LA CITTA` E IL
LIBRO III
ELOQUENZA
SILENZIOSA:
VOCI DEL
RICORDO INCISE NEL
CIMITERO
'DEGLI INGLESI',
CONVEGNO
INTERNAZIONALE
3-5 GIUGNO
2004
THE CITY AND THE BOOK III
INTERNATIONAL CONFERENCE
'MARBLE SILENCE, WORDS ON
STONE:
FLORENCE'S 'ENGLISH
CEMETERY',
GABINETTO VIEUSSEUX AND
'ENGLISH CEMETERY', FLORENCE
3-5 JUNE 2004
ALLA RICERCA DI ‘FIORENTINI’ DI ALTRE CULTURE NEL CIMITERO ‘DEGLI INGLESI'/ OTHER 'FLORENTINES' IN THE 'ENGLISH' CEMETERY
Religione, nazione, affari: Il patrimonio della memoria nella comunità svizzera di Firenze/ Religion, Nation, Commerce: Memory as Heritage Among the Swiss in Florence Alessandro Volpi, Università di Pisa || 'Sotto i mirti della dolce Italia': I russi/ 'Beneath the myrtles of sweet Italy': The Russians Michail Talalay, Russian Academy of Sciences || Da Mosca a Firenze: i Kudrjavcev e l’Italia/ From Moscow to Florence: The Kudriavcev and Italy Lucia Tonini, Università 'l'Orientale', Napoli||Le ragioni di una assenza, i motivi di una presenza: Polacchi e Ungheresi nel Cimitero 'degli Inglesi'/ Reasons for absence, motives for their presence: Poles and Hungarians in the 'English Cemetery' Luca Bernardini, Università di Milano || Gli Europei del Nord: dall'Olanda, dalla Scandinavia e dai Paesi baltici/ Northern Europeans: Holland, Scandinavia and the Baltic Countries Asker Pelgrom, Rijkuniversiteit Groningen, Olanda || Due sepolture al Cimitero ‘degli Inglesi’: una traccia per l’attività fiorentina di Félicie de Fauveau/ Two Tombs in the ‘English’ Cemetery: Vestiges of Felicie de Fauveau’s work in Florence Silvia Mascalchi, Istituto Statale d'Arte di Firenze || Robert Davidsohn, un autore della memoria storica di Firenze/ Robert Davidsohn, Historian of Medieval Florence Giuliano Pinto, Università di Firenze
RELIGIONE, NAZIONE, AFFARI: IL PATRIMONIO DELLA MEMORIA
NELLA COMUNITÀ SVIZZERA DI FIRENZE
ALESSANDRO VOLPI
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^* JEAN
DAVID MARC GONIN / SVIZZERA/ Gonin/ Giovanni/ Giovanni/ Svizzera/
Firenze/ 17 Gennaio/ 1828/ / 1/ Jean David Marc Gonin/ D25I
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* ANNA
CLA (BAZZELL) EGIA/ SVIZZERA/
Egia nata Bazzel/ Vedova
Anna/ Luigi/ Svizzera/ Firenze/ 25 Gennaio/ 1875/ Anni 78/
1296/ [Inscriptions in Romashj]/ Q.R./ ANNA CLA EGIA/ NATA
BAZZELL/ MORTA ALL'ETA D.ANNS LXXIX/ ANNO MDCCCLXXV/ ELLA
FUT/ LA PLU BUNA DELLAS MAMMAS/ E LA PLU ADURATA DELLAS
NONAS// MEIS PEI S'HA ARTIGNU VI'A/ SEIS FASTIZIS, EU HA
SALVA/ SIA VIA, E NON SUN/ GIUNGHI DA QUELLA/ GIOB.
XXIII.11// LA FIGLIA BARBLA ANDRI STUPAN/ ET IL ABIADIS/
ANNA, CLA, AISA E NINA/ METTETTEN QUAIS MARMI/ D23F
^* VALENTINO GRANDI/ SVIZZERA/ Grandi/ Valentino/ Giovanni/ Svizzera/ Pistoia/ 8 Settembre/ 1853/ Anni 80/ 514/ Valentin Grandi, Zelin, Canton des Grisons, en Suisse, domicilé a Pistoia, ancien Cafetier, fils de Jean Grandi/ Q85: 106 Paoli/ A VALENTINO GRANDI/ CUI SCENDENDO DA CELINO A PISTOIA/ DEE PROVA DI ONESTA OPEROSITA'/ D' INGEGNO COMMERCIALI E SPECULAZIONE/ MORTO OTTUAGENARIO IL DI OTTO SETTEMBRE 1853/ QUESTA MEMORIA DI LUI PONEVANO/ LA VEDOVA LUISA STARLAI E E GLI EREDI/ 514/ A3N(34)
Le mouvement d'émulation qui avait soulagé Corinne, pendant quelques instants, la conduisit encore le lendemain à la galerie de Florence; elle se flatta de retrouver son ancien goût pour les arts, et d'y puiser quelque intérêt pour ses occupations d'autre-lois. Les beaux-arts sont encore très-républicains à Florence.Madame de Staël, Le séjour à Florence, Corinne ou l'Italie
On 8 September 1853, at the venerable age of 80, Valentine Grandi died at Pistoia, a Swiss citizen who settled early in Tuscany, and who came to be buried in the English Cemetery in Florence where the widow, Luisa Starlai, had a stone sculpted with a linear profile and with an inscription that expresses a proud identity: 'To Valentine Grandi/ who came from Celino to Pistoia/ giving proof of honest work/ business acumen and speculation/ dying in his eightieth year, 8 September, 1853/ this memorial to him placed by his widow Luisa Starlai and the heirs'. It is an epitaph which could have been used for the biographies of many of the Swiss who had lived in the Lorraine Grand Duchy in the first decades of the nineteenth century and who had found their just repose in the Porta a' Pinti Cemetery.
Accanto a storici del calibro di Jacques Augustin Galiffe e a pittori di discreta fama come Salomone Guillaume Counis, ritrattista napoleonico, e Carlo Muller, nato nel cantone di Berna e morto di malaria in Maremma, freneticamente battuta alla ricerca di scorci suggestivi, la comunità degli svizzeri toscani fu infatti costituita in larga prevalenza da commercianti, o meglio da “negozianti”, termine a cui proprio il ginevrino Sismondi aveva contribuito a dare la dignità della professione decisiva per l’equilibrato sviluppo della società civile. Pochissimi erano al contrario i rentier e coloro che si dichiaravano semplicemente possidenti. I Dalgas, i Dufresne, i Gonin, i Pult, i Gilli, i Guerber, i Fent, i Kubli, i Sautter, gli Schmuts, i Wagniere, i Vieusseux, i Wital posero in essere una rete dalle maglie molto fitte dove la comune provenienza geografica e culturale era motivo di immediata vicinanza e di intrinseca collaborazione economica.
Firenze in tale prospettiva era un naturale centro di aggregazione perché rappresentava la città che più di ogni altra aveva espresso nei secoli, come scrivevano Sismondi e Constant, la capacità di essere realmente “borghese” e quindi di dare autorevolezza sociale ai mercanti. Inoltre aveva mostrato con continuità e intelligenza i segni della tolleranza religiosa, legata ad un connaturato cosmopolitismo, accogliendo appunto intere comunità di forestieri, senza chiedere mai ad esse una pesante prova di lealtà o di integrazione forzata. Per la staeliana Corinne l’essenza intima di Firenze era contenuta nelle innumerevoli chiese, mai opprimenti, capaci di riferire un senso religioso “popolare” che si mescolava con la profonda armonia della tradizione storica, ugualmente radicata nel gusto per le belle arti “tres-republicains”.
Qui, dunque, i mercanti svizzeri, provenienti soprattutto dal Cantone di Vaud e dai Grigioni, erano potuti giungere nella legittima speranza di reiterare il modus vivendi domestico, arricchito da una siffatta autorevolezza storica ma genuinamente nazionale sia nelle pratiche commerciali che in quelle confessionali. Il loro presentare tratti comunitari si concretizzava nell’evidente richiamo ad una peculiarità di cui proprio il commercio era segno qualificante; essere svizzeri significava percepire una dimensione economica in cui confluivano gli echi della severa moralità riformata e ciò diveniva marchio di credibilità. Ai prodotti smerciati si aggiungeva la fibra del mercante che li vendeva, responsabile del suo operato davanti ad un Dio non molto disposto a perdonare e ad un credo liberale altrettanto rigoroso nel pretendere il rispetto delle prerogative fondamentali dell’individuo. L’“art du négociant” era il termine usato dalla cultura ginevrina per indicare quello che non era un artificio, bensì una vocazione accuratamente coltivata, dove confluivano le tradizioni religiose e i nuovi doveri civili formulati dal gruppo di Coppet.
La pervicace sensibilità identitaria con cui Jean Pierre Gonin, imprenditore commerciale di famiglia ugonotta, assolse alla funzione di presidente del Concistoro della Chiesa evangelica riformata dal 1827 al 1846, dopo essersi adoperato per l’apertura di una cappella, di una scuola e del cimitero protestante, era la testimonianza chiara della sincerità della fede professata da un esponente di spicco della rete mercantile elvetica, che aveva convinto a versare fondi per la costruzione del luogo votivo molti suoi compatrioti commercianti, a cominciare dai Gilli, dai Wital e dai Dufresne. Proprio Augusto Dufresne, successore di Gonin alla guida del Concistoro avrebbe combinato un’efficacissima attività bancaria, con banco di famiglia e con ricche partecipazioni nella Cassa di sconto di Firenze e nel Banco Fenzi, alla perentoria difesa dell’autonomia della cappella svizzera messa a repentaglio nei primissimi anni cinquanta dalle iniziative del ministro degli interni Leonida Landucci, impegnato nel creare le condizioni per la firma di un Concordato con la S. Sede.1 Anche la famiglia Wital, giunta in Toscana alla fine del Settecento, si batté con forza per diffondere il culto evangelico riformato tra i clienti e i lavoranti dei propri magazzini, in particolare Charles Wital ricoprì a lungo la carica di “ispettore” del Cimitero protestante.
Altrettanto fecero i Gisepp e i Gaudenzi, originari del Cantone dei Grigioni e titolari di botteghe a Firenze, Prato e Pistoia. Giacomo Gaudenzio Salvetti aveva voluto essere ricordato utilizzando l’espressione eloquente di “ancien negociant” a testimonianza di un passato tanto glorioso quanto indefessamente laborioso. In una simile opera di tutela e di allargamento dell’appartenenza religiosa, i negozianti svizzeri si adoperavano non di rado anche assumendo le vesti di rappresentanti consolari della nazione, come accadde per Frédéric Bégré, nativo di Yverdon ed imparentato con i Wagnière, che sia a Roma sia a Firenze utilizzò gli strumenti della diplomazia commerciale per far valere il rispetto della fede professata dagli svizzeri. Sforzi analoghi pose in essere, nelle vesti di segretario della Legazione svizzera, March Schlaich, morto prematuramente, a soli 42 anni, nel 1867 e seppellito a Porta Pinti. La religione era garanzia di onestà e in quanto tale doveva essere “professionalmente” rispettata.
Se la credibilità personale doveva costituire da Raynal e dagli ideologues in poi il carattere irrinunciabile della figura mercantile, trasformandosi nella ben più economica categoria del credito, la devozione religiosa era infatti un requisito di riconoscibilità e una garanzia di affidabilità su cui gli svizzeri potevano contare tanto da esporre la “denominazione d’origine” sulle insegne delle loro botteghe, dove peraltro non era raro si trattasse delle recenti idee del costituzionalismo alla moda e delle regole del libero mercato. Così erano nate alcune delle drogherie più conosciute di Firenze, come “l’Elvetico” della famiglia Wital sito in Borgo degli Albizi, “l’Elvetichino” in Piazza Duomo, il “Caffè degli Svizzeri” in Piazza S. Croce, “Il Panone” aperto da Angelo “Fint” Fent, il caffè Gilli in Via Calzaioli e quello dei Pult in Via della Vigna. I Gilli, in particolare, erano una famiglia di svizzeri engadinesi che avevano dato vita ad una piccola bottega a Firenze fin dal 1773, acquistando in seguito grazie agli introiti di una fortunata attività che serviva molti correligionari altri fondi in via degli Speziali;2 la loro integrazione nella realtà fiorentina li aveva condotti nella primavera del 1848 a stipulare alcuni contratti con l’amministrazione comunitativa per concedere ad essa prestiti destinati a finanziare l’ingente deficit del bilancio comunale.3 Un gesto che non avrebbe in alcun modo giovato ai Gilli, visto che nel 1850, il restaurato governo lorenese non solo non provvide alla restituzione del prestito ricevuto, ma pretese anche il pagamento delle tasse poste su tali crediti.4
I “caffettieri” e i pasticcieri di provenienza svizzera risultavano una vera e propria colonia, i cui membri erano spesso imparentati tra loro e pronti a darsi reciproca occupazione, attratti da una città come Firenze dove proprio la forte vena “turistica” creava ampi spazi per i mestieri del “saper vivere” e della ristorazione; erano registrati come appartenenti a tali professioni nella documentazione ufficiale della comunità fiorentina Antoine Bardola, Giovanni Battaglia, Giovanni e Luzio Bazzel, Jean Bischoff, Nicolas Bossi, Giacomo Melchior Brun “maitre d’hotel”, Antoine Buol, George Gasparis, Adam Doenz, Joseph Geng, Francoise Gruaz Lanzel, Andre Kaismann, Thomas Manni, tutti sepolti nel Cimitero degli inglesi. Dichiaratamente nazionali, questi mercanti, che tenevano esplicitamente alla qualifica di “borghesi”, provvedevano i numerosi membri della colonia del bene primario per eccellenza e certo non acquistabile altrove in modo altrettanto convincente, il cioccolato, di cui detenevano il monopolio naturale, propagandone il consumo fra fiorentini e golosi forestieri. L’esistenza di luoghi di sociabilità e di ritrovo tanto palesemente connotati diveniva un elemento di forza per definire in modo ulteriore il senso di appartenenza della comunità svizzera, per permetterle di conservare i propri costumi anche in una delle capitali culturali europee; al tempo stesso, rappresentava una rete aperta per accogliere gli svariati contributi del multiforme genius loci. La produzione tipica era elemento di specificità, di coesione e, parimenti, di attrazione. Non era casuale pertanto che dietro i banconi delle caffetterie si combinassero matrimoni destinati a durare: come avvenne per le famiglia Stuppan, conosciuta poi con il nome di Stoppani, che si era legata ai Tones a loro volta imparentati con i Gisepp, tutti rigorosamente impegnati a confezionare splendidi dolciumi.
Ugualmente avveniva nel caso del commercio della paglia, che aveva visto il trasferimento di molti piccoli produttori elvetici in Toscana, dove avevano stabilito strette relazioni con gli artigiani cittadini senza recidere il legame con Wohlen e con le dinastie dei “signori della paglia”.5 Con queste famiglie di mercanti erano giunte a Firenze anche moltissime giovani intenzionate a trovare occupazione come domestiche presso le famiglie benestanti della capitale e un gran seguito di "lavoranti" disposti ad impiegarsi senza eccessive pretese, molto spesso, raccontava Giuseppe Conti nelle colorite pagine di “Firenze vecchia”, inseriti nelle fila dei facchini che lavoravano incessantemente presso la dogana di Palazzo vecchio; due componenti destinate a rendere la comunità degli svizzeri estremamente differenziata sul versante delle fortune economiche, senza che ciò ne indebolisse in alcun modo la forte coesione interna. Tale unità del resto era spesso cementata dalla presenza di numerose istitutrici che avevano studiato in molti casi a Vevey ed erano utilizzate, come avveniva per la richiestissima Fanny Genand, da più famiglie contemporaneamente. A Firenze venivano così decisamente stemperati i contrasti che si erano manifestati in Svizzera dopo il tentativo avviato fin dal 1817 da parte delle Compagnia dei Pastori di Ginevra di soffocare il dibattito teologico; un tentativo che aveva provocato il netto distacco dei riformati della Chiesa del Vaud e aveva alimentato i dissensi della nuova ortodossia del “Risveglio”, coltivati da pastori come Gaussen e Galland non troppo ben visti a Firenze proprio per la loro verve polemica.
Al cioccolato, alla paglia si univa il mercato dei titoli bancari, delle cambiali, delle nascenti assicurazioni, in cui i Dufresne, i Gonin, i Dalgas avevano un ruolo fondamentale, stringendo alleanze familiari e societarie sia all’interno del gruppo svizzero sia con le grandi case fiorentine a partire dai Fenzi. L’idea di un sistema ramificato di relazioni personali, tipico delle economie di primo Ottocento, era consolidata nei mercanti svizzeri dalla duplice coscienza di essere membri di un sinedrio, a cui spettava il compito di garantire la crescita comune, e di dover procedere ad un’opera costante di evangelizzazione, aprendosi all’esterno. Dopo le tragedie della rivoluzione francese, abbattutesi sulle città svizzere, scrittori come Delolme, Constant, Bonstetten e la Stael avevano maturato la convinzione che a questi impegni fosse necessario aggiungere quello dell’affermazione della libertà individuale nei termini del presidio dagli abusi dell’autorità istituzionale legittimata soltanto dal divenire dell’eticità della storia. La “ricchezza commerciale” era uno degli ambiti prediletti del cammino storico perché avveniva unicamente in tempo di pace, secondo la definizione di Lampredi, di Condillac e di Condorcet, e perché promanava dalle condotte morali degli attori mercantili: religione, affari e nazione non erano separabili per gli svizzeri dell’Ottocento.
Queste erano le ferme convinzioni di Giovan Pietro Vieusseux che si era adoperato per declinare l’attività commerciale in chiave libraria, dedicandosi al mercato delle produzioni in grado di svolgere un’azione pedagogica che trasformasse i propri fruitori in cittadini morali e civilmente nazionali. Certo non a caso per fare ciò aveva scelto di inserire nel primo Catalogo della sua Biblioteca circolante quasi per intero la letteratura, la politica e l’economia dei ginevrini, persuaso che i codici di condotta preparati a Coppet non valessero solo per la città del Lemano, ma fossero i testi di una rinnovata religione della libertà europea. La comunità svizzera era in tal senso un circuito di fertili suggestioni, di dottrine, di merci che il suo essere coesa e alla costante ricerca di proseliti rendeva ospitale e facile da accogliere. Del resto, i contatti del mondo editoriale toscano con la Svizzera erano già decisamente fitti, a partire dai legami che vari librai fiorentini, come Giovan Francesco Bertolini, Giuseppe Pagani, Filippo Stecchi e Joseph Bouchard avevano con la Société typographique de Neuchatel,6 e dalle ricorrenti commissioni indirizzate da clienti toscane alla ditta Glaser, pressoché monopolista nella distribuzione delle Memorie e degli Atti delle varie società scientifiche elvetiche.
Jacques Augustin Galiffe, imparentato con numi tutelari della cultura ginevrina, come Charles Pictet di cui aveva sposato la figlia e Augustin de Candolle, ed esperto uomo di banca che aveva seduto negli organi direttivi delle principali Case inglesi, olandesi e tedesche, aveva persino qualificato l’attitudine all’accoglienza come tipica della cultura e della mentalità svizzere redigendo un ponderoso tomo relativo alla presenza degli “emigrati” italiani a Ginevra nel XVI e nel XVII secolo, nel quale la figura dell’esule acquisiva i contorni della risorsa preziosa per migliorare le sorti della sua località di destinazione qualora essa avesse saputo trasformare i differenti linguaggi religiosi in un formidabile laboratorio di progresso civile e di ampliamento degli orizzonti intellettuali. Galiffe, come Vieusseux e tanti altri mercanti svizzeri, individuava nel viaggio, nella lontananza dalla patria d’origine un elemento di miglioramento individuale e di crescita collettiva che proprio l’associazione del commercio con il tollerante tessuto di relazioni personali e intellettuali da esso poste in essere consentiva di valorizzare a pieno. L’assonanza di Galiffe con Vieusseux, peraltro, non poteva essere in tale prospettiva più evidente; per entrambi i confini dell’attività mercantile come pratica di civilizzazione comune dovevano espandersi fino a comprendere parti ancora incoerenti rispetto al ceppo del liberalismo europeo a cominciare dalla Russia, dove Galiffe collaborò a lungo con la Banca de Rall, e per entrambi il sistema degli scambi avrebbe dovuto essere ricondotto nell’alveo della tutela delle libertà individuali, così da non violare proprio la indispensabile omogeneità dei popoli civili.
Commercio ed evoluzione verso forme di governo costituzionale erano per lo storico ginevrino, convinto ammiratore del sistema inglese, i due capisaldi della formazione di una moderna società “aristocraticamente borghese” e l’indipendenza della città del Lemano dalla Francia costituiva nel suo pensiero il paradigma della tutela del sentimento nazionale nei suoi multiformi aspetti, fondati in primis sulla tolleranza, contro ogni genere di abuso e di pregiudizio. Per simili ragioni, Galiffe mostrò in più occasioni di non accettare nessuna forma di dogmatismo confessionale qualora esso avesse condotto a fratture nel corpo sociale della cittadinanza.7 Come per Vieusseux, tale idea di cittadinanza si basava prima di tutto sulla forza delle istituzioni di rappresentarla e sulle capacità coesive dei vari nuclei familiari, non a caso oggetto da parte di Galiffe di un ampio e minuzioso studio volto a rintracciare le fila della complessa genealogia dei ginevrini.
Un dato centrale in questo processo di amalgama, peraltro, era costituito dalla francofonia dei nuclei svizzeri trapiantati a Firenze che comportava non solo una naturale semplificazione dei contatti con le élites commerciali e culturali italiane e, ovviamente, transalpine di passaggio per la capitale granducale, ma parimenti una avvertibile omogeneizzazione in termini di modello politico ed economico. Anche da un simile punto di vista, l’azione di Vieusseux fu estremamente significativa attraverso la diffusione di edizioni di opere e di giornali pubblicati in gran parte a Parigi in cui comparivano sia il patrimonio ideale ginevrino che le tracce del suo recepimento da parte della cultura europea in un corpus sostanzialmente unitario e genericamente qualificabile come liberale dove la piena affermazione della tolleranza tentava di cancellare le discriminazioni a partire da quelle religiose; proprio Ginevra e Firenze rappresentavano in questa prospettiva i due vertici di un triangolo che trovava compimento a Parigi e il “tourismo” risultava essere in tale perimetro un flusso inesauribile di idee.
La sostanziale omogeneità culturale maturata nei vari ambienti sociali e intellettuali fiorentini e il clima di tolleranza della Toscana di Leopoldo II, almeno fino al 1849, permisero un’integrazione sicuramente indolore per molti membri della comunità svizzera sul piano delle relazioni economiche e su quello più generalmente istituzionale. Ancora una volta risulta emblematica la vicenda di Jean Pierre Gonin, a lungo punto di riferimento di essa. Dopo aver accumulato una discreta ricchezza nel settore dei cappelli di paglia, come notava sbalordito lo stesso granduca - “dal 1818 al 1826 la Casa Gonin trafficò di cappelli di paglia per la somma di 16 milioni di lire”8 -, aveva investito una parte significativa dei propri capitali nella manifattura della seta prima legandosi ad Augusto Guerber, anch’egli svizzero ed evangelico convinto, nella Guerber, Gonin e C., ditta con relazioni a Parigi e a Berna, e poi dando vita sul finire degli anni trenta ad una società in accomandita insieme ai fratelli Mazzei e a Filippo Riva. Tale iniziativa, che aveva impegnativi tratti imprenditoriali, disponeva di 650 telai e di un capitale di 3 milioni di lire fiorentine, versate per due terzi, e si proponeva di realizzare un’attività di vaste proporzioni a ciclo integrato, in cui erano comprese le filande a vapore, i torcitoi e la tessitura, con l’obiettivo di trovare sbocchi ai tessuti lavorati sui grandi mercati internazionali.9
Nel 1842, lo stesso Jean Pierre Gonin, nelle vesti di “notabilità dell’industria serica”, aveva partecipato con diversi negozianti della capitale, tra cui figurava il francese riformato Gustavo Mejéan, alla Commissione incaricata di preparare la Fiera della seta tratta, che avrebbe dovuto agganciarsi alla rinomata fiera di Senigallia.10 Ciò non gli impediva, comunque, di mantenere un proficuo interesse sul versante della paglia, qualificandosi come “fabbricante di trecce” all’Esposizione industriale di Firenze del 1841,11 di aprire un banco di sconto, dove dedicarsi al lucroso commercio cambiario, in particolare per approvvigionare di mezzi di pagamento i mercanti svizzeri che agivano sulla piazza fiorentina, e di entrare nel 1841 nel consiglio di amministrazione della Società della Strada Ferrata Leopolda. Nella medesima prospettiva la Guerber, Gonin e C., aveva preso parte all’azionariato della Cassa di Sconto di Firenze fin dalla sua costituzione, avvenuta nel 1826, inserendosi nella cordata di negozianti evangelici che avevano messo i loro capitali a disposizione dell’iniziativa e che comprendeva i Dufresne, i Mejean, i Borel e i Muller.12 La partecipazione a questa impresa, che fu sicuramente una delle più importanti nella definizione dei caratteri del mercato finanziario toscano, contribuì in modo evidente ad avvicinare ulteriormente tali ditte al tessuto commerciale e finanziario della regione, favorendo accordi di lunga durata con le principali Case bancarie locali; così i Gonin e i Dufresne si legarono come corrispondenti privilegiati al Banco di Emanuele Fenzi, contribuendo al collocamento di titoli azionari e di partite dei vari debiti esteri.13
Parallelamente alla carriera professionale e ai già ricordati sforzi di proselitismo religioso, Gonin intraprendeva anche un cursus honorum nell’amministrazione lorenese come priore della terza borsa del magistrato comunitativo di Firenze,14 avendo ottenuto fin dal 1838 la “naturalizzazione” toscana della sua famiglia e risultando proprietario di “bei immobili nel fondaccio di S. Spirito e in via Maffia”.15 Nello stesso organismo aveva seduto una decina d’anni prima Adolfo Dufresne, ottenendo un analogo processo di cittadinanza.16 La rete degli intrecci tra evangelici svizzeri e commercianti fiorentini trovava un altro eloquente esempio nelle vicende della ditta “Cantini, Borgagni, Muller e C.”, una ditta serica che aveva ereditato il marchio di due precedenti società seriche appartenute a Vincenzo Borgagni e Filippo Cantini e liquidate nel 1820. In tale impresa Francesco Muller svolgeva funzioni di direttore commerciale mentre la metà del capitale sociale di 100 mila lire toscane era controllata dal banco di Luigi Wolff, creato nel 1819 come filiazione della società Senn e Guebhard, operante a Livorno e fondata da Pierre Senn.17 Quest’ultimo aveva sposato nel 1793 Jeanne Susanne Vieusseux, sorella maggiore di Giovan Pietro, e si era associato con Joseph Guigues, presso cui aveva lavorato il padre dello stesso Vieusseux, Pierre. Più tardi lo stesso Wolff avrebbe legato la propria ditta ai Wital, condividendo con loro una filiale modenese.
Esisteva dunque un sistema di relazioni in cui parentele familiari, vocazioni religiose e affari si intrecciavano coinvolgendo personaggi e ditte toscane che proprio nella coesione della comunità svizzera trovavano un allettante motivo di interazione: entrare in commercio con uno dei mercanti svizzeri significava, in fondo, stabilire contatti con molteplici altri soggetti a lui vincolati. Un esempio ulteriore in tal senso è offerto dalla vicenda di Cristiano Augusto Dalgas, discendente da una famiglia originaria di Losanna e a lungo ai vertici del commercio livornese in qualità di membro della Camera di commercio locale e di reggente della Cassa di sconto.18 La sua biografia testimonia peraltro della capacità dei vincoli confessionali di estendersi a più ambiti nazionali; i Dalgas infatti dalla Svizzera erano migrati a metà del Settecento in Danimarca integrandosi nella comunità francese riformata, nell’ambito della quale Jean Marc Dalgas divenne uno dei più conosciuti pastori protestanti. Due dei suoi dieci figli si trasferirono in seguito a Napoli mentre Cristiano Augusto sceglieva come destinazione Livorno, arrivandovi nel 1810 con l’ufficio di console di Danimarca e entrando poi a far parte, nel 1815, della Congregazione olandese-alemanna. Proprio quest’ultimo, sposatosi con Luisa Salvetti, discendente di una famiglia di negozianti fiorentini, si era posto alla testa di una cordata di mercanti svizzeri, tra cui i Senn e i Kotzian, per reperire capitali da far confluire nella già ricordata Banca di Sconto labronica, nata nel 1836 con l’apporto di risorse finanziarie di varie nazionalità, oltre che con i mezzi dei commercianti livornesi.
Ai Gonin era legato anche Vieusseux, che condivideva con loro l’amicizia con l’evangelica Matilde Calandrini, a cui Jean Pierre Gonin aveva versato fondi per l’apertura dell’asilo fiorentino,19 e con la famiglia Forti.20 Nel 1827, Gonin aveva scritto proprio a Giovan Pietro Vieusseux e alla ditta livornese Castelli, a riprova dell’esistenza di una rete allargata di “svizzeri” e “toscani”, con il fine di chiedere una raccomandazione per “uno dei fratelli Mayer”, che avrebbe voluto impiegarsi con profitto presso una Casa commerciale italiana od estera, ventilando persino l’ipotesi di un’occupazione a New York.21 Gonin, Vieusseux e Matilde Calandrini erano poi amici intimi di un altro protagonista degli ambienti dell’aristocrazia fiorentina e dell’evangelismo riformato, il conte Piero Guicciardini, al centro di un costante scambio di opere religiose e non solo che non di rado Vieusseux e Gonin gli procuravano dalla Svizzera.22 Del medesimo gruppo faceva parte anche la famiglia Guerber, originaria di Berna e in società con i Gonin, che perse nel giugno del 1837 il proprio “capofamiglia”, come annunciava solennemente una missiva indirizzata dalla famiglia a numerosi amici, tra cui appunto Vieusseux, invitandoli a partecipare al rito dell’inumazione nel cimitero di Porta Pinti.23
Gli stessi personaggi erano intimi dei Borel, proprietari di una grossa Casa di commercio a Neuchatel, con filiali in Francia, a Firenze e a Napoli, dove Vieusseux pensava di potersene servire per la distribuzione dell’“Antologia”.24 Lettere di presentazione, favori personali, comune fede e durevoli amicizie componevano i caratteri di un circuito della tolleranza che quasi impercettibilmente produceva effetti di chiara mobilità sociale, ridefiniva originarie geografie di appartenenza e spingeva un’intera città in direzione di un cosmopolitismo per nulla artificiale, corroborando un’immagine già nitida ma soprattutto rendendola viva, reale e quotidiana.
La fiducia nei confronti dei riformati acquisiva i tratti della profonda omogeneità culturale nel caso del gruppo che faceva capo a Raffaello Lambruschini, ben felice di accogliere nelle sue fila lo svizzero Enrico Schneider, acceso seguace delle teorie pestalozziane. “Io pubblicherò - scriveva lo stesso Lambruschini sulle pagine della “Guida dell’Educatore” nel 1840, anno della sua conoscenza con Schneider – non solo notizie, ma ancora estratti delle opere tedesche d’Allemagna e di Svizzera le più magistrali in fatto di pedagogia”.25 Inserito nella redazione della medesima rivista proprio per trattare dei delicatissimi temi pedagogici con riferimento ai principali modelli europei, Schneider divenne rapidamente un ascoltato collaboratore dell’abate di S.Cerbone, tanto da suscitare l’interessamento di Niccolò Tommaseo, molto sospettoso verso qualsiasi posizione che non fosse di stretta osservanza cattolica romana. A rassicurarlo interveniva però lo stesso Vieusseux con un’ eloquente missiva dell’aprile del 1843 da cui era bandita qualsiasi riserva: “Lo Schneider – scriveva premuroso – è uno svizzero della scuola di Pestalozzi e Girard, di una trentina d’anni, vero tedesco per il lavoro, nato con la protuberanza della pedagogia, di cuore eccellente e molto amato dai bambini”.26
Come ha notato Giorgio Spini, l’integrazione di svizzeri pii, di cui Schneider era chiaro esempio, avveniva in Toscana all’interno di ambienti che coltivavano una tolleranza di matrice “sismondiana”, una dimensione civile della fede religiosa che non sempre coincideva del tutto con le fin troppo intransigenti convinzioni dei pastori della locale Chiesa elvetica a cominciare da Emile Demole, attaccato in più occasioni proprio da Lambruschini per il suo “oscurantismo”, e da Moise Droin, accusato di aver dimenticato gli insegnamenti di Naville per abbracciare la mistica del “risveglio”;27 se la religiosità doveva rappresentare lo strumento della pedagogia morale della nuova Europa, il suo impianto dottrinario non poteva contraddire l’esigenza di ampliare i confini ideali del senso comunitario. Lo stesso Droin, tuttavia, dopo aver aperto nel 1838 una Scuola dei Padri di famiglia, vi aveva accolto come insegnante proprio Ernest Naville, figlio del noto pedagogista, mostrando la chiara intenzione di non entrare in rotta di collisione con gli ambienti moderati che nei confronti della famiglia Naville mostravano una grande attenzione. Un analogo atteggiamento di mediazione fu posto in essere tra il 1843 ed il 1844 dal pastore ginevrino Charles Crémieux, venuto a soggiornare a Firenze e subito legatosi al gruppo di Lambruschini.28
In tale contesto, il cimitero restava l’unico segno d’identità da conservare gelosamente, e in modo legittimo, di fronte al processo di amalgama in corso, un luogo nazionale e familiare nel cuore di una città di cui, in vita, si era coscienti e spesso orgogliosi di essere parte integrante. Il cimitero è l’isola dei morti nel cuore urbano, rispetto al quale esso dispone di una silenziosa e rispettata exraterritorialità, che assicura la validità delle norme morali e religiose delle “nazioni” di origine dei sepolti, tornati ad essere cittadini di una fede identitaria e nazionalizzata appunto. Trovare sepoltura a Firenze significava appartenere alla grande vocazione cosmopolita partorita dall’illuminismo francofono ed era prova di un’acquisita integrazione, ma riunirsi nel piccolo Cimitero “degli inglesi” aggiungeva a ciò la trasmissione della memoria di una specificità che non si intendeva in alcun modo cancellare. Il luogo delle sepolture era ormai un pezzo del tessuto urbanistico e dipendeva in termini concreti dalle sue logiche; aveva però ripudiato a chiare lettere la natura del lazzaretto che segrega e divide per riunire in sé la capacità di essere autosufficiente, senza bisogno di ulteriori simboli di legittimazione come l’assoluta indissolubilità alle sedi del culto religioso e civile, avvicinandosi al tempo stesso al “regno della natura” sul modello inglese.
Era in grado inoltre di esprimere il sentimento collettivo di pietas e di profondo attaccamento alle storie di una comunità che andava al di là del freddo egualitarismo laicizzante, allentando tuttavia il culto del sublime neoclassico e la vena pedagogicamente civile del monumento funebre. L’impianto circolare e i segni del conosciuto giardino domestico parevano essere in tal senso l’espressione formale di simili prospettive pubbliche e private, accentuate nel caso della religiosità riformata da una sostanziale rarefazione della distanza fra i due piani. L’abbattimento delle mura cittadine attorno al cimitero e le ipotesi ventilate da Giuseppe Poggi di costruire una sorta di cinta rocciosa rafforzavano l’immagine romantica delle sepolture di Porta a Pinti come sublimazione della “pallida mors” in un ambiente naturale, recintato e accogliente al contempo, di cui il dolore di Arnold Boecklin per la morte della figlioletta lì sepolta aveva sottolineato soltanto le inquietudini dovute all’evidenza della fine del tempo.29
Qui le famiglie si ricomponevano nella loro originaria integrità, riannodando fili che si erano dipanati in più direzioni e facendo appello al sentimento religioso per rivitalizzare i legami di sangue, sublimati nel decoro delle lapidi; un popolo vero e proprio, desideroso di ricongiungersi che nel caso degli svizzeri contava ben 433 sepolti, la comunità più numerosa dopo le 760 tombe degli inglesi. I Wital e gli Augier, imparentati tra loro per effetto di vari matrimoni, ricevevano sepoltura comune ed erano avvicinati dalla serenità degli addii, impressa sulla tomba di Joseph Augier e di Caroline Wital Augier, certi entrambi, con i passi di Matteo, della loro felicità eterna dopo una vita laboriosa. Il richiamo al Vangelo di Matteo, accostato ad un breve passo della lettera di S. Paolo ai Filippesi, compare anche nella bella tomba di Pierre Wagnière, dove l’affannoso respiro dell’esistenza è raffigurato da una clessidra posta tra due ali di pipistrello.
Ancora i Wital mostravano i propri intrecci con i Brun, e le lapidi della famiglia Dufresne, dei Guerber e dei Gonin parevano voler eternare una solidarietà ed un’intima fedeltà tanto importante nell’esistenza terrena.
Altri nuclei famigliari affidavano al rigoroso calore del cimitero “nazionale” il geloso ricordo dei loro bambini scomparsi prematuramente. Così accadeva per Louisa Ann e per Rodolfo Guglielmo Dalgas, seppelliti in curate tombe che parevano voler ispirare la più limpida serenità. “Laissez venir a moi les petits enfants”, si legge sulla tomba di Francois Emile Conod, morto a soli 5 mesi nel novembre del 1865 e posto accanto a Josephine Jenny Conod, scomparsa tragicamente due anni prima a 10 mesi. Qui hanno trovato riposo anche i tre figlioletti di Alberto Revel, membro di una delle famiglie più autorevoli della Chiesa riformata svizzera che in Jean Pierre Revel aveva avuto uno dei principali difensori del credo valdese “intransigente”. Qui, ancora, veniva seppellita la figlioletta di Ermanno Crastan e Anna Fent, Annine, scomparsa a soli 10 mesi. Per molti svizzeri, poi, la sepoltura fiorentina sembrava acquisire il carattere del pieno coronamento di un’esistenza animata dal perseguimento di finalità superiori, mai troppo materiali e sempre orientate a superare le angustie del particolare. Il “marmo bagnato dalle lacrime degli orbati genitori e degli infelici amici” avrebbe dovuto ispirare “ai posteri santi affetti” nel ricordo del giovane Andrea Mayer, sottratto a vent’anni “alla libertà dei cieli”, e l’asciutta epigrafe dedicata a Carlo Muller ne consacrava il piacevole sacrificio consumato nel “raffigurare i belli aspetti della natura”. Più severamente, Giovan Daniele Peyran era rappresentato nel solenne momento della dipartita “mentre studiava – a Firenze – teologia”. I profili geometrici delle tombe avvicinavano anche i molteplici membri della famiglia Hoffstetter, riunendo una piccola comunità di tedeschi che comprendeva gli Haupt e gli Heinzmann.
La memoria funebre racchiude in uno spazio proiettato verso l’alto dal piccolo rilievo collinare e dal profilo alberato una multiforme composizione di spiriti per i quali la religione e la fiorentinità assumevano i tratti del coronamento di una vocazione civile che aveva bisogno di una perenne testimonianza e di una felice trasmissione in una città dei forti connotati storicizzanti.
The funereal memory shuts up in a space towards the
top of the little hill with its profile of shadowing trees a
multiform composition of spirits for whom religion and
Florence assumed the traits of a crowning of a civil vocation
which needed an eternal witness and a happy transmission in a
city of such famous historical worthies.
NOTE
1 G.
Spini, Risorgimento e protestanti, Roma, Claudiana,
1998, p. 233.
2
G. Rossi, I caffè letterari in Toscana. Memorie di una
civiltà, Lucca, Pacini Fazzi, 1988, p. 58. Sul commercio e
sulla produzione del cioccolato cfr. F. Chiapparino, L’industria
del cioccolato in Italia, Germania e Svizzera. Consumi,
mercati e imprese tra ‘800 e prima guerra mondiale,
Bologna, Il Mulino, 1997.
3
Archivio Storico Comune di Firenze, 253, aff. 59, c. 694,
f. 105.
4
Ivi, 249, 34, 381, 6.
5
O. Rucellai, La paglia, intrecci svizzeri a Firenze,
Firenze, Polistampa, 2001.
6
R. Pasta, “Helvetia mediatrix”. Il mercato librario italiano
e la Société Typographique de Neuchatel, in Editoria e cultura
nel Settecento, Firenze, Olschki, 1997, pp. 252-253.
7
Utili notizie su Galiffe sono contenute alla pagina web:
http//.florin.ms/cemetery2.html.
8
Il governo di famiglia in Toscana. Le memorie del granduca
Leopoldo II di Lorena (1824-1859), Firenze, Sansoni, 1987,
p. 77.
9
R. Tolaini, Filande mercato e innovazioni nell’industria
serica italiana. Gli Scoti di Pescia (1750-1860), Firenze,
Olschki, 1997, p. 138, M. Scardozzi, Per l’analisi del ceto
commerciale fiorentino nella prima metà dell’Ottocento: i
setaioli, in “Quaderni storici”, 70, 1989, p. 255.
10
Archivio Storico del Comune di Firenze, 191, 3829, , 78, 42.
11
Archivio Storico del Comune di Firenze, 37, 11, 83, 66. Mirella
Scardozzi, proprio facendo riferimento alla Guerber, Gonin e C.,
ha sostenuto l’esistenza di una precisa pianificazione
commerciale da parte di alcune ditte fiorentine che puntava a
realizzare un contemporaneo commercio “transoceanico” di paglia
e seta, così da sfruttare possibili sinergie (M. Scardozzi, Per
l’analisi del ceto commerciale fiorentino, cit., p. 259).
12
A. Volpi, Banchieri e mercato finanziario in Toscana
(1801-1860), Firenze, Olschki, 1997, p. 34.
13
Ivi, pp. 168-169.
14
Archivio Storico del Comune di Firenze, 180, 33, 1839, 49.
15
Ivi, 186, 9650, 179, 271.
16
Ivi, 142, 98, 479 or.
17
M. Scardozzi, Per l’analisi del ceto commerciale fiorentino,
cit., p. 258.
18
V. Marchi, U. Canessa, Duecento anni della Camera di
Commercio nella storia di Livorno, I, Le radici, (1642- 1860),
Livorno, Debatte, 2001, pp. 304-326, A. Volpi, Banchieri e
mercato finanziario, cit., pp.
19
BNCF, Vieusseux 10, 200, lettera di Matilde Calandrini a G.P.
Vieusseux, s.d. 1834.
20
Ivi, Vieusseux 36, 138, lettera di Serine Forti a G.P.
Vieusseux, 11 agosto 1825.
21
Ivi, Vieusseux 41, 77, lettera di Jean Pierre Gonin a G.P.
Vieusseux, 28 gennaio 1827.
22
Ivi, Vieusseux, 44, 76, lettera di Piero Guicciardini a G.P.
Vieusseux, Vieusseux, 4 ottobre 1834.
23
Ivi, Vieusseux, 44, 30, lettera della “famiglia” Guerber a G.P.
Vieusseux, 14 giugno 1837.
24
Ivi, Vieusseux, 45, 23, lettera di Enrico Heckel a G.P.
Vieusseux, 12 febbraio 1826.
25
Due parole ai lettori, in “Guida dell’educatore”, 1840, V, p.
357.
26
Lettera di G.P. Vieusseux a N. Tommaseo, 5 aprile 1843, in Carteggio
Tommaseo-Vieusseux, III, I, 1840-1847, a cura di V.
Missori, Firenze, Le Monnier, 2002, p. 189.
27
G. Spini, Risorgimento e protestanti, cit., pp. 154-155.
28
Ivi, p. 160.
29
C. Sisi, Visita al cimitero romantico, in Viaggio di
Toscana. Percorsi e motivi del XIX secolo, a cura di M.
Bossi e M. Seidel, Venezia, Marsilio, 1998, pp. 99-119.
_______
a
comunità svizzera di Firenze ha manifestato nel corso della
sua storia un profondo legame con il cimitero degli inglesi
e la testimonianza più evidente di un tale legame è data dal
fatto che qui sono seppelliti ben 433 svizzeri, la seconda
comunità, appunto dopo le 760 tombe degli inglesi.
The Swiss community in Florence shows during the course of its history a very strong link to the English Cemetery and the most evident witness to that link is due to the fact that 433 Swiss are buried here, the second largest group after the 760 English graves.
Ma quello che più colpisce è il valore attribuito dagli svizzeri a tale sepoltura considerata il momento di ricomposizione delle famiglie e di piena riaffermazione di un’identità nazionale e religiosa. Essere seppelliti nel piccolo cimitero di Porta a Pinti significava infatti essere partecipi della vocazione cosmopolita di Firenze, condividerne la grande capacità di essere luogo di tolleranza, di consolidata coscienza civile e patrimonio artistico mondiale, ma al tempo stesso garantiva una felice extraterritorialità rispetto alla natura italiana della città; una extraterritorialità che lasciava in vita le preziose appartenenze nazionali, tramandandole attraverso le lapidi non certo pensate per i fiorentini bensì per la memoria di una comunità domestica.
But what is most striking is the value attributed by the Swiss to these graves, considering the moment of the recomposition of the family and the full reaffirmation of their national and religious identity. To be buried in the little cemetery of Porta a Pinti signified in fact that they were participants in the cosmopolitan calling of Florence, sharing in its great capacity to be a place of tolerance, combining civil conscience and the world's artistic heritage, but at the same time guaranteeing a happy foreignness in respect to the Italian nature of the city; a foreignness that left in life precious national traits, conveying them by means of the tombstones not meant for the Florentines but more for the memory of their home community.
Perché questo era l’elemento decisivo della presenza svizzera a Firenze. I sepolti nel Cimitero degli Inglesi non erano, come avveniva per altri gruppi, delle figure di passaggio nella città toscana, né potevano essere qualificati con i tratti di biografie profondamente suggestionate da echi letterari o estetizzanti. La capacità di attrazione simbolica posta in essere dalla storia e dalla contemporaneità fiorentina non era declinabile per tale colonia soltanto sub specie artistica dal momento che l’elemento decisivo della loro scelta era un altro.
Because this was the decisive element of the Swiss presence in Florence. The tombs of the English Cemetery were not, as it happened for other groups, of figures passing through the Tuscan city, nor could they qualify with biographical traits profoundly suggestive of literary and artistic echoes. The capacity of the symbolic attraction brought about from the history and from the Florentine contemporaneity was not applicable for a colony that was only secondarily artistic since the decisive element of their choice was different.
Si trattava infatti nella stragrande maggioranza di commercianti, o meglio di negociant, per usare l’espressione tanto cara a Sismondi, che, provenendo soprattutto dal Cantone dei Grigioni e dal Vaud, avevano deciso di trasferirsi a Firenze in quanto grande centro di traffici e di scambi e in quanto patria di quella libertà borghese e commerciale, decantata e tradotta in formule storiografiche compiute proprio dalla cultura ginevrina di fine Settecento e di inizio Ottocento. Firenze era dunque per molti di tali soggetti una destinazione definitiva, una sede in cui si era convinti che i valori della credibilità mercantile, l’art du negociant e il pieno rispetto di regole morali in grado di dare contenuto civile alla professione potessero essere pienamente rispettati. Inoltre Firenze aveva due altre caratteristiche capaci di renderla particolarmente attraente per i negozianti svizzeri; era già un formidabile centro “turistico”, manifestando un’incredibile capacità di assimilare culture differenti facendole crescere attraverso la moltiplicazione delle relazioni personali, e aveva dato molteplici prove, nel corso della sua recente storia, da Pietro Leopoldo in poi, di consentire la libera espressione delle fedi religiose.
They were indeed for the greatest majority merchants, or better shopkeepers, to use the expression so dear to Sismondi, who, coming above all from the Cantons of Grigione and of Vaud, had chosen to transfer to Florence as a great centre of traffic and exchange and as a country of bourgeois and commercial freedom, extolled and translated in historical formulae compiled by the Ginevran culture of the end of the eighteenth century and the beginning of the nineteenth. Florence was therefore for many of such subjects a definitive destination, a place in which one could be convinced of the value of merchantile credibility, the art of shopkeeping and the full respect of the moral laws that give civil content to the professions could be fully respected. Besides Florence had two other characteristics capable of rendering her particularly attractive for Siwss shopkeepers; it was already a formidable tourist centre, manifesting an incredible capacity to assimilate different culture making it grow towards the multiplication of personal relations, and had given many proofs, in the course of its recent history, from Pietro Leopoldo on, of consenting to the free expression of religious faith.
Turismo e libertà religiosa risultavano quindi due componenti decisive per portare a Firenze i mercanti svizzeri che non a caso si dedicavano ad attività decisamente interessate ai vari risvolti del primo aspetto e professavano una convinta fede religiosa, che non intendevano circoscrivere ai confini del culto domestico ma intendevano rendere oggetto di evangelizzazione. La stragrande maggioranza degli svizzeri sepolti a Porta a Pinti erano infatti “pasticceri”, proprietari di caffetterie e gelosi distributori del bene nazionale per eccellenza costituito dalla cioccolata. Alcuni di loro avevano aperto locali molto noti, come nel caso dei Wital, dei Fent, dei Gilli, dei Pult e non avevano esitato a qualificare nelle loro insegne, in modo chiaro, il marchio di provenienza geografica dell’attività, dando prova di volerne fare una chiara garanzia di credibilità commerciale e di appartenenza “nazionale”. Spesso, la forza mercantile di tali gruppi stava anche nella capacità di legarsi tra loro attraverso oculate strategie matrimoniali, per mantenere una evidente caratterizzazione svizzera necessaria a rendere più credibile la tipicità e l’originalità della dolce professione svolta.
Tourism and religious freedom resulted therefore in two decisive components for bringing to Florence Swiss merchants who not by chance were dedicated to activity decidedly interesting for various implicatins of the first aspect and professed a sincere religious faith, which was not just circumscribed to the confines of their homes but also involved active evanglization. The greatest majority of the Swiss buried in Porta a Pinti were in fact 'pasticceri', 'pastry cooks', proprietors of cafés and jealous distributors of their national goods par exellence their chocolates. Some of them had opened much frequented places, as in the case of the Wital, the Fent, the Gilli, the Pult and had not had to qualify in their case, in a clear way, the mark of geographic provenance of their activity, giving proof of wanting to make a clear guarantee of commercial credibility and of national origin. Often the mercantile force of such groups were also in the capacity of allying themselves through matrimonial strategies, to maintain an evident Swiss character necessary to make more credible the type and originality of their sweet profession.
Alle famiglie dei pasticcieri si affiancavano quelle
impegnate in due altri settori, anch’essi non estranei alla
vocazione internazionale di Firenze; i commercianti di
cappelli di paglia, il genere di abbigliamento allora
maggiormente in voga tra gli stranieri di passaggio per
l’Italia, e i commercianti di cambiali, occupati nel
fondamentale mercato dei titoli di pagamento; in un sistema
economico, come quello di primo Ottocento, di fatto privo di
monete internazionali, l’approvvigionamento degli strumenti di
pagamento era una delle condizioni indispensabili agli scambi
e agli spostamenti di persone e quei gruppi, come gli
svizzeri, che disponevano di una rete, spesso ancora una volta
familiare, di agenti dislocati su più piazze europee
risultavano nella migliore condizione per far circolare le
cambiali, appunto la sola moneta pagabile in giro per il
mondo. Perché tali cambiali fossero realmente utilizzabili
occorreva però che risultassero credibili, che venissero cioè
accettate in virtù delle garanzie offerte dai firmatari di
esse; la rete di conoscenze dei negozianti svizzeri, peraltro
spesso uomini di religione e devoti credenti, funzionava in
questo senso meglio di ogni altra. Le genealogie elvetiche,
descritte con cura da Jacques Galiffe, testimoniavano di un
patrimonio di rapporti personali difficilmente in possesso di
altre comunità commerciali. A Firenze questa “ricchezza
commerciale”, per richiamare la fortunata formula sismondiana,
e la naturale vocazione borghese della realtà urbana si
combinavano perfettamente e qui avevano potuto consolidarsi le
fortune
dei Dufresne,
To the pastry-makers' families came also those in two other sectors, even these not outside the international vocation of Florence; the straw hat merchants, the kind of garment most in vogue amongst the foreigners passing through Florence, and the money changers, busied in the base market for forms of payment; in an economic system, like that at the beginning of the nineteenth century, deprived of international money, so that the approving of instruments of payment was one of the most needed conditions for exchange and for the placing of people and groups, like the Swiss, who needed a network, often still with a familiar face, of agents scattered about the European piazzas resulting in better conditions for money circulation, giving the only money payable throughout the world. So that such money-changing could be really used it was necessary to have credible results that came to be thus accepted in virty of the guarantee offered by the signatories of them; the network of acquaintnces of the Swiss shopkeepers, often men of religion and devout belief, functioned in this sense better than any other. The Swiss genealogies, carefully described by Jacques Galiffe, witness to a heritage of personal contacts obtained with difficulty in other commercial communities. At Florence this 'commercial richness', to reuse Sismondi's happy formula, and the natural bourgeois vocation of city reality, combined perfectly and this made it possible for the Dufresne,
* LOUIS RODOLPHE GUSTAVE ADOLPHE DU FRESNE/ SVIZZERA/Du-Fresne/ Adolfo/ Adolfo/ Svizzera/ Firenze/ 2 Agosto/ 1871/ Anni 32/ 1141/ Louis Rodolphe Gustave Adolphe Du Fresne, Vevey, en Suisse, banquier, fils de Jean Théodore Adolphe Du Fresne/ L.R.G. ADOLPHE DU FRESNE/ LE VI MARS MDCCCXXXIX/ LE 1 AOUT MDCCCLXXI/ VIEULLEZ DONC CAR VOUS NE SAVEZ NE LE JOUR NE L'HEURE OU LE FILS DE L'HOMME VIENDRA/ MATT XXV.13/ RASSUREZ VOUS C'EST MOI N'AYEZ POINT PEUR/ MATT XIV.27/ C26M
dei Gonin (vedi sopra), dei Dalgas,
for the Gonin (above), for the Dalgas,
* LOUISE
LAURE SOPHIE ALICE DALGAS/ SVIZZERA/
Dalgas/ Luigia/ Gustavo/ Svizzera/ Firenze/ 14 Febbraio/ 1872/
Mesi 30/ 1159/ Louise Laure Sophie Alice Dalgas, fille de
Gustave Dalgas e de Héloise, née Garak/ Louise Ann Dalgas/
D26G
* RODOLPHE GUILLAUME DALGAS/ SVIZZERA/ Dalgas/ Rodolfo Guglielmo/ Svizzera/ Firenze/
19 Gennaio/ 1872/ Anni 9/ 1154/ fils de Gustave Dalgas e de
Héloise, née Gasak/ D26G
dei Guerber e di numerosi altri nuclei familiari.
for the Guerber and for numerous other nuclear families to make their fortunes.
*§ GIAMPIETRO VIEUSSEUX/ SVIZZERA/ Vieusseux/ Gio: Pietro/ Pietro/ Svizzera/ Firenze/ 28 Aprile/ 1863/ Anni 83/ 828/ Jean Pierre Vieusseux, Genève, rentier, fils de Pierre Vieusseux et de Jean Elisabeth, née Vieusseux/ [Portrait Medallion, Oak, Olive, Bracken Tendrils]/ PX/ A GIAMPIETRO VIEUSSEUX/ NATO IN ONEGLIA DI FAMIGLIA GINEVRINA/ IL XXVIIII DI SETTEMBRE MDCCLXXVIIII/ MANCATO IN FIRENZE IL XXVIII D'APRILE MDCCCLXIII/ GLI AMICI ED ESTIMATORI/ DEI MOLTI SUOI MERITI VERSO LA CIVILTA' ITALIANA/ POSSERO QUESTO MONUMENTO/ [Swiss Cross]/ A8O(107)
Questa attività commerciale aveva trovato poi espressioni molto particolari, ma non meno legate alle origini svizzere. Così era avvenuto per Giovan Pietro Vieusseux che aveva ritenuto indispensabile aprire un Gabinetto di lettura, destinato in primis ai forestieri di passaggio per Firenze, che fondasse la sua ossatura portante sulla diffusione del patrimonio culturale, scientifico, politico ed economico, partorito dagli ambienti di Coppet e dalla vasta produzione che faceva capo a Ginevra, in ciò sviluppando i rapporti preesistenti che già avevano avviato alcune grosse stamperie elvetiche come la Société typographique di Neuchatel.
This commercial activity found then many particular expressions, but nonetheless tied to their Swiss origins. This was the case with Giovan Pietro Vieusseux who had seen the indispensible need for opening a Reading Room, destined first for the foreigners visiting Florence, who based its framework on the diffusion of the cultural, scientific and political inheritance, born in the ambience of Coppet and of the vast production which depended on Geneva, in this developing the pre-existing relations that had already brought about some great Swiss printing presses such as the 'Société typographique' in Neuchatel.
All’attività turistica si legava anche la presenza di una estesa popolazione di domestiche e di facchini, occupate le prime presso varie famiglie straniere, e i secondi impiegati nei grandi alberghi oppure ai mercati generali. In questo senso la comunità svizzera presentava tratti sociali estremamente compositi, rinsaldati però dalla già ricordata fede religiosa. I personaggi chiave della comunità svizzera a Firenze, a partire da mercanti come Jean Jacques Gonin e Augusto Dufresne, presidenti in momenti diversi del Concistoro della Chiesa evangelica riformata, si impegnarono infatti nell’opera di evangelizzazione che non si rivolgeva solo alla città, ma intendeva prima di tutto rinsaldare il senso di appartenenza comune degli svizzeri, creando una Chiesa, appunto, una scuola e numerose altre strutture di assistenza. Per questo motivo, peraltro, la comunità svizzera fiorentina non visse i travagli e le divisioni che dal 1817 avevano invece colpito gli evangelici svizzeri in patria, in seguito ai dissidi fra la Chiesa del Vaud e la Compagnia dei Pastori di Ginevra.
To the tourist activity was tied also the presence of an extended population of servants and of porters, the first working amongst the various foreign families, and the second serving in the great hotels or in the general markets. In this sense the Swiss community presented social traits that were very close-knit, and further strengthened by the above-noted religious faith. The key persons in the Swiss community in Florence, beginning with the merchants like Jean Jacques Gonin and Augusto Dufresne, presidents at different times of the Concistery of the Swiss Evangelical Reformed Church, were charged in fact with the work of evangelization that took place not only in the city, but was intended first to seal the sense of common belonging of the Swiss, in creating a Church, then a school and numerous other structures of assistance. For this reason, besides, the Florentine Swiss community did not have the travails and divisions which from 1817 had instead afflicted the evangelical Swiss in their own country, following from the dissidents in the Vaud Church and the Pastors' Company in Geneva.
//Le esigenze di coesione della comunità fiorentina, mosse da istanze confessionali e, assai probabilmente, dalle accennate necessità professionali, spinsero quindi nella direzione di interpretare il senso religioso nazionale degli svizzeri in chiave di una spiccata coscienza civile, volta a rinsaldare adesione comunitaria e non certo a favorire le esclusioni o le condanne. Erano esemplari di una simile attitudine le esperienze biografiche di figure come Giovan Pietro Vieusseux e di Jacques Galiffe, entrambi uomini di commercio, che avevano cercato di interpretare tale attività come efficace strumento di allargamento dei confini della comunità di provenienza nello sforzo di ampliare la superficie entro cui trovava adozione una condivisa idea di libertà; un’idea europea, da portare fino in Russia e mai sottomessa a considerazioni pregiudiziali di natura confessionale. La famiglia e le istituzioni create dall’agire umano erano per Galiffe forme di accoglienza secondo quanto aveva cercato di illustrare nelle sue opere dedicate alla genealogia dei ginevrini e soprattutto agli esuli italiani ben integrati nella città del Lemano.
The exigences of cohesion of the Florentine community, moved by confessional ties, and likely enough, by above-mentioned professional needs, was pushed therefore in the direction of interpreting the national religious sense of the Swiss in terms of a marked civil conscience, such as to strengthen community adhesion and certainly not to favour the excluded or the condemned. The biographic examples of figures like Giovan Pietro Vieusseux and of Jacques Galiffe were examples of a similar attitude, both of them men of commerce, who had sought to interpret that activity as an efficacious instrument for enlarging the confines of their original community in the effort of amplifying the surface in which a shared idea of freedom was adopted; a European idea, to be carried as far as Russia and never submitted to prejudicial considerations about religious beliefs. The family and the institutions created by human work were for Galiffe forms of acceptance which he sought to illustrate in his works dedicated to the genealogies of Genevans and above all to Italian exiles integrated into the city of Lemano.
E’ovvio che simili caratteri di fondo conducessero
larga parte della comunità di Firenze a guardare con sospetto
alla predicazione di pastori come Moise Droin e Emile Demole,
che invitavano ad una ortodossia così poco transigente da
mettere a repentaglio il bene maggiore che gli stessi svizzeri
avevano acquisito nel corso del tempo e rappresentato
dall’amalgama con una città disposta a valorizzarne le
qualità.
L’amalgama era avvenuto infatti
su più piani a partire da quello, già ricordato, di carattere
professionale ed economico. Proprio personaggi come Gonin e
Dufresne erano espressione chiare di questa integrazione. Jean
Pierre Gonin si era legato infatti, insieme ad un altro
svizzero, Augusto Guerber, a vari soci toscani prima per dare
vita ad un’attività di lavorazione dei cappelli di paglia e
poi ad una delle più grosse imprese seriche della regione, che
disponeva di oltre 650 telai ed un capitale di 3 milioni di
lire fiorentine. Parallelamente aveva stabilito rapporti con
il banco Fenzi e si era posto alla guida di una cordata di
mercanti svizzeri, come i Borel, i Dufresne e i Muller, che
era entrata a far parte della Banca di Sconto di Firenze.
Esempi di legami analoghi provenivano dal Banco di Louis
Wolff, dalle innumerevoli società di Francesco Muller e dalla
rete di interessi posta in essere fra Firenze e Livorno da
Cristiano Augusto Dalgas, membro di una famiglia originaria di
Losanna e in seguito trapiantata in Danimarca.
It is obvious that similar characters in the background would lead a large part of the community in Florence to regard with suspicion the preachings of pastors like Moise Droin and Emile Demole, who incited an inflexible orthodoxy riskingthe greater good of what the same Swiss had acquired in the course of time and represented from their mingling with a city disposed to value their quality. The mingling was in fact carried out more on most planes, as already noted, of professional and economic character. Such people as Gonin and Dufresne were clear about this integration. Jean Pierre Gonin was close in fact, together with another Swiss, Augusto Guerber, to various Tuscan associates, first to give life to a business making straw hats and then to a great silk factory in the region, whoch employed more than 650 weavers and had a capital of 3 millions of Florentine lire. Alongside they established relations with the Fenzi bank and were positioned so as to guide a group of Swiss merchants, like the Borel, the Dufresne and the Muller, who came together to be part of the Banca di Sconto in Florence. Examples of similar ties came about with Louis Wolff's bank, with Francesco Muller's innumerable societies and with the network of interest placed in existence between Florence and Livorno by Cristiano Augusto Dalgas, member of a family originally from Lausanne and then transplanted to Denmark.
Questo amalgama professionale si era tradotto inoltre in un reale inserimento degli svizzeri nelle istituzioni del granducato di Toscana. Sia Gonin che Dufresne sedettero a lungo nell’ufficio del Magistrato comunitativo di Firenze, e fecero parte di vari organismi commerciali, dalla Camera di commercio, al Consiglio di amministrazione della Strada Ferrata Leopolda, ai comitati organizzatori di varie fiere ed iniziative commerciali pubbliche. Non rari erano stati anche i concreti slanci di “patriottismo” toscano, che avevano visto ad esempio la famiglia Gilli partecipare attivamente al prestito varato nella primavera del 1848 dal governo di Leopoldo II per sanare il deficit erariale, aggravato dalle spese della prima guerra d’indipendenza; uno sforzo in realtà non ripagato dalle autorità toscane, che tornate dopo la ventata quarantottesca si guardarono bene dal restituirlo ed anzi pretesero il pagamento di una tassa sui magri interessi versati.
This professional mingling would be translated in a real insertion of the Swiss into the institutions of the Grand Duchy of Tuscany. It could be Gonin or Dufresne sitting at length in the office of the comunal Magistracy of Florence, and being part of various commercial bodies, of the Chamber of Commerce, of the Administrative Council for the Leopoldan railroad, to the organizing committeess for various fairs and public commercial initiatives. It was not unusual even for the concrete outbursts of Tuscan patriotism, that we see in the example of the Gilli family participating actively in the loan launched in the Spring of 1848 of the government of Leopold II to solve the state deficit, aggravated by the expenditures of the first war of independence; an effort in reality not repaid by the Tuscan authorities, who returned after the 1848 tumult, were most careful about not paying restitution and who even required the payment of a tax upon the meagre interest it earned.
Esisteva poi un amalgama di carattere culturale, che si protrasse quantomeno fino al 1851, ai tentativi posti in essere dal ministro degli interni Leonida Landucci di ripristinare una forte omogeneità religiosa per dare attuazione al concordato di quell’anno. Prima di allora, invece, soprattutto sul versante pedagogico, le idee e gli uomini provenienti dalla Svizzera furono ritenuti una preziosa risorsa che collaborò attivamente alle molteplici iniziative non solo di personaggi come Piero Guicciardini e Matilde Calandrini che avevano abbracciato la fede riformata, ma anche di cattolici convinti come Raffaello Lambruschini. Quest’ultimo, non a caso, aveva accolto nelle fila dei redattori della sua “Guida dell’Educatore” lo svizzero riformato Enrico Schneider, che avrebbe dovuto illustrare ai lettori italiani le esperienze pedagogiche svizzere e dare conto della sterminata letteratura che sull’argomento usciva in lingua tedesca. Quanto Lambruschini tenesse alla collaborazione di Schneider ben emerge da una lettera spedita dall’abate di S. Cerbone ad un preoccupatissimo Tommaseo che vedeva comparire sempre più di frequente il nome dello svizzero sulla “Guida”. Lo Schnieder – scriveva premuroso a Tommaseo – è uno svizzero della scuola di Pestalozzi e girare, di una trentina d’anni, vero tedesco per il lavoro, nato con la protuberanza della pedagogia, di cuore eccellente e molto amato dai bambini”.
There existed thus a mingling of a cultural character, which dragged on at least until 1851, of seeking posts in the ministry of Leonida Landucci to refresh a strong religious homogeneity to make the concordat of that year real. First then, instead, above a pedagogical change, the ideas and the men from Swiss were considered a precious resource in collaborating actively with the multiple initiatives not only of persons such as Piero Guicciardini and Matilde Calandrini who had embraced the reformed faith, but also of Catholic converts like Raffaello Lambruschini. This last, not by chance, had gathered up in the files of essays in the Reformed Swiss Enrico Schneider's 'Educator's Guide', which ought to have shown to Italian readers the Swiss pedagogic experience and given an account of the endless literature of that argument which came out in the German language. What Lambruschini held in collaboration with Schneider is well seen in a letter sent by the Abbot of S. Cerbone to a very worried Tommaseo who saw how frequently the name of the Swiss appeared in the Guide. Schneider - he wrote kindly to Tommaseo - is a Swiss of the Pestalozzi school and became, in thirty years, truly German through his work, being born with a predisposition to education, of a very good heart and much loved by children'.
^* HENRI SCHNEIDER/ SVIZZERA/ Schneider/ Enrico/ / Svizzera/ Firenze/ 24 Dicembre/ 1864/ Anni 47/ 892/ + cancelled/ Henri Schneider/ A4Q(53)
Gli svizzeri a Firenze erano diventati quindi partecipi di un’esperienza cittadina che avvertivano sempre più come la propria, in moltissimi casi non si sentivano più forestieri, tanto da legarsi con vincoli affettivi e professionali alla comunità toscana. La scelta di Firenze era stata dettata non da suggestioni emotive o dal fascino di una grande capitale artistica quanto dalle possibilità che proprio questa qualità offriva in termini professionali. Occorreva quindi impegnarsi, come fecero i vari rappresentati consolari, per difenderne la natura laica e tollerante ma era necessario al tempo stesso assecondarne i caratteri riplasmando, almeno in parte la propria fede e la propria vocazione nazionale. In termini simbolici e culturali, ciò avrebbe sicuramente contribuito ad accentuare l’idea borghese e cosmopolita di Firenze. Era naturale che in un simile processo di amalgama la comunità svizzera avesse bisogno di eternare le proprie origini e tale compito veniva affidato alle sepolture a Porta a Pinti e alla memoria delle lapidi lì erette.
The Swiss in Florence became therefore participants in a civic experience that avvertivano always more like their own, in most cases no longer feeling foreign, so much as to form affective and professional bonds with the Tuscan community. The choice of Florence was dictated not by emotive suggestions or by bonds with a great artistic capita so much as the possibility that they could offer their own quality in professional terms. Thus it came about that they were charged, as were the representatives of the various consulates, with defending the secular and tolerant nature but it was necessary at the same time to comply with their peculiarities reshaping, at least in part, their own faith and their own national vocation. In symbolic and cultural terms, this would have certainly contributed to accentuate the bourgeois and cosmopolitan idea of Florence. It was natural that in a similar process of amalgamating the Swiss community should have needed to eternize their own origins and such a task came to be trusted to the burials in Porta a Pinto and to the memory of the stones erected there.
//In molte di esse si leggeva la ricerca della quiete domestica, la ricongiunzione familiare, la celebrazione della genealogia avita; Firenze era stata un punto d’arrivo, il coronamento di un percorso che aveva radici altrove e altrove intendeva conservarle. Tuttavia anche quest’ultimo sforzo era messo in discussione dalle molteplici, nuove parentele acquisite nella città toscana e fuori da essa che davano prova di una sostanziale rarefazione delle tendenze all’endogamia. Soprattutto, sembrava aver preso consistenza una vera e propria etica internazionale del commercio rispetto alla quale le sedi in cui si manifestava avevano perso di significato, così come le lingue e le culture in cui si esprimeva. L’8 settembre 1853, alla veneranda età di 80 anni moriva a Pistoia Valentino Grandi, cittadino svizzero trapiantato precocemente in Toscana, e veniva seppellito nel cimitero degli inglesi di Firenze dove la vedova, Luisa Starlai, aveva fatto scolpire una lapide dal profilo lineare e con un’iscrizione altrettanto asciutta nell’esprimere un’orgogliosa identità: “A Valentino Grandi/ cui scendendo da Celino a Pistoia/ dee prova di onesta operosità/ d’ingegno commerciale e speculazione/morto ottuagenario il dì otto settembre 1853/ questa memoria di lui ponevano/ la vedova Luisa Starlai e gli eredi”.
In many of these we read the work of quiet domestics, of families uniting, the celebration of ancestral genealogy: Florence had become a point of arrival, the crown of a journey that had its roots elsewhere and which they intended to conserve. Yet even this last sforzo was put into discussion by many, new relatives acquired in the Tuscan city and outside which gave proof of a substantial toning down of the tendency to endogamia. Above all, this seemed to have consisted in a true and proper international ethic of commerce respecting which the seats of those who manifested it had lost significance, as with the languages and culture in which they expressed themselves. 8 September 1853, at the venerable age of 80 Valentine Grandi died at Pistoia, a Swiss citizen who came early to Tuscany and who came to be buried in the English Cemetery in Florence where the widow, Luisa Starlai, had a stone sculpted with a linear profile and with an inscription that expresses a proud identity: 'To Valentine Grandi/ who came from Celino to Pistoia/ giving proof of honest work/ business acumen and speculation/ dying in his eightieth year the 8th day of September, 1853/ this memorial to him placed by his widow Luisa Starlai and the heirs'.
^* VALENTINO
GRANDI/ SVIZZERA/ Grandi/ Valentino/ Giovanni/ Svizzera/
Pistoia/ 8 Settembre/ 1853/ Anni 80/ 514/ Valentin Grandi,
Zelin, Canton des Grisons, en Suisse, domicilé a Pistoia,
ancien Cafetier, fils de Jean Grandi/ Q85: 106 Paoli/ A
VALENTINO GRANDI/ CUI SCENDENDO DA CELINO A PISTOIA/ DEE
PROVA DI ONESTA OPEROSITA'/ D' INGEGNO COMMERCIALI E
SPECULAZIONE/ MORTO OTTUAGENARIO IL DI OTTO SETTEMBRE 1853/
QUESTA MEMORIA DI LUI PONEVANO/ LA VEDOVA LUISA STARLAI E E
GLI EREDI/ 514/ A3N(34)
© Allesandro Volpi, 2004
'SOTTO I MIRTI DELLA DOLCE ITALIA': I RUSSI
MICHAIL TALALAY
Fra gli ospiti del Cimitero degli Inglesi si ritrovano in primo luogo i nomi più noti dei membri della colonia svizzera e di quella inglese a Firenze. Tuttavia anche la storia della colonia russa, il cui inizio risale agli anni ’20 del XIX secolo, è legata a questo luogo.
Among the guests of the English Cemetery we find first of all the most notable names of the members of the Swiss and English colonies of Florence. However, the story of the Russian colony, whose beginnings go back to the 1820's of the nineteenth century, is linked to this place.
Fino al Concilio Vaticano II i cattolici consideravano scismatica la Chiesa Ortodossa; di conseguenza in Italia i russi non avevano diritto di essere sepolti nei cimiteri cattolici. Regole particolarmente restrittive riguardo alla sepoltura dei non cattolici vigevano nello Stato Pontificio.1
Until the Second Vatican Council Catholics considered the Orthodox Church to be schismatic: in consequence in Italy the Russians did not have the right of burial in Catholic cemeteries. The rules were particularly restrictive regarding burials of non-Catholics in the Papal States.
Nel Granducato di Toscana a partire dal XVI esisteva un cimitero greco ortodosso a Livorno regolato dalle leggi tolleranti, in materia di fede, di Ferdinando I dei Medici, come ad esempio la “Legge Livorniana” del 1552-1553.2 Proprio qui a Livorno, e non a Firenze che non aveva ancora un cimitero acattolico, venivano sepolti i russi morti all’inizio del XIX secolo. Fra questi ricordiamo il diplomatico russo N. Korsakov, amico di Puskin, al quale il poeta aveva dedicato versi penetranti, e l’ambasciatore russo a Roma A.Ja. Italinskij, sepolto a Livorno con una solenne cerimonia funebre.3
In the Grand Duchy of Tuscany from the sixteenth century there was a Greek Orthodox cemetery at Livorno regulated by tolerant laws, in matters of faith, of Ferdinand I dei Medici, as for example the Livornian Law of 1552-1553. It was at Livorno, and not at Flroence that did not yet have a Protestant cemetery, where were buried Russians who had died at the beginning of the nineteenth century. Among these we remember the Russian diplomat N. Korsakov, Pushkin's friend, to whom the poet had dedicated poignant verses, and the Russian ambassador at Rome A. Ja. Italinskij, buried at Livorno with a solemn funeral ceremony.
Con l’istituzione di un cimitero non cattolico a Firenze nel 1827 la situazione cambiò. Naturalmente i russi tendevano a voler seppellire i loro morti in patria e il Cimitero degli Inglesi talvolta serviva come collocazione temporanea per la salma prima di venire portata in Russia: così successe ad esempio per Michail Zaseckij.
With the institution of a non-Catholic cemetery at Florence in 1827 the situation changed. Naturally the Russian tended to want to bury their dead in their own country and the English Cemetery sometimes served as a temporary resting place for the body before its being transported to Russia: this for instance was the case with Michail Zaseckij. And with that of Eugenie Jesakoff de Kraft.
EUGENIE JESAKOFF DE KRAFT/ RUSSIA/1859, 12 Fevrier, provisoiremente deposée, Eugènie de Kraft, née d'Jesakof, l'Empire Russe, mariée au Baron de Kraft, agé de 56 ans, fille de Comte d'Jesakoff, et de Comtesse d'Jesakoff
In particolare i rappresentanti di famiglie aristocratiche che avevano le loro cappelle mortuarie in Russia preferivano trasportare là i loro cari. Tuttavia molti di essi rimasero per sempre in terra italiana. E se non c’erano difficoltà per la sepoltura, nei cimiteri cattolici, dei russi che erano passati al cattolicesimo,4 gli ortodossi poterono invece trovare pace eterna solo nel cimitero aperto dai protestanti.
In particular the representatives of aristocratic families who had their morturay chapels in Russia preferred to transport their loved ones there. However many of them remained for ever in Italian soil. And if there were no difficulties with the burial, in Catholic cemeteries, for those Russians who had converted to Catholicism, the Orthodox could instead find eternal peace only in cemeteries opened by Protestants.
Nel Cimitero degli Inglesi, durante il periodo del suo pieno funzionamento, vennero sepolti in tutto 50 membri della colonia russa. In gran parte erano rappresentanti dei ceti abbienti venuti in Italia per curarsi insieme ai loro servitori; fra questi ultimi ricordiamo Kasincev, o la negretta Kalima, battezzata come ortodossa.
In the English Cemetery during the period of its fullest activity, there came to be buried in all 50 members of the Russian colony. In large part these were representatives of the higher classes who came to Italy to cure themselves together with their servants: among these last we remember Kasincev, or the Nubian Kalima, baptized Orthodox.
Nel XIX secolo Firenze divenne anche una tappa fondamentale del Grand Tour delle elites culturali europee, fra cui quelle russe. Molti artisti si stabilirono qui per lungo tempo; fra questi ad esempio il pittore Zeleznov, la cui figlia riposa nel cimitero fiorentino, o l’artista originario di Riga Edvard Bosse, stabilitosi a Firenze con la sua famiglia.
In the nineteenth century Florence became a major stopping place on the Grand Tour for the European cultural elites, among them the Russians. Many artists established themselves here for a long time: among these for example the painter Zeleznov, whose daughter rests in the Florentine cemetery, or the artist originally from Riga, Edvard Bosse, who settled at Florence with his family.
Il vasto Impero russo è stato patria non solo di cittadini di origine russa, dei quali dà testimonianza il nostro elenco, ma anche di origine tedesca, finlandese, moldava (nell’elenco non sono inseriti i polacchi sepolti nel cimitero degli Inglesi anche se formalmente erano sudditi dello zar russo).5
The vast Russian Empire was the country not only of citizens of Russian origin, concerning whom our register gives witness, but also those of German, Finnish, Moldavian origins (Poles buried in the English cemetery are not included in the Register though they were formally subjects of the Russian Tsar).
Il Cimitero chiuse nel 1877, ma più di cento anni dopo ha nuovamente riaperto i suoi cancelli per accogliere sotto i cipressi di Piazza Donatello il noto coreografo russo Evgenij Poljakov per il quale l’Italia era diventata una “seconda patria.”
The Cemetery closed in 1877, but more than a hundred
years afterward it opened its gates again to welcome under the
cypresses of the Piazza Donatello the famous Russian
choreographer Evgenij Poljakov for whom Italy became a 'second
country'.
__________
*§ EVGENIJ FEDOROVIC ALISOV/ RUSSIA/ 20. Allissoff/ Eugenio/ Teodoro/ Russia/ Firenze/ 7 Ottobre/ 1872/ Anni 25/ 1183/ Eugène Alissoff, Russia, fils de Théodore et de Marie, née Schorstoff/ Black-edged torn letter paper loose in register, gives 'Eugène Allissoff, fils de feu Théodore et feu Maria Schorstoff Karsoff agé de 25 ans. natif de Koursk/ Talalay: 26.2.1847-Firenze 7.10.1872, N° 1183, RC/ B16R
§ EKATERINA JUR'EVNA ANDRIANOVA, NATA LISJANSKAJA/ RUSSIA/ 28. Andrianoff nata Lisiansky/ Vedova Caterina/ Guri/ Russia/ Firenze/ 3 Gennaio/ 1877/ Anni 65/ 1376/ Talalay: † Firenze 3.1.1877, di anni 65; figlia del navigatore Jurij Fedorovic Lisjanskij (1773-1837), N° 1376 (patria='Grecia') RC
*§ ANTONINA IVANOVNA BERNOVA/ RUSSIA/ 114. Bernoff (de)/ Antonina/ Giovanni/ Russia/ Firenze/ 25 Settembre/ 1865/ Mesi 4/ 924/ Antonine de Bernhoff, Russie, fille du Colonel Jean de Bernhoff, et de M. née Danileffsky/ Talalay: Epitaffo: 'Da budet volja Tvoja Sviataja!' Che sia secondo la tua sacra volontà/ † 25.5.1865-25.9.1865, di 4 mesi, N° 924, RC/ C24P
*§ EDUARD BOSSE/ LETTONIA/RUSSIA
/ 164. Bossé/ Eduardo/ Ernesto/ Russia/ Firenze/ 3 Aprile/ 1859/
Anni 49/ 670/ EDUARD BOSSE/ GEB IN RIGA DEN 6 FEBRUAR
1810/ GEST IN FLORENZ DEN 3 APRIL 1859/ Talalay: Riga 6.2.1810 - Firenze 3.4.1858, artista, ha lavorato agli Uffizi
come copista/ C22Q
*§ ELISE BOSSE/ LETTONA /RUSSIA/ 165. Bossé/ Elisa/ Ernesto/ Germania/ Firenze/ 24 Settembre/ 1877/ Anni 55/ 1409/ ELISE BOSSE/ GEB IN RIGA DEN 28 JULI 1822/ GEBST IN FLORENZ DEN 24 SEPT 1877 Talalay: N° 1409, RC/ C20Q
*§ ERNST GOTTHILF BOSSE/ LETTONA/RUSSIA/
Bossé/ Ernesto Gotthilf/ Giovacchino/ Russia/ Firenze/ 27
Dicembre/ 1862/ Anni 77/ 812/ GEB IN RIGA DEN 20 AUGUST
1785/ GEST IN FLORENZ 27 DECEMBR 1862/ Talalay: N° 812,
RC, al Cimitero agli Allori è sepolto il suo fratello Bosse
Wilhem, Riga 12-11-1787- Firenze 27.9.1884/ C21Q
*§ NIKOLAJ NIKOLAEVIC CHLEBNIKOV/ RUSSIA/ Chlebnikoff/ Niccolà/ / Russia/ Firenze/ 26 Dicembre/ 1856/ Anni 24/ 606/ Talalay: Epitaffo: Da budet volja Tvoja/ Che sia secondo la tua sacra volontà/ Mosca 1.2.1835, N° 606, RC/ C25P
aaa
Inscription
in
Cyrillic
cursive encircling stone
*§ BORIS MICHAJLOVIC CHRAPOVICKIJ/ RUSSIA/ Chrapowitzky/ Boris/ Michele/ Russia/ Firenze/ 5 Aprile/ 1858/ Anni 7/ 638/ Boris Chrapowitzky, Russie, fils de General Michel Chrapowitzky, et de Lydie, née Comtesse Apratine/ Talalay: 29(17).10.1850 - Firenze 6.4 (24.3). 1858, 'figlio di un general-maggiore a riposo, morto per le ferite in seguito alla caduta dal secondo piano; senza poter aver ricevuto l'estrema unzione poiche la morte è stata quasi istantanea', MKF, lapide con croce, N° 638, RC/ C24P
*°§ ELENA RAFALOVIC COMPARETTI/ RUSSIA/ITALY/ [Comparetti/ Elena/ /Italia/ Firenze/ 29 Novembre/ 1918/ / 760 Later Hand]/ ELENA COMPARETTI/ RAFFALOVICH/ ODESSA 1842/ FIRENZE 1918/ [Wife to prof. Domenico Comparetti, °=Valeria Milani Comparetti, Firenze; Talalay: Odessa 1842-1918; feminista, pedagoga, figlia del banchiere Lev Anisimovic Rafalovic e di Elena Jakovlevna Poljakova, moglie del filologo pisano Domenico Comparetti; nel Cimitero algo Allori si trova la tomba della moglie dello suo zio Rafalovic Ljubov' Samojlovna/1825-1883, HII11; Bibl.: Storia di Elena, a cura di E. Frontali Montali, Torino, La Rosa, 1980; M.A. Manacorda, 'La breve illusione pedagogica di Elena Comparetti' in L'educazione delle donne: Scuola e modello di vita femminile nell'Italia dell'800, a cura di S. Soldoni, Milano, Angeli, 1989] C28L
§ IVAN MARKOVIC DANIELOVIC/ RUSSIA/ Danielovich/ Giovanni/ Marco/ Russia/ Firenze/ 27 Maggio/ 1870/ Anni 60/ 1093/ Jean Dainlivich, Russie, fils de Marco Dainlivich/ Talalay: † Firenze 27.5.1870, di anni 60, N° 1093, RC/
*§ ELENA NIKITICNA DIK, NATA AKZYNOVA/ RUSSIA/12. Akzynoff/ Elena/ di Nikita/ Russia/ Firenze/ 13 Maggio/ 1868/ Anni 34/ 1014/ Hélène Akzynoff, Russie, fille de Nikita veuve Dizcks/ Talalay: † Firenze 13.5.1868, di anni 34, N° 1093, RC/ [Sculptor, 1869, T. Kamensky, Portrait Medallion of sculpted marble bust within a garland inserted into now-crumbling pietra serena/ T. Kamesky]/ F10I
§ ELIZAVETA FEDOROVNA DISSON/DIXON, NATA FRIDE/ RUSSIA/ Disson nata Fride/ Elisabetta/ Teodoro/ / Firenze/ 24 Ottobre/ 1874/ Anni 59/ 1276/ Talalay: vedova di un suddito inglese, likely William Hepworth Dixon, autore del libro La Russia libera (1875), MKF, N° 1276, RC]
§ MARIJA MARTYNOVNA DOBROVOL'SKAYA/ RUSSIA/ Dobrowolsky/ Maria/ Martino/ Russia/ Firenze/ 23 Dicembre/ 1862/ Anni 50/ 811/ Marie Dobrovolosxy, Russie, fille de Martin Dobrovolsxy et de Théodosia/Talalay: † Firenze 23.12.1862, di anni 50, N° 811, RC/
§ PARASKEVA RODIONOVNA DOGADINA/ RUSSIA/ Paraskewa/ Dagadin/ Nodione/ Russia/ Firenze/ 22 Luglio/ 1867/ Anni 44/ 987/ Dagadina Paraskewa, Russie, Moscau, domestique, fille de Rodian Paraskewa et de Anna/ Talalay: 'piccolo-borghesi di Mosca', MKF/ see Paraskewa
§ OL'GA DRAGOMANOVA/ RUSSIA/ Dragomanoff/ Olga/ / Russia/ Firenze/ 1 Marzo/ 1872/ Anni 27/ 1163/ Russia, fille de Michel Dragomanoff, agée de 6 mois/ Talalay: † Firenze 1.3.1872, di anni 27,N° 1163, RC/
*§ ELIZAVETA PAVLOVNA FROLOVA NATA GALACHOVA / RUSSIA/ Froloff o Troloff/ Elisa/ / Russia/ Firenze. 4 Settembre/ 1840/ Anni 40/ 206/ Talalay: San Pietroburgo 4.1.1800-Firenze 5.9(24.8)1844/ 'andata sposa il 7.11 (26.10),1836, MKF], N° 206, RC/ F5E
*§ IVAN NICKOLAJ GIAMARI/ RUSSIA / Giamari/ Giovanni/ Niccola/ Russia/ Firenze/ 26 Febbraio/ 1867/ Anni 78/ 973/ GIOVANNI GIAMARI/ 26 FEBRUARY 1867/ Talalay: †Firenze, 25.5.1874, di anni 66, N° 973, RC/ F9F
*§ SOFIJA FELICATOVNA GOLIKOVA/ RUSSIA/ Golikoff/ Sofia/ Phelitre/ Russia/ Firenze/ 12 Aprile/ 1863/ Anni 22/ 827/ Sophie Golikof, Russia, rentière. fille de Pheliter Golikoff, et de Pauline Golikoff/ [Young woman carried to heaven by winged, diademed angel]/ Talalay: nata 8.10.1841, Epitaffio: 'Blazeni cistii serdcem/ ibo oni Boga uzrjat'/Beati coloro che hanno il cuore immacolato perchè di essi è il Regno di Dio], N° 827, RC/ A8N(108) A.Tomba fecit 1864
*§ LEONID ALEKSANDROVIC GORODECKIJ/ RUSSIA/ Gorodetzky/ Leonida/ Alessandro/ Russia/ Firenze/ 30 Settembre/ 1872/ Anni 21/ 1180/ Leonide Gorodtsky, fils d'Alexandre/ Talalay: † Firenze 30(18).9.1872, di anni 21, N° 1180, RC/ B13T
*§ IVAN IVANOVICH IVANOV/ RUSSIA/ Ivanoff/ Giovanni/ /
Russia/ Firenze/ 19 Dicembre/ 1838/ / 177/ Talalay: † Firenze,
19(7).12.1858, di anni 26, Epitaffo: kollezskij registrator/
pridvornogo Rossijskogo
Imperatorskogo stata/ lekarskij pomosnik/ registratore di
collegio dello staff di Corte dell'Impero Russo, aiutante
medico, N° 177, RC/ D22H
EUGENIE JESAKOFF DE KRAFT/ RUSSIA/1859, 12 Fevrier, provisoiremente deposée, Eugènie de Kraft, née d'Jesakof, l'Empire Russe, mariée au Baron de Kraft, agé de 56 ans, fille de Comte d'Jesakoff, et de Comtesse d'Jesakoff
*§ IVAN NIKOLAEVIC KANTAKUSIN/ MOLDOVA/RUSSIA/ Cantucuzène/ Giovanni/ [Nicolai] / Romania/ Firenze/ 2 Novembre/ 1858/ Anni 35/ 650/ Talalay: Moldova 1825 - 4.11(21.10).1858; di famiglia rumena della buona società: il capostirpe della così detta linea svizzera dei Kantakuzin; 'la cerimonia funebre è stata celebrata dal padre Platon Travlinskij, priore della cappella di Casa Demidov nella proprieta di San Donato", MKF, N° 650, RC/ C24Q
§ VARVARA IL'INICNA KASINCOVA/ RUSSIA / Kachinzoff/ Barbara/ / Russia/ Firenze/ 20 Dicembre/ 1829/ / 25/ Talalay: figlia di Il'ja Kasincov, servo emancipato del conte D.P. Boutourline, N° 25, RC; Bibl: Memorie di Michail Dmitrievitch Boutourline, a cura di W. Gasperowicz e M. Talalay, trad. di M. Olsuf'eva, Lucca, Paccini Fazzi, 2001/
*°§ MARIE PETROVNA KOCHANOVSKAJA/ POLAND/ Kokanowsky/ Maria/ Pietro/ Russia/ Firenze/ 5 Novembre/ 1868/ Anni 38/ 1024/ MARIE KOCHANOWSKI/ NEE A KICHENEFF/ [Kisinev] DECEDE A FLORENCE/ LE 5 NOVEMBRE 1868/ Talalay: N° 1024, RC; 'la tomba della sua sorella Alessandra si trova nel Cimitero greco ortodosso di Livorno' ; Bibl.: M. Talalay, A.M. Canepa, 'I sepolcri dei russi a Livorno', in Nuovi Studi Livornese, II (1994); °=Gene and Ray Bogucki, Petersburgh, New York/ F5G
§ NICKOLAJ ALEKSANDROVICH KOLEMIN/ RUSSIA/ Koleimin/ Niccolò/ Alessandro/ Russia/ † Firenze/ 21 Agosto/ 1874/ Anni 31/ 1273/ Talalay: 'tenente della guardia in congedo', MKF; Epitaffo: verujaj v Mja/ ase ne umret/ ozivet/ chi crede in Me non muore ma vivra; N° 1273, RC /E16B
§ NIKOLAJ VLADIMIROVIC KOVALESKIJ / RUSSIA/ Kowalewsky/ Nicolo`/ Valdimiro/ Russia/ 11 Settembre/ 1877/ Anni 23/ 1405/ Talalay: 'studente dell'università S. Vladimir di Kiev, MKF; N° 1405, RC/
§ VARVARA ARSEN'EVNA KUDRJAVCEVA NATA NELIDOVA/ RUSSIA/ Kudranzow/ Bardera [sic]/ / Russia/ Firenze/ 17 Marzo/ 1857/ Anni 30/ 609/ Bardera Kudrawzow, femme de Pierre Kudrawzow, Moscou, Empire Russe/ Talalay: 6.2.1826 - 17(5).3.1857; 'moglie di un professore dell'università di Mosca' (Petr Nikolaevic Kudrjavcev, noto storio, italianista (1816-1858), MKF; N° 609, RC; Epitaffo: nikto ne prinosil/ stol'ko scast'ja/ kak ona i tomu, kto znal/ i poterjal ee nikogda/ ne izbyt' gor'kogo sirostava/ Nessuno ha dato tanto felicità come lei e chi l'ha conosciuta e l'ha persa sara sempre amaramente orfano (epitaffio composto probabilmente dal professor Kudrjavcev rimasto vedovo)/ C25P
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Front of Kudravceva
Tomb
Back
with
Epitaph
Tomb
behind
with
weeping orphan
*§ IVAN LEONTEVIC LEVICKIJ (LEWITZKY)/ RUSSIA/ Leontieff Lewitzky/ Giovanni/ / Russia/ Firenze/ 5 Novembre/ 1864/ Anni 10/ 888/ Talalay: Varsavia, 31.1.1854 -Firenze 5.11.1864; 'figlio del generale luogotenente Leontij Petrovic Levickij e Sofia nata Genrius', MFK; N° 888, RC; colonna spezzata con un tralcio, Epitaffio: paz dvora/ Ego Imperatorskogo Velicestva Gosudarja Imperatora Vserossijskogo/ Aleksandra II Ty dal/ Ty vzjal/ Gospodi da budet/ Volja Tvoja Svjataja/ Do svidanija do skorogo svidanija/ ditja moe/ paggio di Sua Maesta Imperatore di tutte le Russie Alessandro II. Tu hai dato e Tu hai tolto, Signore, sia fatta la tua santa volonta. A riverderci presto, bambino mio/ A5N(61, Rebesov [sic])
*§ BARONNE AUGUSTE DE MANNERHEIM/ SVEZIA/FINLAND/RUSSIA/ Mannerheim/ Barone Augusto/ Carlo/ [pencil Finlandia (Svezia)]/ Firenze/ 19 Aprile/ 1876/ / 1353/ [Cherubim reading Scroll] ICI REPOSE/ LE BARON AUGUSTE DE MANNERHEIM/ NE EN FINLANDE L'AN 1895/ MORT A FLORENCE A SAN DONATO VILLA DEMIDOFF/ LE 18 AVRIL 1876/ AIME ET REGRETTE/ Talalay: barone, Finlandia 1805- San Donato, Villa Demidoff 1876, reppresentante di una nota famiglia finlandese; in Italia era stato ospite dei Demidov, N° 1353, RC/ K. Bjorklund, 'Marskens slatingar vilar i Florens', in Sommarsondag, 15.7.2001/E18L
§ JULIA GOTTARDOVNA DE MANTEUFFEL/ RUSSIA/ Manteuffel (de)/ Giulia/ Gottardo/ Russia/30 Dicembre/ 1870/ Anni 80/ 1114/ Julie de Manteuffel, La Livonie, Russie, rentiere, fille de Gotard Manteuffel/ Talalay: † Firenze 30.12.1870, di anni 80, N° 1114, RC
*§ ANATOLIJ MICHAJLOVIC MASLENNIKOV/ RUSSIA/ Masleitschikoff/ Anatolio/ / Russia/ Firenze/ 29 Gennaio/ 1873/ Anni 21/ 1196/ Anatole Masleinikoff, Russia/ Talalay: Astrachan, 4.1.1852 - 29(17).1.1873; 'figlio di un mercante delle 1? gilda', MFK; N° 1196, RC; croce su piedestallo; Epitaffio: 'Pomjani mja Gospodi/ egda priidesi vo Carstvie Tvoe'/ Ricordati di me, Signore, quando sarai nel Tuo Regno!/ F7C
*§ ALEKSANDR ALEKSANDROVIC MORDVINOV/ RUSSIA/ Mordwinoff/ Alessandro/ Alessandro/ Russia/ Firenze/ 15 Giugno/ 1868/ Anni 25/ 1018/ +/ [Medallioned crosses on gables]/ Talalay: Mosca 21.11.1842 -Firenze 15(3).6.1868; 'segretario di collegio in congedo', MFK; N° 1020, RC; figlio del senatore Aleksandr Nikolaevic Mordvinov e della principessina giorgiana Aleksandra Semenovna Cherchelidze, revoluzionario, membro del gruppo 'Terra e Liberta', altare di marmo, Bibl.: Revoluzionnaja situazija v Rossii: 1859-1861, Moskva, 1965, ss. 420-425; V.A. Cernych, Zemlevolc Aleksandr Mordvinov (manoscritto)/ A5P(63)
§ GRIGORIJ CILIKOV MURADOV/ RUSSIA/ Mouradoff (Tchilitchkoff)/ Gregorio/ / Russia/ S. Marco Vecchio/ 5 Giugno/ 1852/ Anni 26/ 480/ Grégoire Tchititchkoff-Mouradoff, Prussia, Peintre, fil de Ariitine Tchititchkoff de Petersburg, et de Marie Sophie, sa femme/ marginal references to official documents from Russian consulate in Tuscany/ Talalay: † Firenze, S. Marco Vecchio 5.6.1852, di anni 26, N° 480, RC/
*§ BARONESSA OL'GA IVANOVNA NORDENSTAMM/ FINLAND/ Nordenstone/ Olga/ Giovanni Maurizio/ Russia/ Firenze/ 17 Novembre/ 1870/ Anni 24/ 1110/ Olga Nordenstam, Russie, fille de Général Jean Maurice Nordenstam/ OLGA NORDENSTAM/ Talalay: Nordenstamm Ol'ga Ivanovna, baronessa, Finlandia 1844 - Firenze 17.11.1870; Bibl.: K. Bjorkland, 'Marskens slatinger vilar i Florens', in Sommarsondag, 15.7.2001/A8U(132)
*§ LJUDMILA BORISOVNA PAVLOVICH/ RUSSIA / Paulowich/ Ludomilla/ Boris/ Russia/ Firenze/ 13 Novembre/ 1874/ Anni 3/ 1280/ Ludmilla Poulowic, Russia, fille de Boris/ Talalay: † Firenze, 13(1).11.1874, di anni 3, N° 1280, RC/ E17I
^§ EVGENIJ POLJAKOV/ RUSSIA/ Poljakov/ Evgenij/ Evgenia [in Cyrillic cursive] / 27.4.1943-24.10.1996/ EVGHENI POLYAKOV/ COREOGRAFO BALLERINO MAITRE DE BALLET// EVGHENI POLYAKOV// GENIE COREOGRAFO BALLERINO/ MAITRE DE BALLET DA MOSCA DOVE NACQUE/ PORTO' IN FRANCIA E IN ITALIA/ LA GRANDE ARTE DELLA DANZA/ E LA SUA RARA PREZIOSA UMANITA'/ RIPOSA ADESSO NELLA SUA FIRENZE/ VIVO NEL CUORE DEGLI AMICI/ CON AMORE E NOSTALGIA/ A LUI UNITI PER SEMPRE/ Talalay: 1945 - Parigi 1996, coreografo, ballerino; Bibl: E. Polyakov, S. Stagni, Altre coreografie (Firenze: Edizioni Novalis, 1996); M. Talalay, Pamjati Evgenija Poljakova, in Russ,kaja Mysl', 4149 (14.11.1996), S. 17; M. Talalay, 'Florencija prosaetsja s maestro, in Russkaja Mysl', 4161, 13-02.1997, S. 16, La Firenze dei Russi (foto di M. Agus, testi di L. Tonini e M. Talalay), Firenze, Edizioni Polistampa, 2000, pp. 44-45./ D24I
*§ VLADIMIR FEDOROVICH RADECKIJ/ RUSSIA / Radetzky/ W./ Teodoro/ Russia/ Firenze/ 11 Marzo/ 1871/ Anni 49/ 1122/ Talalay: † Firenze 11.3.(27.2).1871, di anni 49; 'ingegnere delle vie di comunicazione, consigliere di Stato effetivo', MFK; N° 1122, RC/ A5T(92)
§ MODEST NIKOLAEVICH RAZNATOVSKIJ/ RUSSIA / Raznatowsky/ Modesto/ Niccola/ Russia/ Firenze/ 12 Maggio/ 1873/ Anni 12/ 1214/ Talalay:† Firenze12.5(30.4).1873, di anni 12, 'figlio di un attendente in congedo, allievo di un ginnasio di Pietroburgo', MKF, N° 1214, RC
*§ GEORGIJ DMITRIEVIC REBEZOV [REBESOFF]/ RUSSIA/ Rébésoff/ Giorgio/ / Russia/ Firenze/ 26 Ottobre/ 1864/ Mesi 10/ 887/ [Rosebud] / Talalay: Pisa 12.12.1863 - Firenze 26.10.1864; 'figlio di Dmitrij Ivanovic Rebezov (1818-1874) e di Praskov'ja Ivanovna Cechini (1834-1905), Epitaffio: takih bo est/ Carstvie Nebesnow/ avranno il Regno Celeste; N° 887, RC/ B15M
*§ KALIMA NADEZDA DE SANTIS/ NUBIA/RUSSIA/ Desantis (Speranza [=Nadezda])/ Kalinna/ / Russia/ Firenze/ 25 Agosto/ 1851/ Anni 38/ 464/ [Kalima was born in Nubia, likely a black slave, was brought to Florence in 1827, freed, baptised 'Nadezda', 'Hope', married, died a lady in Florence; her tomb with Greek Orthodox cross in stone, Cyrillic inscriptions, is near that of Hiram Powers, American Indian sculptor of the 'Greek Slave'; Talalay: † Firenze27.8.1851, N° 464, RC; Epitaffio: 'Zdes' pokoitsja telo/ negritjank Kalimy/ vo Sv. Kresenii Nadezdy/ privezennoj vo Florenciju/ iz Nubii v 1827 godu/ Primi mja Gospodi/ vo Carstvie Tvoe'/Qui giace il corpo nella negressa Kalima, nel Santo/ Battesimo chiamata Nadezda (Speranza) che è stata portata a Firenze dalla Nubia nel 1827, Accoglila Signore nel Tuo Regno/E17E
§ LYDIA SECHAVCOVA, NATA ROBERTS/ ENGLAND/RUSSIA/ Roberts nei Schehavtzoff/ Lidia/ / Russia/ Napoli/ 10 Febbraio/ 1877/ / 1382/ Talalay: 12.6.1851 - Napoli 10.2.1877; moglie di un attendente in congedo, il nobile P'tr Ivanovic Sechabc'v, stabilitosi in Italia: il matrimonio ebbe luogo il 23.4.1875 nella capella privata dei Demidov a San Donato (Fondo della chiesa di S Nicola a San Donato/ Archivio della chiesa russa di Firenze); deceduta dopo aver dato alla luce la figlia Vera, le ceneri sono state traslate nel Cimitero agli Allori nel 1906 (nuova tomba 3644.B VII 69); N° 1398, RC/ see Vera Sechavceva
^*§ CONTE BORIS SIEVERS/ LETTONIA/ Sievers Boris/ Conte/ / Russia/ Firenze/ 24 Maggio/ 1844/ / 288/ [marginal note]/ le comte de Sievers, Boris, Livonia en Russie, rentier/ Talalay: - 24.5.1844; N° 288, ["suicidio", RC]/C29N
Smirnova (Smirnoff) Anastasia, † Firenze 12.12.1833, di giorni 28 [registrata in RC, ma poi cancellata].
§ ELISABETTA FABIANOVNA STAHLBERG NATA BERG/ RUSSIA/ Stahlberg nata Berg/ Elisabetta/ Fabiano/ Russia/ Firenze/ 11 Gennaio/ 1874/ Anni 19/ 1238/ Talalay: † Firenze 11.1.1874, di anni 19,RC E13C
^*§ CONTESSA ELEANORE EMILIE STENBOCK-FERMOR/ RUSSIA/SVEZIA / Stenbock (Fermor) [pencilled brackets]/ Contessa Eleonora Emilia / / Russia [pencil, (Svezia)]/ /18 Febbraio/ 1859/ Anni 44/ 664/ Comtessa Eleanore Emilie Stenbock Fermor, Neuenhoff en Estonie, proprietaire, fille de Comte Magnus Johann Stenbock Fermor, Colonel Russe, et de Comtesse Friederike Auguste, née Gernet/ HIER RUHT IN GOTT/ ELEANORE STENBOCK FERMOR/ . . . / DEN 18TH FEBRUAR 1859/ Talalay: † Firenze 18.2.1859, di anni 44 [figlia di Ivan Jakovlevic, il primo conte (dal 1825) Stenbock-Fermor], N° 664, RC C22P
[* KARL PHILIPPE STICHLING/ GERMANIA/ Stichling/ Carlo Filippo/ / Germania/ Firenze/ 27 Settembre/ 1841/ Anni 33/ 225/ Consolo Russiano/ F6E
]
^*§ DOROTEA FREDERIKOVNA DE THOM NATA PIONTKOVSKAJA/ RUSSIA/ Thom (De) nata de Pionthowsky/ Vedova Dorotea/ Gio: Federigo/ Russia/ Firenze/ 27 Gennaio/ 1864/ Anni 59/ 862/ Dorothèe Corinne de Thom, née Pionthowsky, Levonie, Russie, rentiere, fille de Jean Frédéric de Pionthowsky et de Jeanne Elisabeth, née Boström/ Talalay: † Firenze 27.1.1864 di 59 anni, n. 862 [RC], tomba non è conservata,RC/
*§ VERA LEONIDOVNA URUSOVA/ RUSSIA/ +/ Ouroussoff/ Vera/ Principe Leonida/ Russia/ Firenze/ 28 Aprile/ 1872/ Anni 4/ [1165] / +/ fille du Prince Leonid Ourousoff/ Talalay: Urusova Vera Leonidovna, principessina, 1868 - 28.4.1872, figlia del principe Leonid Dmitrievic Urosov (1837-1885), vice-governatore della citta Tula e di Maria Segeevna Malzeva (1844-Roma 1904); N° 1165, RC; lapide di marmo bianco: Epitaffio: Christos Voskrese (Cristo è risorto)/ A3O(16)
*§ F'DOR PAVLOVIC D'OUSSOW/ USOV/ RUSSIA/ D'Oussow/ Teodoro/ Paolo/ Russia/ Firenze/ 28 Marzo/ 1876/ Anni 55/ 1350/ [Angel holding Cross, in other hand, with Ribboned Garland of Flowers, below Cross and Coat of Arms the Russian inscription is no longer legible from restoration cleaning] TEODORO E GUGLIELMINA D'OUSSOW/ E14I/
*§ GUGLIELMINA (AMBROSUS) D'OUSSOW/ USOVA/ GERMANIA/RUSSIA/ D'Oussow nata Ambrosus/ Vedova Guglielmina/ Niccolò/ Germania/ Firenze/ 18 Novembre/ 1876/ Anni 43/ 1370/ TEODORO E GUGLIELMINA D'OUSSOW/ Talalay: † Firenze 18.11.1876, RC/ E14I/ see Ambrosus/Usova
*§ PAUL POLIDOROVIC VENTURA/ MOLDOVA/RUSSIA/ Ventura/ Paolo/ Polidoro/ Germania/ Firenze/ 25 Gennaio/ 1859/ Anni 3/ 662/ Paul Ventura, Moldavie, fils du Colonel Polydore Ventura/ AICE ODIXXESTE/ PRUNKUL/ PAUL P. VENTURA/ NASKET LA MOLDOVA/ IN 5 DEKEMBRE 1855/ MORI LA FLORENCE IN 25 IANUARI 1859/ Talalay: Moldova 30.12.1855 - Firenze, 13.1.1859; N° 1091, RC; Tomba con alto piedistallo e stemma con motto: Ense et Consilio/ C26P
§ ALEKSANDR
VICHMENEV/ RUSSIA/
Vichmenev/Aleksandr/ Talalay: 7.6.1865/ aet 29/ N° 910, RC/
See
Tikhmenew/ Alessandro/ / Russia/ Firenze/ 7
Giugno/ 1865/ Anni 29/ 910/ Alexandre Tikhmenew, Russie/
Talalay: † Firenze 7.6.1865, di
anni 29, n. 910 [RC], tomba non è conservata.
§ MICHAIL DMITRIEVICH ZASSECKIJ/ RUSSIA / Zassetzky/ Michele/ Demetrio/ Russia/ Firenze/ 2 Dicembre/ 1874/ Anni 61/ 1284/ Spedito in Russia/ Talalay: Mosca 25.20.1813-Firenze 2.12.1874, di anni 61; 'diplomatico; Vera Michaijlovna Zaseckaja, figlia di M.D. Zaszeckij, è vissuto a lungo a Firenze, dove è stata fra le promotrici della costruzione della chiesa russ che avrebbe voluto dedicare all'Arcangelo Michele in memoria del padre'; N° 1284/ (i resti sono stati traslati in Russia)
§ ZELEZNOVA (GELESNOFF) VERA MICHAJLOVNA/ RUSSIA/Gelesnoff/ Vera/ Michele/ Russia/ Firenze/ 27 Aprile/ 1870/ Mesi 26/ 1091 / Talalay: '† Firenze 27.4.1870, figlia dell'artista Michail I. Gelesnov, N° 1091, RC/ tomba non è conservata.
§ ALEKSANDR MICHAJLOVIC ZUKOVSKIJ/ RUSSIA/Talalay: /23.8.1812 - Firenze 6.2(25.1).1856; 'general-maggiore al seguito di Sua Maesta l'Imperatore', MFK; Epitaffio: upokoj Gospodi dusu raba Tvoego/ Accogli in pace, Signore, l'anima del Tuo schiavo/
Traduzione di Lucia Tonini
1 Cfr: Il
cimitero acattolico di Roma, a cura di J. Beck-Friis
(ultima ed.: Roma 1997); V. Gasperovicz, M. Ju. Katin-Jarcev,
M. G. Talalay, A. A. Sumkov, Kladbise Testacco v Rime [Il
cimitero Testaccio a Roma], Sankt-Peterburg 2000.
2 G. Panessa, Le
comunità greche a Livorno, Livorno 1991.
3 M. Talalay,
A.M. Canepa, 'I sepolcri dei russi a Livorno', in Nuovi
Studi Livornesi, Vol. II, 1994, pp. 233-258.
4 Citiamo ad
esempio la principessa Marija Sumbatova in Guanci, sepolta
nella cripta della basilica di S. Miniato.
5 Uno di questi,
Severin Gedeke, partecipo persino alla rivolta per
l'indipendenza e morì a Firenze per una ferita provocata dalle
armate dello Zar.
DA MOSCA A FIRENZE: I KUDRJAVCEV E L'ITALIA
LUCIA TONINI
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Front of Kudravceva
Tomb
Back with Epitaph
Tomb behind with weeping orphan
§ VARVARA ARSEN'EVNA KUDRJAVCEVA NATA NELIDOVA/ RUSSIA/ Kudranzow/ Bardera [sic]/ / Russia/ Firenze/ 17 Marzo/ 1857/ Anni 30/ 609/ Bardera Kudrawzow, femme de Pierre Kudrawzow, Moscou, Empire Russe/ Kudrjavceva, nata Nelidova, Varvara Arsen'evna/ Talalay: 6.2.1826 - 17(5).3.1857; 'moglie di un professore dell'università di Mosca' (Petr Nikolaevic Kudrjavcev, noto storio, italianista (1816-1858), MKF; N° 609, RC; Epitaffo: nikto ne prinosil/ stol'ko scast'ja/ kak ona i tomu, kto znal/ i poterjal ee nikogda/ ne izbyt' gor'kogo sirostava/ Nessuno ha dato tanto felicità come lei e chi l'ha conosciuta e l'ha persa sara sempre amaramente orfano (epitaffio composto probabilmente dal professor Kudrjavcev rimasto vedovo)/ C25P
^* MARIA MERCADANTI/ SVIZZERA/ Mercadant/ Maria/ / Svizzera/ Firenze/ 29 Gennaio/ 1832/ Anni 23/ 57/ C25O [Weeping orphan already in situ when Kudravcev planned his wife's tomb]
opo
un panorama generale sulle presenze russe al Cimitero 'degli
Inglesi' questa sarà una sorta di zoommata in particolare su
una di esse che ci dà l’opportunità di accennare al
significato del rapporto fra la cultura russa e Firenze alla
metà del XIX secolo. Si tratta qui della tomba di
Varvara Arsenjevna Kudrjavceva, nata Nelidova che il marito
Piotr depose nal marzo 1857 durante il soggiorno della
coppia nella città. Il monumento non ha riferimenti
religiosi e la scritta sulla lapide è espressione solo
del chiuso e inconsolabile dolore per la perdita. Tornato in
patria nell’ottobre, anche Petr Kudrjavcev morirà
inconsolabile nel gennaio del 1858, pochi mesi dopo la
moglie.
After a general overview of the Russian presence in the 'English' Cemetery this will be a sort of focussing in particular on one of them which can give us the opportunity of studying the significance of the ties between Russian culture and Florence at the middle of the nineteenth century. I treat here of the tomb of Varvara Arensjevna Kudrjavceva, born Nelidova, buried by her husband Piotre in March 1857 during the couple's sojourn in the city. The monument has no religious reference and the writing on the stone is an expression only of close and inconsolable sorrow for her loss. Returning to Russia in October, Petre Kudravcev also died, inconsolable, in January 1858, a few months following his wife.
Ma chi era Petr Kudrjavcev e perché era a Firenze? Era forse uno dei tanti rappresentanti della nobiltà russa che arrivavano a Firenze , sulle orme di un Grand Tour verso la Classicità o un membro di una famiglia di piccoli commercianti arrivato al servizio di qualche gran signore e poi emancipatosi, un diplomatico o un militare proveniente dal porto di Livorno ? No Kudrjavcev era uno dei primi rappresentanti di una nuova classe di raznochincy, borghesi possiamo dire, un rappresentante dell’intellighenzia russa degli anni ‘50, professore dell’Università di Mosca, fra i primi ad affrontare in Russia da storico moderno il Medioevo Europeo e a divulgarne la conoscenza in Russia.
But who was Petr Kudrjavcev and why was he in Florence? Was he perhaps one of the many representatives of the Russian nobility who came to Florence, taking up the Grand Tour towards Classicism or a member of a family of small shopkeepers arriving in the service of a lord and then emancipated, a diplomat or an soldier come from the port of Livorno? No, Kudrjavcev was one of the first representatives of a new class of raznochincy, bourgeois we could say, a representative of the Russian intelligentzia of the 1850s, professor at the University of Moscow, amongst the first in Russia to study the history of medieval Europe and to share that knowledge in Russia.
Venendo nella capitale toscana Petr Nikolaevic Kudrjavcev , realizzava uno dei sogni della sua vita di studioso che all’Italia aveva dedicato i maggiori suoi lavori. Professore di storia all’Università di Mosca era stato allievo di Granovskij, fondatore della Medievistica russa e lo aveva poi sostituito alla cattedra di storia Orientale e in seguito di storia Greca. Negli anni ’40, per completare il corso dei suoi studi , aveva fatto un lungo soggiorno all’estero durante il quale aveva frequentato le lezioni di Schelling e Werder a Berlino e aveva seguito corsi di storia dell’Arte a Dresda, a Parigi e a Vienna, che ispireranno in seguito alcuni suoi lavori. Nel 1844 la sua tesi di dottorato sul “Papato e al Sacro romano impero nei secoli IX, X e XI” era stata subito occasione di disputa con lo storico e letterato Shevyrjov , in seguito fra i frequentatori del Gabinetto Vieusseux e autore della prima “Storia della letteratura russa “ in italiano, che da un’ottica strettamente nazionale e ortodossa lo accusava di eccessivo ‘filipapismo’. La tesi infatti non verrà pubblicata.
Coming to the Tuscan capital Petr Nikolaevic Kudrjavcev achieved one of the dreams of his life as a scholar who had dedicated most of his research to Italy. Professor of History at the University of Moscow he was a student of Granoskij, founder of Russian medieval studies and who then replaced him in the chair of Oriental History and then of Greek History. In the 1840's, to complete his course of study, he had travelled abroad during which he had frequented Schelling and Werder's lectures in Berlin and had taken courses in the History of Art at Dresden, Paris and Vienna, which consequently inspired his research. In 1844 his doctoral thesis on 'The Papacy and the Holy Roman Empire of the Ninth, Tenth, and Eleventh Centuries' was disputed with the historian and writer Shrevyrjov, who became one of the frequenters of the Gabinetto Vieusseux and author of the first 'History of Russian Literature' in Italian, who judged him through a nationalistic and orthodox lens accusing him an excessive 'philo-Papist'. The thesis in fact was not published.
A seguito
di questo primo lavoro K. pubblicherà invece nel 1850 la sua
opera fondamentale intitolata “Il destino dell’Italia dalla
caduta dell’Impero Romano d’Occidente fino a Carlo Magno”,
alla quale in seguito si aggiungeranno numerosi scritti
impostati a un criticismo storico di stampo Niburiano,
sull’”Attendibilità della storia “ o “Sulle condizioni e il
significato della storia contemporanea “ cui metterà mano nei
primi anni ’50. Entrato all’università nel 1850 come
professore, subentrerà poi al suo maestro Granovskij alla
morte di questi pochi anni dopo affiancando a quella di
professore l’attivitè di pubblicista che lo portò ad
occuparsi su riviste come Otechestvennye zapiski
(Memorie patrie) o Russkij Vestnik (Il messaggero
russo ) di temi storico artistici come “La Venere di Milo” o
“Il Belvedere” sulla Galleria di Vienna.
Nel pieno della sua attività,
partendo per un periodo di cura e studio a Firenze nel 1857
era stato salutato da un gruppo affezionato di
studenti del corso di storia e dai colleghi di filosofia e
storia russa fra cui P. Leont’ev divulgatore della filosofia
di Schelling in Russia e Sergej Solov’ev autore della “Storia
di Russia”.
Following this first work Kudrjavcev published instead in 1850 his fundamental work titled 'The Destiny of Italy at the Fall of the Western Roman Empire to Charlemagne', to which he then added numerous writings in response to a historical critic of the newspaper Niburiano, on the 'Expectations of History' or 'On the Conditions and the Meaning of Contemporary History' which he wrote in the first years of the 1850's. Entering the university in 1850 as professor, he then succeeded his teacher Granovskij at his death after some years after working alongside the professor at the work of publishing their research which brought him to work with reviews such as Otechestvennye zapiski (Memories of the Country) o Russkij Vestnik (The Russian Messenger) on art historical themes like the 'Venus de Milo' or the 'Belvedere' in Vienna's Gallery. In the full flood of his work, parting for a period of cure and study in Florence in 1857 he was serenaded by an affectionate group of students in the history programme and by colleagues in philosophy and Russian history among them P. Leont'ev, who publicised Schelling's philosophy in Russia, and Sergej Solov'ev, author of 'History of Russia'.
La scelta di Firenze non era casuale ma era motivata dall’interesse per la storia e la cultura della città che Kudrjavcev aveva coltivato nel corso dei suoi studi , in particolare quelli centrati sulla figura di Dante. A seguito infatti della comparsa nel 1851 dell’ opera di Foriel sull’origine della letteratura italiana e su Dante e nell’anno seguente di quella di Vegele “Vita e opera di Dante”, egli aveva messo in luce l’importanza della biografia del grande autore: “su di essa – dice Kudrjavcev – vale la pena di soffermarsi almeno quanto sulla sua opera” e per questo era sua intenzione promuoverne la conoscenza anche in lingua russa. Si dedica così a scrivere una biografia del poeta, la prima in lingua russa, di cui tuttavia riuscirà a portare a termine solo i primi due capitoli sulla sua giovinezza. Il significato e la lettura che da della biografia dantesca si concentra, nei brani che sono a nostra conoscenza, sulla lotta fra le due fazioni opposte dei guelfi e dei ghibellini come caratteristica della del feudalismo italiano che si svolge tutto all’interno delle mura urbane, come fenomeno strettamente cittadino. Il fattore ideale tuttavia interveniva nella società medievale soprattutto attraverso lo spirito delle crociate e le espressioni di amore cavalleresco visto come servizio alla donna, cantato dalla poesia trobadorica, fonte di ispirazione che, secondo l’autore, colmava una insufficienza di forti principi morali di vita. Dante riscatta questa condizione facendo dell’amore per Beatrice non solo la luce della sua giovinezza ma il movente di una “Vita nova” .
The choice of Florence was not by chance but motivated by the interest in the history and culture of the city that Kudrjavcev had cultivated in the course of his studies, in particular centred on the figure of Dante. Following in fact the appearance in 1851 of the work of Foriel on the origins of Italian literature and on Dante and in the following year Vegele's 'Life and Works of Dante', he had understood the importance of the biography of the great author: 'About whom', said Kudrjavcev, 'it is worthwhile to consider at least his work' and through this his intention was moved to make him known even in the Russian language. He dedicated himself to writing a biography of the poet of which he was only able to write the first two chapters on his youth. The meaning and the reading which he gave to the Dante biography concentrated, in the passages which we know, on the struggle between the two opposing factions of the Guelfs and the Ghibellines as characteristic of Italian feudalism which took place within the city walls, as a strictly urban phenomenon. However the ideal factor came about in medieval society above all in the spirit of the Crusade and the expression of chivalric love seen as service paid to the lady, sung in troubador poetry, the font of inspiration that, according to the author, fulfilled an insufficiency of strong moral principles of life. Dante redeems this condition making his love for Beatrice not only the light of his youth but the movement of a 'New Life', a 'Vita Nuova'.
In seguito, dopo aver trattato di temi legati al rapporto fra la politica del Sacro Romano Impero e la riforma di Lutero nel saggio intitolato “Carlo V”, nell’anno della sua venuta a Firenze Kudrjavcev torna su temi più strettamente fiorentini in un lavoro dal doppio titolo “Gioventù di Caterina dei Medici” o “Episodio dagli ultimi tempi della repubblica fiorentina”, tema suscitato dalla pubblicazione dell’opera di Reimont. Il racconto della gioventù di Caterina diventa pretesto per un saggio sulla storia fiorentina e in particolare sull’assedio del 1530, nel quale Kudrjavcev tende a dimostrare come l’equilibrio fra le forze politiche sia l’unica garanzia della stabilità di uno Stato.
Following, after having studied the themes linked to the relations between the politics of the Holy Roman Empire and the Lutheran Reformation in an essay titled 'Charles V' in the year of his coming to Florence Kudrjavcev turned to the more narrowly Florentine theme in a work with the double title 'Catherine dei Medici's Youth' or 'Episode in the Last Days of the Florentine Republic', a theme aroused by the publication of the work of Reimont. The account of the youth of Catherine became the pretext for an essay on Florentine history and in particular on the Seige of 1530, in which Kudrjavcev tended to show how the balance between the political forces is the one guarantee for the stability of a State.
L’interesse per la storia fiorentina diventa, nell’anno del suo soggiorno in questa città, reportage di cronaca che vide la luce su “Russkij vestnik” a più riprese.
His interest in Florentine history became, in the year of his sojourn in this city,a chronicle report that saw the light in “Russkij vestnik” on several occasions.
Ma quello che è interessante osservare è come l’opera dello storico russo che fu tra i primi ad occuparsi e diffondere in Russia la storiografia fiorentina sulla scia di stimoli provenienti da autori di risonanza europea, pur meritandosi in patria accuse di scarso patriottismo non può prescindere nei suoi corsi universitari dai fondamenti di quella che in seguito sarà una interpretazione tutta russa del Rinascimento italiano, che rifiuta di allinearsi con la civiltà che da questo è nata e arrivando a delinearne i tratti demoniaci di una filosofia dell’Anticristo. Kudrjavcev, se pur in forma ancora velata mette tuttavia in evidenza “l’indifferenza religiosa” che contraddistingue il nuovo orientamento che “lo doveva portare molto in basso”, in tutta una serie di articoli che sono stati ripubblicati negli ultimi anni ‘90.
But what is interesting to observe is how the work of the Russian historian was amongst the earliest to study and spread in Russia Florentine historiography on the trail of stimuli coming from authors of European renown, even meriting in his own land the accusations of a lack of patriotism that can not exclude from his university career the bases of what would be later a new and pan-Russian interpretation of the Italian Renaissance, that refuses to align itself with the civilization that was born from this and which came to delineate it with demonic traits of a philosophy of 'Antichrist'. Kudrjavcev, though still in a veiled form put into evidence the 'religious indifference' that distinguished the new orientation that 'was to drag it down', all in a series of articles that were re-published in the last years of the 1890's.
Per concludere tornando alla figura del medioevo italiano che ha maggiore significato per lo storico russo e alla vicenda personale che lo lega al Cimitero 'degli Inglesi' è curioso notare come descrivendo la visione giovanile avuta da Dante della morte di Beatrice Kudrjavcev precorre e descrive quasi quelli che saranno i suoi stessi sentimenti alla morte della propria moglie :” Egli era nella condizione nella quale uno dice a se stesso che per lui tutto è perduto in questo mondo. Proprio così: avvertiva il vuoto intorno non solo nel suo cuore ma anche nel mondo intero … Come prima nell’immagine di Beatrice si concentrava tutta la bellezza e ogni merito, così ora gli sembrava che la città non avesse più alcun merito mancando colei che ai suoi occhi era la sua unica abbellimento; era pronto a dolersi con tutto il mondo della sua perdita come se tutti fossero colpevoli della sua morte e tutti dovessero dolersene in egual modo”. Le parole scritte sulla lapide della moglie nella città che egli amava sembrano risuonare quelle del suo maggior poeta : “Nessuno ha dato tanta gioia quanta ne ha data lei e chi l’ha conosciuta e l’ha perduta sarà sempre amaramente orfano” Ma per Dante la perdita della donna amata era solo un passaggio a un periodo di una Nuova Vita mentre per lui ne segnò effettivamente la fine.
Concluding by turning to the medieval Italian figure
who had the greatest meaning for the Russian historian and to
the personal ties which bound him to the 'English' Cemetery,
it is curious to note how in describing the vision the
youthful Dante had at the death of Beatrice Kudrjavcev came to
describe what would be his same sentiments at the death of his
own wife: 'She was of that condition of which one would say to
himself that all was lost for him in this world. It was so: a
void not only in his heart but even in the whole world . . .
As first in the vision of Beatrice was concentrated all beauty
and every merit, so now it seemed to him that the city had no
other merit lacking her who to his own were the unique beauty;
he was ready to mourn with the whole world at her loss as if
all were guilty of her death and all should sorrow in the same
way'. The words written on the stone of his wife in the city
that he loved seem to resound with her greatest poet: 'No one
gave so much joy as she gave and who has known her and lost
her shall seem forever bitterly orphaned'. But for Dante the
loss of the loved woman was only a passage to a time of a New
Life while for him it was effectively the end.
© Lucia Tonini, 2004
LE RAGIONE DI UN'ASSENZA, I MOTIVI DI UNA PRESENZA: POLACCHI E UNGHERESI
LUCA BERNARDINI
In a recess is the monument to the Polish Countess Zamoyska, of the family Czartoryska, by the celebrated modern Tuscan sculptor Bartolini - one of his best works. She is seated almost upright on her bed, painfully emaciated, and with all the appearance of approaching death. The execution is admirable, but the representation of disease and dissolution is as unpleasing as it is inappropriate in a record of the life and immortality of the soul.Joanna and Susan Horner, Walks in Florence
As to my children, Augustus, whom you scarcely know, is a volunteer in the army according to our law of universal conscription. Charles you may have seen at Florence. I sent him thither to visit his grandmother. Polixena gets handsome and clever; little Garibaldi is to go to school September next.
Ferencz Pulsky writing to Thomas Adolphus Trollope, from Pesth, 27 March 1869
uando
sono stato invitato da Maurizio Bossi a prendere parte al
convegno ho provato quelli che in inglese si chiamano “mixed
feelings”. Una grande felicità, piuttosto naturale per uno
che ha passato gran parte della sua vita in Piazza
Donatello, al n. 18, angolo con via degli Artisti (un tempo
si sarebbe detto: accanto al giornalaio, ma ora il
giornalaio - come altre cose a Firenze - non c’è più). E un
po’ d’imbarazzo: io sono un polonista, con un generico
interesse per tutto ciò che viene dall’est europeo, ma i
polacchi – si sa – da 350 anni sono cattolici, molto
cattolici, pure troppo, e quindi – al cimitero detto “degli
Inglesi” non ce ne sono. O quasi. Non che a Firenze manchino
sepolture più o meno celebri di polacchi più o meno famosi.
Nella cappella Salviati in Santa Croce troviamo la tomba di
Zofia Czartoryska (1778-1837), opera di Lorenzo Bartolini,
che nel suo Reisehandbuch für Italien (Berlin, 1853)
Eduard von Lossow avrebbe segnalato come meritevole - da
sola – di un viaggio a Firenze. Nella cappella Castellani,
invece, fa mostra di sé il bel sepolcro di Michal Bogoria
Skotnicki (1775-1808), dovuto allo scalpello di Stefano
Ricci: un aneddoto, riportato da Stanislaw Dunin-Borkowski,
che visitò l’Italia nel 1815-16, voleva aver Canova firmato
a matita («Canova fecit») la base del monumento di cui
avrebbe molto voluto essere l'autore.
When I was invited by Maurizio Bossi to take part in this conference I had what in English would be called 'mixed feelings'. A great joy, rather natural for one who passed a great part of his life in Piazza Donatello, at number 18, the corner with the via degli Artisti (in the past one would have said, by the newstand, but now the newstand - as with so much else in Florence - is no more). And some embarassment: I am a scholar of Poland, with a general interest in all that comes from Eastern Europe, but the Poles - as is well known - for 350 years have been Catholic, very Catholic, even too much so, and so - in the 'English' Cemetery are none. Or almost. Not that Florence lacks tombs of more or less celebrated Poles. In the Salviati chapel in Santa Croce we find the tomb of Zofia Czartoryska (1778-1837), the work of Lorenzo Bartolini, which Eduard von Lossow in his Reisehandbuch für Italien (Berlin, 1853) marked out as meriting, on its own, a visit to Florence. In the Castellani chapel, instead, is found the beautiful tomb of Michal Bogoria Skotnicki (1775-1808), owed to the chisel of Stefano Ricci; an anecdote, reported by Stanislaw Dunin-Borkowski, who visited Italy in 1815-16, claimed Canova had signed in pencil ('Canova fecit') the base of the monument of which he had so much wanted to have been the author.
//Nel 1861, lo storico dell'arte Jozef Kremer dal canto suo avrebbe constatato con un certo orgoglio che la presenza del monumento di Ricci in Santa Croce era stata segnalata da Valery (pseudonimo di A. C. Pasquin) nei suoi Voyages historiques [...] en Italie (Bruxelles, 1835). Avendo Elzbieta Laskiewicz fattone realizzare una copia per la cappella dei ‘Szafrancy’ nella cattedrale del Wawel, la memoria del pittore polacco sopravvive al contempo nel Panteon fiorentino e in quello della “Firenze del Nord”, Cracovia. Sono ancora da segnalare a Firenze le tombe, sempre in Santa Croce, del musicista Michal Kleofas Oginski, di Zofia Cieszkowska, opera dello scultore polacco Teofil Lenartowicz, e la misconosciuta lapide di Aleksandra Moszczenska, un infelice amore del poeta romantico Juliusz Slowacki. A Trespiano si trova il monumento funebre, opera di Roberto Pazzaglia, del filosofo Stanislaw Brzozowski, una delle figure più importanti della cultura polacca a cavallo fra il XIX e il XX secolo, ma al cimitero “degli inglesi” tombe di polacchi, cattolici di provata fede, come abbiamo detto, non ve ne sono, o quasi. Vedremo poi in che cosa consista questo quasi.
In 1861 the art historian Jozef Kremer for his part had stated with a certain pride that the presence of the Ricci monument in Santa Croce had been noted by Valery (pseudonym of A. C. Pasquin) in his Voyages historiques [ . . . ] en Italie (Brussels, 1853). Having Elzbieta Laskiewicz make a copy for the 'Szafrancy' chapel in the cathedral of Wawel, the memory of the Polish painter survives at the same time in the Florentine Pantheon and in that of the 'Florence of the North', Krakov. There are also in Florence the tombs, again in Santa Croce, of the musician Michal Kleofas Oginski, of Zofia Cieszkowska, work of the Polish sculptor Teofil Lenartowicz, and the little-known stone of Aleksandra Moszxzenska, an unfortunate love of the Romantic poet Juliusz Slowacki. At Trespiano is found the funeral monument, work of Robert Pazzaglia, of the philosopher Stanislaw Brzozowksi, one of the most important figures for Polish culture between the nineteenth and the twentieth centuries, but in the 'English' Cemetery, tombs of Poles, Catholics of devout faithfulness, as we have said, there are none, or almost none. We shall see in what consists this 'quasi'.
Sono relativamente numerose invece le sepolture di ungheresi. Accanto allo sconosciuto barone Emil Kann, morto a 27 anni nel 1873, alla figlioletta Isabella, di soli due anni e morta lo stesso giorno, e al figlio Georg Emil, morto dieci giorni dopo ad appena tre anni,
The Hungarian tombs are relatively numerous. Besides the little known Baron Emil Kann, dead at 27in 1873, the little daughter Isabella, only two and dying the same day, and the son Georg Emil, dead ten days later and just three years old,
* BARON EMILE KANN/ HUNGARIA/ GEORGES EMILE KANN, ISABELLE FLORA KANN/ ITALY/ +/ Kann/ Barone Emilio/ Abramo/ Austria/ Firenze/ 9 Maggio/ 1873/ Anni 27/ 1213/ +/ * Kann/ Giorgio Emilio/ Emilio/ Austria/ Firenze/ 19 Maggio/ 1873/ Anni 3/ 1212/ * Kann/ Isabelle/ Emilio/ Austria/ Firenze/ 8 Maggio/ 1873/ Anni 2/ 1212[Swiss cross in garland] / Isabelle Kann, Florence, agé de 2 ans 2 mois, fils de Emile Kann/ Baron Emile Kann, Hongrie, Rentier, fil de Abraham Kann/ George Emile Kann, Hongarie, agé de 3 ans 2 mois, fils de Baron Emile Kann/ EMILE KANN/ MON MARI/ ET VOUS GEORGES ET ISABELLE/ FRUITS DE NOTRE AMOUR/ CE MARBRE DEDIE A NOTRE MEMOIRE/ PASSERA COME TOUTE CHOSE/ MAIS LES SENTIMENTS SACRE/ QUI M'ANIME/ TRIUMPHERA DI TOMBEAU/ AU REVOIR/ MARGUERITE/ EMILE KANN/ NE A VIENNE LE 1 JUILLET 1845/ MORT A FLORENCE LE 9 MAI 1873/ GEORGES EMILE KANN/ NE A FLORENCE LE 7 MARS 1870/ MORT A FLORENCE LE 1 MAI 1873/ ISABELLE FLORA KANN/ NEE A FLORENCE LE 24 FEVRIER 1871/ MORTE A FLORENCE LE 8 MAI 1873/B13P
troviamo personaggi più noti, come Gyula Pulszky (1849-1863),
we find more famous people, like Gyula Pulszky (1849-1863),
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* GYULA PULSZKY/ AUSTRIA/HUNGARY/ Pulszky/ Giulio/ Francesco/ Austria [later corrected to 'Hongrie']/ Firenze/ 19 Novembre/ 1863/ Anni 14/ 856/?/ Giulio Pulszky, Hongrie, Balog, fils de François Pulszky de Lubois e Cselfabra, et de Thérèse, née Walter/ Thomas Adolphus Trollope, What I Remember, II. 233-243, who quotes Franz Pulszky's letter to him, p.239, naming his surviving children, Augustus, Charles, Polixena, and Garibaldi/ [Boy above Florence] PULSZKY GYVLA/ SZBALOGON MART XXVII MDCCIL + FLORENCZBEN NOV XVIII MDCCCLXIII/ SIRATIÁK A. KEDVES LEJAT/ SZULÉI FERENCZ S TERÉZ/ NAGY ANYJA WALTER HENRIETTA/ TESTVEREI AGOST GABOR HARRIET KÁROLY POLYXENA GARIBALDI/ F3F
Caterina Marko Nicary (1789-1877), Victor Geyza Szilassy (1822-1859).
Caterina Marko Nicary (1789-1877), and Victor Geyza Szilassy (1822-1859).
Il personaggio più interessante e conosciuto fra le figure legate alle sepolture del cimitero degli inglesi è sicuramente Ferencz Pulszky. Nato a Eperjes (oggi Presov, in Slovacchia) nel 1814, morto a Budapest nel 1889, archeologo, raffinato collezionista di antichità e oggetti d'arte, deputato alla Dieta ungherese e al comitato Saros, segretario di stato al ministero delle Finanze austriaco, reportagista e romanziere, futuro direttore (dal 1869) del Museo nazionale ungherese, Pulszky prese parte attivissima agli avvenimenti che portarono alla guerra d'indipendenza ungherese. Nel 1849 fu inviato da Lajos Kossuth a rappresentare in Inghilterra l'Ungheria libera. Pulszky - che da giovane, come archeologo e collezionista, aveva viaggiato a lungo nella Penisola, fin da una prima visita effettuata nel 1833 in compagnia dello zio Gábor Fejérváry – a Londra si trovò in stretto contatto con gli esuli italiani, primo fra tutti Giuseppe Mazzini. Mazzini, deciso a coinvolgere la "nazione sorella ungherese" in un'alleanza antiaustriaca che l'affiancasse agli italiani e ai serbo-croati, cercò attraverso Pulszky di convincere Kossuth a entrare nel Comitato centrale democratico europeo cui aveva dato vita insieme a rappresentanti francesi, polacchi e tedeschi.
The most interesting and famous person among the people linked to the tombs in the English Cemetery is surely Ferencz Pulszky. Born at Eperges (today Presov, in Slovakia) in 1814, died at Budapest in 1889, archeologist, refined collector of antiquities and art objects, deputed by the Hungarian Diet and by the Saros committee, Secretary of State to the Austrian ministry of finance, journalist and novelist, future director (from 1869) of the Hungarian National Museum, Pulszky took part actively in the events that brought on the Hungarian War of Independence. In 1849 he was invited by Lajos Kossuth to represent Free Hungary in England. Pulszky who from his youth, as archeologist and collector, had journeyed often to Italy, his first visit being in 1833 in the company of his uncle Gábor Fejérváry - at London he found himself in close contact with Italian exiles, first among them all Giuseppe Mazzini. Mazzini, determined to involve the 'Hungarian sister nation' in an anti-Austrian alliance that would place her side by side with Italians and Serbo-Croatians, sought through Pulszky to convince Kossuth to join the European central democratic committee which had sprung to life together with French, Polish and German representatives.
//Pulszky fu l'intermediario dell'incontro avvenuto fra Kossuth e Mazzini a Londra nell'autunno del 1851, subito dopo il quale partì in compagnia del dittatore ungherese alla volta degli Stati Uniti. Dopo la dolorosa controversia insorta con Kossuth a causa dell'insuccesso del sollevamento di Milano (6 febbraio 1853) i rapporti fra Pulszky e Mazzini si raffreddarono in modo significativo, almeno fino al 1858. Nel 1860 Pulszky si recava a Torino - sotto le spoglie di corrispondente estero del London Daily News - come rappresentante di Kossuth presso Cavour, in vista di una nuova guerra contro l'Austria. Questo avrebbe significato una rottura definitiva con Mazzini, se non che Pulszky, deluso dal'atteggiamento attendista di Kossuth, si sarebbe convinto a seguire Garibaldi nella sua spedizione sull'Aspromonte (1862), riavvicinandosi all'esule ligure. L'anno era quello in cui si venne organizzando l'insurrezione nazionale polacca, che vide un convinto fautore in Mazzini e uno strenuo avversario in Pulszky, diffidente dei "sogni torbidi ed anarchici degli agitatori polacchi" . Questo finì col provocare la conclusione di ogni rapporto fra l'attivista italiano e l’archeologo ungherese, e in buona sostanza il ritiro dalla vita politica di quest'ultimo, che nel 1863, quando la Polonia insorgeva contro l'occupante russo, lasciava Torino, convinto dell'inutilità di ulteriori negoziati col governo italiano, e si trasferiva a Firenze.
Pulszky was the intermediary for the meeting between Kossuth and Mazzini in London in the Autumn of 1851, soon after which he left in company with Hungarian dictator to the United States. After the unhappy controversy with Kossuth because of the failure of the revolt of Milan (6 February 1853) relations between Pulszky and Mazzini were significantly strained, at least until 1858. In 1860 Pulszky went to Turin - in the guise of the foreign correspondent for the London Daily News - as Kossuth's representative to Cavour, in the light of a new war against Austria. This would have meant a definite break with Mazzini, but Pulszky, disillusioned by the cautious attitude of Kossuth, decided to follow Garibaldi in his expedition to Aspromonte (1862), drawing close again to the Ligurian exile. The year was that in which the Polish national insurrection came to be organized, which had a firm supporter in Mazzini and a strenuous adversary in Pulszky, diffident about the 'unclear and anarchic dreams of Polish agitators'. This had caused the end of all relations between the Italian activist and the Hungarian archeologist, and the latter substantially retired from political life, who, in 1863, when Poland rose up against the Russian occupation, left Turin, convinced of the uselessness of further negotiations with the Italian government, and moved to Florence.
//A Firenze Pulszky era già conosciuto per aver esposto al bargello, nel 1860, gli oggetti medievali della sua collezionie. L’autore de I giacobini ungheresi si stabilì nella Villa Petrovich, oggi detta “della Costa”, a Santa Margherita a Montici , e strinse amicizia con Francesco dall'Ongaro. La casa di Pulszky, in cui l'archeologo aveva esposto la propria collezione di specchi etruschi, bronzetti romani e glittica antica, divenne uno dei salotti più in vista della capitale, dove il sabato non era difficile incontrare ministri di stato come Marco Minghetti o Emilio Venosta-Visconti, dove Dall'Ongaro teneva le sue lecturae Dantis e dove - in occasione del sesto centenario della nascita dell'Alighieri - Rossi e Salvini ebbero a recitare, insieme, le terzine della Divina Commedia. Pulszky abbandonò Firenze per l'Ungheria alla vigilia del Vorvertrag (Compromesso) del 1867, grazie all'amnistia imperiale concessa da Francesco Giuseppe ai fuoriusciti politici nel 1866. In Italia lasciava il figlioletto Gyula, morto nel 1863 a soli 14 anni e sepolto nel cimitero degli Inglesi. Pulszky tragicamente fece ritorno nella sua patria nel settembre del 1866 per seppellirvi la moglie Therese Walther, austriaca, scrittrice, sposata nel 1845, e la figlia Henriette, nonché il figlio Gábor, che aveva combattuto insieme a Garibaldi, tutti vittime della spaventosa epidemia di colera di quell'anno. All'amicizia con l'eroe dei due mondi Pulszky consacrò il nome dell'ultimo nato, come si evince anche dalla lapide del sepolcro di Gyula.
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From Alta Macadam, Americans in Florence: A Complete Guide to the City and Places Associated with Americans Past and Present, Florence: Giunti, 2003. Santa Margherita a Montici is at the bottom of the map. Below Gyula's feet is view of Florence from Montici.
In Florence Pulszky was already known from having
exhibited in the Bargello, in 1860, medieval items from his
collection. The author of The Hungarian Jacobines
settled in the Villa Petrovich, today called 'della Costa', at
Santa Margherita a Montici, and became close friends with
Francesco dall'Ongaro. Pulszky's house, in which the
archelogist had exhibited his own collection of Etruscan
mirrors, Roman bronzes and ancient glyptics (intaglios),
became one of the most important salons of the capital, where
on Saturdays it was not difficult to meet ministers of state
like Marco Minghetti or Emilio Venosta-Visconti, where
Dall'Ongaro held his lecturae Dantis and where - on
the occasion of the sixth centenary of Dante's birth - Rossi
and Salvini had recited, together, the verses of the Divine
Comedy. Pulszky abandoned Florence for Hungary on the
Eve of the Vorvertrag (Compromise) of 1867, thanks to the
imperial amnesty granted by Francis Joseph to the political
exiles in 1866. He left his little son Gyula in Italy, who
died in 1863 at just 14 and who was buried in the English
Cemetery. Pulszky tragically returned to his country in
September of 1866 to bury his wife, Therese Walther, Austrian,
Jewish, a writer, whom he married in 1846, and his daughter,
Henriette, and also his son Gabor, who had fought together
with Garibaldi, all victims of a terrifying epidemic of
cholera in that year. To the friendship with the hero of two
worlds Pulszky dedicated the name of his last-born, as is
shown even on the stone of Gyula's tomb.
These are the other family tombs, in Hungary:
Della permanenza fiorentina di Pulszky, nei confronti della cui attività politica Karl Marx fin dai tempi del soggiorno londinese aveva espresso giudizi feroci, avanzando persino il sospetto che fosse una spia degli austriaci , ha lasciato un resoconto piuttosto fatuo T. A. Trollope. Grazie a Trollope comunque veniamo a sapere che fra i frequentatori del salotto fiorentino di Pulszky vi fu Bakunin. Troviamo nel suo What I remember:
About Pulszky's Florentine stay, whose political activities Karl Marx since his London stay had fiercely criticised, even claiming he was an Austrian spy, Thomas Adolphus Trollope gives a rather fatuous account. Thanks to Trollope however we come to know that among those who attended the Florentine salon was Bakunin. We find in What I remember:
Among other people more or less off the world’s beaten track, I used to meet there a very extraordinary Russian, who had accomplished the rare feat of escaping from Siberia. He was a nihilist of the most uncompromising type: a huge, shaggy man, with an unkempt head and chest like those of a bear; and by his side – more or less – there was a pretty, petite, dainty little young wife – beauty and the beast, if ever that storied couple were seen in the flesh!La conferma che il personaggio che tanta perplessità aveva destato in Trollope fosse il celebre pensatore russo ce la dà una scrittice polacca, Maria z Przezdzieckich Walewska, che nel suo I Polacchi a Parigi, Firenze e Dresda, (Warszawa 1930) segnalava esattamente in quel periodo la presenza di Bakunin in un altro salotto fiorentino, quello del conte Roger Raczynski . Se quindi Pulszky a Firenze conobbe Bakunin, è molto probabile che vi possa aver fatto la conoscenza anche di un altro celebre fuoriuscito, al quale lo legava una comune ammirazione per Giuseppe Garibaldi, il generale Jóseph Hauke Bosak, eroe del powstanie del 1863. Giunto nella città toscana nella seconda metà del 1864, trovatosi in difficoltà finanziarie, Hauke Bosak volle farsi pittore per mantenere la famiglia . A Firenze conobbe Bakunin, e da Firenze nell’aprile-maggio del 1865 si recò a trovare Garibaldi a Caprera. Dopo aver cercato di organizzare, d'intesa con l'eroe dei due mondi, una Legione polacca che prendesse parte alla guerra contro l'Austria del 1866, e di cui avrebbe dovuto assumere il comando, Hauke si arruolò nel garibaldino Esercito dei Vosgi e prese parte attiva - come generale di brigata - al conflitto franco-prussiano, cadendo in combattimento durante la difesa di Digione, nel 1871.
The confirmation that this person who puzzled Trollope so much was the celebrated Russian thinker is given us by the Polish writer, Maria z Przezdzieckigh Walewska, who in her Poles in Paris, Florence and Dresden (Warsaw, 1930), who noted exactly in that period Bakunin's presence in another Florentine salon, that of the Count Roger Raczynski. If therefore Pulszky at Florence met Bakunin, it is very probable that he would have made the acquaintance of another famous exile, to whom he was linked by a common admiration for Giuseppe Garibaldi, the general Jòseph Hauke Bosak, hero of powstanie in 1863. Coming to the Tuscan city in the second half of 1864, finding himself in financial difficulties, Hauke Bosak became a painter to sustain his family. At Florence he met Bakunin, and from Florence in April/May of 1865, he went to visit Garibaldi at Caprera. After having tried to organize, in agreement with the Hero of Two Worlds, a Polish legion that could take part in the war against Austria in 1866, and of which he would have assumed the command, Hauke enrolled in the Garibaldi Army of the Vosgi and took an active part - as general of a brigade - in the Franco-Prussian conflict, falling in combat during the defence of Dijon in 1871.
Con Hauke Bosak era giunto a Firenze un altro partecipante della sfortunata insurrezione anti russa del 1863, l’unico polacco sepolto al cimitero degli Inglesi. Si tratta di Seweryn Goedke, commissario del Governo nazionale presso i reparti che combatterono nel voivodato di Podlasie, nei pressi di Lublino, che a 27 anni giunse nell’allora capitale italiana per morirvi in conseguenza delle ferite ricevute in combattimento. La lapide del monumento sepolcrale conservato nel cimitero evangelico recita in latino: Severinus Goedke / Polonus / Patriae suae vindex / Filius bonus / Amicus fidelis / Civis probus / Miles intrepidus / Obiit in Exilio Florentiae / Fratres fratre posuerunt. Sul verso della lapide, troviamo in polacco che Goedke, «polacco / per stirpe, cuore, intelletto e gesta», nel 1863 era stato commissario del governo insurrezionale, e che era morto a Firenze il 3 maggio 1864. In Il cimitero protestante detto ‘degli Inglesi’ (Firenze, 1981, p. 20) il pastore Luigi Santini annotava che Goedke «giunto in esilio a Firenze, non sopravvisse a lungo alla ferite, dopo i patimenti che avevano fiaccato la sua giovane fibra. Per non voluta ironia, il registro del cimitero segnala: “Patria – Russia”».
With Hauke Bosak another participant of the unfortunate insurrection against Russia in 1863 came to Florence, the only Pole to be buried in the English Cemetery. We speak of Seweryn Goedke, Officer of the National Government amongst the ranks which fought in the voivodate of Podlasie, near Lublino, who at 27 came to the new Italian capital to die in consequence of his wounds received in combat. The stone of his monument in the Evangelical Cemetery reads in Latin:
On the reverse of the stone we find in Polish that Goedke was Polish by race, heart, intellect and deed, that in 1863 he was Officer of the Revolutionary Government and that he died in Florence 3 May 1864.SEVERINUS GOEDKE
POLONUS
PATRIAE SUAE VINDEX
FILIUS BONUS
AMICUS FIDELIS
CIVIS PROBUS
MILES INTREPIDUS
OPBIIT IN EXILIO FLORENTIAE
FRATRES FRATRE POSUERUNT
aa
Latin
inscription
Polish inscription
*§ SEVERINUS GOEDKE/ POLAND/RUSSIA/ Gethke (Zimbowsky)/ Severino/ / Russia/ Firenze/ 3 Maggio/ 1864/ Anni 26/ 868/ Severin Gethke, dit Zimbowsky, Varsovie, Pologne, rentier/ [Cross] SEVERINUS GOEDKE/ PATRIAE SUAE VINDEX/ MDCCCLXIII/ FILIUS BONUS/ AMICUS FIDELIS/ CIVIS PROBUS/ MILES INTREPIDUS/ OBIIT IN EXILIO FLORENTIAE / MDCCCLXIV/ FRATRES FRATRE POSUERUNT. . . // A6N(82)
In realtà, Goedke avrebbe potuto non essere l’unico patriota polacco sepolto al cimitero degli Inglesi. A lungo risiedè a Firenze Bernard Zaydler (1799-1855), un assiduo frequentatore del gabinetto di lettura fondato da G. P. Vieusseux, nonché collaboratore saltuario dell’Antologia, giurista e storico, oggi conosciuto per la sua meritoria Storia della Polonia (Firenze 1831), ma soprattutto per aver ospitato in casa propria - al n. 65 di Via della Scala - personaggi come l'architetto Piotr Ajgner o come il poeta romantico Juliusz Slowacki. Nell’aprile del 1848 Zaydler conobbe di persona il poeta Adam Mickiewicz, giunto a Firenze alla testa di una costituenda “Legione Polacca” che avrebbe affiancato gli italiani nella guerra di indipendenza antiaustriaca. In autunno Zaydler cercò di arruolarsi nella Legione. Inizialmente respinto in quanto troppo in là con gli anni, riuscì ad entrare a farvi parte come “dottore”. Dottore, Zaydler in effetti lo era, ma in legge! Giunse, a fatica, col reparto di Mauricy Hauke e Ignacy Klukowski fino a Borgo San Lorenzo solamente per essere rispedito a casa dal comandante Mikolaj Kamienski, quando questi si accorse che il sedicente medico "ne sait pas son métier" . Grazie a un suo rivale nel campo delle scienze storiche, l'abate Sebastiano Ciampi, sappiamo che Zaydler «da protestante si fece cattolico romano» per amore di una donna, la governante Giuseppina Doccioli. Meglio avrebbe forse fatto a rimanere protestante, visto che la Doccioli era in seguito impazzita, anche se non al punto da rinunciare ai cospicui alimenti che pretese dopo essersi separata. Né sembra che Zaydler abbia avuto più successo come storico che come combattente o come convertito a fini matrimoniali, se Vieusseux nel 1853 gli avrebbe rispedito ben quindici copie della sua Storia delle operazioni militari delle legioni polacche in Italia (Vercelli, 1848) rimastegli in deposito dall'anno di pubblicazione .
In reality Goedke could not have been the only Polish patriot buried in the English Cemetery. Bernard Zaydler (1799-1855) lived for a long time in Florence, a frequent reader in the Gabinetto founded by G.P. Vieusseux, today known for his fine History of Poland (Florence, 1831), but above all for having hosted in his own house, Via della Scala, 65, people like the architect Piotre Ajgner and like the Romantic poet Juliusz Slowacki. In April 1848 Zaydler met in person the poet Adam Mickiewicz, who came to Florence at the head of a 'Polish Legion' that would have supported the Italians in their war of independence against Austria. In Autumn Zaydler sought to enlist in the Legion. Initially rejected on account of his age, he succeeded in becoming part of it as 'Doctor'. Zaydler was really a doctor, but of law! He came, with difficulty, with the unit of Mauricy Hauke and Ignacy Klukowski as far as Borgo San Lorenzo only to be sent to the house of the Commander, Mikolaj Kamienski, where he discovered that the so-called doctor 'did not know his trade'. Thanks to his rival in the field of the history of science, the Abbot Sebastiano Ciampi, we know that Zaydler 'from being Protestant became Roman Catholic' for love of a woman, the governess Giuseppina Doccioli. Better would have been to have remained Protestant, given that his wife became mad, although not to the point of renouncing being supported after being separated. It does not seem that Zaydler had any more success as a historian than as a combatant or as a convert for purposes of marriage, since Vieusseux in 1853 sent him 15 copies of his History of Military Operations of the Polish Legions in Italy (Vercelli, 1848), that remained in deposit from the year of their publication.
Maggior fortuna sembrano invece aver conosciuto i residenti ungheresi di cui si sono conservate le tracce nel cimitero. Katalin (Caterina) Nicary (1789-1877) era la moglie, o per meglio dire, la vedova di un pittore piuttosto celebre, Karol Marko, giunto a Firenze nel 1840. Nato a Loecse, oggi in Slovacchia, Marko lasciò ben presto gli studi di ingegneria per la pittura, e da Budapest – dove lavorò come disegnatore per l’archeologo Gabriel Fejervary, si trasferì a Vienna. Giunto in Italia nel 1832, dapprima a Pisa e poi a Roma, dove frequentò la cerchia di Thorwaldsen e conobbe Massimo d’Azeglio, Marko venne affinando la sua tecnica paesaggistica, dove raggiunse notevoli risultati, testimoniati, fra l’altro, da due vedute “toscane”, Paesaggio con arcobaleno, e Tramonto. A seguito della loro esposizione a Firenze, nel 1840 il Granduca di Toscana offrì a Marko una cattedra presso l’Accademia di Belle Arti. Dopo alcuni anni di residenza in città, Marko si trasferì nella Villa Lapeggi, all’Antella, proprietà dei suoi migliori amici e mecenati fiorentini, i conti Ugolino e Gualfredo della Gherardesca. Qui sarebbe morto nel 1860, avendo fatto apporre sulla lapide nel locale cimitero la dizione: «Nacque Ungherese. Piegò a Lampeggi e posa qui Carlo Marko», con l’immodesta aggiunta: «Nome fra gl’immortali». Dei suoi sette figli, tre: Karl, Andreas e Franz, riprenderanno l’attività pittorica del padre. Karl rimarrà a vivere a Firenze, divenendo a sua volta un pittore di paesaggi di una certa fama. Allievo di Marko fu dal 1854 quel Geyza (Vittorio) Szillassy (1822-1859) di cui alcune tele oggi si trovano al Museo Nazionale a Budapest e che riposa non lontano dalla vedova del maestro sotto i cipressi del cimitero degli Inglesi.
Better luck seems to have been the experience of the Hungarian residents of whom are found traces in the Cemetery. Katalin (Catherine) Nicary (1789-1877) was the wife, or rather, the widow of a quite famous painted, Karol Markò, who came to Florence in 1840. Born at Loesce, today in Slovakia, Markò soon gave up his studies in engineering for painting, and from Budapest - where he worked as a draftsman for the archeologist Gabriel Fejervary, he moved to Vienna. He came to Italy in 1832, first to Pisa and then to Rome, where he frequented the circle of Thorwaldson and knew Massimo d'Azeglio, Markò coming to perfect his landscape techniques, in which he achieved notable results, attested, amongst others, by two Tuscan views, Landscape with Rainbow and Sunset. Following their exhibition in Florence, in 1840 the Grand Duchy of Tuscany offered Markò a chair at the Accademia di Belle Arti. After some years residence in the city, Markò moved to Villa Lapeggi, in Antella, belonging to his best Florentine friends and patrons, the Counts Ugolino and Gualfredo delle Gherardesca. Where he would die in 1860, having placed on the stone in the local cemetery the words: 'Nacque Ungherese. Piegò a Lampeggi e posa qui Carlo Markò', with the immodest addition, 'Named amongst the immortals'. Of his seven sons, three: Karl, Andreas, and Franz, took up the pictorial activity of their father. Karl would remain in Florence, becoming in his turn a landscape painter of some fame. A student of Markò was from 1854 the Geyza (Victor) Szillassy (1822-1859) some of whose canvases are today found in the National Museum in Budapest and who lies not far from the widow of his master under the cypresses of the English Cemetery.
Se forse per i motivi sopraddetti non troviamo nessuna testimonianza diretta di una visita di qualche viaggiatore polacco al cimitero di Piazza Donatello, vi è però una sorta di riferimento, obliquo ma quanto importante, nelle parole lasciateci dal filosofo Stanislaw Brzozowski. Giuntovi nel 1908, a Firenze Brzozowski fu un assiduo frequentatore della Biblioteca Filosofica - fondata da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini - che si trovava al n. 5 di piazza Donatello. Le prove di una sua possibile visita al cimitero degli Inglesi stanno in alcune righe in cui il filosofo tratteggiava quella tradizione culturale e letteraria di cui assurgeva a figura simbolo il poeta Robert Browning. «Vorrei, scriveva in una dedica alla moglie, che tu ad Elisabeth, e io a Robert, innalzassimo un monumento di lingua polacca - così come oggi già lo hanno nel nostro amore per loro e nella nostra gratitudine, e sempre lo avranno nel nostro miglior io, Irena [la figlia]» . E’ davvero difficile immaginare un omaggio più toccante alla poetessa inglese, al cimitero protestante e alla città che lo ospita.
Perhaps from the above mentioned motives we find not
direct testimony of a visit by some Polish travellers to the
Piazzale Donatello cemetery, but there is a sort of reference,
oblique but important, in the words left us by the philosopher
Stanislaw Brzozowski. Coming to Florence in 1908, Bezozowski
was an assiduous frequenter of the Biblioteca Filosofica -
founded by Giuseppe Prezzolino and Giovanni Papini - which was
at 5 Piazza Donatello. The proof of a possible visit to the
'English' Cemetery is in certain lines where the philisopher
treats of that cultural and literary tradition from which
arose the symbolic figure of the poet Robert Browning. 'I
want,' he wrote in a dedication to his wife', that you to
Elizabeth and I to Robert, could raise up a monument in the
Polish language - as today we already have in our love for
them and in our gratitude, and always having in it our best I,
Irena [their daughter]'. It is indeed difficult to imagine a
more touching homage to the English poetess, to the Protestant
Cemetery, and to the city which hosts it.
NOTE
1 Cfr. Eugenio
Kastner, Lettere inedite di Giuseppe Mazzini a Francesco
Pulszky, "La rassegna italiana", a. XVI, serie III. n.
186, nov. 1933, pp. 771-780 (p. 777)
2 Cfr. János György Szilágyi, A
Forty-Eighter's Vita Contemplativa. Ferenc Pulszky
(1814-1889) , "The Hungarian Quarterly", Vol. XXXIX, n.
149, Spring 1998, pp. 3-17 (12)
3 Cfr. Marx to Adolf Cluss in
Washington, London, 7 and about 15 May 1852; Marx to Adolf
Cluss in Washington, London, 25 March 1853, in: Karl Marx,
Frederick Engels, Collected Works, Vol. 39 Marx and
Engels 1852-55, Lawrence & Whisart, London 1983, p. 105;
p. 298.
4 Thomas Adolphus Trollope, What
I remember, Vol. II, second edition, Richard Bentley and
Son, London, 1887, p. 235.
5 Bakunin nel 1865 era in
viaggio per l'Europa dopo essere fuggito dalla Siberia, e si
era da poco riunito alla moglie, figlia di deportati polacchi.
Cfr. MARIA Z PRZEZDZIECKICH WALEWSKA, Polacy w Paryzu,
Florencji i Dreznie, Ksieg.F.Hoesicka, Warszawa 1930, pp.
75-76.
6 Nella sua pubblicazione su Il
cimitero protestante detto ‘degli Inglesi’ (Firenze,
1981, p. 26) il pastore Luigi Santini a proposti di Ferencz
Pulszky riferiva che «nel 1864-65 ospitò il Bakunin, col quale
era da tempo in rapporto». Pulszky, «democratico convinto», a
Firenze fra l’altro finanziò il giornale popolare «Il
Progresso».
7 Cfr. ELIGIUSZ KOZLOWSKI,
General Józef Hauke-Bosak, Wyd. MON, Warszawa, 1978, pp.
222-97.
8 Vedi la lettera inviata da M.
Hauke e I. Klukowski a M. Chodzko, 26-27 novembre 1848, in: Listy
legionistow Adama Mickiewicza z lat 1848-1849, a cura di
H. Lutzowa e S. Kieniewicz, Ossolineum, Wroclaw, p. 237.
9 Lettera di G. P. Vieusseux a
B. Zaydler, Firenze, 6 agosto 1853, Gabinetto Vieusseux,
Copialettere 1853-1855, Vol. 28. p. 1285.
10 Cfr. CZESLAW MILOSZ, Czlowiek
wsród skorpionów, PIW, Warszawa, 1982, p. 146. Irena era
la figlia di Stanislaw e Antonina Brzozowski.
© Luca Bernardini, 2004
Appendici:
*§ IVAN LEONTEVIC LEVICKIJ (LEWITZKY)/ POLAND/RUSSIA/ Leontieff Lewitzky/ Giovanni/ / Russia/ Firenze/ 5 Novembre/ 1864/ Anni 10/ 888/ Levickij Ivan Leont'evic/ Talalay: Varsavia, 31.1.1854 -Firenze 5.11.1864; 'figlio del generale luogotenente Leontij Petrovic Levickij e Sofia nata Genrius', MFK; N° 888, RC; colonna spezzata con un tralcio, Epitaffio: paz dvora/ Ego Imperatorskogo Velicestva Gosudarja Imperatora Vserossijskogo/ Aleksandra II Ty dal/ Ty vzjal/ Gospodi da budet/ Volja Tvoja Svjataja/ Do svidanija do skorogo svidanija/ ditja moe/ paggio di Sua Maesta Imperatore di tutte le Russie Alessandro II. Tu hai dato e Tu hai tolto, Signore, sia fatta la tua santa volonta. A riverderci presto, bambino mio/ A5N(61, Rebesov [sic])
Mrs Sophia Peabody
Hawthorne mentions the following Catholic Polish tomb in
San Marco:
The chapel of the Holy Sacrament is inlaid
with marbles, and contains paintings by Pocetto and a new tomb
to a Prince Poniatowski [Principe
Stanislao, Principe Poniatowski in Polonia, Cavaliere
dell’Ordine dell’Aquila Bianca dall’8-XII-1773, Cavaliere
dell’Ordine di San Stanislao, Cavaliere dell’Ordine di
Sant’Andrea di Russia, Comandante in Capo della Guardia del Re
di Polonia, Gran Tesoriere della Corona in Lituania dal 1784
al 1791, Starosta di Stryj (*Varsavia 25-XI-1754, +Firenze
13-II-1833)
= 1831 Cassandra Luci, figlia
del Cavaliere Angelo Luci, da Tivoli, vedova dal 1830 di
Vincenzo Venturini, da Castelnuovo di Farfa, creduto morto
nella Campagna Napoleonica di Spagna ma ritornato in Italia
nel 1814 (*Roma 1785, +Firenze 1863)
Principe Stanislao Poniatowski,
Angela Kauffman, Museo Stibbert, Firenze]
DUE SEPOLTURE AL CIMITERO 'DEGLI INGLESI': UNA TRACCIA PER L'ATTIVITA' FIORENTINA DI FELICIE DE FAUVEAU
SILVIA MASCALCHI
A large monument on one side of this chapel to a young girl, is the work of a living sculptress, Mademoiselle de Fauveau, and her brother.Susan and Joanna Horner, Chapter XXII, Santa Croce, Walks in Florence
l
Cimitero degli Inglesi, uno dei luoghi deputati alla memoria
di quel mondo dei “forestieri” che nel corso del XIX° secolo
visse a Firenze, non poteva non conservare almeno una
traccia dell’opera della scultrice francese Félicie de
Fauveau, che in questa città risiedette e operò dal 1834 al
1886 morì e vi riposa nel cimitero di San Felice a Ema.
Louvre, Ary Scheffer, Félicie de
Fauveau
The English Cemetery, one of the places dedicated to the memory of that world of 'foreigners' who in the course of the nineteenth century lived in Florence, could not but conserve at least a trace of the work of the French sculptress Félicie de Fauveau, who lived and worked in this city from 1834 to 1886 when she died and was buried in the cemetery of San Felice a Ema.
*§ SIRCHARLES LYON HERBERT/ ENGLAND/ Herbert/ Carlo Leone/ / Inghilterra/ Firenze/ 26 Dicembre/ 1855/ Anni 61/ 587/ Charles Lyn Herbert, Iles Britanniques /GL23777/1 N° 224, Burial 28/12, age 71, Rev O'Neill/ Maquay Diaries: 28 Dec 1855: ‘attended Sir C Herberts funeral at 8 this morning.’/ Q217: Paoli 393/ B13N/ Silvia Mascalchi/ Firenze/ Félicie de Fauveau, Livorno 1801-Firenze, 1886, Musée des Augustins, http://www.augustins.org/collections/, e il fratello Hippolyte de Fauveau. Signature.
Le fonti ricordano due sepolture realizzate da questa artista: quella di Sir Charles Lyon Herbert e quella di Lady Harriet Frances Pellew, di cui solo la prima, purtroppo, chiaramente identificabile, anche se in precario stato di conservazione (foto).
The sources record two sculptures carried out by this artist: that of Sir Charles Lyon Herbert and that of Lady Harriet Frances Pellew, of which only the first, perhaps, is clearly identifiable, even if in a precarious state of conservation.
?°§ HARRIET FRANCES (WEBSTER) PELLEW/ ENGLAND/ Pellew/ Enrichetta Francesca/ / Inghilterra/ Firenze/ 7 Agosto/ 1849/ / 409/ Traslocato al 747/ HARRIET FRANKES PELLEW [Only daughter of Sir Godfrey Webster, 4th Bart., and Lady Holland °=The Hon. Peter I. Pellew; GL 23774 N° 135 Burial 09-08, Rev Gilbert for Rev Robbins] Tomb Sculptor: Silvia Mascalchi/ Firenze/ Félicie de Fauveau, Livorno 1801-Firenze, 1886, e il fratello Hippolyte de Fauveau, who together sculpted tomb of Sir Charles Lyon Herbert. First tomb by Félicie de Fauveau may be this one in the C section, C27N, the second, by her husband Admiral Pellew's side/ Q479, indicates that the burial, normally 45 Paoli, here came to 100 Paoli/ F8E
*°§ ADMIRAL THE HON. FLEETWOOD BROUGHTON
REYNOLDS PELLEW/ ENGLAND/ Pellew/ Ammiraglio Fleetwood/ / Inghilterra/
Marsilia/ 28 Luglio/ 1861/ / 747/ l'Amiral Fleetwood Pellew,
l'Angleterre/ [Admiral died in Marseilles, 28 July 1861]/
GL23777/1 N° 297, Burial 07/08, Age 71 years 6 months, Rev
Finch/ Harriet Frances Pellew (who died 7 August 1849) and her
husband Admiral the Hon. Sir Fleetwood Broughton Reynolds
Pellew had a daughter called Harriet Bettina Frances Pellew
(who died 9 November 1886 and who is also buried in Florence),
who through her marriage to the Earl of Orford had 2
daughters, Lady Dorothy Elizabeth Mary Pellew Walpole and Lady
Maude Mary Pellew Walpole, both of whom married Italians, the
Duke of Balzo and the Prince of Palagonia, and are both buried
in Italy/ Q466: 310 Paoli/
Q479, 26 settembre 1861, indicates that the burial payment to
Ferdinando Giorgi, normally 45 Paoli, here came to 100 Paoli,
included in the 310 Paoli above/ HONOURABLE
FLEETWOOD BROUGHTON REYNOLDS PELLEW SECOND SON OF EDWARD
VISCOUNT EXMOUTH ADMIRAL OF THE BLUE KCE CB BORN . . . DIED
AT MARSEILLES THOU . . . / F8E/ °=
The Honourable Peter I. Pellew
Felicie
de Fauveau album page of tombs for Charles Lyon Herbert and
Admiral Pellew, courtesy of Lord Crawford, Belcarres, descendant
of Lord Lindsay
La circostanza offre comunque il pretesto per riconsiderare una delle figure più interessanti della Firenze di quegli anni e anche per proporne una prima lettura critica, aderente non solo al tema del convegno, ma più in generale alla condizione di chi, nascendo e formandosi in un paese e in una cultura, scelga poi, per i più svariati motivi, di vivere lontano da essa, in un luogo al quale desidera appartenere, tentando di ricomporvi un’unità ideale, che appare ai nostri occhi di contemporanei, caratterizzata da una costante dialettica con la propria origine, spesso venata di inquietudine e animata da un fecondo dualismo. Sembra strano a chi si accinga oggi a studiare la vicenda storica di Félicie de Fauveau, il destino di oblio che è seguito alla sua morte, la “smemoratezza” non solo della città in cui visse per più di cinquant’anni, ma anche dei suoi stessi connazionali, che solo recentemente hanno iniziato, seppur episodicamente, a riconsiderare alcune delle opere di questa artista.
These circumstances offer therefore a pretext for reconsidering one of the most interesting figures in Florence during those year and also for proposing an initial critical reading, adhering not only to the theme of the conference, but more in general to the conditions of one, born and brought up in one country and its culture, then chose, for various reasons, to live far from them, in a place where she wanted to belong, attempting to reshape an ideal unity, which appears to our contemporary eyes, characterized by a constant dialectic with our own origins, often marked by anxiety and animated by a fertile dualism. The forgetting, the non-remembering not only by the city in which she lived for more than fifty years, but also those of her own nation, seems strange to one who comes today to study the historical life of Felicie de Fauveau, but only recently, if in fits and starts, have some of the works of this artist begun to be reconsidered.
Il cono d’ombra nel quale la de Fauveau si è trovata confinata da quasi centoventi anni, contrasta vivacemente con la notorietà di cui godette in vita. Ricordata in scritti di Henri Stendhal, Honoré de Balzac, Théophile Gautier, Alexander Dumas e Joseph Mery, le furono dedicate poesie da Henry Zozime de Valori, personalità di spicco della fazione legittimista; circondata da un’aura di leggenda per le vicende dell’insurrezione vandeana a cui fervidamente partecipò a fianco della duchessa di Berry; prossima idealmente alle ricerche critiche di Alexander Lindsay e di Francois Rio, il suo operato artistico attirò l’attenzione e la stima di collezionisti quali Alexandre de Pourtàlés e Anatolio Demidoff e della sua attività si occuparono riviste quali, solo per citare alcuni esempi, La Gazette des Beaux Arts, Kunstblatt, L’artiste e il fiorentino Il Giornale del Commercio.
The eclipse under which Félicie de Fauveau was confined for some hundred and twenty years, contrasts strongly with the fame she enjoyed in life. Recorded in the writings of Henri Stendhal, Honoré de Balzac, Théophile Gautier, Alexander Dumas and Joseph Mery, having poetry dedicated to her by Henry Zozime de Valori, a personality of prominence in the Legitimist Party; surrounded by an aura of legend for the events of the Vendée revolt in which she fervently participated at the side of the Duchess de Berry; in theory very close to the critical research of Alexander Lindsay and of François Rio, her artistic work drew the attention and the esteem of collectors such as Alexandre de Poutèlés and Anatole Demidoff and her activity filled reviews such as, to cite only some examples, La Gazette des Beaux Arts, Kunstblatt, L’artiste and the Florentine Il Giornale del Commercio.
Félicie de Fauveau nacque a Livorno il 24 gennaio 1801, primogenita di Alexandre Francois de Fauveau e di Anne de La Pierre. La nascita in Italia di Félicie è da addebitarsi alle non meglio precisate attività finanziarie svolte dal padre nella città portuale toscana e che non dovettero sviluppare come sperato se la famiglia fu costretta a rientrare in Francia, dove nacquero tutti gli altri figli della coppia Hippolythe, Emma e Annette e dove il padre intraprese una più modesta carriera nell’amministrazione dello stato, che lo condusse in varie destinazioni fra cui Limoux e Beçançon, dove morì nel 1826, lasciando la moglie in serie difficoltà economiche.
Félicie de Fauveau was born in Livorno 24 January 1801, the first child of Alexandre François de Fauveau and of Anne de la Pierre. Félicie's birth in Italy was due to the not precise financial activity carried on by her father in the port city in Tuscany and which did not develop as hoped constraining the family to return to France, where other children were born to the couple, Hypolithe, Emma and Annette, and where the father took up the modest career of state administrator, that led him to various places, among them Limoux and Beçançon, where he died in 1826, leaving his wife in serious financial difficulty.
La prima formazione artistica di Félicie de Fauveau si svolse presso gli atelier dei pittori Louis Hersent e Bernard Gaillot, dove dimostrò una particolare attenzione per lo studio dell’araldica, avvertendo in questa disciplina quasi una sintesi di quel mondo di idealità feudale, cavalleresca e cattolica cui già l’avevano avvicinata non solo le idee politiche di legittimismo oltranzista espresse da entrambi i genitori, ma anche la lettura della Bibbia, di testi della patristica, di Dante, Milton, Shakespeare e Walter Scott.
The initial artistic formation of Félicie de Fauveau took place in the studio of the painter Louis Hersent and Bernard Gaillot, where she showed a particular skill in the study of heraldry, seeing in this discipline almost a synthesis of that world of feudal, chivalric and Catholic ideals which had already drawn her not only to the political ideals of the Legitimist zealots expressed by both her parents, but also the reading of the Bible, of the Fathers, of Dante, Milton, Shakespeare and Walter Scott.
Orientatasi precocemente verso la scultura, alla morte del padre, si trasferì a Parigi con la madre, il fratello e le sorelle e aprì uno studio in Rue de la Rochefoucauld, dove iniziò la carriera indipendente, continuando ad approfondire i propri interessi per gli stili, i simboli e le tecniche del medioevo che entrarono a far parte del suo caratteristico mondo figurativo e culturale. Affermatasi nell’ambiente artistico e mondano della Parigi della Restaurazione, espose due opere al Salon del 1827, Cristina di Svezia rifiuta la grazia al suo scudiero Monaldeschi (attualmente presso il Museo di Louviers) e due bassorilievi ispirati all’opera di Walter Scott The Abbott, ricevendo una medaglia di merito e, in seguito, anche importanti commissioni pubbliche.
Orienting herself precociously to sculpture, at the death of her father she moved to Paris with her mother, brother and sisters and opened a studio in Rue de la Rochefoucauld, where she began an independent career, continuing and deepening her own intersts in the styles, symbols and techniques of the Middle Ages which came to be a part of her characteristic figurative and cultural world. Recognised in the artistic and worldly circles of the Paris of the Restoration, she showed two works in the Salon of 1827, Christina of Sweden Refusing Pardon to the Knight Monaldeschi (now in the Museum of Louviers) and two bas reliefs inspired by the work of Walter Scott, The Abbott, receiving a medal of honour, and, consequently, also important public commissions.
E’ in questi anni del promettente avvio della
carriera di Félicie che si fece più evidente il profondo
legame di complicità sodale che per tutta la vita la unirà a
sua madre e che fu probabilmente determinante anche nella
scelta di trasformare la sua vocazione artistica in una vera e
propria attività, soprattutto dopo che la fanciulla aveva
manifestato la ferma decisione a non sposarsi e tanto meno a
intraprendere la vita religiosa. Presso l’atelier di Rue de la
Rochefoucauld le due donne animarono una sorta di “salotto
artistico” frequentato da coloro che furono i migliori amici
di Félicie e fra i maggiori rappresentanti della scuola
romantica francese: i pittori Paul Delaroche,
Ary Scheffer, Jean Gros, e lo scultore Triqueti. La sera attorno ad un grande tavolo ci si riuniva per disegnare, modellare in cera, recitare poesie, ascoltare musica e rendere indirettamente omaggio al talento nascente di questa “fanciulla bionda, gioviale, radiosa, che attraverso i suoi modi gai, faceva ascoltare delle parole di una stupefacente profondità, delle parole che si incidevano nello spirito come un tratto di bulino sull’acciaio”, come recita un articolo del tempo apparso sulla rivista francese “L’Artiste”.
It was in these years of the promising start of Félicie's career that one sees most the strong bond of complicity that all their lives united her to her mother and which was probably the reason even for her choosing to transform her artistic vocation into a true and proper ctivity, above all after the girl made the firm decision never to marry nor to become a nun. At the studio in Rue de la Rochefoucauld the two women led a sort of 'artistic salon', frequented by those who were best friend of Félicie and among the greatest of the French Romantic School: the painters Paul Delaroche (above), Ary Scheffer, Jean Gros and the sculptor Triqueti. The evenings around a great table they came together to draw, model in clay, recite poetry, listen to much and render indirect homage to the budding talent of this 'blonde girl, jovial, radiant, who through her gaiety, had them listen to word of an astonishing depth, of words which engraved themselves on the spirit, like the tracks of a burin on steel', so wrote an article of the time appearing in the French review, 'L'Artiste'.
Le premesse e le speranze di ulteriori successi furono però bruscamente interrotte dagli avvenimenti storici. La Rivoluzione di Luglio, l’ascesa al trono di Luigi Filippo d’Orléans e il conseguente esilio di Carlo X di Borbone, indussero Félicie ad abbandonare volontariamente l’impegno dell’arte in favore di quello della politica. Assieme alla sua amica e omonima, la contessa Félicie de la Rochejaquelein nata Duras, la scultrice, allora trentenne, si trasferì in Vandea, territorio caro alle speranze e alle memorie della fazione legittimista, dove tentarono di organizzare una sollevazione. Catturate nel novembre del 1831, le due donne furono condotte in una locanda da cui, con un travestimento e la complicità della de Fauveau, la contessa riuscì ad evadere. La nostra fu invece sottoposta ad un lungo processo e dovette trascorrere alcuni mesi in prigionia, consolata solo dalla compagnia della madre cui era stato concesso di raggiungerla. Riconquistata la libertà Félicie rientrò a Parigi e, delusa e insoddisfatta, trascorse il suo tempo nel tentativo di portare a termine alcuni lavori, ma soprattutto polemizzando aspramente con i suoi amici Scheffer e Delaroche, ai quali imputava la colpa di aver tradito la causa borbonica e di prestare la propria opera a coloro che lei considerava come degli usurpatori. L’annuncio dello sbarco a Marsiglia della duchessa di Berry rianimò le sue speranze e la indusse a tornare in Vandea, dove ritrovò la contessa della Rochejaquelein. Assieme le due amiche combatterono fino alla disfatta della fazione legittimista, causata non solo dalla superiorità delle forze regolari, ma soprattutto dalla mancanza di coordinamento e di organizzazione che caratterizzò quest’ultima sollevazione vandeana, figlia più di un’utopia romantica che non di una realistica opportunità politica.
The promises and hopes of further success was rudely interrupted by historical events. The July Revolution, the ascent to the throne of Louis Philippe d'Orléans, and the consequent exile of Charles X de Bourbon, led Félicie to abandon willingly the requirements of art for those of politics. Together with her friend and namesake, Félicie de la Rochejaquelin born Duras, the sculptress, then thirty, went to the Vendée, a region dear to the hopes and memories of the Legitimiste Party, where they attempted to organize a Revolution. Captured in November 1831, the two women were led to a place from which, by a change of clothes and with the help of Félicie the Countess succeeded in escaping. Our heroine was instead placed on trial and had to spend several months in prison, consoled only by the company of her mother who was allowed to visit her. Reacquiring her freedom Félicie returned to Paris and, delusioned and unhappy, she spent her time in trying to complete several works, but above all polemicizing bitterly with her friends Scheffer and Delaroche, whom she blamed for having betrayed the Bourbon cause and of working for those whom she considered usurpers. The news of the disembarking at Marseilles of the Duchess de Berry rekindled her hope and led her to return to the Vendée, where she found the Countess della Rochejaquelin again. Together the two friends fought until the defeat of the Legitimist Faction, caused not only by the superiority of the regular forces, but above all by the lack of coordination and of organization which characterized this final Vendée insurrection, more born of a Romantic Utopia than of any realistic political opportunity.
Félicie, condannata in contumacia, si vide costretta a lasciare la Francia e così, dopo aver sfidato la polizia politica recandosi un’ultima volta a Parigi per recuperare gli oggetti del suo studio, seguendo un itinerario che toccò il Belgio, la Svizzera e Torino, raggiunse Firenze. Riunita la famiglia, ma priva di risorse economiche, Félicie trovò aiuto nell’ospitalità dello scultore Lorenzo Bartolini, conosciuto probabilmente per il tramite di Ingres o del loro comune committente il conte de Pourtalés.
Félicie, condemned in absentia, saw that she was forced to leave France and there, after having failed for the last time in Paris to redeem the objects in her studio from the political police, journeyed through Belgium, Switzerland and Turin, reaching Florence. Her family reunited, but lacking economic resources, Félicie found help in the hospitality of the sculptor Lorenzo Bartolini, known probably throught Ingres and through their common contacts in the Count of Pourtalés.
Dopo le prime difficoltà, superate anche grazie ai buoni uffici di due donne, Carolina Murat e la cantante Angelica Catalani, che avevano rivestito, seppur in ambiti diversi, un ruolo significativo nella società francese di primo Ottocento e che, trasferitesi nella capitale toscana, contribuivano ad animarne la vita mondana; Félicie de Fauveau trovò in Firenze non solo una nuova patria, ma anche una efficace sede di lavoro, un luogo da cui proporre su scala internazionale la propria produzione artistica, approfittando abilmente del sempre più largo numero di stranieri colti e facoltosi che gravitavano nell’orbita cittadina. Non essendo ne’ possibile, ne’ utile in questa sede proporre una pur rapida enunciazione delle opere realizzate dalla scultrice, è apparso più opportuno concentrare l’attenzione sulle relazioni che intrattenne in questa nuova fase della sua vita e nelle quali si può di nuovo riconoscere quel carattere di dualità precedentemente enunciato, suscettibile di interessanti valutazioni e considerazioni storico culturali. Installato prima lo studio ed in seguito l’abitazione in via dei Serragli, in quel tratto anticamente noto come via della Fornace e precisamente nell’edificio già sede del convento di Santa Elisabetta delle Convertite, Félicie, aiutata dal fratello Hippolythe, dedicò ogni sua energia all’attività creativa e allo studio delle forme, dei simboli e delle tecniche dell’arte toscana del Medioevo e del Rinascimento.
After the initial difficulties, overcome also thanks to the good offices of two women, Carolina Murat and the singer Angelica Catalani, who had played, even in different ways, a significant role in French society at the beginning of the nineteenth century and who, transfering to the Tuscan capital, contributed to animate its social life; Félicie de Fauveau found in Florence not only a new nation, but also an efficacious setting for work, a place from which on an international scale she could present her own artistic production, profiting ably from the always increasing numbers of cultivated and learned foreigners who gravitated to the city's orbit. It was neither possible nor useful in this place to present even just a quick explanation of the works realized by the sculptress, it seemed more opportune to concentrate attention on the relations which she had in this new phase of her life and in which one could again recognize that character of duality already discussed, susceptible to interesting historical and cultural evaluations and considerations. Installed first in the studio and following that in the house in via dei Serragli, in that part formerly called via della Fornace and precisely in the building that had been the convent of St Elizabeth of the Conversi, Félicie, helped by her brother Hippolythe, dedicated all her energy to creative activity and to the study of forms, of symbols, and of techniques of Tuscan art of the Middle Ages and the Renaissance.
In breve tempo, come espressamente ricordato da
William Blundell Spence nella sua guida di Firenze, lo studio
di “Mademoiselle de Fauveau” (foto) divenne di “fama europea”,
meta obbligata di quegli aristocratici e amatori d’arte che si
riconoscevano nel tratto colto e raffinato della sua arte,
nonché negli ideali politici e culturali che essa proponeva.
In a short time, as expressly recorded by William Blundell Spence in his guide to Florence, the studio of 'Mademoiselle de Fauveau' became of 'European fame', mandatory goal of those aristocrats and lovers of art who recognised the cultivated and refined traits of her art, and also those political and cultural ideals which she promoted.
L’avvenimento che suggellò la nuova condizione della scultrice fu la visita in Italia del conte di Chambord nell’inverno del 1839/1840. Dopo una prima tappa romana, durante la quale la de Fauveau lo raggiunse iniziandone il ritratto, l’ultimo discendente della dinastia borbonica raggiunse Firenze e dedicò una lunga visita allo studio dell’artista, che descrisse nel suo diario di viaggio con queste parole: ”…mi recai dapprima all’atelier di Mademoiselle de Fauveau, il cui solo nome significa fedeltà e talento. Il suo cuore è ardente, il suo abbigliamento originale, porta i capelli molto corti acconciati con una calottina rossa e un abito nero tagliato all’amazzone…Lo studio incantevole è pieno di soggetti religiosi e cavallereschi, di aspetto medievale…”
The event which sealed the sculptress's new condition was the visit to Italy of the Count di Chambord in the winter of 1839/1840. After an initial Roman stay, during which time de Fauveau joined him beginning his portrait, the last descendant of the Bourbon dynasty came to Florence and paid a long visit to the artist's studio, which he described in his travel diary with these words: '. . . I went first to the atelier of Mademoiselle de Fauveau, whose name alone means loyalty and talent. Her heart is ardent, her clothing original, her hair cut short with a red handkerchief and a black habit cut like an Amazon's. . . The enchanting studio is full of religious and chivalric objects, of medieval aspect . . . '
Da allora e per più di venti anni Félicie de Fauveau fu la scultrice prediletta dal milieu legittimista europeo, sia di coloro che avevano trovato stabile residenza in Firenze che di quelli che vi si recarono solo per un breve soggiorno.
From then on and for more than twenty years Félicie de Fauvau was the chosen sculptress for the European Legitimist milieu, both of those who had found a stable residence in Florence and of those who came here only for a brief sojourn.
Fra i primi ricorderemo Anatolio Demidoff, per il quale realizzò delle cornici allegoriche per la sua collezione di quadri moderni francesi, una statua raffigurante Santa Elisabetta di Turingia, due tabernacoli ad ornamento della cappella ortodossa della Villa di Pratolino e progettò la decorazione del “Salone dei Sovrani” nel Palazzo di San Donato; Amicie e Henry de Larderel, realizzando la tomba di quest’ultimo nella piccola cappella di gusto neogotico della villa di Pozzolatico; i Tayllerand Perigord e i Favreau, che le commissionarono l’opera più impegnativa che sia rimasta in Firenze di sua mano, la tomba della giovane figlia Louise, attualmente nel primo chiostro di Santa Croce e proprio in questi giorni in restauro. Di quest’importante opera tratta un articolo di Madame Kraft, una nobildonna amica di Félicie, apparso sulla Revue Britannique del marzo 1857, cogliendo nella puntuale descrizione uno dei tratti più tipici dello stile della de Fauveau e cioè il costante e diffuso ricorso ad immagini simboliche, interpreti delle sue convinzioni etiche, politiche e religiose, animate da un profondo spiritualismo.
Among the first we remember Anatole Demidoff, for whom she created the allegorical frames for his collection of modern French paintings, a statue representing St Elizabeth of Thuringia, two ornamental tabernacles for the Orthodox chapel of the Villa di Pratolino and decorated the 'Salone dei Sovrani' (Kings' Hall) in the Palazzo di San Donato; Amicie and Henry de Larderel, creating the tomb of the latter in the little chapel of Neo-Gothic taste in the Villa di Pozzolatico; Talleyrand Perigord and the Fauveaus, who commissioned the most ambitious work that still remains in Florence in her hand, the tomb of the young daughter Louise, now in the first cloister of Santa Croce and at this moment undergoing restoration. Madame Krafft, a noble friend of Félicie's, in an article on this important work which appeared in the Revue Britannique, March 1857, grasped in her detailed description one of the most characteristic traits of Fauveau's style and that is the constant and diffuse recourse to symbolic imagery, interpreting her ethical, political and religious convictions, animated with a profound spiritualism.
Fra i “forestieri” di passaggio che commissionarono opere all’artista ricorderemo lo zar Nicola I, che ne visitò lo studio nel 1845, sua figlia Maria Nicolaevna, duchessa di Leuchtenberg, per cui realizzò la daga in argento attualmente presso il Museo del Louvre (foto), il duca di Rohan, che gli commissionò i ritratti delle figlie, un conte Zichy ungherese per il quale fece un’intera armatura in argento e M. Jean-Francois Dudon, consigliere di Stato durante la Restaurazione e il cui ritratto è con ogni probabilità quel “…Busto virile in marmo di Madamigella de Fauveau…” presentato nel 1842 all’esposizione dell’Accademia di Belle Arti.
Among the foreigners passing through who commissioned works from the artist we recall the Tsar Nicholas I who visited the studio in 1845, his daughter Maria Nicolaevna, Duchess of Leuchtenberg, for whom she carried out the daga in silver now in the Louvre Museum, the Duke de Rohan, who commissioned the portraits of his daughters, a Hungarian Count Zichy for whom she made an entire suit of armour in silver and M. Jean-François Dudon, Counsellor of State during the Restoration and whose portrait is in all probability that 'Marble Bust of a Man in Marble of Mademoiselle de Fauveau', presented at the Exhibition of the Accademia di Belle Arti.
Non risiedendo in Italia, fu frequentemente ospite di Felicie de Fauveau la contessa de La Rochejaquelein. Le due donne, che mantennero per tutta la vita un rapporto d’amicizia cementato dalla comune passione politica e dai ricordi della sfortunata insurrezione vandeana, condividevano anche l’interesse per l’arte come testimoniano le numerose commissioni della contessa, fra cui anche il progetto per vetrate ed alcuni ambienti del suo castello d’Ussé, presso la Loira.
Though not residing in Italy the Countess de la Rochejacquelin was frequently a guest with Félicie de Fauveau. The two women, who maintained all their lives a friendship cemented by common political passions and by memories of the unfortunate Vendée insurrection, sharing also in their interest in art as witness to the Countess' numerous commissions, among them the project for stained glass and some of the rooms of her castle at Ussé, near the Loire.
Fra i committenti della scultrice un nucleo importante è rappresentato dagli inglesi, fra cui Lord Londonderry e soprattutto la famiglia Lindsay, che, quando visitava Firenze risiedeva al villino Torrigiani in via dei Serragli e che nel 1873 acquisì quella villa Palmieri, presso cui fu ospite anche la regina Vittoria. Alexander Lindsay, collezionista e profondo conoscitore di libri antichi e opere d’arte, nonché autore degli “Sketches of the Christian Art”, fu una delle persone con cui Félicie mantenne uno dei più importanti legami d’amicizia della sua vita, contribuendo allo sviluppo delle sue teorie sull’arte. Lady Anne Lindsay, moglie del cugino di Alexander, James, fu una delle presenze più significative nel mondo affettivo di Félicie de Fauveau ed a lei lasciò per volontà testamentaria la maggior parte della sua piccola raccolta di quadri, i suoi taccuini di studio, i libri d’argomento artistico, le stampe e i modelli in terracotta e gesso delle opere che negli anni aveva realizzato. Per i diversi membri della famiglia Lindsay la scultrice realizzò ritratti, tombe e mostre di camini, che furono regolarmente inviati in Scozia , dove tuttora ornano le residenze di Dunecht House e Balcarres.
Among those commissioning her sculpture, an important nucleus is represented by the English, among them Lord Londonderry and above all the Lindsay family, who when visiting Florence resided at the Torrigiani villino in via dei Serragli and who in 1873 bought that Villa Palmieri, where Queen Victoria would be a guest. Alexander Lindsay, collector and profound connoisseur of rare books and works of art, himself author of 'Sketches of Christian Art', was one of the people with whom Félicie maintained one of her most important bonds of friendship of her life, contributing to the development of his theories on art. Lady Anne Lindsay, wife of the cousin of Alexander, James, was one of the most significant presences in the affective world of Félicie de Fauveau and she left to her in her Last Will and Testament the greater part of her small collection of paintings, her studio sketchbooks, books on artistic subjects, prints and models in terracotta and gesso of the works which over the years she had realized. For the various members of the Lindsay family the sculptress executed portraits, tombs and fireplaces, which were regularly sent to Scotland where they adorned the residences of Dunecht House and Balcarres.
Se l’inserimento e l’apprezzamento di Félicie de Fauveau nel circuito degli aristocratici di orientamento legittimista appare come una logica conseguenza della sua vicenda politica e della sua fedeltà alla dinastia borbonica, più sorprendente è rintracciare evidenti manifestazioni di stima dell’arte e della personalità della scultrice anche fra personaggi della cultura che si mossero in ambiti ideologicamente assai diversi. Robert Browning in una lettera del 1858 la definisce una “donna divina” e chiedendosi come si poneva in relazione alle sue convinzioni politiche aggiunge che “la nobile fedeltà, il coraggio, il sacrificio di se stessa che la distinguono dovrebbero “salare” (salt) tutti gli uomini politici per preservarli dal divenire corrotti”. La conoscenza con i Browning datava da circa dieci anni prima come testimonia una lettera dell’aprile 1848 in cui Elisabeth riferiva, in merito alle sculture di Félicie, che “era da Benvenuto Cellini che non si erano realizzate opere così belle in quel genere”. Anche se con ogni probabilità i Browning non frequentarono assiduamente la scultrice, nel loro circolo di conoscenze questa donna fiera e indipendente doveva essere considerata degna di stima e motivo di riflessione, se fu proprio Isabella Blagden, un’intima amica della coppia, a scrivere uno degli articoli più interessanti e rivelatori sull’artista francese. Lo scritto della Blagden, pubblicato sull’English Woman’s Journal torna anche sul tema della posizione politica di Félicie per osservare che “ella possiede in grado elevato quella concentrazione nei propositi che dona forza, e quell’ardore che dona decisione alla volontà; e, oltre a ciò, c’è qualcosa di biblico e primitivo nelle sue animosità fiere e senza possibilità di compromessi; risentimenti che non hanno niente a che vedere con il rancore personale, ma che sono contro un partito e per una causa”.
If the insertion and the appreciation of Félicie de Fauvau in the aristocratic circle of Legitimist leanings appears a logical consequence of her political life and of her fidelity to the Bourbon dynasty, more surprising is finding evident manifestations of esteem of the art and the ersonality of the sculptress also among people of culture who moved in circles ideologically very different from hers. Robert Browning in a letter of 1858 defined her as a 'divine woman' and asking himself how she could place herself in relation to her political convictions given that 'the noble faithfulness, the courage, the sacrifice of herself which distinguishes her ought to salt all political men for preserve them from becoming corrupt'. The acquaintance with the Brownings dates from about ten years earlier as witnesses a letter of April 1848 in which Elizabeth refers, in praise of Félicie's sculpture, that it 'since Benvenuto Cellini, more beautiful works of the kind have not been accomplised'. Even if with all probability the Brownings did not visit the sculptress often, among their shared acquaintances this proud and independent woman was considered worthy of esteem and cause for reflection, it being Isabella Blagden herself, a close friend of the couple, who wrote one of the most interesting and revealing articles on the French artist. The writing of Isa Blagden, published in English Woman's Journal returns also to the theme of Félicie's political position to observe that 'she posseses in an eminent degree that concentration of purpose which gives force, and that ardor which gives decision, to the will; and in addition to this, there is something biblical and primitive in her fiery and uncompromising animosities; resentments which have none of the meanness of personal rancour, but are against a party and for a cause.'
Un’altra donna intellettuale, coinvolta attivamente nel processo di emancipazione femminile, che manifestò interesse e apprezzamento nei confronti di Félicie de Fauveau fu l’inglese Frances Power Cobbe. Nel suo libro Italics, una raccolta di memorie dedicata al suo viaggio nel nostro paese del 1857, traccia un profilo della scultrice in cui espressamente ricorda che “fra le sue amicizie, alcune delle quali di orientamento sia politico che religioso assai diverso dal suo, questa donna eroica e devota è piena di spirito e gaiezza”.
Another intellectual woman, involved actively in the process of women's emancipation, who showed interest and appreciation in her meetings with Félicie de Fauvau was the Englishwoman Frances Power Cobbe. In her book Italics, a collection of memories dedicated to her journey to our country in 1857, she draws a profile of the sculptress in which she explicitly records that 'among her friends, some of whom are very different in politics and religion than herself, was this heroic and devout woman, so full of spirit and gaiety'.
Dalle testimonianze appena ricordate appare evidente come le frequentazioni fiorentine di Félicie de Fauveau si muovessero all’interno di un doppio circuito, prevalentemente internazionale e dialetticamente aperto a contributi diversi. Si tratta di un’ulteriore conferma di quel ricorrente contrasto di elementi caratteristico di tutta la sua vicenda biografica e intellettuale, un fattore, questo, fortemente dinamico e potenzialmente disturbante che nel suo caso si risolse felicemente nell’operatività artistica e che apparve evidente anche ai contemporanei come testimoniano con efficacia le parole di Madame Krafft riportate e commentate nel testo di Isabella Blagden e che appaiono le più adatte a concludere questo intervento:
From the testimonies just recorded it appears evident that the Félicie de Fauveau's Florentine contacts moved in a double circle, prevalently international and dialectically open to different contributions. It is a further confirmation of that recurrent contrast of elements characteristic of all her biographical and intellectual activities, a factor, this, that was strongly dynamic and potentially disturbing which in her case was resolved happily in the artistic work and which appeared evident to her contemporaries as witnessed efficaciously in the words of Madame Krafft reported and commented in Isabella Blagden's text and which appears most adapted to conclude this essay:"How much of the man there is in this woman . . . fire, air, and water are in that organisation", and it is most true, for ardor, purity, and impulse are the characteristics of her genius . . . On the one hand the lady of the Faubourg St. Germain, with all the habits, associations and prejudices which belong to her order; on the other, the artist, earning her daily bred, and obliged to face in their reality the sternest necessities and most imperative obligations: the single woman treading victoriously the narrow and thorny path which all women women tread who seek to achieve independence bytheir own exertions; and the genius which to attain breadth and vigor must freely sweep out of its path all limitations and obstacles. These contrasts are shewn in her person and manner.
© Silvia Mascalchi, 2004
/*Vedi °Ludovico Sebregondi, Santa Croce Sotterranea: trasformazioni e restauri (Firenze: Città di Vita, 1997), p. 54./
ROBERT DAVIDSON, UN AUTORE DELLA MEMORIA STORICA DI FIRENZE
GIULIANO PINTO, UNIVERSITA'
DI FIRENZE
° PHILIPPINE
(COLLOT) DAVIDSOHN/ GERMANIA? / 2024/ PHILIPPINE
COLLOT/ VED. DAVIDSOHN/ 1847-1947/ 2024/ D21G °=Prof.
Tim A. Osswald, University of Wisconsin Madison
°§ ROBERT DAVIDSOHN/ GERMANIA / 2024/
COMM. DOTT. PROF./ ROBERT DAVIDSOHN/ 26.4.1853-17.9.1937/ D21G
°=Prof. Tim A. Osswald, University of Wisconsin Madison
[See Biblioteca e Bottega Fioretta Mazzei
acquisitions]
ROBERT DAVIDSOHN (1853-1937) , his cinerary urn is near the upper boundary of the cemetery, with a few other urns accepted after it was closed. Born in Gdansk and intending to become a journalist, he came to Florence with a two-fold vocation, for the Latin world and the study of history. After an exploration of the Spanish world, he dedicated all his energy to the history of Florence: between 1896 and 1908, he published the impressive results of his research into the archives, and in 1927 completed his fundamental work on the history of Florence. Thus his place in the heart of the city he loved and served with his labours takes on significance as a gesture of gratitude. LS
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