo
che quel sia facto per sua força e per sua podestate. Il
facto si mette sopr'altrui dicendo ke dovea un altro et
potea fare quel facto.
Sponitore.
I n questo luogo dice Tulio che
è rimuovere lo peccato et come si puote fare, e ke cotale il
caso: Uno è accusato de uno malificio, ed elgli vengendo a sua
defensione sì lieva da ssè quello maleficio et mettelo sopra
un altro. O dice bene che l'à facto, ma un altro c'avea in lui
força et segnoria il costrinse a fare quel male.
E questo rimovimento del peccato dice Tulio che si puo fare in due guise: l'una si mettere la cagione e la colpa sopra un altro, l'altra si mettere il facto sopra altrui. [¶ erased]Certo la colpa e la cagione si mette sopra altrui quando l'accusato dice che elli à facto quel male per colpa d'alcuno il quale à sopra lui força et segnoria. Verbi gratia: Il comune di Firenze elesse ambasciadori et fue loro comandato che prendessero la paga dal camarlingo per loro dispensa et incontanente/immantenente/ andassero alla presentia di messere lo papa per contradiare il passamento de'cavalieri che veniano di Cecilia in Toscana contra Firenze. Questi ambasciadori domandaro il pagamento, il segnore no'l fece dare, e'l camarlingo medesimo negò la pecunia, si chà gli ambasciadori non andaro e'cavalieri vennero; de la qual cosa questi ambasciadori fuoro accusati, ma elgli si levano la colpa et la cagione et miserla sopra'l segnore et sopre il chamarlingo, i quali aveano la força e la segnoria et non fecero il pagamento./Chapter 2, Twice-Told Tales, clearly shows Brunetto's own involvement in similar embassies; this particular instance was of the utmost importance to Florence and resulted in the defeat of Montaperti./ Mettere il fatto sopr'altrui e quando l'accusato dice ch'elgli quel facto non fece et non ebbe colpa nè cagione del fare, ma dice che un altro l'a facto et ebbevi colpa et cagione, mostrando che quell'altro sopra cui elgli il mette dovea et potea fare quel male. Verbi gratia: Catone et Catellina andavano da Roma a Rieti, et incontraro un parente de Catone, a cui Catellina portava grande malavoglienza per cagione de la coniuratione di Roma, et perciò in meçço de la via l'uccise; nè Catone non avea podere di difenderlo, perciò ch'era malato de suo corpo, ma rimase intorno al morto per ordinare sua sepultum. Et Catellina si n'andò in altra parte molto avaccio et celatemente. In questo mezzo genti che passavano per lo camino trovaro il morto di novelli, et Catone intorno lui, sì pensaro certamente che Catone avesse facto il malificio, et perciò fu elgli accusato di quella morte. Onde elgli in sua defensione levava da sè quel facto, dicendo ch'elgli facto nol'avea et che no'l dovea fare, perciò ch'era suo parente, e dicea che nol' potea fare, perciò ch'era malato di sua persona. Et così recava il facto e la colpa sopra Catellina, perciò che'l dovea fare come di suo nemico, et potea lo fare, ch'era sano et forte et di reo animo. ¶ Et poi che Tullio àe insegnato rimuovere lo peccato, sì insegnà in questa altra parte riferire il peccato.RimuoColpe facto
vere lo
peccato
Epistola
Salutatione
Conclusione
Exordio
Petitione
Narratione
E s'alcuno domandasse per qual cagione Tulio
intralasciò la salutatione et non ne tractò nel suo libro,
certo lo sponitore ne rendà bene ragione in questo modo. ¶
Certa cosa è che il/ Tullio nel suo/ libro di Tullio tracta delle dicerie che si fanno
in presentia, ne le quali non bisogna di contare il nome del
dicitore/ parlieri/ nè
dell'uditore, ma ne la pistola bisogna dimettere le nome del
mandante et del ricevente, c'altrimenti non si potrebbe fare
sapere a certo nè l'uno nè l'altro. ¶ Apresso ciò, la
salutatione par che sia del'exordio; chè sança fallo chi
saluta altrui per lectera già pare che cominci suo exordio. E
Tulio trattòe de lo exordio compiutamente, non curò di
divisare de la salutazione, nè distendere il suo conto intorno
le saluti, maximamente perciò che pare che rechi tutta la
rethorica a parlare in controversia tentionando. Et perciò
fouro alcuni che diceano che salutatione non era parte de la
pistola, ma era un titolo fuor del fatto. E io dico che la
salutazione è porta de la pistola, la quale ordinatamente
chiarisce le nomora e meriti de le persone e l'affectione del
mandante. Et nota che dice "porta", cioè entrata de la
pistola, et che chiarisce le nomore, cioè del mandante e del
ricevente. Et dice "i meriti de le persone", cioè il grado et
l'ordine suo, sì come a dire: "Innocentio papa", "Federigo
Imperadore", "Acchiles cavaliere", Oddofredi giudice", et così
dell'altre gradora. Et dice "ordinatamente", cioè che mette il
nome e'l grado ciascuno come s'aviene. Et dice "l'affectione
del mandante", cioè com'elgli manda al ricevente salute, o
altra parola di bene, o per aventura de male, secondo la sua
affectione, cioè secondo la sua volontade. Adunque pare
manifestamente che la salutatione è così parte de la pistola,
come l'occhio dell'uomo. Et se l'occhio è nobile membro del
corpo,/ dell'uomo/, dunque è
la salutatione nobile parte de la pistola, che altressì
allumina tutta la lectera come l'occhio allumina l'uomo. Et al
ver dire, la pistola nella quale nonn'à salutationee, è
altrettale come la casa che non a ne porta nè entrata, et come
il corpo vivo che non a occhi, et perciò falla chi dice che
salutatione è un titolo fuori del facto. Anche si scrive et
s'inchiude et sugella dentro. Ma titolo de la pistola è la
soprascripta di fuori, la qual dice a cui sia data la lectera.
Ben dico c'alcuna volta il mandante non scrive la salutatione,
o per celare le persone se la lettera venisse data altrui, o
per alcun'altra cagione. ¶ Nè non dico che tutta fiata
convegna salutare, ma ora per desiderio d'amore, or per
solazzo, si mandano altre parole, che portano più incarnamento
et giuoco, che non fa a dire pur salute. Et maggiore non dee
huomo mandare salute, ma altre parole che significança abbiano
di reverentia e devotione. Et talvolta a nemici non scrivemo
altro che le nomora et tacemo la salute. O per aventura
mettemo alcuna altra parola che significa indengnemento o
conforto de ben fare, o altra cosa, sì come fa il papa, che
scrivendo a li giudei o ad altri huomini che non sono de la
nostra cattolica fede, od a'nemici de la Santa Chiesa tace la
salute. Et talvolta mette in quel luogo "spirito di più sano
consiglio," o "conoscere via de veritade" o "d'abondare in
opera de pietade" et simili cose/ The Sommetta
of 1287 gives such an example./
Lo sponitore tracta qui de
dictare
A dunque dee provedere il buono
dictatore che, similemente come saluta un huomo un autro
trovandolo in persona, così il dee salutare in lectera
mettendo et adornando parole secondo che la conditione cel
ricevente richiede. Chè quando huomo va davante a messere lo
papa, o davante imperadore o d'altro segnore ecclesiastico o
secolare, certo è/ elli/ va con
molta reverentia et inchina la testa. Et a la fiata si mette
ginocchioni in terre per basciare il piede al papa, et
all'mperadore, tutto altressì dee il dictatore nominare lo
ricevente e la sua dignità con parole di sua honoranza et
metterlo dinanzi. Appresso dee nominare sè medesimo e la sua
dignitade. Poi dee scrivere la sua affectione, cioè quello che
desidera che vegna a colui che riceve la lectera, sì come
saluto o altro che sia avenante. Tuttavolta guardino che
l'affectione sia di quella guisa et di quella parole che si
convegnano al mandante et al ricevante, chè quando noi
scrivemo al maggiori di noi o di nostro paraggio o di minore
grado, noi dovemo mandare tali parole che siano accordanti a
le persone et al loro stato. Et non pertanto ch'io abbia detto
che'l nome del maggiore si debbia mettere dinanzi et del par
altressì. Io ben veduto alcuna fiata che per grandi principi
et segnori scrivendo a mercatanti, o d'altri minori mettono
dinanzi il nome di colui a cui elgli mandano, et questo è
contra l'arte; ma fannolo per conseguire alcuna utilitade,
perciò sia il dictatore accorto et adveduto in fare la
salutatione avenante et convenevole d'ogni parte/ canto/, si chè in essa medesima conquisti la gratia e la
benivogliença del ricevente, sì come noi dimosterremo avanti
secondo la rethorica di Tulio. Et ben'è questa materia sopra
la quale lo sponitore potrebbe dire lungamente et non sanza
molta/ grande/ utilitade. Ma
considerando che soltilitade perchè' l verbo non si mette
nella salutatione, et per che'l nome del mandante si mette in
terça persona per significamento di maggiore humiltade, et
perche tal fiata si scrive pur una/ la
primiera/ lectera del nome, pare che
toccha più a'dictatori in latino che'n volgare, sene passerà
lo sponitore brevemente, et seguirà la materia di Tulio per
dicere dell'altre parti de la diceria, et di quelle de la
pistola, sì come porta l'ordine. ¶ Et in questo luogo si parte
il conto de la salutatione, et dicerà del'exordio in due
guise: l'una secondo che ne dice Tulio et che pare che
s'apartenga a diceria, l'altra secondo che si conviene ad una
lectera dictata e la diceria medesima, oltre quello che porta
il testo di Tulio.
Qui dice Tulio perch'elgli
parlera d'exordio primamente
E t perciò che exordio de
essere prencipe de tutti, et noi primieramente daremo
insegnamenti in fare exordii.
Sponitore.
V olendo Tulio tractare
del'exordio prima che dell'altre parti de la diceria, sì
l'appella prencipe de tutte l'altre parti tutte; et certo è de
ragione: l'una per che si mette et si dice tuttora davanti a
l'altre. L'altra perciò che ne lo exordio pare che noi
acconciamo et apparecchiamo l'animo dell'uditore ad intendere
tutto ciò che noi volemo dire poi.
Tulio dice che è exordio.
E xordio è un detto il quale
acquista convenevolemente l'animo del'uditore al'altre
parole che sono a dire; la qual cosa averrà se farà
l'uditore benivolo, intento et docile. Per la qual cosa
chi vorrà bene exordire la sua causa, al lui converta
diligentemente/
procedere e/
conoscere davanti la qualitade della causa.
Lo sponitore.
P oi che Tulio avea contate le
parti de la diceria, sì vuole in questa parte tractare de
ciascuna per sè divisamente, et prima del exordio, del quale
tracta in questo modo: Primieramente dice che è exordio,
mostrando che tre cose dovemo noi fare nell'exordio, cioè fare
che l'uditore davanti cui noi dicemo sia inver noi benivolente
et intento et docile a cciò ke noi volemo dire. Et perciò ne
conviene conoscere la qualitade del convenente sopra 'l quale
noi dovemo dire o dittare. Nel secondo luogo divide l'exordio
in due parti, cioè principio et insinuatione, et mostrane in
quale convenente noi dovemo usare principio, et in quale
insinuatione. Nel terço luogo/ ne fa intendere/ donde noi pottemo trarre le ragioni per acquistare
benivogliença, attentione et docilitade, et come noi dovemo
queste tre usare in quello exordio ch'è appellato principio,
et come in quello ch'è appellato insinuatione. ¶ Nel
quarto luogo pone le virtù di viçi dell'exordio. ¶ Et perciò
dice che exordio è una adornamento de parole le quali il
parladore e'l dictatore propone davanti nel cominciamento del
suo dire in maniera de prolago, per la quale cosa si sforça di
dire et di fare sì che l'uditore sia benivolo verso lui, cioè
ch' elgli piaccia esso e'l suo parlamento. E procacciasi de
dire et de fare sì che l'uditore sia intento al lui et al suo
detto; similemente si studia de dire et fare sì che l'uditore
sia docile, cio che prenda et intenda la força de le parole,
et perciò dico che immantenente che l'uditore e docile siche
voglia intendere e conoscere la natura del facto e la força de
le parole, sì è elgli intento. Ma perchè l'uditore sia intento
a udire, puote bene essere che non sia docile a intendere. Et
di ciascuno di questi/ tre/ dicerà il conto quando verrà suo luogo, ma perciò
che'l dicitore/ parliere/ che
non conosce dinanzi di che maniera et di che ingeneratione sia
la sua causa non puote bene avenire a le tre cose che son
dette in adietro, cioè che l'uditore sia benivolo, intento et
docile, sì dicerà Tulio quante et quali sono le generationi de
le cause, in questo modo:
Tulio dice de le cinque
qualitade delle cause.
L e qualitade delle cause
sono .v.: honesto, mirabile, vile, dubbioso et oscura.
Sponitore.
I n questa piccola parte nomina
Tulio le qualitadi delle cause, cioè de quante generationi
sono le dicerie. Et se alcuno m'aponesse che Tulio dice contra
ciò ch'elgli medesimo avea detto in adietro, cioè che li
generi e le qualitadi son tre, Dimostrativo, Deliberativo, et
Giudiciale. E ora dice che sono .v., cioè Honesto, Mirabile,
Vile, Dubbioso et Oscuro. Io risponderei che le primiere tre
son qualitadi substantiali sì incarnate a la causa che non si
puote variare. Onde quella causa ch'è deliberativa non puote
essere non deliberativa/ dimostrativa/, et quella che demostrativa non puo essere non
demostrativa. Altressì dico della iudiciale, ma quella causa
che è honesta puote bene essere non honesta, et quella ch'è
mirabile puote essere non mirabile, et così dico de la vile et
de la oscura et della dubbiosa. Adunque sono queste qualitadi
accidentali che possono essere et non essere; ma le prime tre
sono substantiali che non si possono mutare.
Tulio del'onesta qualitade
H onesta qualitade di causa è
quella la quale incontanente, sança nostro exordio, piace
al'animo del'uditore
Sponitore.
Q uella causa è honesta sopra la
quale dicendo parole, immantenente, sanza fare prologo,
l'animo del'uditore si muove a credere et a piacere le parole
che'l parliere dice sopra'l convenente; et in questo non fa
bisogno usare parole per acquistare benivolgiença del'uditore,
perciò che l'onestade dela causa l'à già acquistata per sua
dignitade, sì come nella causa di colui che accusa il furo, o
che difende il padre, o l'orfano, o le vedove o le chiese.
Tulio de la mirabile qualitade
M irabile è quello dal quale
è straniato l'animo di colui che dee udire.
Sponitore.
Q uella causa è appellata
mirabile la quale è di tale convenente che dispiace
al'uditore, perciò ch'è di sozza et di crudele operatione, et
perciò l'animo del'uditor è contra noi et istraniato da la
nostra parte; et in questo bisogna d'acquistare benivolençia
sì che l'uditore intenda. Si come ne la causa di colui
c'avesse morto il suo padre o facto furto o incendio. Dunque
potemo intendere che una medesima causa puote esere honesta et
mirabile: honesta dall'una parte, cioè di colui medesimo che
difende il suo padre. Mirabile dall'altra parte, cioè di colui
medesimo ch'è contra la sua madre propia, et di questo uno
exempo si possono intendere tutti i somiglianti.
Tulio dice del al vile qualità
di causa
V ile è quello del quale non cura l'uditore
et non pare che sia da mettere grande opera a intendere. Sponitore.
Q uella causa è appellata vile
la quale è de piccolo convenente, sì che non pare che ne sia
molto da curare, e l'uditore non si maraviglia/ sine
travaglia/ molto ad intendere. Sì come la
causa d'una gallina o d'altra cosa che sia de piccolo valere.
Et in questa causa dovemo noi procacciare/ di fare sè/ che l'uditore sia intento a le nostre parole.
Tulio dice de la dubitosa
qualità di causa
D ubitoso è quello nel quale
o la sententia è dubbia, o la causa è in parte honesta, et
in parte sozza et disonesta, si chè ingenera benivoglenzia
et offensione.
Sponitore.
Q uella causa è appellata
dubitosa nella quale l'uditore non è certo a che la cosa
debbia pervenire, o in che sententia torni alla fine. Sì come
nella causa d'Orestes che dicea c'avea morta la sua madre
giustamente per due cagioni: l'una perciò ch'ella avea morto
il suo padre,/ l'altre perciò ch'ella avea morto
il suo padre/ l'altra perciò che dio Appollo
glile comandò. Onde l'uditore non è certo la quale de queste
due cagioni caggia in sententia. Altressì è dubitosa quella/ causa nella
quale àe/ parte dove parte d'onestade et
perciò piace all'uditore, e à parte de disonestade, et perciò
piace al'uditore, sì come nella causa de un figliuolo: d'un
ladro/ furo/ che fue accusato de
furto e'l figliuolo si sforçava di difenderlo in tutte guise.
Certo la causa era honesta quanto in difendere lo padre, ma
era disonesta quanto in difendere lo furo.
Tulio del'oscura qualità di
causa
S curo è quello nel quale
l'uditore è tardo, o per aventura la causa è impigliata de
convenenti troppo malagevoli a conoscere
Sponitore
D ice Tullio che quella causa è
appellata oscura ne la quale l'uditore è tardo, cioè che non
intende ciò che portano le parole del dicitore sì bene, si
tosto come si conviene, perciò che non/ è forse/ ben savio, o forse ch'è affaticato per li detti
d'altri parladori c'aveano detto innanzi; o per aventura la
causa è impigliata di cose et di ragioni che sono/ oscure e/ malagevoli ad intendere.
Tulio dice de la divisione
del'exordio et rende la cagione.
E t perciò che la qualitadi
de la cause sono tanto diverse, sì conviene che li exordii
siano diversi et dispari et non simili in ciascuna
qualitade di cause; per la qual cosa exordio si divide in
due parti, ciò principio et insinuatione.
Sponitore
P erciò, dice Tullio, che le
generationi e le qualitadi de le qualitidati/ cause/ sono tanto diverse, cioò che sono in .v. modi sì
come detto è qui di sopra, et l'uno modo nonnè accordante
col'altro, sì conviene che in ciascuna qualitade de cause et
in ciascuna de' detti .v. modi si abbia suo modo in fare
exordio, tale che si convegna a la qualitade sopra la quale
noi dovemo parlamentare o dictare. Et volendo Tulio insegnare
apertamente, si dice che exordio è de due maniere; uno che
s'appella principio, et un'altro ch'è appellato insinuatione;
e di ciascuna dicerà elgli interamente. Et così potemo e
dovemo sapere che le cause sopra le quali dice alcuno
parlatore, o sopra le quali dice/ scrive/ alcuno dictatore sono .v., cioè sono: honesto,
mirabile, dubitoso, vile, et oscuro, sì come apare in adietro.
Et sopra tutte qualitadi sono due modi d'exordio et non più,
cioè principio et insinuatione.
Dice che è prohemio. Testo
P rincipio è un detto lo
quale apertamente et in poche parole fa l'uditore
benivolo, o docile, o intento.
Sponitore
Q uella maniera d'exordio è
appellata principio quando il dicitore/ parliere/ o'l dictatore quasi incontanente a la comincianza
del suo dire, sança molte parole et sanza neuno infingimento
ma parlando tutto fuori apertamente, fa l'animo del'uditore
benivolente a llui, o alla sua causa, o talora il fa docile, o
intento, si come fece Pompeio a'Romani parlando del convenente
de la guerra con Giulio Cesare, che fece cotale exordio:
"Perciò che noi avemo il diricto dalla nostra parte, et
combattemo per difendere la nostra ragione et del nostro
comune, sì dovemo noi avere sicura speranza che li dii saranno
in nostro adiuto."
Tulio dice che è insinuatione
I nsinuatione è un detto il
quale, con infignimento parlando dintorno, covertamente
entra nell'animo del'uditore.
Sponitore
T ullio dice ke quella maniera
d'exordio è appellata insinuatione quando il parliere o'l
dittatore fa dinanzi un lungo prolago de parole coperte,
infingendo de volere ciò che non vuole, o di non volere quello
che vuole./ dee volere/ E così ca
dintorno con molte parole per sorprendere l'animo dell'uditore
sì che sia benivolo o docile, o intento; sì come disse Sino
parlando a coloro che riteneano la sua persona in gravosi
tormenti: Infino a ora v'o io pregato che mi traeste di tante
pene; oggimai non domando io se non la morte, ma grandissime
tesauri avrei dati a chi m'avesse scampato". Et in questo modo
copertamente si infignea di non volere quello che volea, per
venire in animo di loro che lo scampassero per avere, da che
mercè non valea. Et così à divisato il maestro/ conto/ che è
principio et che è insinuatione; ogmai dicerà quale de questi
due modi d'exordio noi dovemo usare in ciascuna de' .v.e modi
de cause, cioè nell'honesto, nel mirabile, nel vile, nel
dubitoso et nell' oscuro.
Tulio della admirabile
generatione
N ella mirabile generatione
di causa, se l'uditore non fosse del tutto turbato contra
noi, ben potemo acquistare benivoglienza per principio, ma
s'e troppo malamente fosse straniato ver noi, allora ne
conviene fuggire a insinuatione, in perciò che volere così
isbrigatamente pace et benivogliença da le persone adirate
non solamente non si truova, ma crescie et infiamasi
l'odio.
Sponitore
I n adietro è bene detto che
quella causa è appellata mirabile la quale è di rea oeratione,
si chè pare ke dispiaccia al'uditore. Et perciò dice Tulio che
quando la nostra causa è mirabile puote bene essere alcuna
volta/ fiata/ che l'uditore
non sia del tutto cruccioso contra noi. Et allora potemo noi
acquistare la sua benivolenza per quel modo d'exordio ch'è
appellato principio, cioè dicendo un breve prologo in parole
aperte et poche. Ma se l'uditore fosse iroso et crucciato
verso/ contra/ noi malamente,
certo in quel caso ne conviene ritornare al'altro modo
d'exordio, cioè insinuatione, et fare un bel prolago di parole
infinte et coperte, si chè noi possiamo mitigare l'animo suo,
et acquistare sua benvoglienza et ritornare in suo piacere.
C'al ver dire, quando l'uditore è adirato et cruccioso, chi
volesse acquistare da llui pace così subitamente per poche et
aperte parole, dicendo il facto tutto fuori, certo nolla
trovarebbe, ma crescerebbe l'ira et infiamerebbe l'odio; et
perciò dee andare dintorno et intrarli sotto copertamente./ convertamente/
De la vile qualità de cause
N ella causa la quale è di
vile convenente, per cagione di trarla de viltança et de
dispregio, ne conviene fare l'uditore intento.
Sponitore
Q uando la nostra causa è vile,
cioè di piccolo convenente si chè l'uditore poco cura de
lo'intendere, allora ne conviene usare principio, et in esso
fare che l'uditore sia intento a le nostre parole. Et questo
potemo ben fare traendola de vilezza et/ viltanza e
facciendola grande et/ in alçandola et
faccendola grande, sì come fece Virgilio volendo trattare
dell'api: "Io dicerè cose meravigliose et grandi de le piccole
api."
De la dubbiosa qualità
D e la dubitosa qualitade di
causa, se lla sententia è dubbia si conviene incominciare
l'exordio dalla sententia medesima, ma se lla causa è
parte honesta et in parte disonesta si conviene acquistare
benivoglienzia, si chè paia che tutta la causa ritorni in
honesta qualitade.
Sponitore
L a causa dubitosa, si come fu
detto in adietro, è in due maniere: l'una che la sententia è
dubbia, sì come nell'exemplo d'Orestes, che per due cagioni e
ragioni dicea c'avea ben facto d'uccidere la madre. Et in quel
caso dovea elgli incominciare il suo exordio da quella ragione
la quale elli più ferma nel suo animo di volere provare, et
per la quale elgli crede d'avere la sententia in aiuto, ma se
il convenente è dubitoso perciò che sia in parte honesta et in
parte disonesta, in quel caso dee il buono parlieri acquistare
nell'exordio benivolençia dal'uditore per principio, sicchè
tutta la causa paia che sia honesta.
Del onesta qualità
Q uando la causa fie
honesta, o potemo intralasciare lo principio, o, senne
pare convenevole, cominceremo a la narratione o da la
legge, o d'alcuna fermissima ragione de la nostra diceria,
ma senne piace usare principio, dovemo usare le parti de
benivolgliença per accrescere quella.
Sponitore
Q uando il convenente sopra 'l
quale ne conviene dire è honesto, certo per la natura del
facto propia avemo noi la benivolgiença dell'uditore sança
altro adornamento de parole. Et perciò quando noi venimo a
dire noi potemo bene intralasciare lo principio, et non fare
neuno exordio nè prologo de parole, et cominciare/ la nostra
diceria alla narrazione, cioè pur dire lo fatto; e bene potemo
cominciare/ da quella legge che toccha
alla nostra materia, o da quella ragione la quale sia più
fermo argomento et più certo. Ma se nne piace usare principio
et fare alcuno prolago, certo noi lo potemo benfare, non per
acquistare benevogliença ma per crescere quella che v'è. Et
perciò in questo caso il nostro principio de essere in parole
appropiate a benevoglienza.
De l'obscura qualità de causa
N ella causa la quale è
oscura conviene che nel nostro principio noi facciamo che
l'uditore sia docile.
Sponitore
I n adietro fue mostrato qual
causa è, et quando sia oscura. Et perciò dice Tulio che nella
causa la quale è oscura al'uditore a intendere noi dovemo
usare quella parte del'exordio la quale è appellata principio.
Et in quello dovemo noi sì dire che l'uditore sia docile, cioè
che la intenda et senta la natura del facto, in questo modo:
che noi diceremo in poche parole sommatamente la sustanzia del
facto dell'una parte et dell'altra. Et poi che noi vedremo che
l'uditore sia apparecchiato et intendere il facto, noi andremo
innanzi a dicere la nostra ragione sì come si conviene al
facto.
Conchiude ciò c'à detto, et dice
di ciò che dirà
E t perciò che infino ad ora
noi avemo detto che si conviene fare nell'exordio, oggimai
rimane a dimostrare per quali ragioni ciascuna cosa si
possa fare.
Sponitore. Ser B.L
I nfino a questo luogo à
insegnato Tulio tutto ciò che si conviene dire o fare
nel'exordio; et perciò ch'elgli à detto in quale exordio o in
quale causa ne conviene usare parole per acquistare
benevogliença, sì vuole elgli da qui innanzi mostrare le
ragioni come si puote ciò fare: et questo insegnamento fa bene
di sapere.
Onde s'acquista benivolença/ De'quattro luoghi della temperanza/
B enivogliença s'acquista di
quattro luogora: dalla nostra persona, da quella de'nostri
aversarii, da quella de giudici et dalla causa.
Sponitore
I n questa parte insegna Tulio
acquistare benivogliença, et perciò ch'ella non si puote avere
se non per quello che s'apartiene alla persone et al facto, sì
dice che quattro luogora sono dalle quali muove benivoglienza.
Il primo luogo si è la nostra persona, et di coloro per cui
noi dicemo. Il secondo luogo si è la persona de'nostri
aversari et di coloro contra cui noi diciamo. Il terço luogo
si è la persona de'giudici, cioè la persona di coloro davanti
da cui noi dicemo. Il quarto luogo si è la causa, il fatto,
e'l convenente sopra 'l quale noi dicemo. Et di ciascuno
dicerà l'autore/ il conto/
ordinatamente et sofficientemente.
De che s'acquista benivogliença de la nostra
persone/ Tullio
sopra lo prolago/
D alla nostra persona se noi
dicemo sanza superbia de'nostri facti et de'nostri
officii; et se noi ne leviamo le nostre colpe che ne sono
apposte, e le disoneste suspitioni; et se noi contiamo li
mali che ne sono avenuti e li'ncrescimenti che sono
presenti; et se noi usiamo preghiera et scongiuramento
humile et inclino
Sponitore
C onquistare benivoglença dalla
persona nostra si è dicere de la persona nostra, et di coloro
per cui noi dicemo, quelle pertenenze per le quali l'uditore
sia benivolo verso noi. E sappie che certe cose s'apartegnono
a le persone et certa a la causa. Et di queste pertinenze
tracterà il conto sofficientemente, et fie molto bella, et
utile materia ad imprendere. Et qui pone Tulio quattro modi
d'acquistare benivogliença dalla nostra persona. ¶ Il
primo modo si è se noi dicemo sanza superbia, dolcemente et
cortesemente, de'nostri facti et de'nostri officii. Et intendi
che dice facti quelgli che noi facemo non per distrecta di
legge o per força, ma per movimento di natura. ¶ Et così
dicendo Dido d'Eneas acquistò la benivoglienza de l'uditori:
"Io" dice ella, "accolsi et ricevetti in sicura magione colui
ch'era cacciato in periglio di mare, et quasi anzi ch'io
udisse il suo nome gli diedi il mio reame". Et così dice
ch'ella si mosse a pietade sopra Eneas quand'elli fuggìa de la
destructione de Troia. Et al ver dire noi avemo mercè et
pietade de le strane genti per natura, et non per distretta.
Ma ofici sono quelle cose le quali noi facemo per distretta,
non per movimento di natura. Onde dice Tulio che dell'uno et
dell'altro dovemo dire temperatamente sanza superbia. ¶ Il
secondo modo si è se noi ne leviamo da dosso a noi et a'nostri
le colpe e le disoneste sospictioni che ci sono messe et
apposte sopra. Et intendi che colpe sono appellate quei
peccati che sono apposte altrui apertamente davanti al viso,
sì come fue apposto a Boetio ke elgli avea composte lectere
del tradimento del'mperadore, il quale peccato elgli removeo
per una pertenentia di sua persona, cioè per sapientia,
dicendo così: "De le lectere falsamente composte che convien
dicere la froda de le quali sarebbe manifestamente paruta se
noi fossimo essuti a la confessione del'accusatore". Le
disoneste sospictioni sono le colpe c'altre pensa in contra ad
un altro, ma nolle pone davanti al viso. Sì come molti
pensavano che Boetio adorasse i demoni per desidero d'avere le
dignitadi. E questa sospictione si levò elgli parlando a la
Filosofia, che disse: "Mentiro, che pensaro ch'io sozzasse la
mia conscientia per sacrilegio o per parlamento de mali
spiriti. Ma tu filosofia commessa in me cacciavia del mio
animo ogni desiderio delle mortali cose". Et così parve che
volesse dire: "Poi che in me avea sapientia, non era da
credere che in me fosse così laido fallimento". Tutto altressì
Elena, volendosi levare la sospictione che'l suo marito avea
di lei, disse: "Elli che si fida in me de la vita, dubita per
la mia biltà; ma cui assicura prodezza, non dovrebbe impaurire
l'altrui bellezza." ¶ Il terço modo è se noi contiamo i mali
che sono avenuti e li 'ncrescimenti che sono presenti. Così
Boetio, contando ciò che avenuto era, acquistò la benivolenza
dell'uditore, dicendo: "Per guiderdone della verace vertude
soffero pene de falso incolpamento". Et Dido, dicendo i suoi
mali dopo'l dipartimento d'Enea, acquistò la benivolenza per
la sua misaventura. Et disse: "io sono cacciata et abbandono
il mio paese e la casa del mio marito et vo fuggendo per
gravosi cammini in caccia de'nemici". Altressì Julio Cesare,
vedendosi in periglio de guerra, contò i mali c'a llui poteano
avenire, per confortare i suoi a battaglia, et disse: "Ponete
mente a le pene di Cesare, guardate le catene et pensate che
questa testa è presso a'ferri e li membri a speçamento." ¶ Il
quarto modo è se noi usiamo preghiera o scongiuramento humile
o inclino, cioè devotamente et con reverentia chiamare mercede
con grande humiltade. Et intendi che preghiera è appellata
sança scongiuramento. Verbi gratia: Pompeio, vedendosi a la
pugna de la mortal guerra di Cesare, confortando i suoi di
battalglia disse: "Io vi priego de'miei ultimi facti, et
delgli anni de la mia fine, perchè non mi convegna essere
servo in vecchiezza, il quale sono usato di segnoreggiare in
giovane etade." Et queste preghiere talfiata sono aperte, sì
come quelle di Pompeio, talfiata sono ascose, sì come quelle
di Dido in queste parole ch'ella mandò ad Eneas: "Io" disse
ella "non dico queste parole perch'io ti creda potere muovere;
ma poi ch'io o perduto il buono pregio e la castità del corpo
et dell'animo, non è grande cosa a perdere le parole e le cose
vili". Ma scongiuramento è quando noi preghiamo alcuna persona
per Dio o per anima o per parenti o per avere o per altro modo
di scongiurare, sì come Dido fece ad Eneas: "Io ti priego"
disse ella "per lo tuo padre, et per le lancie, et per le
saette de'tuoi fratelli, per li compangni che teco fuggiro,
per l'iddii et per l'altezza de Troia." ¶ Et ora à detto il
maestro/ conto/ del primo luogo
donde muove benvoglienza, cioè dal nostra persona et di coloro
che sono a noi. Omai dicerà il secondo luogo, cioè della
persona delgli aversarii et di coloro contra cui noi dicemo.
In quanti modi s'acquista
benivolença da la persona dal'aversario/ Sopra il
secondo prolago/
Da la persona delgli aversari se
noi li mettono in odio, invidia, od in disprego.
Sponitore
A cquistare benivogliença da la
persona de'nostri adversarii si è dicere de le loro persona
quelle pertinenze per le quali l'uditore sia a noi benivolo,
et contra l'aversario malivolo; et a cciò fare pone Tulio tre
modi: Il primo modo è dicere le pertenenze de le loro persone,
per le quali sieno in odio del'uditore. Il secondo che siano
in invidia. Et il terço che siano in loro dispetto. Et di
ciascuno de questi tre modi dicerà il testo bene et
interamanete.
De quarte cose si fa odioso
I n odio saranno messi
dicendo com'elgli anno alcuna cosa facta isnaturatamente o
superbamente, o crudelmente o malitiosamente.
Sponitore
N oi potemo i nostri adversarii
mettere in odio dell'uditore se noi dicemo ch'elli abbiamo
alcuna cosa facta isnaturatamente, contra l'ordine di natura,
sì come mangiare carne humana et altre simili cosi, de le
quali lo sponitore si tace ora presentemente./ This will
be Dante's Infernal Ugolino's act./ O se noi
dicemo ch'elgli abbiano facto superbiamente, cioè non temendo
et nè venerando/ curando/
de'segnori nè de'maggiori et avendoli per neente, o se noi
dicemo ch'el'abbiano facto crudelmente, cioè pietà non avendo,
nè misericordia de'suoi minori nè di persone povere, inferme
et misere. O se noi dicemo ch'elli abbiano facto
malitiosamente, cioè cosa rea falsa et disleale, et disusata
contra buono uso. Et di tutto questo exemplo avemo nelle
parole che Boetio dice contra Nero imperadore: "Ben sapemo
quante rovine fece ardendo Roma, uccidendo/ tagliando/ i parenti, tagliando/ et
uccidendo/ il fratello, e sparando la
madre". Altressì fue malitioso facto il qual racconta
Eurifiles di Medea, che stava scapigliata tra'monimenti et
ricogliea ossa de morti. ¶ Ogimai à detto lo sponitore
sopra il testo di Tulio come noi potemo mettere il nostro
aversario in odio o in malavogliença del'uditore. Da quinci
innanzi diceremo come noi li potremo mettere loro in invidia.
De quattro cose si rende
invidioso
I n invidia dicendo la loro
força, la potentia, le ricchezze, il parentado e le pecunie, e
la loro fiera maniera da non sofferire, et come più si fidano
in queste cose ke nella loro causa.
Sponitore
N oi potemo conducere i nostri
aversarii in invidia et in disdegno delgli uditore se noi
contiamo la força del corpo et dell'animo loro ad arme et
sanza arme. Et la potentia, cioè le dignitadi. E le servi et
ancille et posessioni, le pecunie, cioè sono denari/ auro et
argento/, e'l parentado, cioè schiatte,
legnaggio, parenti et seguito di genti, in cotal modo che noi
diceremo come i nostri aversarii usano queste cose malamente
et increscevolemente con male et con superbia, tanto che
sofferire non si puote, così disse Salustio a' Romani: "Ben
dico che Katellina è'stracto d'alto legnaggio, et à grande
força de cuore et de corpo, ma tutto suo podere usa in
tradimento et distructioni de terre et de genti". Così disse
Katellina contra Romani: "Appo loro sono li honori e le
potentie, ma a noi anno lasciati i pericoli, e le povertadi".
¶ Et ora è detto de la'nvidia contra nostri aversarii; sì
dicerà il conto come noi li potemo mettere in dispregio.
Di quanto cose si recce in
dispregio. Testo.
I n dispregio/ degli
uditori/ saranno messi dicendo che
sieno sanza arte, neghiottosi, lenti, et che studiano in
cose disusate, et sono otiosi in luxuria.
Sponitore
N oi potemo mettere i nostri
aversarii in dispetto/ delgli uditori/, cioè fargli tenere a vile et a neente, se noi
diceremo che sia huomini nesci sanza/ arte e/ senno et sanza arte, di neuno huopo e da neuna
cosa; o che sono neghiottosi, che tuttora si stanno et dormono
et non si muovoni se non come per senno; et diceremo che sono
lenti et tardi a tutte cose. O diceremo che studiano in cose
che non sono dane mio uso ne d'alcuna utilità, et diceremo che
sono otiosi in luxuria, dando força ed opera de troppo
mangiare, in ebriare, in puttane/ meretrici/, in giuocho et in
taverne. ¶ E ora à detto uditori/ il conto/ come noi potemo acquistare la benivoglienza
dell'uditore da la persona de'nostri aversarii mettendoli in
odio et in invidia et in dispetto, e à insegnato come si puote
ciò fare. Omai tornerà a la materia per dicere come s'aquista
benvoglienzia dalla persona dell'uditore, et questo è il terço
luogo.
Come s'aquista benivoglienza de
la persona de l'uditore
D a la persona del'uditore
s'acquista benivolença, dicendo che tutte cose sono usi di
fare fortemente et saviamente, et mansuetamente, et
dicendo quando sia di loro honesta credenza, e quando sia
attesa la sententia e l'autoritade loro.
Sponitore
N oi potemo acquistare
benivolenza del'uditori dicendo che buone pertenenze delle
loro persone et lodando le loro opere, per fortezza et per
franchezza, et per prodezza, et per senno et per mansuetudine,
cioè per misurata humiltade, dicendo come la gente crede di
loro tutto bene et honestade, et come la gente aspetta la loro
sententia sopra questo facto, credendo/ fermamente/ che la
loro sententia sia sì giusta et de tanta auctoritade che in
perpetuo si debbia così observare ne' simili convenenti di
forte fatto. Tulio lodò Cesare dicendo: "Tu ai domate le genti
barbare et vinte molte terre et sottoposti ricchi paesi per
tua fortezza." ¶ Di senno il lodanò et medesimo parlando di
Marco Marcello: "Tu nell'ira, la quale è molto nemica di
consiglio, ti ritenesti a consiglio". ¶ Di mansueto facto il
lodò Tulio dicendo: "Tu nella victoria, la quale naturalemente
adduce superbia, ritenesti mansuetudine." ¶ D'onesta credenza
il lodò Tulio in questo modo: "Cesare volle alcuna fiata male
a Tulio, ma tutte volta il ritenne in sua corte. Et non
pertante Tulio era sì turbato in sè medesimo che non potea
intendere a rethorica sì come solea, infino a tanto che Cesare
li rende sua gratia. Et in ciò disse Tulio: "Tu ai renduto a
me et alla mia primiera vita l'usanza che tolta m'era, ma in
tutto ciò m'avea lasciata alcuna insegna per bene sperare." Et
in questo dicea perchè l'avea ritenuto in corte, si chè
tuttora avea buona sperança/ credenza/ d'attendere la sua buona sententia, lodò Tullio
Cesare parlando de Marco Marcello: "La sententia ch'è ora
attesa da te sopra questo convenentia non tocca pur ad una
cosa, ma dee convenire a tutte le somiglianti, perciò che
quello che voi giudicaverete di lui atterranno tutti gli altri
per lui." ¶ Or è detto come s'acquista benivolentia da le
persone delgli uditori; sì dicerà Tulio com'ella s'acquista
dalle cose.
Come s'acquista benivolentia da
quelle cose
D a esse cose se noi per
lode innalçeremo la nostra causa, et per dispetto
abasseremo qualla delgli aversarii.
Sponitore. Ser B.L.
N oi potemo avere la
benivolentia del'uditori da esse cose, cioè da quelle sopra le
quali sono le dicerie, dicendo le pertenenze di quelle cose in
loda de la nostra parte, et in dispetto, et in abassamento
dell'altra. Sì come disse Pompeio confortando la sua gente
alla guerra de Cesare: "La nostra causa è piena de diricto et
di giustitia, perciò ch'ella è milgliore che quella de'nemici,
ne dà ferma speranza d'avere Dio in nostro adiuto."/ Brunetto
translates speeches from Cicero and Sallust, separately, which
also give this "just war" argument./ ¶ Et
oggimai à divisato il conto le quattro luogora de le quali si
colglie et acquista la benivolenza, molto apertamente et a
compimento. Sì ritornerà a dicere come noi potemo fare
l'uditore intento.
Come si fanno intenti gli
uditori. Testo
I ntenti li faremo dimostrando
che in ciò che noi diceremo sieno cose grandi, o nuove, o non
credevoli, o che quelle cose toccano a tutti, o a coloro che
l'odono, o a li quanti huomini illustri. O a li idii
immortali, o a grandissimo stato del comune. O se noi
profferremo di contare brievemente la nostra causa. O se noi
proporremo la giudicatione, o le iudicatione se sono piusori.
Sponitore
A vendo Tulio dato intero
insegnamente d'acquistare la benivolença di quelle persone
davanti cui noi proponemo le nostre parole, sì che l'animo
loro s'invii et diriçi in piacere di noi et de la nostra
causa. E che siano contrarii et malvolenti a li nostri
aversarii, sì vuole Tullio medesimo in questa parte del suo
testo insegnare come noi potemo nel nostro exordio, cioè nel
prologo et nel chominciamento del nostro dire, fare intenti
coloro chen dono, sì che noi vogliamno acchetare i loro animi
et stare a udire la nostra diceria. Et questo potemo noi fare
in molti modi di quali sono specificati nel testo davanti, et
in altri simili casi. Et posso ben dire manifestamente che
ciascuna persona sarà intenta et starà ad intendere se io nel
mio cominciamento dico ch'io voglia tractare de cose grandi et
d'alta materia, sì come fece il buono autore recitando la
storia d'Alexandro, che disse nel suo cominciamento: "Io
diviserò et reconterò così alto convenente come di colui che
conquise il mondo tutto et mise in sua segnoria."/This image
is particularly apt as Brunetto played the role towards Carlo
d'Angiò of Aristotle towards Alexander in the writing of Li
Livres dou Tresor and Dante was to place his teacher
within an Alexandrian context, amidst the hail of flames from
the Roman d'Alexandre./ Altressì
fia intento/ inteso/ s'io dica
ch'io voglia tractare de cose nuove et contrarie novelle. E
dicere ch'è avenuto et puote avenire per le novitadi che facte
sono, sì come disse Katellina: "Poi che la força del comune è
divenuta a le mani de la minuta gente et in podere del populo
grasso, noi nobili, noi potenti, noi a cui si convegnono gli
onori, siamo divenuti vile popolo et sanza honore et sanza
gratia et sanza auctoritade."/ This text
has a contemporary ring; it is likely that Brunetto saw the
Catiline conspiracy against Rome as a model for that of Farinata
and his fellow aristocratic Ghibellines against Florence./ Altressì fie intento s'io dico ch'io volglia
tractare de cose non credevoli, sì come disse il santo: "Il
mio dire sarà de le benedetta donna, la quale ingenerò et
partorie il figliuolo essendo tuttavolta intera vergine
davanti et di poi"; la quale è cosa non credevole, perciò che
pare essere contra natura. Et sì come diceano i Greci: "Non
era cosa da credere che Paris avesse tanto folle ardimento che
venisse ne la nostra terra a rapire Elena." ¶ Altressì fia
intento s'io dico che'l convenente sopra il quale de essere il
mio parlamento toccha a tutti coloro che l'odono. Sì come
disse Cato parlando della congiuratione di Katellina:
"Congiurato ànno i nobilissimi cittadini di incendere et
distruggere la patria nostra, e'l loro capitano ne sopra capo.
Adunque pensate che voi dovete/ compensare
che voi dovete/ sententiare de'crudelissimi
cittadini che sono/ presi/ dentro alla cittade"./Brunetto
Latini translated this oration into Italian./ ¶ Altressì fia intento s'io dico che la mia
diceria toccha ad a li quanti huomini illustri, cioè di gran
pregio et d'alta nominanza intra le genti. Sì come disse
Pompeio parlando de la battaglia civile: "Sappiate che l'arme
de' nemici sono appostate per abbattere l'alto et glorioso
senato". ¶ Altressì fia intento s'io dico che le mie parole
toccano a li dii. Sì come fue detto de Katellina, poi ch'elgli
ebbe conceputo de fare cotanta iniquità: "Ma elli gridava
ch'appena li dii di sopra potrebbero oggimai trarre il popolo
de le sue mani". ¶ Altressì fie intento s'io dico nel
cominciamento/ principio/ de
dire la mia causa brievemente o in poche parole. Sì come disse
il poeta per contare la storia de Troia:/ Io dirò la
somma, come Elena fue rapita per solo inganno e come Troia/ "Per solo inganno fue presa et abattuta". ¶
Altressì fia intento s'io nel mio exordio propongo la
giudicatione una o più, cioè quella sopra che infondare/ io voglio
fondare/ il mio dire e fondata/ fermerò/ la mia provanza, si come fece Orestes, dicendo:
"Io proverò che giustamente uccisi la mia madre, imperciò
che'l dio Appollo lo mi à comandato, et perciò ch'ella uccise
il mio padre". ¶ Et di tutti i modi per fare l'uditore intento
potemo noi colgliere exempli in queste parole che disse Tullio
a Cesare parlando per Marco Marcello: "Tanta mansuetudine
inaudita et non usata pieta, e così incredibile et quasi
divina sapientia, in nessuno modo io posso tacere nè sofferire
ch'io non dica"./Brunetto Latini translated this
oration into Italian./ ¶ Et poi che Tulio à
pienamente insegnato come per le nostre parole noi potemo fare
l'uditore, intento sì dicere come noi lo potemo fare docile.
Come si fa l'uditore docile.
Testo.
D ocili faremo l'uditori se noi
proporremo apertamente et brievemente la somma de la causa,
cioè in che sia la controversia. Et certo quando tu vuoli fare
docile conviene che tu insieme lo facci attento, in perciò che
quelli è de gran guisa docile, il quale è attentissimamente
apparecchiato d'udire
Sponitore
Q uelle persone davanti cui io
debbo parlare posso io fare docili, cioè intenditori, de tutto
il facto: se io nel mio exordio, alla incomincianza de la mia
aringhiera, toccho un poco del facta sopra'l quale io dicerò,
cioè brievemente et apertamente/ dicendo/ la somma della causa, cioè quello punto nel quale
è la/ forza della/
contentione et della controversia. Così fece Salustio docile
Tulio, dicendo: "Con ciò sia ch'io in te non truovi modo nè
misura, brievemente ti rispionderò, che se tu ai presa alcuna
voluntà in mal dire, che tu la perda in male udire". Questo et
altri molti exempli potrei mettere per fare l'uditore docile,
sì come buono intenditore puote vedere et sapere in ciò ch'è
detto davanti. ¶ Et perciò che'l conto à trattato in adietro
de due maniere d'exordio, cioè de principio et d'insinuatione,
et à divisato ciò che si conviene dire nel principio per fare
l'uditore benivolo, docile et intento, sì dicerà
lo'nsegnamento della insinuatione in questo modo:
Quando è da usare Insinuatione.
O gimai pare che sia a dire come
si conviene tractare delle insinuationi. Insinuatione è da
usare quando la qualitade de la causa è mirabile. Cioè, sì
come detto avemo in adietro, quando l'animo dell'uditore è
contrario a noi; et questo adiviene maximamente per tre
cagioni. O che nella causa è alcuna laidezza, o coloro che
ànno detto davanti pare c'abbiano alcuna cosa fatta credere
all'uditore. O se in quel tempo si dà luogo a le parole,
perciò che quelli cui conviene udire son già udendo fatigati;
acciò che di questa una cosa, non meno che per le due
primiere, sovente s'offende l'animo del'uditore.
Sponitore
I n adietro è detto
sofficientemente come noi potemo acquistare la benivolenza
dell'uditore, et farlo docile et intento in quella maniera d'
exordio la quale è appellata principio. Oggimai è convenevole
d'insegnare queste medesime cose nella maniera d'exordio la
quale è appellata insinuatione. Et bene è detto qua indietro
che insinuatione è un modo di dicere parole coperte et infinte
in luogo di prologo. Et perciò dice Tulio che questo cotal
prolago indorato dovemo noi usare quando la nostra causa è
laida et dishonesta in alcuna guisa, la quale causa è
appellata mirabile, sì come pare in adietro là ove fu detto
che sono .v. qualitadi delle cause, cioè honesta, mirabile,
vile, dubitosa et oscura. Et buonamente nelle quattro ne
potemo noi passare per principio; ma in questa una, cioè è
nell mirabile, ne conviene usare insinuatione per sotrarre
l'animo del'uditore et tornare in piacere di lui et in gratia
quello che pare essere in suo odio. Adunque ne conviene vedere
in quanti et quali casi la nostra causa puote essere mirabile,
et poi vedere come ne potemo contraparare a ciascuno. E sono
tre casi. Il primo caso si è quando nella causa sie alcuna
laidezza per cagione de mala persona, o di mala cosa; chè al
ver dire molto si turba l'animo del'uditore contra un reo
huomo et per una malvagia coas. Il secondo caso è quando il
parliere c'à detto davanti à sì et in tal guisa proposta la
sua causa, ch'è intrata nell'animo del'uditroe et pare già che
la creda sì come cosa vera; per la quale cosa l'uditore, poi
che comincia a credere le parole che l'una parte propone et
estima che la sua causa sia vera, appena si puote raducere a
credere la causa dell'altra parte, anzi sene strana et
allunga. ¶ Il terço caso è d'altra maniera: che sovente aviene
che quelle persone davanti cui noi dovemo proporre la nostra
causa et dire i nostri convenenti ànno lungamente udito et
stati a intendere altri che ànno detto assai et molto et prima
di noi. Onde l'animo dell'uditore è faticato sì che non vuole
nè agrada lui/ d'intendere/ le nostre parole. E questa è una
cagione che offende l'animo del'uditore non meno che l'altre
due. Et perciò conviene al buono parliere mettere rimedio de
parole incontra ciascuna caso contrario, secondo
lo'nsegnamento di Tulio.
In che modo sì dee procedere ne la causa laid acciò
che la laidezza si parta. Testo.
D ella laidezza de la causa a
l'offensione, conviene mettere per colui di cui nasce
l'offensione un altro huomo che sia amato. O per la cosa nella
quale s'offende un'altra cosa che sia provata. O per la cosa
huomo. O per huomo cosa, si chè l'animo del'uditore si
ritraggha da quello che innodia in quello ch'elgli ama; et
infignerti di non difendere quello che pensano che tu vogli
difendere. Et così poi che l'uditore fie più allenito intrare
a difendere a poco a poco. Et dicere che quelle cose, le quali
indegnano gl' aversari, a noi medesimi paiono non degne. Et
poi che tu averai allenito colui ke ode, dei dimostrare che
quelle cose non tiene a te neente, et negare che tu non dirai
neuna/ alcuna/ cosa delgli
aversarii, nè questo nè quello, sì ch'apertamente tu non
dannaggi coloro che sono amati, ma oscuramente facciendolo
allunghi quanto puo da lloro la voluntade dell'uditore; et
proffere la sententiia d'altri in somiglianti cose, o da
auctoritade che sia dengna d'essere seguita. Et appresso
dimostrare che presentemente si tracta simile cosa, o maggiore
o minore. Sponitore I n questa parte dice Tullio che, se
ll'uditore è turbato contra noi per cagione della causa nostra
sia o che paia laida per cagione de mala persona o di mala
cosa, allora dovemo noi usare insinuatione nelle nostre parole
in tale maniera, che in luogo de la persona contra cui pare
crucciato l'animo del'uditore noi dovemo recare un'altra
persona amata et piacevole all'uditore, sì che per cagione et
per coverta della persona amata e buona noi rappaghiamo
l'animo del'uditore ritraiallo del cruccio c'avea contra la
persona che lui sembrava rea; sì come fece Aiax nella causa de
la tencione che fu intra lui et Ulixes per l'arme ch'erano
state d'Achilles. Tutto fosse Aiax un valente huomo dell'arme,
non era molto amato da la gente nè temuto de buona maniera. Ma
Ulixes, per lo grande senno che in lui rengnava, era molto
amato. Onde Aiaxx, volendosi contraparare, nel suo dicere
ricordò com'elgli era nato di Telamone, il quale altra fiata
prese Troia, al tempo del forte Hercules/Herode/. Et così mettea avanti la persona amata et
gratiosa in luogo di sè et in suo aiuto, per piacere a la
gente e per avere buona causa. Et quando la causa è laida per
cagione de mala cosa, sì dovemo noi recare nel nostro
parlamento un'altra cosa buona et piacevole; sì come feve
Katellina scusandosi della congiuratione che facea in Roma,
che mise una giusta cosa per coprire quella rea, dicendo elgli
"E stata mia usanza di prendere a datare li miseri nelle loro
cause." Nonne finito il libro ma non sine truova più
volgariçato, ma a seguire l'ordine cominciato dovrebbe seguire
ancora chiosa ne la quale dichiaresse come si mette la cosa
per l'uomo et l'uomo per la cose. Siegue ora quelle che
volgariço l'abate Guidotto
Qui comincia la Rethorica Nuova di Tulio traslata de
gramatica in volgare per frate Guidotto da Bologna./Fra
Guidotto da Bologna, Fiore di Rettorica, dedicated to
King Manfred of Sicily, written between 1254-1266, a Ghibelline
work: Maggini, Primi Volgarizzamenti, p. 3; Witt notes
of it that it is a loose translation of the work formerly
ascribed to Cicero, the Ad Herrenium, p. 7.
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Twice-Told Tales: Brunetto Latino and Dante Alighieri. New York: Peter Lang, 1993. xiv + 552 pp. Reviewed: Speculum; Parergon; Annali italianistica. ISBN 0-8204-1954-0. IN STOCK
Il Tesoro di Brunetto Latino, Maestro di Dante Alighieri, Il Tesoretto, Il Tesoro, Firenze: Regione Toscana, 2021. 428 pp.
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Le Opere di Brunetto Latino, Maestro di Dante Alighieri, La Rettorica, Il Tesoretto, Il Tesoro, Scribi, Guido Cavalcanti, Dante Alighieri Franciscus de Barberino?. A cura di Julia Bolton Holloway, Saggi di Richard Mac Cracken, Nicolino Applauso, Renato Stopani, Alison Stones, Sonia Minutello, David Napolitano, trascrizione di Michele Amari, trad. di Rosalynd Pio, Firenze: Regione Toscana. MLA Seal, Scholarly Edition.
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