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LA CITTA' E IL LIBRO X, FIRENZE E INDIA

FIRENZE, 15 APRILE, DELHI, 23 APRILE, 2023

     Il Maharajah di Kolhapur  Foto Kirsten Hills

PROGRAMMA

Youtube registrazione a CBXam.mp4.

15 aprile, sabato, Accademia delle Arti del Disegno, via Orsanmichele 4, Florence
European time (Londra un ora in anticipo, Delhi, 3½ ore più tardo):
8,45 Registration
9,00-9,15 JBH, Introduction in Italian, but circulated in English
9,15-10,15 Victorian Florence, Victorian India
Z Sriram Rajasekaran, Rogers, Ruskin, Tolstoy, Proust, Gandhi
Z Sir Nicholas Mander, Ruskin and Mountains
Z Nicholas Havely, Joseph Garrow
10,30-12,00 Queen Victoria
Isa Blagden of Bellosguardo and Robert Lytton, first Viceroy of India - Elena Giannarelli, in Italian
Domenico Savini, Queen Victoria and India, in Italian
Gabriella Del Lungo, Lytton Strachey’s Queen Victoria
Pranzo, 12,00-2,30 al Monumento del Principe indiano nelle Cascine

Youtube registrazione a CBXpm.mp4

3,45-4,45 Cityness
Francesca Ditifeci, Cityness
Z Arjun Shivaji Jain, Mornings in Delhi
5,00-6,30 Restoration
Amina Anelli, The Tomb of the Indian Prince, in Italian
Z Dr Rosie Llewellyn Jones, The Indian Memorial, Florence
Z Dr Peter Burman, Historic Burial Grounds
Cena al Crown of India, via Faenza, 102-104

23 aprile, domenico, Red House, Delhi

Chieda invito Zoom da Julia Bolton Holloway, juliananchoress@gmail.com

European time (Londra, un ora in anticipo; Delhi, 3½ ore più tardo):
Z 11,30-12,00 Introductions by Arjun Shivaji Jain and Julia Bolton Holloway
Z 12,00-12,30 The Lion in Florence and India -Marialaura Pancini
Z 12,45-13,15 Rabindranath Tagore’s Masculinization of the Motherland  -Pritha Chakraborty
Z 13,15-13,45 Ruskin and his Tuscan Sybil, Francesca Alexander - Emma Sdegno
Z 14,00-13,30 The Pre-Raphaelites and Florence - Nic Peeters
Z 14,20-15,00 Restoration by India’s Diaspora, the Roma - Daniel- Claudiu Dumitrescu


ATTI

ITALIA

15 aprile, Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, via Orsanmichele, 4

INTRODUZIONE



Firenze e l'India - Julia Bolton Holloway, Companion of the Guild of St George of John Ruskin

Dedichiamo questa conferenza non solo a Giorgio La Pira e Fioretta Mazzei, come in passato, con le nostre precedenti nove Città e Libro conferenze, ma anche ai ricordi di Maurizio Bossi del Gabinetto Vieusseux e dell'Accademia delle Arte del Disegno, del Marchese Gabriel Venturi Ginori Lisci y Borbon1e del Marchese Vieri Torriginai Malaspina. I loro nomi siano una benedizione per noi e per questi lavori. Siamo molto grati al Comune di Firenze che ha restaurato la tomba del Principe Indiano, e alla più antica Accademia, l'Accademia di Belle Arti del Disegno, e la sua Presidente, Cristina Acidini, per aver ospitato questo convegno, al Museo Stibbert per averci mostrato il suo bottino imperiale raccolto qui a Firenze, alla Società Trollope e alla Gilda di San Giorgio di John Ruskin dove ho incontrato il compagno - via Zoom - Arjun Shivaji Jain di Delhi e la sua Casa Rossa, modellato sui principi di John Ruskin, William Morris, Mahatma Gandhi e Lev Tolstoy, che è il nostro co-organizzatore. Invece di costringere l'India a renderci omaggio, rendiamo omaggio all'India e alla sua antica civiltà, mentre ci scusiamo per l'imperialismo britannico che ha fatto così tanto male all'India, all'Irlanda e alle Americhe con le sue pratiche di proprietari terrieri inglesi che sfruttano gli affittuari irlandesi, la schiavitù degli africani nel Nuovo Mondo, lo spargimento di sangue e la carestia del subcontinente indiano.

Mio padre aveva trascorso gli anni Trenta in India, era biografo e amico di Gandhi e ha coperto la *Salt March a Dandi per il Times of India, di cui era un editore. *Oltre alla Tragedia di Gandhi che scrisse quando Gandhi era in prigione, scrisse anche Contadino e Principe, e scelse per la mia madrina un David di Mumbai, Florence Shepherd. Da bambino ero promessa per scherzo a un Rajah che soggiornava con noi nel Sussex e ho apprezzato molto la palla intagliata a mano e la coppa che ci ha dato. L'indipendenza dell'India è stata dichiarata quando avevo otto anni ed ero incollato alla radio ascoltando *Nehru e Mountbatten, e correvo in lacrime dai miei genitori ogni volta che leggevo sui giornali i digiuni di Gandhi. Ma non ho mai visitato l'India. Per me era sia questo luogo esotico da favola, tutto l'orientalismo di Edward Said, ma anche la tragedia della sua terribile divisione tra indù e musulmani. *Le suore della mia scuola anglicana del convento insegnavano nel Collegio anglicano per ragazze di Naini Tal, Mia Madre Fondatrice li mandò in India via Firenze, dove comprarono grandi album di fotografie di Alinari e Brogi per insegnare l'arte fiorentina, album che ho ora, e molte delle nostre studentesse nacquero in India parlando le sue lingue. Anche Joanna Lumley frequentava la mia scuola, che difende sempre ferocemente i Gurkha che erano sempre fedeli agli inglesi che allora erano disposti ad abbandonarli all'apolidia. Da adolescente ho letto Home to India di Santha Rama Rau sulla sua vita da adolescente dopo un'istruzione inglese, tornando nella sua patria e trovando il glamour dell'indipendenza dell'India del tessuto Khadi dei suoi genitori che indossa ora macchiato, ma incontrando Rabindranath Tagore nel suo ashram, nel Kashmir ascoltando le canzoni dei produttori di stoffe, e trovando scolari molto più vivaci nei loro scritti in bengalese che in inglese imperiale finto. Il suo titolo inverte E.M. Forster’s Home to India, autore anche di A Room with a View, su Firenze. Poi ho incontrato su Zoom un compagno della Gilda di San Giorgio di John Ruskin, Arjun Shivaji Jain, il cui nome, Shivaji, celebra l'antenato del nostro principe indiano del XVII secolo che aveva resistito con successo sia ai musulmani mughal che ai cristiani inglesi,

Per la prima volta in questa conferenza celebriamo il *restauro di Rajarama Chhatrapati, la tomba vittoriana del maharaja di Kolhapoor alla confluenza dei fiumi Arno e Mugnone nelle Cascine di Firenze, Shelley aveva scritto del Cascine nella sua 'Ode al vento dell'ovest'. Il Maharajah fu il primo principe indù regnante a visitare l'Inghilterra e l'Europa, dopo essere stati essenzialmente allevati agli arresti domiciliari e sotto stretto controllo britannico. Visiteremo il monumento partendo da qui a mezzogiorno, per pranzo, per poi tornare a continuare la conferenza alle 14.30 p.c. *Ieri abbiamo visitato il Museo Stibbert, pieno di bottino imperiale, la ricchezza della sua famiglia ha guadagnato in India ed anche *the svizzero-posseduto, cosiddetto cimitero inglese con i relativi molti collegamenti in India.

Leggendo il Diario del giovane principe provo una tristezza enorme. È così compiacente con i suoi addestratori militari britannici che sento che soccombe alla sua malattia mortale come la sua unica libertà da loro, il 30 novembre 1870. *La Compagnia delle Indie Orientali, fondata nel 1600, controllava rigorosamente i Rajah, usando la 'Dottrina di Lapse', vietando ai principi di adottare o proclamare eredi, per impadronirsi dei principati indiani. Il loro controllo dell'India tramite eserciti privati, fu trasferito al governo britannico nel 1858, *dopo l'ammutinamento indiano del 1857, la Compagnia si sciolse nel 1874. *La carestia del 1876-78 sotto il viceré Robert Bulwer-Lytton, *il 1919 Amritsar massacro, *la partizione del 1947, sono immense tragedie imperiali/coloniali, l'ultimo atto vergognoso del Raj britannico è quello di adottare il concetto di Machiavelli dai Romani di 'divide et impera', in questo caso 'divide et abbandona', separando indù e musulmani in paesi separati, L'India indù e il Pakistan musulmano e il Bangladesh, alla Partizione, la separano, contro la saggezza di Gandhi, con il risultato di 14 milioni di persone sfollate come rifugiati dai loro paesi e diversi milioni di morti nei massacri e dalle difficoltà di viaggio. L'Italia risorgimentale l'ha unita; l'indipendenza dell'India l'ha divisa.

Il Cimitero Inglese* il Museo Stibbert* e la Tomba del Principe* riflettono quella storia vittoriana dell'India, il suo servizio militare, medico e civile lì, trovando poi la pensione qui in un clima più caldo di quello inglese. Io uso il 'servizio' sarcastico, tanto nel modo in cui il principe Harry ha percepito il proprio servizio militare, che si tratta più di essere imperialisticamente assassino e egoista che di collaborare allo stesso modo con l'India o l'Iraq. Ai fini di questa conferenza parliamo dell'India indivisa, prima della sua tragica divisione. Questo è lo studio di un sub-continente conquistato di una civiltà profondamente antica che ha parented le nostre lingue, la numerazione e la cultura Indoeuropee. *

Nel nostro cimitero inglese di Firenze troviamo almeno 40 professionisti militari, medici e legali che approfittano dell'India, a volte con le loro mogli e i loro figli presenti, per poi ritirarsi a Firenze. Ne discuterò qui alcuni, dopo aver dato ieri una visita guidata a tutti loro dopo la visita al Museo Stibbert. Il primo settore A nel Cimitero ha le tombe di *A14, Christopher Webb Smith, +1871, del Servizio Civile del Bengala, e sua moglie, 1862, che furono in gran parte responsabili della costruzione della chiesa gotica della Santissima Trinità in via la Marmora, decorata dal PreRaphaelite, John Roddam Spencer Stanhope, di A26 Mary Phelps, 1865, che è cresciuto nel castello di Druminnor in Scozia e il cui marito ha servito nelle guerre napoleoniche e in India. Abbiamo anche la tomba di *A29, Walter Savage Landor, 1864, mentre sua moglie svizzera, che lo odiava, è raffigurata in una statua Professiize la schiena gli si rivolse sulla tomba del loro figlio nel settore F, F128 Arnold Savage Landor, 1871. Per Walter era stato innamorato di Rose Aylmer, la figlia di un conte, che era andato in India e morì di colera dopo due anni, la sua tomba nel cimitero di Park Street a Calcutta con la sua poesia ad esso nel 1910,* BACSA, l'associazione britannica dei cimiteri in Asia meridionale, mi dice.

Cimitero di Park St, Calcutta

Ah, a che serve la razza scettrata!
Ah, che forma divina!
Che virtù, che grazia!
Rose Aylmer, tutti erano tuoi.

Rose Aylmer, che questi occhi svegli
Può piangere, ma mai vedere,
Una notte di ricordi e sospiri
A te io consacro.

Si diceva che gli inglesi morissero in India dopo due monsoni. Charles Dickens disse di aver basato il personaggio di Lawrence Boythorn in Bleak House su Walter Savage Landor. Sepolto nello stesso cimitero di Calcutta è anche il figlio di Charles Dickens, il figlioccio di Walter Savage Landor, che suo padre chiamò *Walter Savage Landor Dickens, poi lo spedì in India a 16 anni nel 1857 per servire nell'esercito indiano, che morì in debito nel 1864, senza mai tornare a casa. Anche un altro figlio di Dickens, Francis Jeffrey, andò in India nel 1863 per servire nei Bengal Lancers, poi in Canada. A37 SACRO ALLA MEMORIA/ DI/ JOHN BENNETT HEARSEY/ CAPITANO IN H.M.I. ESERCITO/ MORTO NELLA SUA VILLA PIAN D[EI GIU]LLAR[I]/ VICINO A FIRENZE/ 19 APRILE 1873/ La sua famiglia era profondamente coinvolta con la Compagnia delle Indie Orientali,2 spesso si è sposata con reali indiani, e potrebbe essere stato presente all'ammutinamento indiano di Meerut. Fu il suo parente, *Generale John Hearsey, che diede inizio a quell'ammutinamento indiano del 1857, punendo la rivolta per l'uso di proiettili di fucile di Enfield imbrattati di grasso di maiale e di mucca, aborrendo sia musulmani che indù, che avrebbe posto fine alla Compagnia delle Indie Orientali, il governo britannico allora che prende la direzione dell'India e Benjamin Disraeli che proclama la regina Vittoria la relativa imperatrice. *A49 Jane Gordon, 1876, di cui i parenti inoltre facevano parte della Compagnia delle Indie Orientali, come ufficiali che servono nel relativo esercito,2 lo stesso essere vero del marito di A90 Sarah Elisabeth Gough. 1841, il secondo visconte Gough, servì a Madras, ed è legato per matrimonio al nobile fiorentino Capponi.3 La sua tomba* fu la prima restaurata dal nostro Roma Daniel-Claudiu Dumitrescu (i cui antenati avevano portato le loro abilità dall'India in Europa mille anni fa). La famiglia Bankes era anglo-indiana di Calcutta, le cui tombe erano nel settore A e F, A82 Henry James Scott Bankes, 1869, e suo padre, A94 Henry Brookes Bankes, 1866, marito di F124 Amelia Watson Bankes, 1871, che era la figlia di *Vice-Admiral Charles Watson, che è sepolto nel cimitero di San Giovanni a Calcutta, e la figlia, F125 Esther Susan Amelia Bankes, 1871. Allo stesso modo il fratello di A98 Elisa Maria Stisted Wood, 1855, Sir William Henry Stisted, servito in India.4 Mentre il primo, ma ora esumato tombe del padre, Thomas, 1847, e la sorella, Ermina, 1859, del colonnello Thomas Stibbert, erano nel nostro cimitero più grande lotto a A107.

Nel settore successivo, B, sono sepolti B16 Sir Grenville Temple, 1829, il cui parente *Richard Temple-Grenville era a Madras, e accanto a lui il figlio B17 Isabella Temple Bayley, 1853, il cui padre servì nella cavalleria del Bengala. (Mio padre fece il suo servizio militare nel Bombay Light Horse, possedendo il pony da polo, 'Blue Nose', che aveva vinto la coppa più grande in India). B24 è Mary Kyd de Dornberg, 1872, il cui padre era il tenente generale Alexander Kyd degli ingegneri del Bengala ed era imparentato con il tenente generale Robert Kyd che fondò i giardini botanici di Kolkata e introdusse piante di tè dalla Cina all'India.  Wikipedia: 'Robert Kyd fece una richiesta nel suo testamento di essere sepolto senza alcuna cerimonia religiosa nel giardino botanico che fondò (Acharya Jagadish Chandra Bose Indian Botanic Garden), ma fu invece sepolto nel cimitero di South Park Street. Ha anche lasciato dietro pagamenti specifici da effettuare ai suoi servi nativi "Rajemahl Missah ... in retribuzione per l'istruzione inadeguata dato a lui, che comporta la separazione dal suo suolo natale e affini. Per l'altro nativo conosciuto con il nome di George, in riparazione del danno che gli ha fatto il suo ex padrone, nell'alienarlo dalla sua tribù (capito Rajput), convertendolo al cristianesimo e isolandolo da ogni collegamento futuro con la sua famiglia, la somma mensile di sei rupie durante la sua vita; ad entrambi a condizione che continuino a servire il maggiore Alexander Kyd durante la sua residenza in India. . . " Il fratello di B31 Joseph Watson, 1873, che sta morendo di tubercolosi trova un medico che è appena venuto dall'India a Firenze per assisterlo. *B85 Theodosia Garrow Trollope, 1865, e *B42 Isa Blagden, 1873, sono stati romanzati da Nathaniel Hawthorne in The Marble Faun nel loro composito, Miriam, che si chiede è East Indian, è ebrea, è qualcos'altro? Firenze era un luogo più accogliente per le persone di razza mista che era snob Inghilterra. Isa, amica di Henry James, amica dei Browning, amica di molti, si guadagnò il suo mantenimento scrivendo romanzi e imbarcando ospiti a Bellosguardo. Lei e il poeta Robert Lytton si innamorarono, salvandogli la vita a Bagni di Lucca, i Browning sperando che si sposassero. Robert con lo pseudonimo di 'Owen Meredith' scrisse una poesia, intitolata Lucile, su di lei e scrisse un romanzo, Agnes Tremorne, su di lui. Sposò un altro e fu nominato dalla regina Vittoria e dal suo primo ministro ebreo Benjamin Disraeli, come viceré dell'India e presiedette alla devastante carestia del 1876-78 in India, peggio ancora che in Irlanda. Qualcuno dovrebbe scrivere questa storia d'amore vittoriana, compreso il suo terribile contesto. B54 Agnes Janet Cameron, 1874, viaggia in India con il marito. B82 Sir Thomas Sevestre, 1842, e Raffles visitarono Napoleone a Sant'Elena, era un vecchio chirurgo dell'esercito indiano chiamato alle Terme di Lucca per assistere ad un Duelist morente. B98 è il maggiore Francis Charles Gregorie, 1858, il cui padre ha servito nell'esercito della Compagnia delle Indie Orientali e che ha combattuto a Waterloo ed è uno degli spiritisti svedesi del cimitero. B100 Helen Colquhoun Reade, 1852, suo marito nato in India nel 1806. *B108 Joseph Garrow, 1857, figlio di un funzionario della Compagnia delle Indie Orientali sposato con una principessa indiana. Orfano, fu cresciuto dalla sorella di suo padre, divenne un J.P. nel Devon, e fu il primo traduttore della Vita nova di Dante in inglese. The Times Literary Supplement 17/5/1920, rimarcato 'ma è una curiosa nota a piè di pagina agli annali letterari dell'Anglo-India che dimostra che il figlio di una madre indiana visse per tradurre Dante e muoversi in un cerchio dove i Browning e Landor erano le luci più grandi. B117 John Fombelle, 1849, si ritirò a Firenze con la moglie dal servizio civile della Compagnia delle Indie Orientali nel Bengala. B129 Joseph Anthony Pouget, 1833, era un medico della Compagnia delle Indie Orientali a Bombay. B131 Il marito dell'onorevole Frances Tolley era un tenente colonnello del 1º Reggimento delle Indie Occidentali.

Il settore D ha la pronipote di Clive dell'India, D20 Charlotte Mary Florentia Windsor Clive, 1840. D25 Harcourt Popham, 1840, figlio di Sir Home Riggs Popham che ha inventato il codice della bandiera di Trafalgar, sposato in Bengala, poi morto a Firenze a 28. *D72 Sir James Annesley, 1846, 'Presidente dell'Istituto Medico, Onorevole Compagnia delle Indie Orientali, Consiglio Medico di Madras', scrisse un enorme libro su Le malattie dell'India e dei climi caldi in generale, 1841. L'avvocato irlandese, Henry Johnson, genero di D111 James Dennis, 1855, e marito di Ann Dennis Johnson, 1863, seppellisce il padre qui a Firenze, notando sull'obelisco che sua moglie invece è morta ed è sepolta a Meerut, dove la sua tomba, BACSA dice, è ancora nel cimitero di Cantonment.

Il settore E, E52, il capitano James Bennett, 1865, insieme a sua moglie, 1874, ha prestato servizio in Sud Africa e in India. E58 Sir William Henry Sewell, 1862, figlio di re Guglielmo IV, servì in India (comandante in capo dell'esercito di Madras) e a Waterloo, E57, sua moglie, Georgina Sewell, 1872, e, E59, servo, James Bansfield, 1862. 350 Julia Woodburn Strachey, 1846, che ora manca di una tomba ma era in questo settore, sposò suo marito a Calcutta, ed è imparentata con Lytton Strachey che prese il nome da Robert Lytton, primo viceré dell'India.

Il settore F ha la tomba di F3 Elizabeth Daubeney, 1844, il cui figlio, Sir Henry Charles Barnston Daubeney, Wikipedia nota che 'Educato a Sandhurst, entrò nell'esercito come alfiere del 55º piede (poi 2º battaglione reggimento di confine) nel 1829. Ha servito in quel corpo per trent'anni fino a raggiungere il grado di colonnello. Nella campagna di Coorg, nell'India meridionale (1832-1834), servì con il suo reggimento con la colonna settentrionale sotto il colonnello Waugh; fu presente all'assalto e alla cattura della palizzata di Kissenhully e all'attacco di quella di Soamwarpettah. Lì era a capo di uno dei due cannoni attaccati alla colonna, e con la sua perseveranza lo salvò dalla cattura durante la ritirata. Le perdite inglesi ammontarono a tre ufficiali e quarantacinque uomini uccisi e 118 feriti, ma il rajah di Coorg, che si opponeva all'avanzata britannica, fu sconfitto e deposto il 5 aprile 1834. Daubeney prestò servizio anche in Cina e in Crimea. Da questa narrazione si intravede la brutalità della guerra imperiale che ha sfruttato l'India, la Cina e le ricchezze della Russia. F5 La moglie di James Walters Kelson nacque in India nel 1811. F19 Annie Dallas, 1865, suo padre nell'esercito indiano, sua madre australiana. La figlia di F93 Constance Cecilia de Bourbel, 1838, fu profondamente coinvolta nel Movimento Teosofista in India e nell'educazione delle donne indiane. Come era anche il nostro maharajah Rajaram Chhatrapati di Kolhapur. F118 Fanny Crewe, 1846, è la vedova del colonnello Richard Crewe dell'esercito di Madras della Compagnia delle Indie Orientali.

Così vediamo 40 professionisti militari, medici e legali che approfittano dell'India, a volte con le loro mogli e i loro figli, che si ritirano a Firenze e vengono sepolti qui.

NOTE
1 Il Marchese Gabriel Venturi Ginori Lisci riuniva in sé il retaggio della Discendenza dalle Famiglie dei suoi Genitori, che hanno scritto la Storia d'Italia, d'Europa e non solo. Dal lato paterno discendeva dalla Famiglia Ginori, che sin dal Medioevo aveva il proprio nome legato alla città di Firenze, e dall'antichissima stirpe reale armena dei Bagratuni: infatti la sua Nonna paterna era la Principessa Indji d'Abro Pagratide, nipote di Nubar Pasha che fu il primo Primo Ministro dell'Egitto; mentre da parte di sua Madre, Doña Leticia Principessa de Borbón, si risaliva alle Case Reali di Spagna e Portogallo. Due aspetti, quindi, legati in uno stesso tempo sia alla realtà fiorentina sia all'ampio respiro del Mondo. Tutto questo però difficilmente traspariva, filtrato dalla sua Semplicità d'Animo che gli permetteva di apprezzare, capire ed essere capito, ma puro amato da tutte le persone con le quali entrava in contatto e che restavano colpite dal suo sguardo sempre sereno, attento e sorridente . La sua Signorilità e Generosità d'Animo lo portavano a comprendere chi avesse bisogno di aiuto e ad agire concretamente, ma sempre in silenzio e con grande discrezione. Ora riposa al Cimitero degli Inglesi, isola di Pace e di Bellezza, circondato dalla Natura e dall'Arte che ha sempre amato.
2 'Diverse famiglie inglesi hanno sangue orientale o africano nelle loro vene come il Hearseys e Gardners. Tenente-colonnello Andrew Wilson Hearsey (1752-95), comandante del Forte di Allahabad aveva un figlio legittimo, tenente generale Sir John Bennet Hearsey, KCB (1793-1865) e una famiglia illegittima da una madre indiana. Un membro, Hyder Young Hearsay (n. 1782) sposò una Kanhum o principessa Zuhur-al-Nissa, figlia di un principe deposto di Cambay. Sua sorella sposò il colonnello William Linneaus Gardner, nipote del primo Lord Gardner e il loro figlio James Gardner sposò Nawab Mulka Mumanu Begum, uno dei 52 figli di Mirzo Suliman Sheko, fratello dell'imperatore mogul Akbar II (1806-37). Hyder Young Hearsey ebbe diversi figli di cui Harriet sposò il suo passo-Zio Sir John Bennet Hearsey e discendenti lasciati, come ha fatto William Moorcroft Hearsay in India'. Egli non è Sir John Bennet Hearsey, ma con lo stesso nome, e dalla stessa famiglia e contesto. Potrebbe essere stato presente all'ammutinamento indiano del 1857. Morì nella sua villa Pian dei Giullari.
3 Suo suocero, William Conway Gordon, figlio naturale di Lord William Gordon, entrò al servizio del Bengala nel 1815, appartenente alla 53ª fanteria nativa. Il suo ritratto fu dipinto quando era A.D.C. a Sir Peregrine Maitland a Madras. Sposò Louisa, figlia del generale di brigata J. Vanrenen, Onorevole Compagnia delle Indie Orientali, nato nel 1833, tornò in Inghilterra nel 1842 e morì nel 1882. Il suo primo figlio, William George Conway Gordon, Times, 1851, promosso da guardiamarina nel 91º a tenente, nel 1854 diventando capitano, nell'indice del cancelliere generale sposò Jane a Berwick nel 1857, e morì l'anno successivo. I suoi fratelli erano Francis Ingram Conway-Gordon, Lewis Conway-Gordon e Charles Van Renen Conway-Gordon.
4 NDBD e Wikipedia hanno voci per suo suocero, il primo visconte, Hugh Gough, partecipante sotto Wellington nelle battaglie della penisola, poi Madras e Cina, e suo marito, che servì, dopo la sua morte, sotto suo padre in India e Cina: 'Sposò in primo luogo Sarah-Elizabeth Palliser il 17 ottobre 1840, figlia del tenente colonnello Wray Palliser e di Mary Challoner di Derrylusken e Coagh, Co Wexford, Irlanda). Sposò in seconde nozze il 3 giugno 1846, Jane Arbuthnot (22 ottobre 1816 a Edimburgo d 3/2/1892), figlia di George Arbuthnot, 1º di Elderslie (1772-1843) ed Elizabeth (Eliza) Fraser (1792-1834), che ebbero 3 figli. The Gough, Arbuthnot, Popham (Settore D, D25/ HARCOURT POPHAM, D40/ SIR RICHARD KEITH ARBUTHNOT), Pakenham (Settore E, E118/ ELIZABETH ISABELLA PAKENHAM/ CAROLINE EMILY (THOMPSON/POPHAM) PAKENHAM ) le famiglie sono interconnesse. Il quinto visconte Gough organizzò il restauro della tomba della sua parente/quasi antenata. Il restauro della tomba comportò l'apprendistato di Daniel-Claudiu Dumitrescu sotto Alberto Casciani, in seguito al quale riuscì a restaurare e pulire molte altre tombe del Cimitero. Siamo molto grati al Viscount Gough. Vedi http://www.florin.ms/gough.ppt
5 Elizabeth Maria Stisted Wood e sua figlia di cinque anni, Luisa Clotilda, Clotilda è il nome della 'Regina di Lucca'. Vedi la tomba di A88/ CATHERINE SWINNY, madre di Clotilda Stisted. La tomba del colonnello Henry Stisted è a Bagni di Lucca. Il generale Sir Henry William Stisted, suo nipote e fratello della signora Wood, ha servito in India e Canada; nel 1845, a Firenze, sposò Maria Katherine Eliza Burton (1823-1894), sorella dell'esploratore Sir Richard Francis Burton. La loro figlia, Georgiana Martha Stisted (1846-1903), pubblicato La vera vita del capitano Sir Richard Burton. Are A110/ BIANCA (BURTON) BANCHINI, A27/ WALTER BURTON, Anche lui della famiglia dell'esploratore? Questa tomba è eretta dal marito e dai loro sei figli che non solo sono legati agli Stisteds di Bagni di Lucca, ma hanno anche fatto buoni matrimoni nella società italiana. Ci sono riferimenti agli Stisteds in What I Remember di Thomas Adolphus Trollope e The Golden Ring di Giuliana Artom Treves.

BIBLIOGRAFIA
Libri:
Francesca Alexander. http://www.umilta.net/zita.html
Sir James Annesley. The Diseases of India and Warm Climates Generally, London: Longman, 1841.
Giuliana Artom Treves. The Golden Ring: The Anglo-Florentines, 1847-1862. Trans. Sylvia Sprigge. London: Longmans, Green. 1956.
John Robert Glorney Bolton. Peasant and Prince: Modern India on the eve of the New Reforms. London: Peter Davies, 1938.
____________.  The Tragedy of Gandi. London: George Allen and Unwin, 1934.
____________. Two Lives Converge: The Dual Autobiography of Sybil and Glorney Bolton. London: Blackie, 1938.
Diary of the Late Rajah of Kohlapoor, During his Visit to Europe in 1870. Ed. Capt. Edward W. West, of the Bombay Staff Corps, and Assistant to the Political Agent, Kohlapoor and Southern Maratha Country. London: Smith, Elder, 1872.
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=uc2.ark:/13960/t8w956f1v&view=1up&seq=15
E.M Forster. A Room with a View. London: Edward Arnold, 1908.
____________. Passage to India. London: Edward Arnold, 1924.
Talking of Gandhiji. Ed. Francis Watson, Maurice Brown. Contributors, Horace Alexander, Ida Barton, J.R. Glorney Bolton, Albert Docker, Indira Gandhi, Lord Halifax, Muriel Lester, Mira Behn, Lord Mountbatten, Gilbert Murray, Jawaharlal Nehru, Reginald Reynolds, Clare Sheridan, etc. Bombay: Orient Longmans, 1957.
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Samuel Rogers. Italy. London: John Murray, 1823. https://archive.org/details/rogersitalypoem00roge/page/n5/mode/2up
Salman Rushdie. The Enchantress of Florence. London: Jonathan Cape, 2008.
Edward Said. Orientalism. New York: Random House, 1979.
Gayatri Chakravorty Spivak. In Other Worlds: Essays in Cultural Politics. New York: Routledge, 1988.
The Spivak Reader: Selected Works of Gayatri Chakravorty Spivak. Ed. Donna Landry and Gerald Maclean. New York: Routledge, 1996.
Flora Annie Steele. The Hosts of the Lord. London: Thomas Nelson, 1900. https://archive.org/details/hostsoflord00steeuoft/page/n5/mode/2up
Lytton Strachey. Eminent Victorians. Garden City: Garden City Publishing, 1918. https://archive.org/details/cu31924014643609
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Thomas Adolphus Trollope. What I Remember. London: Richard Bentley, 1887. 2 vols. https://archive.org/details/whatiremember01trol/page/n9/mode/2up
Diana and Tony Webb. The Anglo-Florentines: The British in Tuscany, 1814-1860. London: Bloomsbury, 2020.

Saggi:
Julia Bolton Holloway. 'Feminist Gandhi' https://www.umilta.net/gandhi.html
Manohar Malgonkar. ‘Unquiet Graves’, https://www.florin.ms/unquietgraves.html
https://www.theguardian.com/uk-news/2023/apr/06/indian-archive-reveals-extent-of-colonial-loot-in-royal-jewellery-collection



Emerald girdle of Maharaja Sher Singh, c 1840. Photograph: Royal Collection Trust / His Majesty King Charles III 2023
 
Video:
https://www.youtube.com/watch?v=zcKS9JPSfCg On the Partition of India
https://www.youtube.com/watch?v=yv7kd7ylfNc Before the Mutiny


La Firenze e la India dell'Ottocento


L'incantesimo magico di un libro - Sriram Rajasekaran

Introduzione
Nel sistema di pensiero indiano è difficile accertare un canone, come la Bibbia, che Ruskin leggere reverenzialmente; ci sono i Veda; sei grandi scuole di filosofia, spesso questi contraddicono l'un l'altro, rendendo ancora più difficile metterli sotto la singola scheda come un canone; tuttavia, questa è la bellezza del sistema indiano di pensiero- è un banyan con più rami e radici, anche, un singolo albero; una moltitudine di nuvole, portando luce ad uno, ombra ad uno e pioggia ad un altro, tutti sotto lo stesso cielo. Se si deve trovare un libro simile, allora potrebbe essere la Gita. Anche così, la Gita non è data a tutti di leggere; anche se qualcuno dovesse leggerla ad un certo punto della loro vita, potrebbe non essere allo stesso tempo che i suoi insegnamenti entrino davvero nel suo/ nel suo cuore. Per questo, cioè, la Gita per entrare in te, per venirti in mente, è un momento preordinato nella tua vita, che si chiama 'Gita muhurta'- il momento magico in cui si fa conoscere. È in questi momenti che i libri fanno il loro incantesimo magico, in uno spazio e tempo liminali, più tardi emergi trasformato. Oggi parlerò di come un libro ha forgiato un tale incantesimo nella vita di Ruskin, Gandhi, Proust e la mia. Unisciti a me mentre viaggiamo nel tempo e nello spazio.

Rogers e Ruskin
In 1832, John Ruskin è regalato un libro per il suo compleanno. Ruskin più successivamente ha scritto che il libro ha deciso "l'intera direzione delle energie della mia vita." Il libro è un'edizione illustrata delle poesie di Rogers sull'Italia, le illustrazioni di Turner, compresa quella che accompagna il poema di Rogers su Firenze, che inizia così:
Di tutte le più belle città della Terra
Nessuno è più giusto di Firenze. Questo è un gioiello
di più puro raggio; e che luce accesa,
Quando emerse dalle tenebre!
Ruskin ha scritto, "Questo libro è stato il primo mezzo che ho avuto di guardare con attenzione il lavoro di Turner"; è stato responsabile per la sua "Turner follia," e che il libro "determinato il tenore principale della mia vita."

Ruskin e Gandhi
Ruskin aveva 13 anni quando gli fu presentato il suo eroe, Turner, che avrebbe deciso il corso del resto della sua vita. Era intorno alla stessa età quando ho incontrato il mio eroe a Gandhi. Avevo circa tredici o quattordici anni, stavo lavorando all'autobiografia di Gandhi, un libro che ho preso per essere la mia Bibbia, leggendolo parola per parola come se la mia vita dipendesse da esso, gran parte della mia vita, anzi ha preso il suo corso da quella fonte, come vedrai.
Nel 1904, Mohandas Gandhi è seduto su un treno in Sud Africa. Un amico gli passa un libro da leggere durante il viaggio. Gandhi in seguito scrisse: "Ho deciso di cambiare la mia vita in accordo con gli ideali del libro." Il libro era 'Unto This Last' di Ruskin. Gandhi lo ha chiamato "grande Ruskin." "Esso (il libro) mi ha afferrato, ha portato una trasformazione istantanea e pratica nella mia vita." Gandhi chiamò Srimad Rajchandra, Tolstoj e Ruskin come i tre moderni che lasciarono una profonda impressione sulla sua vita e lo "affascinarono".
Gandhi mi ha presentato Ruskin attraverso i suoi lavori sull'economia politica e Unto This Last. In quel momento della mia vita, ero più incline all'Arte e alla Spiritualità, come lo sono ancora, e questo lato di Ruskin non mi piaceva e quindi non gli prestavo attenzione; feci l'errore di assumere la grandezza dell'uomo in base alla sua utilità. Fu solo un decennio dopo che la muhurta, il momento magico della scoperta di Ruskin, venne su di me da una direzione completamente diversa, ma comunque legata dalle reti della vita, perché, come un seme che si sviluppa in un albero che produce numerosi semi a sua volta, come un pensiero che si integra senza soluzione di continuità in un altro pensiero, proprio come un treno passa binari, un libro indica e porta a un altro libro.
  Tolstoj e Gandhi
A quel tempo, però, sono stato indirizzato verso Tolstoj attraverso la corrispondenza tra Gandhi e Tolstoj su questioni di religione e spiritualità. Ero innamorato non tanto delle idee di Tolstoj, quanto della fermezza e del modo deciso con cui ci dà quelle idee. Ho visto in lui un uomo sicuro di sé che conosceva il suo posto nel mondo, molto diverso da me stesso adolescente, e quindi è diventato il mio fondamento su cui potevo stare e costruire il mio mondo. Ho continuato a leggere i suoi racconti, Infanzia, fanciullezza e giovinezza, e poi il suo capolavoro, forse il più grande pezzo di letteratura mai scritto, Guerra e pace. La porta della Letteratura, con la L maiuscola, si è aperta davanti a me, e l'ho attraversata.
La capacità di Tolstoj di scrivere di un vasto numero di personaggi mi stupisce, in particolare lo stile di minimizzazione e massimizzazione nella sua narrazione. Quanto scrive della vita, scrive anche della morte. Le morti di Andrei e del principe Nikolai Bolkonsky sono scritte in modo così lungo e con tale empatia. Solo un grande scrittore può scrivere sulla vita e sulla morte nello stesso modo elaborato.
Non ci sono dossi o svolte improvvise nel viaggio con Tolstoj. Egli guida i cavalli in modo fermo e sicuro. È evidente fin dalla sua prima opera, la riflessione autobiografica - Infanzia, Fanciullezza, Gioventù, che tratta della memoria - il tema che Proust e Ruskin trattano in profondità.
È interessante che proprio come ho scoperto la corrispondenza tra Tolstoj e Gandhi dopo aver letto Guerra e Pace, mi sono imbattuto nella corrispondenza tra Romain Rolland e Gandhi dopo aver letto Jean-Christophe. Mi chiedo come quest'uomo abbia avuto il tempo di leggere così tanto pur essendo attivamente coinvolto nelle questioni della nazione. Per non parlare del fatto che era anche lui stesso uno scrittore prolifico: le sue opere pubblicate sono quasi 100 volumi. È come quello che Einstein disse di lui: "Le generazioni a venire, potrebbe anche essere, difficilmente crederanno che un uomo come questo in carne e ossa abbia mai camminato su questa Terra".
Nei miei anni del tramonto, invece della seconda infanzia e del mero oblio, se potessi emulare la grinta, la risolutezza e la determinazione di questi vecchi uomini - Tolstoj e Gandhi - allora mi considererei fortunato.

poi il suo capolavoro, forse il più grande pezzo di letteratura mai scritto, Guerra e Pace. La porta della Letteratura, con la L maiuscola, si aprì davanti a me, e ci passai attraverso.
La capacità di Tolstoj di scrivere su un gran numero di personaggi mi stupisce, soprattutto lo stile di minimizzare e massimizzare nella sua narrazione. Per quanto scrive sulla vita, scrive anche della morte. La morte di Andrej e del principe Nikolaj Bolkonskij è scritta così a lungo e con tanta empatia. Solo un grande scrittore può scrivere della vita e della morte nello stesso modo elaborato.
Non ci sono urti o curve improvvise nel disco con Tolstoj. Tiene a freno i cavalli in modo costante e sicuro. È evidente dal suo primo lavoro stesso, la riflessione autobiografica- Infanzia, Adolescenza, Gioventù, che si occupano di memoria- il tema che Proust e Ruskin affrontare in profondità.
È interessante che proprio come ho scoperto la corrispondenza tra Tolstoj e Gandhi dopo aver letto Guerra e Pace, mi sono imbattuto nella corrispondenza tra Romain Rolland e Gandhi dopo aver letto Jean-Christophe. Mi chiedo come quest'uomo abbia avuto il tempo di leggere così tanto pur essendo attivamente coinvolto nei problemi della nazione. Per non parlare del fatto che fu anche uno scrittore prolifico, le sue opere pubblicate vanno in quasi 100 volumi. È come quello che Einstein disse di lui: "Le generazioni a venire, potrebbe essere, difficilmente crederanno che un uomo come questo abbia mai camminato su questa terra in carne e ossa."
Nei miei anni del crepuscolo, invece del secondo infantilismo e del mero oblio, se potessi emulare la grinta, la determinazione e la determinazione di questi vecchi- Tolstoj e Gandhi - allora mi considererei fortunato.

Ruskin e Proust
Dopo aver letto Guerra e Pace, tutti gli altri libri mi sembravano insignificanti e privi di valore; ero in cima a una montagna con Tolstoj al mio fianco, come un generale che osservava le sue truppe da una collina, descrivendo ogni evento e per mezzo del quale mi dava lezioni di vita. È stato allora che ho iniziato a leggere tutti i tipi di libri assurdi per colmare il vuoto che le persone che hanno letto Guerra e Pace sentono dentro di sé dopo aver finito il libro.
In quel momento accadde un altro muhurta: scoprii Proust, e mi resi conto che sono Proust, se tu potessi capirlo. Ho letto tutto quello che ha scritto Proust: come un uccello che raccoglie bastoni e macerie per costruire il suo nido, ho raccolto tutto quello che Proust ha scritto, e l'ho aggiunto alla mia biblioteca, infatti, possiedo più edizioni della sua magnum opus In Search of Lost Time, una prima edizione di Jean Santeuil, ecc. Ero devoto a Proust. Leggere l'opera di uno scrittore in un breve periodo è come avere una conversazione con lo scrittore stesso giorno dopo giorno. Viene trasportato dalla terra dei morti e inizia a vivere accanto a te, pensa con te e ti racconta le cose mentre accadono, nel suo particolare stile e linguaggio. Proust era con me e io sono diventato Proust.
Nel 1899, Marcel Proust scrive una lettera a sua madre, chiedendole di inviargli urgentemente Ruskin et la religion de la beauté di Robert de La Sizeranne. Proust soggiornava all'epoca nella città termale di Evian-les-Bains sul lato sud del Lago di Ginevra. Voleva il libro in modo che potesse "vedere le montagne attraverso gli occhi di quel grande uomo (Ruskin)."
Più tardi, Proust andò alla Bibliotheque nationale e iniziò a cercare opere di Ruskin. Ha accantonato il suo romanzo Jean Santeuil, che è rimasto incompiuto e inedito nella sua vita, e ha iniziato a lavorare sulla traduzione e commento delle opere di Ruskin. Direi che il lavoro fondamentale di Proust In Search of Lost Time ha molti elementi che sono direttamente o indirettamente influenzati dalla sua lettura di Ruskin.
Ora, diamo un'occhiata alla traduzione di Proust di 'Of King’s Treasuries.' Come ha detto lo stesso Proust nella sua prefazione ho cercato di riflettere a mia volta sullo stesso argomento che sia Ruskin che Proust hanno scritto- di libri e l'utilità della lettura.
Come i corvi twain di Odino, Huginn e Muninn- Pensiero e memoria, Proust è ossessionato con il tempo e la memoria. Le prime pagine della Ricerca costruiscono perfettamente questo, dove il Narratore, nello stato liminale tra il risveglio e il sonno, ricorda tutti i luoghi, le case, gli edifici in cui è stato. Ruskin dice sull'architettura: "Possiamo vivere senza di lei, adorare senza di lei, ma non possiamo ricordare senza di lei." Proust scrive di vari casi in cui un luogo fisico evoca ricordi eterei del passato, di luoghi che custodiscono ricordi. In una lettera ad Anatole France scrive: "Ho costruito, nel profondo del mio cuore, una cappella piena di te." Ruskin scrive nelle Sette Lampade dell'Architettura: "Perciò, quando costruiamo, pensiamo che costruiamo per sempre."
"Non ci sono giorni della mia infanzia che ho vissuto così pienamente forse come quelli che pensavo di aver lasciato senza viverli, quelli che ho trascorso con un libro preferito."
Come un mago che tiene la sua bacchetta sul tuo tempio e ti fa vedere le cose, lo scrittore mette le parole sulla carta e ci fa vedere e sentire cose che sono puramente magiche. I migliori ricordi della mia infanzia sono quelli che ho trascorso in biblioteca o nel comfort della mia casa con un libro in mano. Dal viaggio che abbiamo avuto attraverso la storia e le emozioni che abbiamo provato, il libro stesso è una cristallizzazione di quell'esperienza magica chiamata lettura.
"Chi non può ricordare, come posso, la lettura che hanno fatto nelle vacanze, che si nasconderebbe successivamente in tutte quelle ore del giorno pacifica e abbastanza inviolabile per essere in grado di permettergli rifugio."
Se svegliarsi tardi in vacanza è una cosa da desiderare, quelle preziose ore di sonno extra che fungono da balsamo dalla monotonia macinante della routine, svegliarsi presto per leggere un libro è un piacere in sé. Raccogliendo il libro da dove si era interrotto la notte precedente, le pagine ancora lì in attesa di leggerli, la storia e i personaggi che finora sono stati fermi continuano i loro movimenti come l'occhio si muove da una parola all'altra. Man mano che le parole diventano frasi, le frasi diventano la storia, gradualmente ti dissipi dal mondo in cui ti sei svegliato, da quello che è creato dalla magia, quello che avviene interamente nella mente del lettore. La luce del sole filtra lentamente attraverso le finestre e balla sulle pagine, illuminando le parole d'oro sulla carta incrostata, facendo risaltare la sua consistenza. Il cinguettio degli uccelli e tweeting, che compongono una canzone per accompagnare il vostro viaggio. Il fruscio lento delle foglie, il rintocco di una campana di chiesa lontana, che segna le ore che la flotta da voi, si sente la campana ora e continuare con la lettura e prima di rendersi conto, la campana colpisce di nuovo, guardando verso l'alto ti rendi conto che è passato più tempo di quanto tu possa immaginare e che hai perso due campane tra i due che ti è capitato di sentire attraverso l'intensa lettura in cui sei stato coinvolto.
"Sentiamo molto fortemente che la nostra saggezza comincia quando quella dell'autore si stacca."
Quando l'ultima pagina è stata girata, quando l'autore ha concluso la sua storia, il nostro viaggio continua ancora. A volte inizia solo lì. Tenere un libro non è niente di diverso dal tenere uno specchio magico davanti a noi che ha la capacità di mostrare le profondità del nostro cuore. Leggere un libro è viaggiare attraverso quelle profondità e trovare luoghi che pensavamo non esistessero in noi stessi. Lo scrittore mostra il percorso, lo percorriamo. Il libro ci fa ricordare i nostri ricordi e formare connessioni tra di loro che non sarebbero accadute altrimenti, e ci fa giungere a conclusioni che sono causate solo dal libro, ma arrivati a noi stessi. Egli getta luce nelle profondità dove si trova il segreto, dentro di noi. Leggere un libro è leggere se stessi. Le case in cui sono conservati i ricordi vengono collegate da ponti, ponti costruiti non da pietre, ma dalle parole. Ogni casa un'arpa accordata, cantando le melodie del passato. Gli occhi che attraversano le parole sulle pagine, le dita invisibili che suonano abilmente le corde dell'arpa. Musica celeste.
"Leggere è quel miracolo fecondo di una comunicazione in mezzo alla solitudine."
Il motivo per cui conserviamo il libro nella nostra biblioteca non è solo perché potremmo leggerlo di nuovo, è perché è lo spartito per quelle melodie che abbiamo composto dentro di noi. Un semplice sguardo a quel libro inizia a suonare l'ouverture nella nostra mente. Prenderlo dallo scaffale e sfogliare le pagine mette in evidenza gli strumenti pronti. La lettura suona la sinfonia nella sua piena gloria.
Fu grazie a Proust che scoprii davvero Ruskin, non il suo lato economico politico, ma Ruskin, il critico d'arte ed esteta. Infatti, ho trovato casi in cui credo che Proust sia stato ispirato dalla scrittura di Ruskin. Per fare un esempio:
Una scena indelebile nella ricerca è all'inizio del romanzo, dove il narratore aspetta con impazienza che sua madre venga a dargli un bacio della buonanotte. Al culmine della sua impazienza, invia una nota scritta a sua madre attraverso il servo, Françoise. Alla fine, quando Madre viene da lui, e anche se Padre le permette di passare la notte nella camera del Narratore per calmarlo, quel poco che Marcel sente non è gioia.
"Avrei dovuto essere felice, non lo ero. [...] La sua collera mi avrebbe rattristato meno di questa nuova dolcezza, sconosciuta alla mia esperienza d'infanzia; sentii che con un dito empio e segreto tracciavo una prima ruga sulla sua anima e le tiravo fuori un primo capello bianco sulla testa. Questo pensiero ha raddoppiato i miei singhiozzi."
L'esito positivo di un evento non gli ha dato la stessa gioia che aveva nell'immaginarlo; non si sente felice di ottenere qualcosa che voleva, non felice di avere in possesso la stessa cosa che desiderava; echi di questo stesso tema possono essere trovati in volumi successivi, nella sua relazione con Albertine.
Ora confronta questo con quello che Ruskin scrive nei pittori moderni.
"Quel fascino strano e a volte fatale, che c'è in tutte le cose finché li aspettiamo, e il momento in cui li abbiamo persi; ma che svanisce mentre li possediamo; - quella dolce fioritura di tutto ciò che è lontano, che perisce sotto il nostro tocco."
Le prossime righe, a mio parere, riassumono il tema più importante in tutta la Ricerca, quello del tempo perduto e del tempo recuperato, non attraverso il 'ritorno fisico', per così dire, ma andando indietro nel tempo attraverso l'immaginazione.
"Ma il sentimento di questo non è una debolezza; è uno dei doni più gloriosi della mente umana, che rende l'intero futuro infinito e il passato imperituro, un'eredità più ricca, se fedelmente ereditata, del presente mutevole, fragile, fugace."
La prosa di Ruskin e Proust non sono dissimili: frasi sinuose, che viaggiano su una serie di idee prima di arrivare alla fermata completa. Leggerli è come guardare una catena montuosa: salire e cadere attraverso i suoi ritmi, deliziarsi nelle vette e scivolare giù per i pendii, prima di arrivare al periodo. E 'come Coleridge ha detto: "Ovunque si trova una frase musicalmente formulata, di vero ritmo e melodia nelle parole, c'è qualcosa di profondo e buono nel significato troppo."
In uno dei primi capitoli di Praeterita Ruskin parla del suo primo incontro con una ragazza, l'innamoramento, la separazione e il bisogno ardente di sublimare la passione in modo artistico. Si descrive così, "Non avevo né la volontà di conquistare Adele, né il coraggio di fare a meno di lei, né il senso di considerare ciò che alla fine ne sarebbe venuto fuori, o la grazia di pensare quanto sgradevole stavo facendo me stesso al momento a tutti su di me. Non c'era davvero più capacità né intelligenza in me che in un Owlet appena a tutti gli effetti, o solo a occhi aperti cucciolo, sconsolato per l'esistenza della luna." Credo, Proust ha preso una foglia fuori di. Questa descrizione potrebbe abbinare il narratore al momento era malato di amore per Albertine. Proust scrive di Albertine, "Non avevo più un cuore, ma solo un grande desiderio per Albertine."
 Inoltre, l'amore di Proust per i dipinti è evidente in tutti i suoi scritti. Non parlerò molto su di esso, ma consiglio vivamente il libro, Dipinti in Proust- Un compagno visivo alla ricerca del tempo perduto di Eric Karpeles, un libro riccamente illustrato che colloca i paragrafi selezionati della magnum opus di Proust che si occupa di arte accanto ai dipinti in essi menzionati. L'effetto combinato delle parole magiche di Proust sul dipinto e il dipinto stesso presentato nella pagina di fronte per noi per deliziare i nostri occhi è mozzafiato. È un'opera veramente lodevole che sarà letta finché Proust sarà letto.
"Se tra dieci anni vi imbattete in una sua linea (Ruskin) [...] mi interesserà tanto quanto adesso", scrive Proust su Ruskin. Mi viene in mente una citazione di Ruskin qui- "È il più grande artista che ha incarnato, nella somma delle sue opere, il maggior numero delle più grandi idee." Sia Ruskin che Proust mi hanno dato il maggior numero di grandi idee attraverso le loro opere.                                      

Conclusione 
Oltre l'età, lingua, nazionalità, cultura e tutte queste differenze che si trovano come un abisso tra c'è un punto in cui si sono collegati direttamente con lo scrittore, attraverso il libro.
I pensieri che sono stati galleggianti informe nella vostra mente ottenere una forma nelle sue frasi. Le idee e le sensazioni fugaci che hai avuto una volta e ciò che rimane di loro è solo un vago ricordo si cementano nelle pagine per i posteri. Tutto ciò che hai voluto dire ma non hai mai trovato le parole giuste per farlo, è stato sinteticamente messo insieme da lui. In questo momento si uniscono le mani e scalare le colline con lo scrittore per vedere l'orizzonte glorioso, la distesa fantastica della vostra mente.
Vi conduce attraverso la soffitta che è il vostro cervello e vi mostra cose che non sapevate esistessero. I vecchi cassetti, a lungo dimenticati, si aprono. Le lettere intenzionalmente soppresse sono scavate. La spina dorsale di ogni libro è toccata. Alcune strutture sono sentite solo adesso. Alla fine, lo scrittore mette il suo libro in soffitta. E ti lascia, per continuare la tua passeggiata, da solo ma mai senza compagnia.
Che un libro faccia il suo incantesimo su di te! 

BIBLIOGRAFIA
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https://www.mkgandhi.org/newannou/how-unto-this-last-inspired-Mahatma-Gandhi.html Accessed on 03.04.2023
https://victorianweb.org/authors/ruskin/proust.html  Accessed on 03.04.2023
On Reading Ruskin by Marcel Proust, published by Yale University Press in 1989, 9780300045031
Praeterita and Dilecta by John Ruskin, published by Everyman’s Library in 2005, 9781857152791
In Search of Lost Time by Marcel Proust, published by Modern Library in 2003, 9780812969641
https://www.lancaster.ac.uk/media/lancaster-university/content-assets/documents/ruskin/3-7ModernPainters.pdf Accessed on 03.04.2023



La montagna del Purgatorio: in Viollet-le-Duc, Ruskin, Dante, Yeats e India - Sir Nicholas Mander, compagno della gilda di San Giorgio di John Ruskin





Owlpen

Parlo da questa remota valle del Cotswold in cui ho vissuto per quasi 50 anni e dove sono immerso, quasi senza rendermene conto, nella profezia e nella poesia ottocentesca di John Ruskin. Voglio qui intrecciare Ruskin (1819-1900) e il suo quasi contemporaneo, Viollet-le-Duc (1814-79), architetti di guglie e montagne, come pietre miliari nella mia personale Odissea ai poeti Dante, ed esattamente 600 anni dopo, Yeats, fino alla parete himalayana dell'India.

Vivo come custode di una piccola casa padronale di Cotswold, regolata in un giardino di sette terrazzi a più livelli (che veniamo a più successivamente), rampicante dal livello sublunary da un flusso ad un chapel sul livello superiore, con il relativo stella-spangled vault nel baptistery dell'iniziazione una specie di Empyrean, forse, che è sopravvissuto quasi miracolosamente con poca alterazione dai tempi medievali. Deve quella sopravvivenza alle riparazioni in 1925, dopo 80 anni di abbandono, aderendo ai precetti ruskinian, che hanno onorato tali vecchie case del vernacolo, di modo che il poet A.C. Swinburne potrebbe elevarlo in una lettera a William Morris in 1894 come "un paradise incomparabile su terra".


Wightwick Manor

Ruskin i cui ideali hanno ispirato anche la costruzione di un gruppo di case di famiglia, di cui Wightwick Manor, costruito nel 1888-93, è oggi l'esempio più rappresentativo, dopo il suo dono al National Trust nel 1937, come paradigma della bella casa di William Morris. È apprezzato per le sue eccezionali collezioni di manoscritti letterari del tardo periodo romantico, di dipinti preraffaelliti e, nella decorazione, la sua ricca sovrapposizione di trame di vetro e tessuto, intonaci e murali, piastrelle e legname medievalising autocoscientemente. (È anche nota per i suoi collegamenti con l'India imperiale, quando due figli della famiglia, eccezionalmente in epoca edoardiana, sposarono due figlie del maharajah di Cooch Behar, collegate per matrimonio a Rabindranath Tagore.)

William Morris aveva sostenuto appena una tal rinascita delle cosiddette arti e mestieri e quindi la trasformazione della società industriale in se, ma relevantly qui, anche la riparazione attenta ed erudita e la protezione reverent delle costruzioni antiche, con "guardare severo" per "verità" e valore estetico di rovine e frammenti; il sublime parassitario che deriva da Fortuity, da incidenti di tempo; il pittoresco, come Ruskin lo ha descritto, dire, in un dipinto di "Tintoret":

"nelle fenditure e pieghe dei capelli ispidi, o negli abissi e nelle rendite delle rocce, o nell'attaccatura delle boscaglie o dei lati della collina, o nelle alternanze di gaiety e di gloom nella variegation della shell, del pennacchio, o della nube." [8:240]

Ruskin descrive questa variegatura, privilegiando il frammento "nella macchia dorata del tempo": se l'estratto o la citazione; o il frammento di pietra-la piccola figurina a Rouen più tardi ricercata da Proust; o gli umori fugaci della natura-la piuma, la foglia, "un po' di edera intorno a un gambo di spina", "gli effetti acquosi della luce pallida della luna"; o il momento congelato afferrato in uno schizzo o dagherrotipo-"il disegno del sole", come lo chiama lui; o anche una forma di vita primordiale conservata in un fossile.

Gimson Group

I Cotswolds erano uno dei più fertili terreni di riproduzione per i praticanti di ciò che divenne noto da Philip Webb, architetto di Morris, come una "scuola per la costruzione pratica" nel cerchio di Ernest Gimson e dei fratelli Ernest e Sidney Barnsley a Sapperton, e di Eric Ashbee a Chipping Campden.

Essi derivarono da Ruskin la loro filosofia di riparazione, che portò alla formazione (1877) della Società per la protezione degli edifici antichi, con la famosa dichiarazione di Ruskin:

è impossibile, per quanto impossibile risuscitare i morti, restaurare qualsiasi cosa che sia mai stata grande o bella in architettura. Ciò che ho sopra insistito come la vita del tutto, quello spirito che è dato solo dalla mano e dall'occhio del lavoratore, non può mai essere ricordato. Un altro spirito può essere dato da un altro tempo ed è quindi un nuovo edificio.





Notre Dame Flèche

Questo è in netto contrasto con il grande architetto e teorico francese del XIX secolo del revival gotico, Eugène Emanuel Viollet-le-Duc. Il suo interesse per l'architettura gotica fu suscitato, piuttosto, da Prosper Merimée, Romancier, ispettore della Commission des Monuments Historiques e un caro amico della famiglia, che gli assicurò la sua prima importante commissione nel 1840, il restauro della Madeleine a Vézelay, che era stato vandalizzato durante la Rivoluzione.

Nel 1844 lui e Jean-Baptiste Lassus vinsero il concorso per restaurare la Cattedrale di Notre-Dame de Paris, allora come ora in uno stato rovinoso. Questo è nella nostra coscienza oggi dopo la grande incendia del 15 aprile 2019, quando ci è stato ricordato che ha aggiunto una Flèche stravagante o guglia in quercia ricoperta di piombo, spingendo di nuovo il dibattito sull'etica della riparazione contro il restauro, che secondo la critica di Ruskin falsifica sempre il record storico che gli edifici incarnano.1


Woodchester Park

Il principale traduttore inglese di Viollet fu Benjamin Bucknall, nativo dei Cotswolds, e nel 1857 sostituì Augustus Welby Northmore Pugin e il suo insegnante, l'architetto di Bristol Charles Francis Hansom, come architetto di Woodchester Park. Questo capolavoro incompiuto è a pochi passi da dove vivo: costruito per un mecenate convertito cattolico, William Leigh, che mostra gloriosamente i principi del gotico razionale di Viollet nel suo approccio alla funzione, al metodo e all'unità strutturale. L'esempio supremo dell'estetica di Viollet in Inghilterra, onorando la nozione di verità di Ruskin in architettura. Tutti i lavori sono stati abbandonati nel 1873, e sopravvive come una rovina curata, sospesa nel tempo redentore; 'Tempus redimentes', secondo l'iscrizione sulla sua torre dell'orologio.




Torri dell'orologio a Woodchester e Nevers

La torre dell'orologio domina lo skyline dell'edificio, con un tetto a padiglione ripido, una montagna architettonica con i suoi corsi orizzontali striati, stratificati, scaglionati nella parola di Yeats, come le laminazioni di rocce, e sormontato da finiali, echeggiare o copiare come un manierismo in omaggio a Viollet, che li impiega nei suoi disegni di tetto, per esempio, nella torre di La Porte du Croux a Nevers.

Viollet-le-Duc trascorse le sue estati dal 1868 al 1876 studiando il Monte Bianco, con la conseguente pubblicazione scientifica del 1876 intitolata nella traduzione inglese di Benjamin Bucknall: Mont Blanc. Un trattato sulla sua costituzione geodetica e geologica, le sue trasformazioni e lo stato antico e recente dei suoi ghiacciai, 1877.2 Viollet-le-Duc ha illustrato questo lavoro con i suoi 112 schizzi e la sua mappa sistematica e la vista cromolitografica del Massiccio del Monte Bianco.


Mappa del Monte Bianco di Viollet

Egli descrive in termini ponderosi l'analisi metodica delle montagne come un sistema cristallino perfettamente regolato, dove le forze primarie operano in natura sulla scala più grande, un processo di rovina in cui una massa granitica mamillated è cristallizzata sotto raffreddamento, o metamorfosi sotto pressione, con la decomposizione di blocchi romboidali che si spaccano mentre l'acqua viene filtrata attraverso gli interstizi di laminazione e si espande nei mari dei ghiacciai fino a raggiungere un "aspetto denticolato e rovinato". Un tale processo organizza la tettonica dell'intero pianeta, come se la gigantesca massa caotica del Monte Bianco fosse una costruzione deliberata, una sublime opera architettonica che può essere riportata al suo ideale razionale; dimostrando un'analogia nascosta tra architettura, lo studio degli edifici e la geologia.


Analisi di Viollet della struttura cristallina del Monte Bianco


Il panorama delle Alpi di Viollet




Viollet coupe del Duomo di Firenze e vista sulla città di Firenze

Nel 1836 Viollet-le-Duc aveva viaggiato dal Monte Bianco in Italia,3 un viaggio di formazione che, come quello di Goethe 50 anni prima, durò più di un anno; alla ricerca, come anche Goethe, del classico. Doveva misurare e analizzare edifici come Santa Maria del Fiore, il Duomo di Firenze, di Arnolfo di Cambio (c. 1240 - 1300/1310), nella sua valutazione dei primi stimoli dell'architettura rinascimentale. Questo era stato visto come il momento critico di transizione che aveva scatenato ciò che la critica architettonica francese aveva riconosciuto come una terza fase di sviluppo culturale che si era manifestata per la prima volta a Firenze. Le abilità strutturali medievali qui sono state fuse con qualcosa del decoro antico,4 per realizzare una nuova sintesi, crowned con una guglia o Fleche che era in verità la cupola, che il genius Brunelleschi in 1418 aveva derivato dai survivals classici, notoriamente il Pantheon dedicato nel 135 dC nella Roma di Adriano.

Ruskin aveva quattordici anni quando vide per la prima volta le Alpi e il Monte Bianco in occasione del suo arrivo con i suoi genitori a Sciaffusa nel 1833. Ricordò il senso della rivelazione che le montagne avevano su di lui nella sua autobiografia Praeterita [1. 134-6]. Il passaggio segna una svolta nella vita del giovane Marcel Proust (agosto 1899):

"Improvvisamente-behold-beyond! Non c'era pensiero in nessuno di noi per un momento del loro essere nuvole. Erano limpidi come cristallo, nitidi sul cielo dell'orizzonte puro, e già tinti di rosa dal sole che tramonta [...] con tanta scienza mista a sentimento da rendere la vista delle Alpi non solo la rivelazione della bellezza della terra, ma l'apertura della prima pagina del suo volume,-Sono sceso quella sera dal giardino-terrazza di Sciaffusa con il mio destino fissato in tutto ciò che doveva essere sacro e utile." [35. 115]
"La neve stessa non può aggrapparsi alla precipitazione di questi fianchi terrificanti che sorgono in modo preminente vertiginoso e coleottero sopra il mare di neve innevata che ha rotolato le sue lunghe onde in aumento sopra le vette delle montagne più basse e meno precipitose." [Resoconto di un tour sul continente nel 1833, Chamouni, CW, 2. 382]




Ruskin Alps schizzi

Ruskin doveva visitare Chamonix e la regione del massiccio del Monte Bianco circa diciannove volte tra il 1833 e il 1888: "le mie più intense felicità sono state naturalmente tra le montagne", scrisse. Anche se ammiratori delle rispettive opere, non ci sono prove che lui e Viollet-le-Duc si siano mai incontrati. Entrambi sono venuti come dilettanti, pittori, pionieri delle montagne, delle Alpi in particolare, meteorologi e geologi, collezionisti di esemplari, escursionisti e scalatori, lettori dei volumi pionieristici di viaggi di Horace-Bénédict de Saussure nelle Alpi,5 che Ruskin aveva richiesto per il suo quindicesimo compleanno.

Attraversarono le Alpi in Italia a tre anni di distanza l'uno dall'altro, seguendo una linea venerabile di poeti e artisti, tra cui Turner, e Goethe, il geologo, collezionista di esemplari e minerali, che era partito per l'Italia attraverso il Brennero il 3 settembre, 1786, frustrato per amore, travestito da artista, con un paio di pistole conficcate nella sua cintura, mentre si dirigeva per primo verso Venezia.






Ruskin e Viollet ritratti

Ruskin ma per un incontro casuale dice che potrebbe aver scritto un "pietre di Chamouni". Oggi pensiamo a lui per il suo amore e la saggezza espressi in Le pietre di Venezia, anche se come Goethe ha viaggiato fino in Sicilia. Fu attirato dalle vignette di Turner, o "pazzie", come le chiamava, nell'Italia di Samuel Rogers, che aveva "determinato il tenore principale della mia vita" nel 1833 [35. 79]. E naturalmente anche lui descrive e abbozza le pietre di Firenze, dove si rimette a Dante (1265-1310) come "l'uomo centrale", esaltando la "tenerezza ineffabile, nella quale Dante è sempre innalzato tanto sopra tutti gli altri poeti, quanto nella morbidezza la rosa sopra tutti gli altri fiori". Il suo corrispondente ed editore Charles Eliot Norton scrisse: "Nessun altro grande scrittore inglese ha mostrato una tale familiarità con la Divina Commedia come Mr. Ruskin."

Secondo il suo racconto in Praeterita, la lectura
Dantis di Ruskin  iniziò durante il suo viaggio in Europa senza i suoi genitori nel 1845. La vita di Ruskin, sia essa Vita Nuova, o, con le sue delusioni, Morte Nuova, come doveva chiamarla nel 1867, è stata descritta come un commento alla poesia di Dante, "un testo scritto sul suo palinsesto, ma è anche se stessa".6 Dopo il 1845, "non c'è lavoro di Ruskin senza riferimento esplicito e sommerso dantesco, da conversazioni sulla minerologia per le studentesse, a critiche di economia politica".


Dante di Domenico di Michelino con il monte del purgatorio

Jay Fellows ha illustrato il rapporto essenziale tra le due figure, la circolare e il labirinto, che forniscono questo elemento strutturante nella maturazione immaginativa ed estetica di Ruskin.7 Il poema del sogno di Dante è rappresentato cerchi rotondi: triadi, nella sua triplice struttura, con la sua topografia di cerchi, pozzi e montagna:

Salendo e rigirando la Montagna [Purg., 23. 135]
[salire e girare intorno alla montagna].




 
Il suo viaggio descrive un cono di nove cerchi in diminuzione di crescente complessità nel rovinoso labirinto dell'Inferno, centrato su Lucifero nelle profondità; sette cornici o terrazze di scale tortuose che salgono sul monte del Purgatorio; e nove sfere circolari nel cielo più alto.

Ruskin ha lunghi passaggi,8 tra cui "circa un quarto di lunghezza" dei Pittori moderni,9 che descrivono il paesaggio dantesco, dominato da una critica esaustiva di Dante, e la mente medievale, prendere sulle montagne. Discute la "Verità delle Montagne", l'Oscurità della Montagna", la "Gloria della Montagna", e anche "Idee di relazione" in montagna, "il significato e l'ufficio e la scultura delle montagne", e "la geologia del Medioevo". L'arte italiana comincia solo ora a rappresentare le montagne, 160 anni dopo Dante, sullo sfondo dell'affresco del Ghirlandaio delle "Stimmate di S. Francesco" (1482-5) per la cappella di Santa Trinità, ad esempio, con amore per la pulizia e la precisione, e "qualche indicazione di una più stretta osservanza della natura" [5. 306], che Ruskin contrasta con un'incisione nel Liber Veritatis di Claude, che riduce tutte le torri e le mura a "rovina incomprensibile". Ruskin dubita della verità delle descrizioni dantesche delle montagne:


La transizione dal Ghirlandajo a Claude di Ruskin

"A Dante, e montagne sono inconcepibili tranne come grandi pietre rotte o rupi; tutti i loro ampi contorni e ondulazioni sembrano essere sfuggiti al suo occhio."

Trova poco convincente anche l'osservazione dantesca dei colori e delle trame delle rocce, con la loro frangibilità o fragilità, nell'Appennino; e dei torrenti di montagna, che scorrono marrone scuro, Bruna-Bruna, a Lethe, in verità grigio ardesia, a differenza della "schiuma color portiere" dei torrenti paludosi che osserva nella sua nativa Cumberland [5. 300]. Trova il monte del Purgatorio di Dante convenzionale e sottomesso:

"Il luogo della purificazione dell'anima, anche se una montagna, è ancora da Dante sottomesso, ogni volta che c'è qualche piacevolezza da trovare su di esso, da ogni carattere montuoso in recessi erbosi, o pendenze a riva impetuosa; e, nella sua concezione generale di esso, assomiglia molto più ad un tumulo del castello, circondato dalle camminate terrazzate." (5. 295).

Si concede una sospensione di incredulità nell'incanto dei paesaggi da sogno di Dante, ma Ruskin, intriso del Sublime Longiniano e della successiva tradizione pittoresca derivante da Gilpin, Prout e Turner, mette in discussione la primaesperienza manuale o godimento della montagna:

"Il fatto è che Dante, con molte espressioni in tutto il poema, si mostra di essere stato un pessimo scalatore; e di essere appassionato di sedersi al sole, guardando il suo bel Battistero, o camminare in modo dignitoso sul pavimento piatto in una lunga veste... Quando ha un posto molto ripido da scendere, Virgilio deve portarlo del tutto, ed è obbligato a incoraggiarlo, ancora e ancora, quando hanno un ripido pendio da salire, la prima salita della montagna purgatoria." (5. 303):


Ghirlandaio immagini

Egli individua il Ghirlandajo sullo sfondo raffigurante la strada con cui i Magi scendono nella sua immagine dell'Adorazione [dei Pastori; 1483-5], nell'Accademia di Firenze come illustrativa dell'idea di Dante di terrazze sul monte purgatorio. La presunta delizia di Ruskin in luoghi selvaggi, di aspri contagi e abissi, non è condivisa dalla mente medievale, ma piuttosto confinata da Dante nelle sue descrizioni dei tormenti dell'Inferno:

"Anche se l'Inferno è esattamente misurato e diviso come il Purgatorio, è tuttavia spaccato in voragini rocciose che possiedono qualcosa di vera natura di montagna che noi moderni del nord dovremmo cercare con gioia, ma che, al grande fiorentino, è apparso adattato solo per la punizione degli spiriti perduti, proclamare la sua detestazione di durezza e robustezza; e si sente per l'ultima volta, come conferisce la più nobile profanazione in tutti i Grigioni, se non in tutta la catena alpina, il nome della 'via del male'-'la Via Mala'."




Dante Purgatorio e la Divina Commedia immagini

Le sfumature e la vaghezza del linguaggio che descrive le montagne e le loro caratteristiche si perdono nella traduzione:

"[La parola] 'Sasso', è una grande pietra o masso (Purg. iv. 101. 104.), ... usato per qualsiasi grande massa montuosa, come in Purg. xxi. 106.; e la vaghezza della parola "monte", come quella della montagna francese, applicabile sia ad una collina su una post-road che richiede la resistenza da mettere,-o al Monte Bianco, segna una particolare negligenza in entrambe le nazioni,... per quanto riguarda la sublimità delle colline più alte; in modo che l'effetto prodotto su un orecchio inglese dalla parola 'montagna,' che significa sempre una massa di una certa grande dimensione, non può essere trasmesso né in francese o italiano."

Ruskin osserva il contrasto nelle concezioni medievali di stati d'animo di tempo, luce e ombra, commentando di Dante

"l'immitigabile avversione delle nuvole... Dante esclude tutte le nuvole da ambienti gioiosi o sacri, riservandole rigorosamente per la punizione dei peccatori. Dante porta così la gioia medievale in luce al suo limite logico come egli "mantiene costantemente, attraverso cerchio dopo cerchio, il suo pensiero senza nuvole, e conclude la sua pittura del cielo, come ha iniziato sulla montagna purgatorio, con l'immagine di mattina senza ombre." 77 (V, 312; Par. Xxxi.109-18).
"E l'amore per la montagna è così strettamente connesso con l'amore per le nuvole, la sublimità di entrambi dipende molto dalla loro associazione, che avendo trovato Dante indipendentemente dai monti Carrara visti da San Miniato, possiamo aspettarci di trovarlo ugualmente indipendentemente dalle nuvole in cui il sole è affondato dietro di loro. Di conseguenza, troviamo che il suo unico piacere nel cielo dipende dalla sua "chiarezza bianca."




Terrazze di Brantwood: schizzo di Ruskin

"Il tumulo del castello, circondato da passeggiate a terrazze" ricorda il giardino mitologico che Ruskin ha ricreato in età avanzata a Brantford, con le sue terrazze Ziggy-zaggy disposte a imitazione della montagna purgatoria. Questo è ora restaurato, sulla base di schizzi che Ruskin fatto nel 1870 come il "Paradiso delle Terrazze". Ruskin lo concepì come un ingresso al giardino sul lago, ricreando il viaggio dell'anima in paradiso sul monte purgatorio. Ciascuna delle sette terrazze Ziggy-zaggy (Purgatorio, X-XXVII) della sofferenza e della crescita spirituale, in Dante scavata nella roccia della montagna, è dedicata a purificare uno dei sette peccati capitali o capitali: orgoglio, invidia, rabbia, accidia, avarizia, gola, lussuria. Essi sorgono dal fiume Stige, come Dante descrive che scorre alla base di "rocce grigie maligne" nel quinto cerchio dell'Inferno, al primo cerchio del paradiso, ricreato a Brantwood come il "Glade dei pittori".


Sette giardini islamici: monte

Le terrazze purgatorie riecheggiano i sette giardini del paradiso dell'oriente musulmano. Il centro-montagna ed escatologia di Dante si collegano all'immaginazione creativa che Henri Corbin descrive nelle visioni teofaniche del grande poeta mistico murciano e "platonico", Ibn al-'Arabī (1165-1240). 10 Miguel Asín Palacios sostenne (1919)11 che Dante usava fonti derivate dalla Spagna islamica (e plausibilmente dalla Sicilia e dalle Crociate), e più in generale dall'est attraverso la tradizione indo-iraniana. Questa ipotesi risalente al critico del 19 º secolo, Alessandro d'Ancona, o anche alla fine del 18 º secolo, è spesso respinto come controverso o sopravvalutato, ed è stato anche designato "un capitolo scandaloso nella storia della borsa di studio Dante." La scoperta della scala Liber machometi, con la sua narrazione del viaggio notturno di Muḥammad all'Inferno e al Paradiso, da un isrā', un viaggio notturno durante il quale il Profeta visitò le regioni infernali, è servita solo a rianimare il dibattito. L'interesse di Ruskin per l'Oriente islamico è ben documentato.12 Ci sono molte infoldings e cross-influenze, dove il lavoro di Dante è un centro con summa-like, qualità enciclopediche, che riunisce filoni universali, preminente non solo nella cultura medievale, ma nel nostro tempo.


W.B. Yeats: ritratto di suo padre

Tre dei grandi poeti modernisti della lingua inglese all'inizio del XX secolo, Ezra Pound, T.S. Eliot e W.B. Yeats, tutti in vari modi hanno reso omaggio a Dante al centro del loro lavoro. C'è tempo per prendere solo William Butler Yeats (1865-1939) come ultimo anello di questa ipotetica catena, forgiando una connessione praticabile tra Ruskin, Dante e la saggezza dell'Oriente.

Yeats trascorse quattro anni, dal 1884 fino all'inizio del 1887, all'inizio della sua vita come "studente d'arte dipinto" (Maud Gonne) nei college d'arte di Dublino dominati dall'estetica di John Ruskin. Nella frase iniziale della prima bozza della sua autobiografia, iniziata nel 1915, egli afferma che (come Gandhi):

"Cominciai a leggere Unto This Last di Ruskin (1855) e questo, aggiunto al mio interesse per la ricerca psichica e il misticismo, fece infuriare mio padre, che era un discepolo di John Stuart Mill. Una notte una lite su Ruskin raggiunse un'altezza tale che nel farmi uscire dalla stanza ruppe il vetro in una foto con la nuca. Un'altra notte, quando eravamo stati in discussione per Ruskin o misticismo, non riesco a ricordare quale tema, mi ha seguito al piano di sopra nella stanza che ho condiviso con mio fratello. Mi ha affrontato, e voleva fare boxe, e quando ho detto che non potevo combattere mio padre rispose: 'Non vedo perché non dovresti.' "


Dante di Blake illusa.

Il mondo delle arti visive definisce e permea la carriera poetica di Yeats, con la sua devozione a William Blake e "gli Antichi", Edward Calvert e Samuel Palmer,13 un bambino del movimento di arti e mestieri, ricco di Morris e la stampa Kelmscott, mantenere le amicizie durature con Thomas Sturge Moore, William Rothenstein, Charles Ricketts e Charles Shannon, e molti altri.







Illuss. di Shannon (ex libris di Yeats), Sturge Moore, Cuala Press

Yeats raffinò il suo interesse per le arti del libro e mantenne una rigida supervisione della produzione della sua produzione poetica da In the Seven Woods nel 1903, il suo primo libro prodotto da Dun Emer Industries, fondato a Dublino da Evelyn Gleeson e le sorelle zitelle del poeta, Elizabeth (Lolly) e Susan (Lily), con Yeats come consulente letterario. La Lily’s Cuala Press pubblicò libri eleganti, la maggior parte dei quali libri di poesie di Yeats 'appena arrivati e prima di essere pubblicati commercialmente'. Il formato stabilì un modello per tutte le raccolte di poesie di Yeats.

Quando finalmente visitò Venezia il 10 aprile 1907, con Augusta Lady Gregory e suo figlio Robert, guidando l'Appennino verso Urbino, lo fece con una copia delle Pietre di Venezia di Ruskin come suo vademecum. Le opinioni di Ruskin sulla forma architettonica e l'esperienza sociale, psicologica ed estetica del poeta - specialmente mentre guardava alla luce veneziana con cui Gregorio, lei stessa un devoto russo, lo descrisse come affascinato - generano uno stile prototipo modernista.

Dante Alighieri e Yeats nacquero a quasi esattamente 600 anni di distanza, il 13 giugno 1865 e verso la fine di maggio o l'inizio di giugno 1265. Ancora una volta, Dante ha un'influenza fondamentale in quello che il critico George Bornstein chiama il pensiero antimoniale di Yeats, "martellando i suoi pensieri in unità" sulla sua ricerca spirituale per quello che ha chiamato 14

" 'Unità dell'Essere', usando il termine come lo usava Dante quando paragonava la bellezza nel Convivio ad un corpo umano perfettamente proporzionato. Mio padre, dal quale avevo imparato il termine, ha preferito un confronto con uno strumento musicale così teso che se tocchiamo una corda tutti gli archi mormorano debolmente." [1999a: 164]15

Dai suoi primi studi sull'occulto e la teosofia di Mme Blavatsky, il rosacroce, Plotino, la Golden Dawn, le visioni svedesi di Blake, l'illustratore dell'Inferno di Dante, il suo incontro critico con Rabindranath Tagore (per il quale ha scritto l'introduzione per il suo Gitanjali), alla filosofia vedica indù, alla ricerca psichica e ai Noh giapponesi, tutti erano temi eterogenei nella ricerca sincretica di Yeats, dove la religione orientale era dai primi giorni un nucleo se interesse dilettante. Egli professò (1937), "Mi sono nutrito della filosofia delle Upanishad per tutta la vita... Per circa quarant'anni il mio amico George Russell (A.E.) mi ha citato passaggi da alcune Upanishad." 16


Palmer Lonely Tower incisione, prova

L'immaginario della ricerca purgatoria è sempre presente: al suo posto, il tavolo sormontato Mensa della testa di Ben Bulben, alto 1.700 piedi, che domina il paesaggio di Sligo della sua giovinezza, e, infine, la propria lapide di Yeats, con la sua leggenda Siste Viator. La ricerca è presente anche nelle immagini perenni di Yeats delle torri, la scala a chiocciola, il suo viaggio mistico verso est simboleggiato da Sailing to Byzantium. La sua casa torre a Thoor Ballylee diventa un simbolo della torre solitaria descritta da Milton (Il Penseroso) e Shelley (Principe Athanase), e realizzata nella famosa incisione di Samuel Palmer, la torre dove la lampada brucia per il poeta eremita, leggendo da solo nel buio, cercatore di "misteriosa saggezza conquistata dalla fatica".

Più tardi nella sua vita, Thomas Sturge Moore presentò Yeats a Shree Purohit Swami, poeta, filosofo vedantista e monaco indù, e formarono una stretta collaborazione letteraria. Il suo interesse per le Upanishad è stato risvegliato e hanno continuato a collaborare nella loro traduzione dei dieci principali Upanishad a Maiorca nel 1935-6. Come discepolo e biografo di Shri Bhagwan Hamsa, Purohit Swami ha tenuto una serie di conferenze sulla Bhagavad Gita, la "canzone" allegorica di 700 righe sul dilemma morale del campo di battaglia che rimane il testo centrale della spiritualità indù.






Gopura al tempio di Nataraja, Chidambaram

Un tempio indù è una casa simbolica, sede e dimora di un dio del pantheon: come lo esprime Jorge Luis Borges, "il sorriso di Shiva". Si tratta di una struttura progettata per promuovere quella che potrebbe essere chiamata "Unità dell'Essere" yeatsiana, quell'armonia simpatica di esseri umani e divinità dove "tutte le corde mormorano debolmente". Tipicamente costruito su un plinto riccamente scolpito (adhisthana), il tempio è indicato nei testi indù sull'architettura (Vastu Shastras) come la montagna sacra, Meru o Kailas, il trono di Shiva nell'Himalaya. Visto da lontano e specialmente da sopra, molte tempie di Dravidian, con i loro portali monumentali della torretta, o gopurams-tipicamente, come a Chidambaram, di sette livelli-prendono la forma di una massa o di una guglia della montagna, derivata da quella stessa forma piramidale troncata, il cuneo hipped, che Viollet-le-Duc aveva usato sulle sue torrette-guglie, paradigmi per quello a Woodchester Park.




Kailas immagine e tanka

Yeats tardi nella vita è stato assorbito nella leggenda di Kailas. Era ormai troppo fragile per realizzare il suo viaggio in India, ma il suo ultimo saggio 'The Holy Mountain' (1934) servì da introduzione al racconto di Shri Hamsa del suo pellegrinaggio e iniziazione sul Monte Kailas, la guglia di cristallo di Shiva, la montagna purgatoria d'Oriente, quando "gli era stato ordinato in meditazione di cercare Turiya, il Samadhi più grande o cosciente, 'beatitudine senza scopo', sul Monte Kailas."

Yeats scrive del centro libero della spirale, il punto fermo dell'albero dell'asse del letto, dove iniziano le guerre contro Dio, "dove tutte le code di serpente sono morsi, dove tutte le rotazioni convergono in una". La sua poesia, Meru (1935), è una delle polemiche dell'uomo pubblico sorridente nella sua vecchiaia, ravening, "che egli può entrare nella desolazione della realtà", che è apparso nel suo ultimo lavoro Parnell’s Funeral & Other Poems (1935), evocando

Eremiti sul Monte Meru o Everest,
Caverned nella notte sotto la neve alla deriva

dove Meru è la montagna mistica simbolica della mente, i cui strati sono scagliati sulla cupola di Kailas, e l'Everest l'alta, quotidiana "presenza reale", i cui anelli avvolgono come la coda del serpente degli uroboro. Yeats osserva di Kailas: ...

"Anche noi abbiamo imparato da Dante ad immaginare il nostro Eden, o Paradiso terrestre, su una montagna, anelli di penitenza sul pendio."


L'India di Ruskin
 
NOTE
1 Alison Milbank, 'Ruskin and Dante: Centrality and De-Centring', John Rylands Library Bulletin, 1991;73(1):119-134. Il senato francese è intervenuto nel dibattito sul restauro della cattedrale di Notre-Dame approvando un disegno di legge (16 luglio 2019) approvando le proposte del governo con l'ulteriore requisito che la cattedrale sia ricostruita al suo 'ultimo stato visivo conosciuto'.
2 Londra: Sampson Low, Marston, Searle e Rivington, 1877, 12-13. Titolo originale:Le Massif du Mont Blanc: Etude sur sa Constitution Géodesique et Géologique sur ses Transformations et sur l'Etat Ancien et Moderne de ses Glaciers, 1876.
3 Aillagon, Jean-Jacques, Vernes, Michel, Viollet-le-Duc, Geneviève, Le Voyage d'Italie d'Eugène Viollet-le-Duc: 1836-1837, Parigi: Ecole nationale supérieure des Beaux-Arts, 1980.
4 Robin Middleton, 'Le interpretazioni razionaliste del classicismo di Leonce Reynaud e Viollet-Le-Duc', Architectural Association, primavera 1986, n. 11, pp. 29-48.
5 Voyages dans les Alpes 1779-96, 4 vols. Vedi Cynthia Gamble, 'John Ruskin, Eugène Viollet-le-Duc e le Alpi', The Alpine Journal, 1999, pp. 185-6.
6 Alison Milbank, 'Ruskin E Dante: Centralità e De-Centring', in John Rylands Library Bulletin, vol. 73: Numero 1.
7 Jay Fellows, Labirinto di Ruskin: Maestria e follia nella sua arte, Princeton, 2014; Penelope Reed Doob, L'idea del labirinto dall'antichità classica attraverso il Medioevo, Cornell U.P., 1919, pp. 271-85.
8 Pittori moderni, volume III (parte IV)
9 Indice dell'edizione di Cook e Wedderburn.
10 H. Corbin, L'Imagination créatrice dans le Soufisme d'Ibn 'Arabī (Parigi, 1958).
11 Edizione inglese: Miguel Asín Palacios, Islam and the Divine Comedy, trans. Harold Sunderland (Londra: Murray, 1926). Un recente studio generale è Vicente Cantarino, Dante e Islam: Storia e analisi di una controversia, 2014.
12 Mujadad Zaman, 'L'oriente islamico di Ruskin e la formazione di un ideale europeo', nell'Europa di John Ruskin: una raccolta di saggi interculturali, Venezia: Ca' Foscari, 2020.
13 Raymond Lister, Beulah a Bisanzio: Uno studio di paralleli nelle opere di W.B. Yeats, William Blake, Samuel Palmer & Edward Calvert. Essendo No. II dei Dolmen Press Centenary Papers, 1965.
14 Four Years: 1887-91 of Metamorphosing Dante: Appropriations, Manipulations, and Rewritings in the Twentieth and Twenty-First Centuries', ed. di Manuele Gragnolati, Fabio Camilletti, and Fabian Lampart, Cultural Inquiry, 2 (Vienna: Turia & Kant, 2011), pp. 37-59.
15 Il presunto passaggio de Il Convivio non è stato mai individuato dalla critica. Charika Swanepoel, (2022) 'Tre fonti di W. B. Yeats’s Syncretic Christ: Dante, Blake and the Upanishads', Open Library of Humanities, 8(2), 1-23.
16 Hone, 1962: 459. Citato in P. Kuch, Yeats e AE: L'antagonismo che unisce i cari amici, 1986: 20; vedi la prefazione di Yeats a The Ten Principal Upanishads, 1937.



 
Un anglo-indiano, traduttore anglo-fiorentino: Joseph Garrow e una versione della 'Vita Nuova' di Dante-  Nick Havely, University of York

L'interesse britannico per la Vita Nuova di Dante - la sua prima raccolta di testi d'amore con il suo commento si è sviluppato abbastanza tardi. È evidente in una certa misura tra i romantici come gli Shelleys e Leigh Hunt, e quantità significative di traduzione appaiono nel 1830, in tre lavori dell'amico di Tennyson Arthur Hallam e le versioni pubblicate delle poesie di Charles Lyell, padre del geologo più famoso. Ma la prima traduzione completa dell'intera opera pubblicata a Firenze nel 1846 è stata offuscata da versioni successive dell'Ottocento, come quelle di Dante Gabriel Rossetti e Charles Eliot Norton.

La prima vita di Dante Alighieri, la prima traduzione completa della Vita Nuova di Joseph Garrow, nato in India nel 1789 e morto a Firenze nel 1857, è stata ampiamente ignorata anche nella borsa di studio dell'accoglienza dantesca. La collezione monumentale di fonti per Dante in letteratura inglese non cita da esso e si riferisce ad esso solo come una nota a piè di pagina per una sezione sulle versioni di Lyell.1 Un'importante monografia del XX secolo su Dante e la poesia inglese dà alla vita primitiva pochissima attenzione, per quanto riguarda la sua influenza in Inghilterra come 'naturalmente limitata' a causa della sua pubblicazione a Firenze.2 Nel secolo presente, questa traduzione è diventato ancora meno visibile, e non figura nemmeno negli indici di recenti importanti studi di ricezione della Vita Nuova.3 Ancora, come suggerito da un breve articolo di George Watson nel 1986, Garrow’s Early Life of Dante è un'prima' significativa, e ci sono più prove ora disponibili circa i suoi contesti e la ricezione.

Come suggerisce il mix di aggettivi - anglo-indiano, anglo-fiorentino - nel mio titolo, mi sto avvicinando a Garrow e alla sua traduzione da un misto di motivi e direzioni. Come semi-dantista mi interessano gli sviluppi -soprattutto ottocenteschi nella ricezione di testi come la Vita Nuova e la Divina Commedia. Più personalmente, essendo io stesso di origini miste Parsi e britanniche, sono anche interessato alle origini anglo-indiane di Garrow e al modo in cui come tale ha fatto la sua strada nella società e nella cultura britannica e italiana all'inizio del XIX secolo. Vi sono, come vedrete, molte lacune nel mio resoconto; quindi rimane ampio spazio per ulteriori ricerche su questo argomento.

Le informazioni che ho raccolto finora sulla discendenza di Garrow e sulla sua Vita Primitiva sono piuttosto scarse. Suo padre - chiamato anche Joseph Garrow -è nato nel 1757, uno dei dieci figli del Rev. David Garrow, un maestro di scuola a Hadley, Middx, vicino a Londra. Dopo che suo fratello maggiore Edward, Joseph Garrow Senior (come lo chiamerò) divenne uno scrittore nella Compagnia britannica delle Indie orientali nel 1779 e successivamente fu un mercante anziano. Divenne segretario del comandante in capo dell'esercito della Presidenza di Madras, il colonnello William Medows, e agì come amministratore della Compagnia, responsabile per piatti, mobili e infissi nelle case del governo. Nel 1781 è registrato come presente ad una riunione per discutere la minaccia di un attacco francese, e nel 1790 durante la guerra di Mysore, fu nominato per un comitato (citazione) Per aver indagato sulle accuse di corruzione e peculazione contro un ex governatore di Madras e i suoi soci. Come altri ufficiali coloniali dell'epoca - come Charles 'Hindoo' Stuart e il più famoso 'White Mughal' di Dalrymple James Achilles Kirkpatrick - Joseph Senior ebbe una relazione a lungo termine con una donna indiana il cui nome 'Sultan' suggerisce che fosse musulmana. Per quanto ne so, tutto ciò che si sa di lei è nel testamento che Joseph Senior stesso scrisse qualche tempo prima della sua morte nel 1792, lasciando a Sultan un assegno a vita e una casa. Il soggetto di questo documento, il loro figlio di due anni Joseph era più ampiamente previsto nel testamento, con un fondo fiduciario di £ 5000 per la sua istruzione, un lascito personale di £ 2000 e la clausola che se non fosse possibile per lui essere allevato correttamente in India, Dovrebbe essere inviato in Inghilterra dove sua zia è stata incaricata di supervisionare la sua istruzione dopo l'età di sedici anni.
 
Nel caso in cui il bambino Joseph Garrow fu inviato in Inghilterra quasi subito dopo la morte di suo padre e fu affidato alle cure di uno degli altri fratelli di suo padre, il famoso avvocato, Sir William Garrow (1760-1840), un famoso giurista e avvocato difensore la cui carriera all'inizio è oggetto di una serie drammatica della BBC. Dopo la morte di sua zia che gli lasciò un'eredità di £ 1000, Joseph prese i suoi gradi BA e MA a Cambridge, e iniziò la formazione legale nel 1810 al Lincoln’s Inn. Nel 1812 sposò una vedova benestante e cantante contralto, Theodosia Abrams/Fisher (uno dei famosi Abrams Sisters duo), poi visse per oltre vent'anni a Torquay dove prestò servizio come magistrato e la famiglia divenne 'attiva nella vita musicale del Devon.'4

La musica era uno dei suoi principali interessi: suo genero Thomas Adolphus Trollope, le cui memorie sono una fonte per molte delle informazioni sulla vita di Garrow, lo descrive come un violinista esperto.  Nel 1835 pubblicò un libro di Musica Sacra ... arrangiato ... per Quattro Voci e 'selezionato' come dice il frontespizio, 'da quello solitamente cantato nella Cappella di San Giovanni, Torquay'. Insieme ad alcune opere di importanti compositori, come Händel, Mozart, Beethoven e Weber incluse alcune delle sue: un mini oratorio natalizio, diversi inni e ambientazioni di cinque salmi. 'Mrs Garrow' (Theodosia Abrams) ha anche contribuito alla raccolta, che, più inaspettatamente, include un paio di composizioni di 'Miss Garrow', la figlia diciottenne della coppia, anch'essa chiamata Theodosia, le cui realizzazioni e connessioni sono una parte significativa del contesto per la traduzione di Joseph Garrow.

Nel 1844 la fragile salute della giovane Teodosia fu motivo del trasferimento della famiglia a Firenze.

Le prove sui contatti fiorentini di Joseph Garrow rimangono scarse, e purtroppo non sono a conoscenza di alcuna corrispondenza, riviste o appunti che avrebbe potuto tenere in questo o in qualsiasi altro momento. Come molti espatriati è noto per aver frequentato la biblioteca di Vieusseux al suo arrivo a Firenze nel 1844, e trovo che abbia firmato il Libro dei Soci al Gabinetto Vieusseux il 21 ottobre, dando il suo indirizzo come 'No. 4350 Piazza S[Anta] M[aria] Novella'. Tra i suoi conoscenti c'era quello con uno dei membri di spicco dellaComunità fiorentina: il poeta e saggista Walter Savage Landor. Le memorie di Trollope del 1887 sono ancora una volta una fonte per la prima fase di questa relazione. Includono tre lettere da Landor a Garrow durante la fine del 1830, quando entrambi erano in Inghilterra, indicando l'interesse di Landor per la poesia della giovane Teodosia e riferendosi alla stretta amicizia di entrambi i corrispondenti con l'esule piemontese Giovanni Bezzi d'Aubrey, che due anni dopo avrebbe partecipato alla scoperta del 'ritratto' del Bargello, pensato poi per essere di Dante da Giotto.5 Landor rimase in contatto con Garrow durante i suoi anni a Firenze e compose un epitaffio per lui: un omaggio scherzoso ma affettuoso che termina come una lirica mortalità medievale (citazione) 'Ora geniale ospitale Garrow/ La porta è chiusa, La tua casa è stretta.6 Landor aveva ricevuto una copia di The Early Life di cui annotava la prefazione, registrando alcuni vigorosi disaccordi con Garrow. Per esempio, l'idea del Vn come 'fondamento di tutte le romanze che da allora sono state scritte 'è quella che Landor respinge come (citazione) 'assurda.'7

Un altro rapporto chiave durante gli anni fiorentini di Garrow fu quello con la sua talentuosa figlia Theodosia. Nato nel 1816,  Theodosia guadagnato la fama di poeta entro la fine del 1830, sarebbe diventato un traduttore molto più prolifico di suo padre, e ha raggiunto la rilevanza culturale e politica tra la comunità espatriata a Firenze.8 I suoi primi versi, pubblicato nel 1839, attirò l'attenzione di Elizabeth Barrett e Walter Savage Landor,9 e poco dopo che la famiglia si era trasferita a Firenze nel 1844 lei stessa si rivolse a testi italiani. Descritta dalla giornalista americana Kate Field come posseduta da 'grandi doni intellettuali', Theodosia tradusse poesie politiche di autori nazionalisti italiani come Giusti e Dell'Ongaro, oltre alle opere teatrali dell'allora censurato drammaturgo repubblicano Giovanni Battista Niccolini.10 Dopo il suo matrimonio con Thomas Adolphus Trollope nel 1848, collaborò con lui nel montaggio dell'Ateneo toscano di breve durata in lingua inglese, e i suoi autorevoli articoli sul Risorgimento per l'Ateneo di Londra sono stati raccolti e ristampati come Social Aspects of the Italian Revolution.11

Anche se alcuni dei più significativi lavori di traduzione di Theodosia Garrow coincidono con la versione di suo padre della Vita Nuova, non c'è traccia scritta di conversazioni tra loro sul tema di Dante o della letteratura italiana. Tuttavia, tra le molte poesie di Teodosia c'è quella sulla scoperta del 'ritratto' di Dante del Bargello (che rappresenta il frontespizio della versione di Vita Nuova di suo padre)e la sua traduzione del dramma rivoluzionario di Niccolini del 1843 Arnaldo da Brescia stesso riguardava un soggetto medievale e fu composta circa nello stesso periodo di The Early Life.12 Data la vicinanza del rapporto di Teodosia con Garrow (notato dal marito nelle sue memorie)e il suo talento per i versi e le lingue, soprattutto italiano - sembra molto improbabile che padre e figlia non avrebbero a un certo punto hanno discusso il progetto di traduzione Vn sopra l'inverno fiorentino durante il quale Garrow ha lavorato alla sua versione del testo dantesco.13 Theodosia era ovviamente una delle 'persone letterarie ... in Italia con chi, come suo padre ha messo nella sua prefazione a The Early Life,  era la sua (citazione) 'buona fortuna per conversare.'

Infine, ci sono alcune ulteriori prove circa l'aldilà materiale della traduzione di Garrow. Fu pubblicato dalla ditta fiorentina fondata nel 1837 da Felice Le Monnier, che si era fatto strada nel business seguendo la corrente nazionalista, a volte in modo inventivo e avventuroso.14 Dal 1849 al 1864 l'elenco dei migliori di Le Monniervenditori è stato superato da Dante’s Commedia (22.750 copie in numerose ristampe), e avrebbe anche pubblicato tre edizioni della Vita Nuova che ha venduto 3.500 copie nello stesso periodo.15 Garrow potrebbe quindi essere stato previsto più vendite fiorentine nel progettare il suo parallelo-testo per 'Italiani che studiano l'inglese, così come ... Inglese che studiano l'italiano.'16 Se così fosse, sarebbe stato deluso; a differenza di Lyell Canzoniere, la vita primitiva non sarebbe ristampato. Il testo di Garrow è abbastanza raro, anche se non è così raro come suggerito dall'articolo di Watson del 1986. Ci sono almeno quindici copie nelle biblioteche del Regno Unito e cinque negli Stati Uniti. Il libro era di proprietà non solo di Landor ma anche, per esempio, di: John Forster (biografo di Dickens); da un traduttore della Vita Nuova (Charles Eliot Norton) e un traduttore dell'Inferno (George Musgrave); e dalla fine del XIX secolo, come Henry Clark Barlow, Edward Moore e Herman Oelsner.17 Le prime recensioni sono state mescolate, ma riconoscono l'importanza dell'essere completo Vita Nuova  (come uno di loro lo mette) 'adesso per la prima volta dato a lettori inglesi'.18 Primo e più attento di questi fu quello che apparve nell'Ateneo il 10 ottobre 1846. Ha rilevato l'esistenza della precedente 'eccellente versione delle poesie' di Lyell, pur accogliendo con favore il nuovo tentativo di 'presentare questa straordinaria produzione nella sua integrità', ha continuato a citare ampiamente dalla 'prefazione' di Garrow e dalla traduzione stessa, concludendo con la raccomandazione che 'tutti coloro che possono' dovrebbero 'procurare la presente traduzione', che è descritta come ' fedele e spirited', anche quando la fedeltà non crea un'elegante' impressione.19 La vita primitiva di Dante da questo anglo-Il traduttore anglo-fiorentino indiano era un libro trascurato anche se non completamente dimenticato, e uno la cui ricezione rifletteva alcune caratteristiche del 'culto' in via di sviluppo del Vita nuova nel XIX secolo.

NOTE
1 Toynbee 1909: 2. 593, n. 1.
2  Ellis 1983: 104.
3 Milbank 1998 and Straub 2009.
4 Hostettler and Braby 2010: 196-7. On Theodosia Abrams/Fisher's singing career and that of her sisters, see ODNB, s.v. 'Abrams, Harriett (c.1758-1821).
5 Trollope 1887-9: 1. ch. 14.
6 For Landor's epitaph, see Stebbins and Stebbins 1946: 183-4 and (for the version published in 1897) Watson 1986: 402-3.
7 Landor's pencil annotations to Garrow's 'Preface' are in the British Library copy  (C. 134 e. 19, inscribed 'From the Translator'); his sceptical comments about Platonic theory and about Vn and 'modern romance' are on pp. xvi-xviii. Further on these and on Landor's Examiner review, see Watson 1986: 403-5.
8 See ODNB, s.v. 'Trollope [née Garrow], Theodosia (1816-1865), author.'
9 Stebbins and Stebbins 1946: 122-3
10 Richet 2016: 5-7
11 Garrow Trollope 1861; see also Hostettler and Braby 2010: 201-3.
12 On the poem (translated into Italian by Niccolini), see Stebbins and Stebbins 1946: 123-4.
13 Trollope 1887-9: chs 9 and 18.
14 See (online) Treccani 2015.
15 Caesar 1989: 66.
16 Garrow 1846: vi.
17 Forster's copy was donated by him to the National Art Library, London; Norton refers to Garrow in his own 1859 Vn translation (p. 101, n. 3); Musgrave's translation of Inf. was published in 1893 and 1933 (see Cunningham 1966: 186-91) and his copy of Garrow's Vn is in the library of Lady Margaret Hall, Oxford. Barlow's - acquired during his visit to the Florentine Festa di Dante in 1865 - is in Special Collections at University College London; and Moore's and Oelsner's are in the Taylorian at Oxford.  There are at least 15 copies in UK libraries and 5 in the USA.
18 Landor 1846: 659 col. 2.
19 Athenaeum 10 October 1846, p. 1040, col. 3 and 1042 cols 1-2. Watson (1986: 403) misreads 'spirited' as 'spiritual'.

BIBLIOGRAFIA:
Caesar, M., 1989. Dante: the Critical Heritage 1314(?)-1870. London and New York: Routledge.
Cunningham, G., 1966. The Divine Comedy in English: A Critical Bibliography, 1782-1900. Edinburgh and London: Oliver & Boyd.
Ellis, S., 1983. Dante and English Poetry: Shelley to T.S. Eliot. Cambridge: Cambridge University Press.
Garrow, J., 1835. Sacred Music ... arranged ... for Four Voices. London: J. Green.
Garrow, J.,  1846. The Early Life of Dante Alighieri, together with the Original in Parallel Pages, by Joseph Garrow Esqr. A.M.  Florence: Le Monnier.
Garrow Trollope, T., 1861.  Social Aspects of the Italian Revolution. London: Chapman & Hall.
Hostettler, J. and Braby, R., 2010. Sir William Garrow: His Life, Times and Fight for Justice. Sherfield on Loddon: Waterside Press.
Milbank, A., 1998. Dante and the Victorians. Manchester: Manchester University Press.
Stebbins, L.P. and R.P. 1946. The Trollopes: The Chronicle of a Writing Family. London: Secker & Warburg.
Straub, J., 2009. A Victorian Muse: The Afterlife of Dante's Beatrice in Nineteenth-Century Literature. London and New York: Continuum.
Toynbee, P.J., 1909. Dante in English Literature, from Chaucer to Cary (c. 1380-1844). 2 vols, London: Methuen.
Treccani 2015. 'Felice Le Monnier' in Dizionario biografico degli italiani. Online article at: http://www.treccani.it/enciclopedia/felice-le-monnier_(Dizionario-Biografico)/
Trollope, T.A., 1887-9.  What I Remember. 3 vols, London: Richard Bentley.
Watson, G., 1986. 'The First English Vita Nuova.' Huntington Library Quarterly 49, pp. 401-7.
Richet, Isabelle (2016), "Two Women Periodical Editors in Nineteenth-Century Italy: Theodosia Garrow Trollope and Helen Zimmern as  Literary and Cultural Go-Betweens." Online at:
http://podcasts.ox.ac.uk/series/cosmopolis-and-beyond-literary-cosmopolitanism-after-republic-letters  [paper 20]



La regina Victoria


La regina Victoria, India e Firenze - Domenico Savini


La regina Vittoria imperatrice dell’India - Gabriella Del Lungo Camiciotti, Università di Firenze

Introduzione

Alla fine dell’Ottocento motivi economici, politici e religiosi mossero le nazioni europee a espandere la loro influenza su altre regioni, ciascuna nell’intento di accrescere il proprio potere sulla terra. L’impero britannico si estesero aldilà del mare perché la rivoluzione industriale dell’Ottocento aveva creato il bisogno di risorse naturali necessarie a far funzionare i macchinari e  i mezzi  di trasporto appena inventati. In questo periodo l’India, che era già sotto il controllo della corona  dal 1858, acquisì status imperiale nell’intento di collegarla più strettamente al suo centro metropolitano, Londra.
Un atto parlamentare riguardante i titoli reali (Royal Titles Bill) fu presentato in parlamento nel 1876, e nel 1877 Benjamin Disraeli, primo ministro conservatore, fece proclamare la regina Vittoria imperatrice dell’India. La regina Vittoria aprì il parlamento in persona per la prima volta dopo la morte del principe Alberto, per annunciare il cambio di titolo reale. A Dehli, in ciò che è conosciuto come il Dehli Dunbar (corte di Dehli), il 1 gennaio 1877 si tennero fastose celebrazioni sotto la guida del viceré Lord Lytton.
Questo evento inaugurò il periodo del nuovo imperialismo in Gran Bretagna, ideologia che fu disseminata tramite un gran numero di agenzie propagandistiche imperiali fondate nel tardo Ottocento e ai primi del Novecento; queste diffondevano una visione del mondo in buona parte basata su un rinnovato militarismo, la devozione verso la regalità, e l’identificazione con e la venerazione di eroi nazionali, insieme al culto della personalità e idee razziali associate con il darwinismo sociale. Come osservato da MacKenzies (1990, pp. 2-3) l’influenza di queste idee sulla cultura popolare fu profonda in quanto penetrarono nel sistema educativo, nelle forze armate, nei movimenti giovanili in uniforme, nelle chiese e società missionarie, ed anche in forme di intrattenimento pubblico come il music hall e le esposizioni. Neanche l'intellighenzia fu immune dall’ imperialismo.  Forse il più famoso scrittore  che contribuì a diffondere l’idea della superiorità della civiltà bianca è Kipling che si fece interprete,  propagandista e principale apologeta dell'élite imperialista. Un punto di vista meno darwiniano è quello di Lytton Strachey, intellettuale membro del gruppo di Bloomsbury, il quale dopo il successo del suo Vittoriani Eminenti (Eminent Victorians,1918). pubblicò la biografia della regina Vittoria (Queen Victoria) nel 1921.

La regina Vittoria

Come indicato da MacKenzies, la venerazione della monarchia si sviluppò dalla fine degli anni 70 dell'Ottocento e quando ciò avvenne  lo fu in stretta unione con il ruolo imperiale del monarca. La biografia  della regina Vittoria di Strachey contribuì a stabilizzare il ruolo del monarca come emblema imperiale; Strachey presenta Vittoria come matriarca regale, dal momento che questa considerava i sudditi imperiali come la sua famiglia allargata, e mostra il suo particolare attaccamento all’India. La regina Vittoria era infatti affascinata dall’India. Come scrive Le Jeune (2017, p.1): «In tutta la sua vita la monarca fu molto attiva nello scoprire l’India.  Cercava di entrare in contatto con il suo “popolo indiano” del cui benessere si interessava regolarmente. Era curiosa di ascoltare e leggere le testimonianze e le storie personali di ufficiali inglesi o viaggiatori tornati di recente dall’India. Divenne appassionata degli Indiani, particolarmente di coloro che poteva incontrare in Inghilterra. Collezionava  oggetti, dipinti e schizzi che evocavano scene di vita del subcontinente indiano. Più anziana cercò di riprodurre  il mondo orientale  intorno a lei a Osborne House. Nel suo Raj [Territori della Corona in India] cercò di difendere i nativi dell’India dal duro dominio imperiale dei suoi ministri, per affezione materna.»(mia traduzione)
Vittoria prendeva i suoi doveri di imperatrice con molta serietà e quando arrivò il momento del suo giubileo,  nel 1887,  fece ogni sforzo per mettere in risalto il “gioiello dell’Impero Britannico” come chiamava il Raj. Offrì banchetti sontuosi non solo alla nobiltà europea ma anche per ai principi indiani, e partecipò a elaborate processioni a cavallo scortata dalla cavalleria coloniale indiana. Aggiunse anche inservienti indiani alla famiglia reale per aiutare nei festeggiamenti. Vittoria sviluppò una particolare simpatia per uno dei suoi nuovi servitori, Abdul Karim. Ben presto  ruolo di questi cambiò: dal  servire al tavolo all’insegnare alla regina a leggere, scrivere e parlare in Urdu, o ‘Industani’. La regina voleva conoscere tutto dell’India, un paese sul quale dominava ma che non poté mai visitare. Abdul le raccontò tutto di Agra, dai frutti e le spezie locali ai panorami e ai suoni della sua patria. In breve egli divenne il suo ‘Munshi’, o insegnante,  e si iniziò un’amicizia che sarebbe durata più di una decade.

La biografia della regina Vittoria

Nella sua biografia della regina Vittoria Strachey si focalizza  solo su uno dei tre elementi della propaganda imperialista individuati da  MacKenzie. Dopo che Vittoria fu proclamata imperatrice dell’India, egli mostra come la monarchia sia collegata all’imperialismo, e come Vittoria incarni in modo  particolarmente appropriato l’impero.


Lytton Strachey, La regina Vittoria, p. 330:

Naturalmente tutto il misticismo della costituzione inglese si concentrava nella Corona, con la sua venerabile antichità, le sue sacre rimembranze, le sue cerimonie imponenti e spettacolose. Ma per quasi due secoli il buon senso aveva predominato nel grande edificio e il piccolo cantuccio inesplorato e inesplicabile aveva attratto ben poca attenzione [riferimento a una zona della costituzione inglese che sfugge al buon senso e ospita l’ elemento mistico]. Perché l’imperialismo non è soltanto una questione d’affari, ma è anche una questione di fede e col suo crescere crebbe anche il lato mistico della vita pubblica inglese, e simultaneamente una nuova importanza cominciò ad essere attribuita alla Corona.  Il bisogno di un simbolo della potenza inglese, del valore inglese,  dello straordinario e misterioso destino dell’Inghilterra, cominciò a essere sentito più forte che mai.  Quel simbolo era rappresentato dalla Corona, e la corona posava sul capo di Vittoria. Così avvenne che, mentre al termine del regno il potere della sovrana era sensibilmente diminuito, il prestigio della sovrana invece era  enormemente cresciuto.


I Britannici certamente concepivano il loro impero gerarchicamente, in termini razzisti di superiorità e inferiorità, centro e periferia, ma, come indicato da Cannadine (2001), oltre alla considerazione dell’India basata sulle differenze, la percepivano anche come un territorio coloniale dotato di somiglianze: vedevano le altre popolazioni composte di individui che si potevano comparare sulla base di una somiglianza di status; questo portò al riconoscimento di status sociali uguali — i principi sono principi ovunque — e formò la base dell’estremamente elaborato territorio coloniale dell’India. Questo aspetto è presente anche nella biografia di Strachey, nella quale Vittoria è presentata come un matriarca che governa il suo popolo, sia britannico sia coloniale. Ciò è solennemente ricordato da Strachey in occasione del giubileo, che legittimò lo status imperiale nella relazione che univa la corona ai principi governanti del subcontinente indiano, ora integrati nei principi aristocratici britannici.

Lytton Strachey, La regina Vittoria, p. 307:

L’anno seguente era il cinquantesimo del suo regno e nel giugno lo splendido anniversario fu celebrato con pompa solenne. Vittoria, circondata dai supremi dignitari del regno, scortata da uno scintillante corteo di re e di principi, passò attraverso la folla entusiasta della capitale per recarsi a ringraziare Dio nell’abbazia di Westminster. In quell’ora di trionfo le ultime tracce residue delle vecchie antipatie e della vecchie discordie furono interamente cancellate. La regina fu salutata a un tempo come la madre del suo popolo e come il simbolo incarnato della grandezza imperiale d’Inghilterra; ed ella corrispose a questo duplice sentimento con tutto l’ardore del suo spirito. Ella sapeva, ella sentiva che l’Inghilterra e il suo popolo erano, per un prodigio meraviglioso e tuttavia semplicissimo, cosa sua. Esultanza, affetto, gratitudine, un senso profondo di riconoscenza, un orgoglio senza limiti: tali erano i suoi sentimenti — ma sopra di essi  vi era qualche altra cosa, che dava colore e intensità a tutto il resto. Finalmente, dopo tanto tempo, la felicità, per quanto frammentaria e carica di gravità, ma tuttavia vera e indisconoscibile felicità, era ritornata a lei.  Questo insolito sentimento riempiva e accendeva tutta la sua coscienza. Quando, ritornata a Buckingham Palace dopo la fine della lunga cerimonia, le fu chiesto come si sentiva: «Sono molto stanca, ma anche molto felice», rispose.

Strachey mostra anche la crescita del ruolo cerimoniale dell’imperatrice. Con considerevole pompa si tennero esibizioni indiane e coloniali, inaugurate da Vittoria. La regina Vittoria divenne il perno del nuovo imperialismo, percepito in gran Bretagna come un periodo di sicurezza e prosperità. Per le celebrazioni del 1887 e 1897 vennero a Londra primi ministri coloniali e principi indiani, accompagnati da truppe e seguaci  esotici e pieni di colore. Così Strachey descrive  il giorno che segue il giubileo.

Lytton Strachey, La regina Vittoria, p. 308:

Così, dopo i travagli e le tempeste della giornata sopravvenne un lungo crepuscolo dolce e sereno e illuminato dai raggi dorati della gloria. Perché un’atmosfera senza esempio di trionfo e di adorazione avvolse l’ultimo periodo della vita di Vittoria. Il suo trionfo era la sintesi e l’emblema di un più grande trionfo, della culminante prosperità della nazione. Il consistente splendore del decennio [1887-1897] che trascorse tra i due giubilei di Vittoria trova a stento eguali negli annali dell’Inghilterra. I saggi consigli di Lord Salisbury  parvero portare con sé  non soltanto la ricchezza e la potenza, ma anche la sicurezza: e il paese si assise con sicura tranquillità al godimento di una grandezza ben stabilita. Come era naturale, anche Vittoria si assise. Perché ella era una parte dell’edificio: una parte che appariva essenziale; come un mobile, una magnifica e inamovibile vetrina, nel vasto salone dello Stato. Senza di lei il copioso festino del 1890 avrebbe perduto la sua qualità più singolare: la serie così ben ordinata di sostanziosi e semplici piatti, con il riflesso pesante, sulle pareti, dell’argenteria quasi nascosta agli sguardi.

Osservazioni conclusive

Il punto centrale della biografia della regina Vittoria di Strachey è la sua trasformazione da vedova petulante a matriarca imperiale. Il ruolo mondiale di imperatrice fu per lei fonte di eccitazione  nella sua vecchiaia e conferì nuovo significato al cerimoniale che la circondava.
Sebbene i toni più aspramente darwiniani dell’ideologia imperialista siano assenti in questo lavoro, la luce favorevole gettata sulla qualità mistica dell’impero britannico e su Vittoria, lei stessa una tory imperialista non da meno dei suoi ministri, mostra chiaramente che la biografia di Strachey è opera di propaganda a favore della mentalità coloniale così diffusa nella Gran Bretagna  vittoriana ed edoardiana in tutte le classi sociali e che, dice MacKenzies (1990, p.4),  inaugurò un periodo —che sarebbe durato fino all’ascesa al trono di Elisabetta II — nel quale tutti i grandi eventi reali sarebbero stati imperiali.


1  Sul ruolo propagandistico della letteratura si veda  Nünning, Ansgar e Rupp, Jan 2008.


BIBLIOGRAFIA
Bearce George D. (1961). British Attitudes Towards India,1784-1858. Oxford, Oxford University Press.

Cannadine David (2001). Ornamentalism. How the British saw their Empire. Penguin Books, London.
Le Jeune Françoise (2017). "Queen Victoria’s orientalism, inventing India in England". In Imaginaires, Féminisme et orientalisme,21, hal.archives-ouvertes.fr-03313493.
MacKenzie John M. (1990, 1984). Propaganda and Empire. The Manipulation of British public opinion, 1880-1960. Manchester University Press.
Metcalf Thomas R. (1995). Ideologies of the Raj,  Cambridge, Cambridge University Press.
Nünning, Ansgar and Rupp, Jan. "The Dissemination of Imperialist Values in Late Victorian Literature and Other Media". In Ethics in Culture: The Dissemination of Values through Literature and Other Media, edited by Astrid Erll, Herbert Grabes and Ansgar Nünning, Berlin, New York: De Gruyter, 2008, pp. 255-278.
Strachey, Lytton (1921). Queen Victoria. Release Date: August 21, 2011 [EBook #37153]. Project Gutenberg.
Strachey, Lytton  (1966). La regina Vittoria. Traduzione a cura di Santino Caramella. Milano, Arnoldo Mondadori editore.




2,30-3,30 John Ruskin e Oscar Wilde


Oscar Wilde Viaggiatore a Firenze; Ammiratore dell'India - Rita Severi


Oscar Wilde (1854-1900) è autore di poesie, una tragedia, lettere e vari scritti che ambientano, descrivono o espongono alcune delle sue idee su Firenze e sul suo più grande poeta, Dante Alighieri.
Visitò per la prima volta Firenze nel 1875, quando era ancora studente a Oxford, dove aveva assistito alle lezioni di Ruskin. Tornò in città nel 1894, quando visitò Violet Paget/Vernon Lee e il suo fratellastro Eugene Lee Hamilton. Ha visto molto Bernard Berenson, un po' meno André Gide, ha visitato Villa Stibbert e ha lasciato la sua firma nel libro degli ospiti. Per tutta la vita è stato attratto dal subcontinente indiano, dalla sua spiritualità e religione. Come editore di "The Woman's World" (1887-1890) scelse di recensire libri sulla società indiana e le sue donne, e sollecitò articoli sull'India, scritti da autori inglesi che avevano visitato e studiato quel mondo intrigante. Era estremamente appassionato di conoscere la sua poesia sacra e i suoi antichi rituali. Nella sua casa, in Tite Street, Chelsea, si circondò di piccoli oggetti decorativi indiani e fece ricoprire la maggior parte dei pavimenti della casa con stuoie indiane. Nella sua tragedia, Salomé, nella metaforica “danza dei sette veli”, Wilde evoca sorprendentemente uno dei miti indiani più complessi e artistici.



La città come concetto



Alcune riflessioni sulla parola polis, civitas, città.

Francesca Ditifeci

Università degli studi di Firenze

 

Abstract

Come diceva Aristotele l’essere umano è zoon politikon echon ton logon, animale politico dotato di parola, corpo abitato dalla parola. Ed è proprio nella sua identità di parlessere che diviene cittadino, abitante della polis. Quindi gli uomini sono esseri capaci di politica, perché sono esseri capaci di linguaggio. In questa prospettiva diviene chiaro che “in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per pensare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale). In questo quadro cittadino, perciò, i problemi politici ed economici, sociali e tecnici, culturali e religiosi della nostra epoca prendono una impostazione elementare ed umana! Appaiono quali sono: cioè problemi che non possono più essere lasciati insoluti” (La Pira 1954).

E’ nella città che l’essere umano cerca la sua realizzazione perché “per ciascuna di esse è valida la definizione luminosa di Péguy: essere la città dell’uomo abbozzo e prefigurazione della città di Dio. Città arroccate attorno al tempio; irradiate dalla luce celeste che da esso deriva: città nelle quali la bellezza ha preso dimora, s’è trascritta nelle pietre: città collocate sulla montagna dei secoli e delle generazioni: destinate ancora oggi e domani a portare alla civiltà meccanica del nostro tempo e del tempo futuro una integrazione sempre più profonda ed essenziale di qualità e di valore! Ognuna di queste città non è un museo ove si accolgono le reliquie, anche preziose, del passato: è una luce ed una bellezza destinata ad illuminare le strutture essenziali della storia e della civiltà dell’avvenire.” (La Pira 1955).

 

As Aristotle said, the human being is zoon politikon echon ton logon, a political animal endowed with speech, a body inhabited by speech. And it is precisely in his identity as a parlessere that he becomes a citizen, an inhabitant of the polis. Thus men are beings capable of politics because they are beings capable of language. In this perspective, it becomes clear that "in a city there must be a place for everyone: a place to pray (the church), a place to love (the home), a place to work (the workshop), a place to think (the school), a place to heal (the hospital). In this city framework, therefore, the political and economic, social and technical, cultural and religious problems of our age take on an elementary and human approach! They appear as they are: that is, problems that can no longer be left unsolved” (La Pira 1954).

It is in the city that the human being seeks his fulfilment because "for each of them Péguy's luminous definition is valid: to be the city of man, a sketch and prefiguration of the city of God. Cities perched around the temple; irradiated by the celestial light that derives from it: cities in which beauty has taken up residence, has transcribed itself in the stones: cities placed on the mountain of centuries and generations: destined still today and tomorrow to bring to the mechanical civilisation of our time and of future times an ever deeper and more essential integration of quality and value! Each of these cities is not a museum where relics, even precious ones, of the past are housed: it is a light and a beauty destined to illuminate the essential structures of the history and civilisation of the future” (La Pira 1955).


Questo mio lavoro parte con una domanda: “Che cos’è una città?” proponendo un percorso di parola, un viaggio all’interno della parola “città”, durante il quale ho avuto autorevolissimi compagni di viaggio quali Giorgio La Pira e Fioretta Mazzei con Giovanna Carocci, cui si affiancano due autorevolissimi oratori che ho avuto l'onore di avere come ospiti nei miei “Dialoghi dalla città sul monte 2023”, il primo è il Professor Panayotis Kantzas, psicanalista lacaniano, https://www.youtube.com/watch?v=2XWRnAqfakk , il secondo è Padre Bernardo Gianni, Abate di San Miniato al Monte https://www.youtube.com/watch?v=D9Ol-kCfCAw.

E in questo mio viaggio basato anche sull’ analisi quantitativa, ho individuato alcune parole guida nello spazio e nel tempo. Ecco le parole che io ho scelto, in base appunto all’analisi dei testi, come parole guida, sono sei: la prima è ‘essere umano in quanto essere parlante’/human being as speaking being; la seconda è quella di ‘animale politico’/political animal; la terza è la parola ‘relazione’/relationship; la quarta è la parola ‘vocazione’/vocation; la quinta è la parola ‘mistero’/mystery; e l’ultima è la parola futuro/future. E parto con una, a mio parere bellissima, citazione di Tucidide riportato poi anche da Hannah Arendt nel suo testo “Vita activa” che è “Ovunque voi andrete sarete una polis”. Che vuol dire questo? Vuol dire che la polis è antecedente agli edifici. Prima viene la civitas e poi viene la urbs. Perché questo? Perché come diceva Aristotele, l'essere umano è zoòn politikòn èchon tòn logon, cioè un animale politico dotato di parola. Noi siamo corpi abitati dalla parola; ed è proprio nella sua identità di parlessere che diviene cittadino, cioè abitante della polis. Quindi, dice sempre Aristotele, gli uomini sono esseri capaci di politica perché sono esseri capaci di linguaggio. Teniamo ben presente l’immagine della discesa di Mosè dal Monte Sinai con la Tavola delle Leggi, il Decalogo, e questo Decalogo cioè queste parole sono quelle che poi costituiscono l'essenza della polis, che da questo gruppo errante diviene polis, quindi intorno a queste parole si crea il legame sociale.

È dunque il logos ad essere decisivo nella polis, in quanto è colui che conferisce la posizione dell'essere parlante. La polis, la città è il luogo del logos. Nella polis i cittadini conducono un modo di vita nel quale solo il discorso aveva senso e in cui l'attività fondamentale di tutti i cittadini era di parlare tra di loro. Insisto molto sul discorso della comunità, della communitas fondata sul fatto che i suoi membri sono esseri parlanti legati fra di loro. Infatti è proprio il fatto di essere parlante ciò che caratterizza, che distingue l'essere umano da tutti gli altri esseri animati; il fatto esclusivo di parlare è ciò che segna la differenza tra lui e tutti gli altri animali. L' essere umano è un parlessere, come viene definito da Jacques Lacan. Il fatto di essere parlante è ciò che lo predispone per natura a vivere in una polis costruita per la realizzazione del bene comune, dei suoi cittadini, in un rapporto di relazione con gli altri suoi simili. Come sottolineato da Francesco Barone, ma possiamo anche andare molto più indietro e arrivare fino ai tempi di Socrate, il linguaggio è l'attività più umana. Heidegger afferma che il linguaggio è la dimora dell'essere; nella sua casa abita l'essere umano. L'essere, l'essenza degli individui sono determinati rispetto all'essere e all'essenza del linguaggio. Allora capire questo fondamento della polis è il presupposto necessario per andare poi a vedere quelli che principalmente in Giorgio La Pira e in Fioretta Mazzei sono gli elementi costitutivi della polis. Questa è la base, cioè l'incontro tra esseri parlanti che costituiscono legame sociale organizzato poi attorno a delle leggi.

Dice La Pira il 6 novembre del 1953 all’inaugurazione del nuovo quartiere dell’Isolotto: “Ogni città racchiude in sé una vocazione e un mistero. Amatela e custoditela”. Quindi già in questo primo riferimento che abbiamo a Giorgio La Pira abbiamo incontrato due di quelle che sono le parole chiave selezionate: vocazione e mistero. In un altro celebre discorso tenuto da Giorgio la Pira a Ginevra all’Assemblea della Croce Rossa Internazionale il 12 aprile del 1954, [La Pira] fa riferimento al valore storico della città e quello correlativo delle responsabilità storiche. Facendo riferimento alla categoria del tempo, chiaramente facciamo riferimento alla sua tripartizione in passato, presente e futuro, che in La Pira e in Fioretta Mazzei trovano poi un unicum. Per entrambi la responsabilità che la generazione presente ha - noi oggi, per esempio- ha sia una dimensione diacronica, sia anche legata al passato, ma al tempo stesso proiettata verso il futuro, cioè delle rifrazioni dell'eternità nel tempo. E si chiede La Pira, visti i tempi, vista la minaccia, - come non pensare ad una incredibile analogia con il nostro presente momento storico! - è possibile che queste città, tutte le città del mondo vengano radicalmente cancellate dalla faccia della Terra? In realtà è inequivocabilmente provato che questa devastazione totale delle città dell'uomo dalla faccia della Terra è possibile. L'attualità del discorso è davvero considerevole; infatti qualche bomba a idrogeno lasciata cadere su alcuni punti del globo può ridurre la Terra ad un deserto. Ecco quindi il richiamo alla rappresentanza e alla responsabilità di tutte le città della Terra. Certamente loro parlano da Firenze. Firenze ha una vocazione particolare per la sua storia, da cui parte un abbraccio a tutte le città del mondo in quanto tutte le città sono responsabili. Responsabili perché cosa? “Il diritto all'esistenza delle città umane, un diritto di cui siamo titolari noi della generazione presente, ma del quale sono titolari ancor di più gli uomini delle generazioni future”. Ecco qui che passato, presente e futuro si armonizzano. In che modo? “Nel diritto, il cui valore storico, sociale, politico, culturale e religioso si fa più grande nella misura in cui si chiarisce, nella meditazione umana attuale, il significato misterioso e profondo delle città. Nessuno senza commettere un crimine irreparabile contro l'intera famiglia umana può condannare a morte una città. Io domando, anche a nome delle generazioni future, che i beni di cui sono destinatari non siano distrutti”. E poi La Pira fa un riferimento alla sua “dolce e armoniosa Firenze, creata in un certo senso sia per l'uomo come per Dio, per essere come la città sulla montagna. Luce e conforto sul cammino degli uomini; non vuole essere distrutta. Questa stessa volontà di vita viene affermata insieme con Firenze, grazie ad una missione tacitamente affidata al sindaco del capoluogo toscano, da tutte le città della Terra; città, ripeto, capitali e non capitali, grandi e piccole, storiche o di recente tradizione artistica e no, tutte indistintamente. Esse rivendicano unanimemente il loro inviolabile diritto all' esistenza. Nessuno ha il diritto per qualsiasi motivo di distruggerle. Le generazioni attuali non hanno il diritto di distruggere una ricchezza che è stata loro affidata in vista delle generazioni future”. Si tratta di beni che derivano dalla generazione passata, di fronte al quale le presenti rivestono la figura giuridica degli eredi fiduciari. I destinatari ultimi di quest’ eredità sono le generazioni successive. “Sono venuto qui a Ginevra, dice La Pira, per affermare il diritto all'esistenza delle città umane, un diritto di cui siamo titolari noi della generazione presente, ma della quale sono titolari ancor di più gli uomini delle generazioni future”.

Questo incontro a Ginevra del ‘54 è quello che poi stimolerà, ispirerà l'incontro a Firenze nel 1955, in cui appunto ci sarà il Convegno dei Sindaci dalle capitali di tutta la Terra. Quindi da Ginevra si torna a Firenze. Firenze diventa luogo di abbraccio, di incontro e di abbraccio per tutte le città del mondo. E in questo incontro di nuovo La Pira si lamenta, urla, denuncia, piange la crisi del proprio tempo; e anche qui non possiamo non leggere l’incredibile simmetria con questo nostro particolare momento storico che riguarda non solamente Firenze, ma ovviamente tutte le città, di nuovo, del mondo. “La crisi del nostro tempo, che è una crisi di sproporzione e di dismisura rispetto a ciò che è veramente umano; usa esattamente le due parole che poco tempo prima aveva usato Simone Weil: sproporzione e dismisura. Ci fornisce la prova del valore, diciamo così, terapeutico e risolutivo che in ordine ad essa la città possiede. Com’ è stato felicemente detto, infatti, la crisi del tempo nostro può essere definita come sradicamento della persona dal contesto organico della città. È bellissima questa immagine della città come di un corpo vivente dal quale anche oggi, anche in questo momento, la persona viene sradicata. Ebbene questa crisi non potrà essere risolta che mediante un radicamento nuovo; dallo sradicamento a un nuovo radicamento più profondo, più organico della persona nella città in cui essa è nata e nella storia e nella cui tradizione essa è organicamente inserita. Questo, Signori, è il significato dell'improvvisa e vasta risonanza che ha oggi nel mondo intero il tema della città. Parliamo qua da Firenze, in questa nostra asse con Delhi e con altre citta, ma lo siamo con tutte le città del mondo. Il tema della città è un tema che va diventando l'aspetto sempre più marcato della cultura e della vita del tempo nostro. A tutti si fa chiaro infatti che in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare- la chiesa, un posto per amare- la casa, un posto per lavorare- l'officina, un posto per pensare- la scuola, un posto per guarire- l'ospedale. In questo quadro cittadino, perciò, i problemi politici ed economici e sociali e tecnici, culturali e religiosi della nostra epoca prendono una impostazione elementare. Appaiono quelli che sono, cioè problemi che non possono più essere lasciati insoluti. Perché questo? Perché è proprio nella città, in questa dimensione di legame sociale, in questa dimensione comunitaria che l'essere umano cerca la sua realizzazione. Perché per ciascuna di esse è valida la definizione luminosa di Charles Péguy: essere la città dell'uomo, abbozzo e prefigurazione della città di Dio. E questo è un aspetto molto particolare sia di La Pira che di Fioretta Mazzei, anche in questo perfettamente allineati; infatti queste parole a cui io faccio riferimento si trovano nei testi di entrambi. Non solo guardare alla città come memoria, come patrimonio da trasmettere, ma anche come prospettiva di futuro, come anticipazione di quella che sarà la città celeste. Firenze come anticipazione della Gerusalemme celeste; Firenze come tutte le città del mondo. È molto bello questo focalizzarsi su Firenze, ma aprire le braccia a tutte le città del mondo. Questo è un procedimento linguistico comune ad entrambi gli autori e che attraversa tutti i loro testi. Città arroccate attorno al tempio, irradiate dalla luce celeste che da esso deriva; città nelle quali la bellezza ha preso dimora. Certamente, il tema della bellezza è un tema molto caro sia a La Pira sia a Fioretta Mazzei; è un tema secondo cui è necessario che nella città si respiri bellezza. E qui occorre puntualizzare che quando ci riferiamo alla parola ‘bellezza’ non ci riferiamo semplicemente ad un edificio pur bello. Noi siamo pieni di edifici bellissimi in questa città ovviamente, ma è l’edificio cui facciamo riferimento esiste ancor prima nel legame tra le persone che poi lo andranno ad abitare. Ed ecco il collegamento all' essere umano come essere dotato di parola, caratterizzato dalla parola. Quindi c’è una bellezza anteriore che poi viene scritta nelle chiese. Sono città collocate sulla montagna dei secoli e delle generazioni, destinata ancora oggi e domani a portare alla civiltà meccanica del nostro tempo e del nostro futuro una integrazione sempre più profonda ed essenziale di qualità e di valore. Ognuna di queste città non è un museo, messaggio fortissimo per questa nostra città di Firenze e non solo. Non è un museo ove si accolgono le reliquie, anche preziose, del passato; è una luce ed una bellezza destinata ad illuminare le strutture essenziali della storia e della civiltà dell'avvenire. Ecco in queste parole il tempo si anima, perché qui il tempo- come vive nella sua dimensione completa, tripartita, dove il passato, il presente e il futuro formano un unicum, e non se ne può levare un pezzetto, perché altrimenti la bellezza dell'insieme svanisce. E parallelamente, come mette magistralmente in luce Giovanna Carocci nel decennale dalla morte (Toscana Oggi 2008): “Fioretta infatti aveva in mente un volto ben preciso di Firenze, volto teologale che rispecchia qualcosa dell'infinita bellezza della civitas dei”. Ecco di nuovo questa parola, che è futuro, condivisa dai due. La città come organismo vitale, composto di persone che vivono le une accanto alle altre, in un'aspirazione comunitaria che tenti di costruire giorno per giorno con umiltà, sapienza e amore il bene comune. Visione del resto costituzionalmente sancita; invece vedeva intorno a sé un muro di incomprensione quando non di rispettoso disprezzo; e pochi giorni prima della morte, avvenuta nel 1998, scriveva una specie di testamento, riassunto in queste poche parole: “Una città può riflettere una bellezza addirittura superiore alla bellezza di un viso perché è una bellezza comunitaria, voluta da tutti, condivisa; e come perfino la bellezza naturale, ha bisogno di essere accompagnata, scoperta, anche corretta dallo sguardo e dalla mano dell'uomo, così la bellezza cittadina ha bisogno di una partecipazione, di un occhio d'amore collettivo. Il degrado di tante città è dovuto proprio a questo, alla non educazione, alla non comunità. La vita comunitaria infatti riflette la vita del cielo nei suoi misteri.” che non sono solitari. Perché il nostro occhio sia capace in profondità di bellezza e di poesia ci vuole un atteggiamento interiore umile, semplice, costante perché, nonostante tutto, camminiamo verso il massimo del semplice, dell’umile, del lineare. Dio è semplice. La costruzione e il denaro possono investire tutto, ma non è da questa analisi che ne usciamo, ma in un rinnovamento interiore al quale tutti aspiriamo e a cui non vogliamo rinunciare”.

A questo punto non possiamo non soffermarci sulla parola “degrado”. È una parola verso la quale inevitabilmente c’è un istintivo rifiuto di ascolto, ma della quale non possiamo fare a meno, in quanto senza consapevolezza del problema, non c’è possibilità di soluzione. Aveva ragione Fioretta quando parlava di degrado, oggi potenziato dalla iperconnessione. Siamo sempre connessi e al tempo stesso ci appare sovente una città svuotata del discorso dei suoi cittadini. Come abbiamo visto la città è fondata sull’incontro di esseri umani parlanti che poi diventano cittadini. Se viene svuotata del discorso dei suoi cittadini, la città muore, svuotata dalla sua lingua, che diventa spesso una metalingua, la città soccombe. Rimasta un insieme di edifici disidratati e svuotati della parola, la città perde la vita, divenendo una specie di maschera di cartapesta, ripiegata su se stessa. È l’era del post umano, dell'umanità superflua profetizzata da Hannah Arendt.

 




Mattine a Delhi - Arjun Shivaji Jain, Companion of the Guild of St George of John Ruskin


INTRODUZIONE

Prendendo dopo John Ruskin 1886 Mattine a Firenze 1, desidero che la seguente per essere ciò che umile guida posso offrire ai viaggiatori a Delhi, sia indiano e non, a dove sono nato e cresciuto, e tornato a, vivere e amare. Come ha fatto Ruskin, Ho intenzione di consegnare non diversamente da come avrei fatto per gli amici, che possono avermi chiesto le mie opinioni su di esso, non preoccuparsi di come 'sbagliato', accademicamente, potrebbero forse rivelarsi essere.
Nel corso di una settimana, in spirito, camminerò con voi per la città. Chissà quante epoche passate possiamo incontrare, quanti degli innumerevoli poeti e pittori - tutti amanti in effetti - possiamo incontrare? Vedremo quello che facciamo, occhi immacolati dal dogma. Vedremo come un bambino, con gli occhi pieni e brillanti. E possiamo anche decidere di vedere - ed è davvero una decisione - di vedere di buon cuore? - Prima di iniziare, sarete 'ben consigliato', immagino, dai medici, a prendere i vostri colpi e tutto il resto - in modo da mayn non prendere nulla di particolarmente brutto mentre sei qui; 'Delhi pancia' è quello che di solito viene chiamato, Capisco. Bene, lasciate che vi dica che sarà davvero prendere 'qualcosa', e che nessun colpo al mondo sarà in grado di impedirlo davvero. Si può infatti ammalarsi, e decidere di partire il primo mattino, ma si può decidere di rimanere pure, per sempre. Un ospite è simile a Dio, si crede qui in queste terre.


LA PRIMA MATTINA
APPRODO

Ah! Che mattina davvero! E che tempo perfetto! Riesci a sentirlo sulla tua pelle? Sembra che abbia piovuto ieri sera. Beh, non aprire gli occhi finché non te lo dico io. - Ora. Vedi. Con attenzione i tuoi occhi potrebbero reagire a tutta questa repentinità. L'aria è colorata in modo diverso, non è vero? Un arancione brillante, direi, e vaga, come se velata di bianco. Ha anche un odore diverso, sai? Speziato e denso, di incenso, pesante come se si potesse raccogliere in un barattolo e portarlo con sé. Vi suggerisco di non parlare per un po', affatto - ma ascoltate. Prendete la città, il paese in, il subcontinente in - e forse il mondo. La maggior parte di oggi, lascia che ti dica, potresti non ricordare attivamente, ma solo come in un sogno. Quindi cogli l'attimo. Sogna oggi stesso. E no, non dormirete; non è quel tipo di sogno. Non c'è riposo qui da trovare, almeno non inizialmente. Perché, i vostri sensi sono tutti svegli, non è vero? Avete visto come molti colori prima? Odorato come molti profumi? Sentito come molti suoni, o toccato come molte cose? Sentito come molti sentimenti? Tutto in una volta? Sei stato all'interno di un oceano, e vissuto per raccontare la storia? Bene. Notate che la vostra attenzione diventa più acuta al secondo. Il peso della sensazione su di voi. Sensazione infinita. Come un fulmine penetra attraverso la vostra coscienza. Non c'è senso per nulla. Questo è ciò che la vita - vita pura, vita grezza - sembra.


LA SECONDA MATTINA
PARCO DI CHITTARANJAN

Buongiorno! Hai dormito bene? Hai avuto qualcosa, vero? Non devi rispondere. Non sarei sorpreso se il vostro cuore stesse ancora battendo forte come ieri. Ci vuole davvero un po' di tempo. Oggi camminiamo nel parco di Chittaranjan, dove vivo da alcuni anni. La parte bengalese della città è, la parte della città che il poeta Tagore potrebbe vivere in, era lì. Bengala a Delhi, si chiede? Perché sì! Tutta l'India a Delhi, davvero! E con il tempo, vedrete, anche tutto il resto del mondo. Il clacson, sì, delle auto? Sì, beh, è qualcosa che dobbiamo costantemente affrontare qui. A seconda di dove si pensa Delhi finisce, da qualche parte tra i diciassette ei quarantatré milioni di persone chiamano Delhi la loro casa - da qualche parte tra tutti i Paesi Bassi, e più di Ucraina. È divertente però, nel complesso, come tutto sembra ancora funzionare. Se da qualche parte c'era caos nel mondo, è qui, se da qualche parte l'anarchia, anche - eppure, tutti sembrano rimanere calmi, più o meno, e tutti, più o meno - più i poveri che i ricchi - ha un sorriso sul loro volto. Anche il clacson costante - è più un'ehi, sono qui' che 'scendere!' davvero. E oh, hai notato gli animali pure? I gatti randagi e i cani randagi, e le mucche randagi? Sì, abituarsi ad esso - come hanno, gli animali. I leoni possono anche essere i re della giungla qui in India, ma le mucche sono i re delle città. E oh, tuttavia potremmo dimenticare le scimmie? Come ci permettiamo, davvero?


LA TERZA MATTINA

PARCO VERDE E PARCO DEI CERVI

Sapete, nella mia infanzia, avevamo davvero anche incantatori di serpenti? Non scherzavamo affatto. Ho vissuto a Yusaf Sarai da bambino, una volta luogo di una casa di riposo medievale, e ora una vera e propria colonia di Delhi, un villaggio urbano. Per tutta la sua popolazione e l'inquinamento, Delhi è, che ci crediate o no, una delle città più verdi del mondo, come naturalmente si può vedere. Il mese scorso, il Semal albero-rosso-cotone-seta era tutto in fiore, nella celebrazione di Holi forse, la festa dei colori. Oh sì, abbiamo un sacco di loro, festival. Ogni paio di settimane, sul serio! Ma sì, era Mal allora, e presto sarà tutto amaltas ovunque, laburno, e Gulmohar, il bellissimo cremisi Royal Poinciana - che si può infatti mangiare! È un po' aspro! Lascia che ti porti a Deer Park accanto, piuttosto vicino, e il mio parco preferito da giovane. Oh, guarda! Un pavone! E conigli! E cervi! E oh Dio, ha un profumo così buono, non è vero? Profuma di innocenza. E oh, vedete che il gelso è tutto abbastanza maturo ora. Volete assaggiare? Dai, non essere così delicato! Prendine uno direttamente dal ramo - quelli nerastri più scuri sono più dolci e mettilo in bocca. Lavarlo porta via la maggior parte dello zucchero, sembra. Delizioso, non è vero? E hey, c'è un albero di eucalipto, vedi? Vieni, ti mostrerò qualcosa. Qui, strofina queste foglie secche nel palmo della mano - schiacciale, davvero - e annusa? Sì? Vedo che sei distratto da tutti i nomi di amanti incisi sugli alberi.


LA QUARTA MATTINA
CHANDNI CHOWK

Oh, che impertinente da parte mia non averti ancora chiesto da mangiare? Sono già passati tre giorni! Bene, lasciate che vi porti a Chandni Chowk allora oggi, la Piazza Al Chiaro di Luna. Ora, questa è la Vecchia Delhi, la vera Delhi se volete, prima degli inglesi. È un po' come il quartiere gotico di Barcellona, non è vero?! Ah, se solo ci fossero meno persone, o il governo presterebbe più attenzione. Comunque, se pensavi di aver visto tutto il giorno in cui sei atterrato, non sei preparato, lo giuro. Tutti i tipi di persone strane che vedrete oggi, tutti i tipi di cose strane in corso. L'architettura, anche se fatiscente, è bello però, non è vero? Dio sa quanti anni questi edifici sono stati qui? Tutti ad arco, e reticolato, e filigrana, quasi. Eppure, nessuno a prendersi cura di loro. Bene, cominciamo al Forte Rosso oggi, roccaforte dell'Impero Moghul, la penultima, o forse la terza, grande città di Delhi, da sette, nove, o undici, chi può dire? Ogni piccola corsia qui vende qualcosa di completamente diverso - spezie, carta, gioielli, aquiloni, i confini di sari per l'amor di Dio! E oh, cibo! Ora che è qui ad ogni angolo. Sai, la vera arte è sempre quella del cibo? Gli artisti tutti fingono, mi sento a volte, con i loro dipinti. Ma attenzione, il cibo di Delhi non è per i deboli di cuore. E 'vegetariano, sì, quasi tutto, ma speziato ad un grado si potrebbe sentire se stessi all'inferno - ma dargli tempo, e sarà un inferno si avrà bisogno! Vieni, mangiamo un po' di chole-kulche e kachori? Che ne dici di qualche nagori? Naan-khataai? Condito con un bicchiere di limonata frizzante?


LA QUINTA MATTINA

GIARDINI DI LODHI

Hai notato, mi chiedo, lungo la tua sinistra ieri, la sequenza di edifici che stavamo passando? Non sono sicuro se una cosa del genere esista in qualsiasi altra parte del mondo, ma uno dopo l'altro, uno dopo l'altro, vicini l'uno all'altro, abbiamo attraversato un tempio giainista, un tempio indù, una chiesa battista, un sikh Gurudwara e due moschee medievali! Incredibile, non è vero? Ma andiamo ora ai Giardini di Lodhi, un altro dei tanti Delhis del passato, ora trasformato in un parco. Il numero di monumenti Delhi ha, davvero, è sconcertante. Sono solo lì. Qui, là, ovunque, e spesso nessuno li guarda nemmeno una seconda volta, sono così radicati nella mente dei Delhiiti. Beh, i Giardini di Lodhi sono rigogliosi, come potete vedere. Rigogliosi di vegetazione. Gli edifici sono tutti quanti quanti quanti quanti, mille anni? Tutto costruito di quarzite, grigio, con il fuoco all'interno, quarzite dall'antica catena Aravalli di montagne, tutto tranne un ricordo del passato ora, per lo più. Questa parte di Delhi, come potete vedere, di Nuova Delhi, è la vera Nuova Delhi. Vorrei che a volte anche il resto sembrasse così. Bene, questo è dove i politici vivono, questi sono 'loro' giardini, sembra. Questo, e tutto intorno - potete dimenticarvi di essere in India per un minuto o due. I miei sentimenti per esso sono mescolati. Lo amo - è bello! Ma così è molto di più, se solo fosse curato meglio, o affatto. Il denaro dei contribuenti? Beh, qui è dove va, suppongo, all'abitazione del fisco.
 
THE SIXTH MORNING
RED HOUSE

E ora che siamo alla fine di questi sei giorni a Delhi, vorrei portarvi in un posto nuovo oggi, in un posto in cui possiate sentire dove la città potrebbe procedere, se tendete a fare attenzione. È un fatto triste di questo paese, come molti nella regione, che i suoi cittadini, se ne avranno la possibilità, fuggiranno immediatamente. La fibra morale della nazione, una volta famosa, se si approfondisce abbastanza in profondità, non si può trovare troppo facilmente oggi. La volubilità di certi popoli, in realtà, è incredibile. Eppure, esistono anche luoghi come questi - come la Casa Rossa. Può tutta Delhi guardare un giorno come questo? Costruito progressivamente di mattoni, mattoni nudi, e calce, reticolato in ogni modello? E ad arco, dove un arco può andare? Non c'erano piani per questo, sai, nessun progetto architettonico? È stato lavorato come una scultura, con amore ogni giorno. Vieni, sediamoci nel cortile aperto per un po', e godiamocene tutta la sua espressività. Vuoi forse un po' di tè? L'odore del rampicante Rangoon è tutto su di noi, minacciando di farci rimanere qui per sempre. Ah, guarda, una banda di giovani è appena arrivata. Sono qui per un workshop sembra. Parlano in inglese, anche se non colpiti, e sono vestiti abbastanza alla moda, no? E come magnificamente si sentono una parte di tutto questo? Hanno tutti conosciuto prima, non si calcola? O questo posto ha fatto loro qualcosa? Questo è prezioso. La luce del sole è così bella. Tutta la vita è così bella. Non affrettiamoci per il domani. Questo è buono!

LA SETTIMA MATTINA
DILLI HAAT

CONCLUSIONE

Beh, forse una settimana non era affatto sufficiente per un tour del genere, no? Come ha fatto Ruskin, temo di non riuscire a scegliere nessuna opera d'arte molto particolare da considerare, ma è davvero difficile qui, questo, sai? L'arte non c'è più, nel senso ovvio, da nessuna parte, da guardare qui. Forse è ovunque? Non è affatto visto allo stesso modo, vedete. Le cose non sono così classificate, come conquistate, e come rese schiave qui dell'intelletto. Sono più da sentire, sento. Più da essere percepiti da un cuore aperto, che la mente. Eppure, i mormorii dei secoli risiedono, come promesse del futuro. La città continua - Dio sa come, ma non! - Dì un po', ti piacerebbe avere qualche ricordo di questo nostro viaggio da portare con te? Andiamo una volta a Dilli Haat prima di partire, il bazar nel cuore di questa metropoli. Puoi dirmi quello che ti piace, ok? Sarà il mio regalo per te. Oh, che ne dici di questa gonna ricamata in oro? Questa sciarpa indaco? Uno di questi infiniti tappeti pesanti? O mango? Oh, sì, manghi - di centinaia di varietà - il re dei frutti! Se non li avete mai avuti prima, non crederete forse quanto sono dolci e come nel mondo tale dolcezza potrebbe essere risucchiata mai dalla terra? Beh, c'è qualcosa nel terreno qui, c'è davvero. In quale altro modo Gandhi potrebbe essere nato qui? In quale altro modo Mahavira e Buddha? E tutto il resto? Ma temo di averti intrappolato! Chi, sano di mente, potrebbe sopportare di lasciare questi vicoli? Queste non sono le 'strade' di Delhi, amico mio, ma la tela di un artista. Delhi. La città scelta del mondo. La città che i cieli hanno saccheggiato e sprecato, di volta in volta. Delhi solo è la città dell'amore. E io sono un abitante di questo giardino distrutto. - Addio! Ci rivedremo.


BIBLIOGRAFIA

1  The Complete Works of John Ruskin, Library Edition. Volume XXIII, pp. 293-436. Lancaster University. Available online at lancaster.ac.uk/media/lancaster-university/content-assets/documents/ruskin/23ValdArno.pdf


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The Indian Memorial, Florence - Dr Rosie Llewellyn-Jones MBE

Il Parco delle Cascine a Firenze contiene un insolito monumento funerario dedicato a un sovrano indiano, Rajaram II di Kolhapur. Il Rajah morì a soli vent’anni, il 30 novembre 1870, all'Hotel della Pace in Piazza Manin a Firenze. Stava tornando a casa, viaggiando attraverso l'Europa dopo aver trascorso quasi cinque mesi in Inghilterra. Kolhapur era un piccolo stato nominalmente indipendente nel paese meridionale di Mahratta, ora nel Maharashtra. Non faceva parte dell'India britannica anche se il governo britannico aveva nominato un agente politico e l'educazione del giovane Rajah era attentamente supervisionata. Se si fosse dimostrato un sovrano inadatto, agli occhi degli Inglesi, sarebbe stato deposto in silenzio e nominato un successore più malleabile. Ma Rajaram si mostrò un principe modello, lungimirante, interessato alla scienza e alle arti, parlava correntemente l'inglese, lo scriveva abbastanza bene ed era in genere disponibile nei confronti del capitano Edward West che fu nominato “assistente speciale” per sovrintendere alla sua istruzione e formazione. Un Parsi laureato presso l'Università di Bombay fece da tutor del Rajah.

Sebbene fosse un Hindu praticante e consapevole della sua illustre ascendenza mahratta, Rajaram si “anglicizzò” e sviluppò un certo gusto per la società degli Europei. Visitava il quartiere britannico di Kolhapur e ascoltava la banda del reggimento suonare la sera mentre chiacchierava con la gente del pubblico. Gli piaceva andare a cena e imparò a ballare le quadriglie. Fu il suo incontro a Bombay con il principe Alfredo, secondo figlio della Regina Vittoria, che gli fece venire l'idea di una visita in Inghilterra. Ma c'erano alcuni problemi che dovevano essere prima risolti. Molti Hindu non viaggiavano fuori dall'India perché significava attraversare il Kala Pani, “l'acqua nera”, e questo comportava la perdita della casta. Poi c'era il problema del cibo, Rajaram non avrebbe mangiato alle cene britanniche a Kolhapur se non avesse portato il suo cibo, preparato dai cuochi bramini. Doveva portare con sé in Inghilterra un cuoco e un assistente e dovevano portare con sé anche le pentole e tutte le spezie necessarie. Le uniche cose che potevano essere acquistate all'estero erano galline vive, uova e verdure.

Ciò nonostante Rajaram salpò da Bombay nel 1870 con il capitano West, il tutor Parsi e undici assistenti nativi. Il gruppo arrivò a Folkestone, sulla costa del Kent il 14 giugno, poi prese il treno per la stazione di Charing Cross e da lì si diresse verso una casa in affitto vicino a Hyde Park. Le disposizioni erano state date dal personale dall'ufficio indiano perché si trattava di un evento importante, la prima volta in cui un principe hindu regnante avrebbe visitato l'Inghilterra. Fu elaborato un programma intenso. Durante la prima settimana Rajaram visitò Madame Tussauds, la Galleria delle cere, Trafalgar Square e la Torre di Londra. Fu accolto calorosamente all'India Office, il dipartimento governativo che era succeduto alla vecchia East India Company, abolita nel 1858. La Compagnia aveva istituito un proprio museo e il Rajah fu sorpreso di vedere una così grande collezione di antichità indiane a Londra. Alcune delle sue visite furono dettate dal suo interesse per le nuove tecnologie, come la conferenza al Regent Street Polytechnic che usava slides proiettate da una “lanterna magica” e l'ufficio del telegrafo elettrico, dove i messaggi potevano essere ricevuti dall'India e ottenere una risposta, il tutto entro cinque minuti. Apprezzò molto attrazioni turistiche tra cui il British Museum, il Crystal Palace, Kew Gardens e la St Paul’s Cathedral. Furono organizzati altri eventi proprio per mostrare l'Inghilterra Vittoriana al suo meglio e, implicitamente, i benefici che l'India poteva ricevere sotto il benevolo dominio britannico. Rajaram fu presentato due volte alla vedova Regina Vittoria al Castello di Windsor; frequentò le Camere del Parlamento, dove vide la democrazia in azione e incontrò il primo ministro William Gladstone e Benjamin Disraeli. Fu invitato a una cerimonia di laurea all'Università di Oxford dove rimase meravigliato dal comportamento rumoroso degli studenti.

Non erano tutte visite formali. Il Rajah assistette anche alla partita di cricket tradizionale tra le scuole di Eton e Harrow al Lord’s Cricket Ground, prese lezioni di danza, giocò a croquet sul prato di una casa di campagna e frequentò il teatro più volte per sentire Adelina Patti, la celebre cantante lirica italiana che ammirava molto. Incontrò alcuni compatrioti che si erano stabiliti in Inghilterra, tra cui Dadabhai Naoroji, il primo membro del Parlamento indiano e visitò il Maharajah Duleep Singh, il cui regno Sikh era stato conquistato dagli Inglesi, e che ora viveva come un gentiluomo di campagna nel Suffolk. Rajaram incontrò anche il Nawab Nazim del Bengala, Mansur Ali Khan, che era venuto in Inghilterra per appellarsi contro il sequestro da parte del governo britannico del suo precedente assegno, il fondo nizamat.  I due uomini, entrambi sovrani indiani a pieno titolo, ed entrambi in cerca di cose diverse, conversavano in inglese nel paese straniero che governava il proprio.  Rajaram mostrò poche informazioni sulla propria posizione e il capitano West, che pubblicò il suo diario dopo la morte di Rajah, disse che era semplicemente un resoconto giornaliero di visite ed eventi, piuttosto che un'analisi delle relazioni Indo-Britanniche o di qualsiasi profonda riflessione sulla propria posizione anomala. Gli Indiani erano ancora una rarità a Londra e quando il Rajah e il suo gruppo facevano un giro in carrozza a Victoria Park, east London, notò che “le persone che stavano camminando nel parco si stupivano nel vedere noi nativi e facevano un grande scalpore ogni volta che ci vedevano”.


Dopo brevi visite in Scozia, nelle Midlands e in Irlanda, dove fu accolto dal Viceré a Dublino, il gruppo lasciò Dover il 1º novembre dirigendosi a Ostenda, poi attraversò il Belgio e andò in Germania. Lo scoppio della guerra franco-prussiana li costrinse ad evitare la Francia. L'11 novembre il Rajah fece l'ultima annotazione scritta a mano nel suo diario; le voci successive furono dettate da lui, probabilmente al capitano West. Due giorni dopo Rajaram riferì che aveva avuto un attacco di febbre e stava molto male. Il giorno seguente, il 14 novembre, non poteva camminare “a causa di un evidente visivo di reumatismi” e a Innsbruck  dovette essere portato alla sua carrozza su una sedia.
Quando il gruppo arrivò a Venezia e fu trasportato in una portantina al Palazzo Ducale e in piazza San Marco sembrava un raduno. A Firenze il Rajah accettò a malincuore di essere esaminato da un medico inglese, il dottor Fraser - aveva portato con sé il suo medico indiano - ma ci fu un improvviso peggioramento delle sue condizioni e morì nella sua suite d'albergo il 30 novembre.
La causa della morte, senza un’autopsia, è stata descritta vagamente come ”visceri addominali, insieme al collasso del sistema nervoso” che non spiega i sintomi reumatici. La triste notizia fu telegrafata alla famiglia di Rajah a Kolhapur.

Nella morte Rajaram creò molti più problemi di quanti ne avesse creati nella vita.  I suoi assistenti Hindu insistettero perché il suo corpo fosse cremato, ma ciò era severamente proibito dal Comune di Firenze.  La pena prevista per chi non seppelliva un cadavere nella bara era due anni di reclusione. Ora, per una curiosa coincidenza, la questione della cremazione era stata sollevata un anno prima a Firenze, quando la città ospitò la seconda Conferenza Medica Internazionale nel settembre 1869 alla quale parteciparono delegati provenienti da paesi lontani come l'India e l'America. Durante la conferenza di due settimane fu letto un articolo dal dottor Pierre Castiglioni, egli stesso fiorentino.
“Sull'incenerimento dei cadaveri” era un'idea radicale ben argomentata. Sosteneva che i cimiteri erano diventati luoghi insalubri, con l'odore di corpi mal sepolti che penetravano attraverso le aree urbane.  Anche i campi di battaglia erano un problema quando i cadaveri non potevano essere sepolti rapidamente. C’erano obiezioni religiose, diceva il dottor Castiglioni, e anche difficoltà tecniche prima che i crematori potessero essere sviluppati.  Ma, concluse, non era meglio per le persone in lutto avere una “manciata di polvere” (une “poignée de poussière”) che era purificata, leggera e senza odore, piuttosto che il pensiero di una persona cara che si decomponeva su un letto di vermi e putrefazione?  Questo discorso potente ed emotivo fu accolto calorosamente e fu sostenuta la tesi che la cremazione doveva essere preferita all'inumazione.  Anche se non diventò completamente legale per altri diciotto anni, a Milano fu costruito un crematorio nel 1876 e l'Italia fu in prima linea negli sviluppi tecnici con gli ingegneri in visita in Inghilterra per dare consigli.  Nel 1885 fu istituito a Woking, nel sud dell'Inghilterra, il primo crematorio.

Non sappiamo se il dottor Castiglioni sia stato consultato dopo la morte del Rajah, quando si tennero discussioni frenetiche per contemperare due ideologie opposte mentre il tempo correva. Una cremazione hindu avviene normalmente entro 24 ore, per ovvie ragioni.  Il medico avrebbe certamente sostenuto la cremazione ed è possibile che abbia creato una sorta di precedente mentre il dibattito continuava negli anni ’70 dell’Ottocento. Chiaramente era possibile essere profondamente religiosi e praticare la cremazione - era solo una religione diversa dalle rigide credenze cattoliche prevalenti all'epoca.  Il capitano West scrisse che ciò che accadde dopo la morte di Rajah era stato certificato dal medico locale, Enrico Passigli. Il Signor Peruzzi, il Sindaco di Firenze si recò immediatamente all’Ambasciata per incontrare Sir Augustus Paget, il Console Britannico e per discutere della cremazione. Peruzzi, di antica famiglia fiorentina di notevole importanza, spazzò via le obiezioni degli “altri partiti” e le superò  grazie ai suoi “noti sentimenti di tolleranza religiosa”. Le disposizioni per il corteo funebre e la cremazione furono attuate entro l'1.00 am e ne furono informati il Direttore della Polizia Municipale e il Segretario della Commissione Sanitaria comunale.

Il luogo scelto per la cremazione era all'estremità del Parco delle Cascine, sulla riva del fiume Arno, in una spianata deserta e aperta. Normalmente il corpo sarebbe stato portato su una bara in spalla da quattro o sei uomini, ma fu concordato che ciò avrebbe attirato troppa attenzione,  quindi fu utilizzato un omnibus trainato da cavalli appartenente all'hotel.  I servitori del Rajah si sedettero all'interno, uno di fronte all'altro, e sulle loro ginocchia sostennero la tavola su cui giaceva il corpo.  Non era esattamente una soluzione dignitosa, ma evitò che il corpo fosse posto sul pavimento. 

Nonostante l’ora e il maltempo,  un certo numero di carrozze e una grande folla aveva saputo dell'evento e seguì il corteo fino al luogo dove la pira funebre era già accatastata.
Il corpo all’1.30 am fu adagiato con reverenza sulla sommità del tumulo alto tre piedi, con la faccia rivolta verso est. I resoconti dei testimoni oculari differiscono su come il Rajah era vestito per questo evento - alcuni hanno parlato di grandi collane di perle, braccialetti d'oro e gioielli posti su un turbante, anche se appare più probabile un'altra descrizione che racconta di un ricco scialle rosso con bordi ricamati in oro.  Il capo era unto con ghee e legno di sandalo e rami di betulle ammucchiati. L'intera scena era illuminata da piccole lanterne di carta portate dai servitori del Rajah.  Poco prima delle 2:00 del mattino si dette fuoco alla pira con una torcia e un forte vento del nord aiutò le fiamme a divampare.
I servitori indiani sedevano a gambe incrociate a terra, pregando tranquillamente e inchinandosi verso la pira.  Alle ore 10.00 del mattino del 1º dicembre la cerimonia era terminata e le guardie comunali aiutarono a raccogliere i frammenti di ossa e cenere e a depositarli in un vaso di porcellana che fu chiuso con un panno rosso e ceralacca. Il luogo della pira fu stato pulito e lavato e grani di riso furono sparsi sull'erba come offerta all'anima dell'uomo morto.

Quando la notizia della morte del Rajah si diffuse a Kolhapur, fu organizzato un incontro pubblico e il 18 dicembre 1870 fu istituito un Comitato in memoria del Rajaram Chhatrapati. Fu aperta una lista di iscrizione appositamente per dotare il Liceo Kolhapur di borse di studio per i poveri meritevoli. Il compianto Rajah aveva posto la prima pietra della scuola l'anno prima e l'educazione sia per i ragazzi e le ragazze era uno dei suoi particolari interessi. La scuola fu rinominata in suo onore.

A Firenze, vicino al luogo della cremazione, un bel baldacchino in stile indiano sostenuto da quattro pilastri elaborati protegge un bel busto di Rajaram. Lo scultore, Charles Francis Fuller, fu frutto di una scelta attenta. Nato in Gran Bretagna, Fuller si trasferì a Firenze nel 1850 e faceva parte di un piccolo gruppo di “esiliati” artistici, felici nel loro paese d'adozione. Il busto è basato su fotografie del Rajah scattate mentre era a Londra e lo mostra con il tradizionale turbante di Mahratta, con una punta sul lato destro. Secondo le descrizioni di coloro che lo hanno incontrato in Inghilterra, non è mai stato visto senza questo turbante perché sarebbe stato indicibilmente scortese da parte sua apparire a testa nuda in compagnia. Il baldacchino, basato sul chhatri indiano, è stato progettato dal maggiore Charles Mant, ingegnere di Bombay. Mant continuò poi ad avere una carriera redditizia come architetto in India e progettò alcuni palazzi per i governanti reali minori. In particolare fu incaricato dal successore di Rajaram, Narain Rao, di progettare un nuovo palazzo per Kolhapur, una miscela fantastica di architettura Indo-Saracena, irta di torri, torrette, cupole e chioschi, che fu completato nel 1884. Non si sa chi finanziò il chhatri e il busto di Firenze, anche se si suppone che potrebbe essere stata la famiglia di Rajah. Un ponte vicino al sito, aperto nel 1978 è conosciuto semplicemente come il “ponte all’Indiano”, un bell’omaggio a questo modesto principe che aveva sperato di introdurre nuove idee a Kolhapur dopo la sua visita in Europa, ma che purtroppo tornò mai a casa.

Il restauro del monumento, che si era deteriorato, iniziò nel 2019 ed fu complicato a causa della varia composizione ed esposizione agli agenti atmosferici: sgretolamento degli ornamenti in marmo e arenaria, disintegrazione del volto e del busto, e perdite nella decorazione causate tentativi di ricostruzione eseguiti con varie tecniche nel tempo. Il monumento presentava anche un preoccupante deficit strutturale su una delle colonne in ghisa che sostenevano il baldacchino. Il progetto, ora completato, è stato condotto dal Servizio Belle Arti del Comune di Firenze ed è costato 145.000 euro.




Il monumento restaurato nel Parco delle Cascine 


  
Busto di Rajah Rajaram di Charles Francis Fuller            Rajah Rajaram, da una fotografia, 1870



Il nuovo palazzo, Kolhapur



Il Parco delle Cascine e il monumento al Principe Indiano, Rajah Chuttraputti di Kolhapur – Amina Anelli

Il Parco delle Cascine appare il luogo emblematico per esprimere lo spirito di questo Convegno in cui si parla di dialogo e di restauro. Da una parte rappresenta il punto d’incontro di personaggi provenienti da tutto il mondo che qui idealmente si incontrano e conversano a dispetto delle distanze temporali: il Marajah indiano, George Washington, la Regina Vittoria, Florence Nightingale, Filippo Mazzei, Fëdor Dostoevskij, Percy Bysshe Shelley, John Fitzgerald Kennedy, Abramo Lincoln. Ciascuno di essi è ricordato e “trova il suo posto” in un pezzo della nostra città. Dall’altra parte è un parco monumentale: una moltitudine di monumenti, grandi e piccoli, che accompagna il visitatore nel lungo percorso di oltre 6 km, da Piazza Vittorio Veneto fino all’estremità ovest dove si trova il Piazzaletto dell’Indiano. Si tratta di un patrimonio storico e culturale che necessita di essere preservato e valorizzato. Il Parco delle Cascine è il più grande parco pubblico della città, si estende per circa 6 Km e mezzo per una larghezza di circa 640 metri, costeggiando la riva destra dell'Arno dal centro storico fino alla confluenza del fiume con il torrente Mugnone. La costruzione del Parco ha inizio nel 1563 quando Alessandro I de’ Medici ne acquista i terreni e li bonifica per farne una tenuta di caccia e un’azienda agricola per la famiglia dei Medici. Con il passaggio del Granducato di Toscana dai Medici ai Lorena, il parco diventa luogo di svago e in particolari ricorrenze viene anche aperto al pubblico. A partire dal 1786 sono realizzati, ad opera di Giuseppe Manetti, i primi lavori, commissionati da Pietro Leopoldo di Lorena, per la trasformazione della tenuta in un parco. Con l’Unità d’Italia, nel 1861, le Cascine passano al Demanio e successivamente, nel 1865, sono cedute al Comune. Sono gli anni in cui in Italia termina la Dominazione Austriaca (1866) con l'annessione del Veneto al Regno d'Italia. A Firenze gli Asburgo-Lorena reggono le sorti del Granducato fino all'Unità d'Italia, con l’interruzione dell'epoca napoleonica (1801-1807). Con il plebiscito nel 1860 la Toscana è annessa al Regno d'Italia. Nel 1865 Firenze subentra a Torino come capitale d'Italia. Nel 1871 la capitale è trasferita a Roma.
Kolhapur è un piccolo stato nel paese meridionale di Mahratta, in India. Alla morte del Rajah che regnava nel 1837 gli succede il figlio piccolo con la reggenza di due donne della famiglia e alcuni ufficiali di stato. Dal 1844 un funzionario del governo britannico è sempre presente per amministrare lo Stato durante la minore età dei suoi principi e per svolgere funzioni più puramente diplomatiche. Nel 1866 il Rahja muore senza eredi e adotta sul letto di morte il figlio della sorella, un ragazzo di 16 anni, Nagojee Row. Molte delle notizie relative al suo viaggio si apprendono dalla lettura del Diario scritto dal principe, lettura interessante, perlomeno in quanto spaccato della realtà dell’epoca. Notizie della sua vita vengono date nell’introduzione e nelle appendici del diario; viene restituita l’immagine di un ragazzo riflessivo e gentile che si sorprende dei costumi e delle abitudini dei paesi che visita. Nelle immagini pubblicate nel diario il giovane marahja indiano non sembra avere 20 anni, ne dimostra di più. Nagojee Row, nato il 13 aprile 1850, divenuto il nuovo marahja, riceve un’educazione improntata sul modello inglese. Sposa due donne, una delle quali gli darà una figlia che morirà presto. L’altra moglie è ancora una bambina. E’ il primo principe indiano regnante a recarsi in Inghilterra per un viaggio di studio. Incontra la Regina Vittoria a Windsor, due volte, il 24 giugno e il 6 luglio 1870. Muore a Firenze di malattia il 30 novembre 1870, durante il viaggio che dall'Inghilterra avrebbe dovuto riportarlo in India.
Il monumento è eretto per commemorare il giovane principe indiano. E’ situato nel punto in cui il torrente Mugnone confluisce nel fiume Arno, laddove il corpo del principe è stato cremato. Il Sindaco di Firenze Ubaldino Peruzzi rende possibile per la prima volta a Firenze la pratica della cremazione secondo il rito induista. La struttura architettonica è progettata dall’ingegnere Capitano Charles Mant, mentre il busto è eseguito dallo scultore inglese Charles Francis Fuller. Nel 1874 l’opera è completata.
Nel 1897 si rendono necessari i primi restauri: “lavori di scalpellino e muratore” e “opere di verniciature e dorature”, affidati rispettivamente a Egisto Salvadori a Sirio Bianchi. Il monumento appare come una struttura a baldacchino che si eleva su un ampio basamento in pietra circondato da una ringhiera in ghisa modellata a tralci, volute, arabeschi e motivi floreali. Su una base centrale, anch’essa in pietra con bassorilievi, si ergono quattro colonnini tortili in ghisa che sorreggono una cupola rivestita con lastre di rame. Il baldacchino funge da scrigno per il busto in marmo che raffigura il principe. Varie testimonianze, confermate dalle indagini diagnostiche eseguite prima del restauro, riportano che il busto fosse colorato. Quattro targhe poste sul piedistallo del busto riportano un’iscrizione in quattro lingue, italiano, inglese, hindi e punjabi:

MONUMENTO ALLA MEMORIA DEL PRINCIPE /
INDIANO RAJARAM CHUTTRAPUTTI, /
MAHARAJAH DI KOLHAPUR. MORTO A /
VENTUN’ANNO IN FIRENZE IL XXX GIORNO /
DI NOVEMBRE MDCCCLXX QUANDO /
DALL’INGHILTERRA TORNAVA ALLA PATRIA. /
CHARLES MANT. CAPTAIN R. E. ARCHITECT.

La ringhiera metallica più esterna è stata posta successivamente alla costruzione del monumento (inizialmente era stata realizzata in legno) a fungere da ulteriore protezione. Il monumento si presentava in una condizione di generale degrado. Nelle due ringhiere si riscontravano numerose parti mancanti e la completa ossidazione del metallo. L’esfoliazione della verniciatura, di cui rimanevano solo alcune tracce, aveva portato all’ossidazione del metallo. Nella struttura a baldacchino, le condizioni peggiori si riscontravano su una delle colonne tortili in ghisa, che presentava una profonda fessurazione longitudinale e che per questo era stata messa in sicurezza e sostenuta da un apposito ponteggio. Due delle pigne in ghisa appese agli angoli non c’erano più. Al di sotto dell’intradosso della cupola del baldacchino si rilevavano fessurazioni orizzontali. La pietra risultava in molti punti disgregata e in alcuni punti polverizzata e/o esfoliata o in fase di distacco. Mancavano o erano distaccate parti di cornici in pietra, molte decorazioni floreali (bassorilievi a foglia), le teste dei pavoni e molte delle volute decorative. Il basamento in pietra e la base presentavano attacchi di alghe e muschi dovuti alla maggiore esposizione agli agenti atmosferici; anche il piedistallo del busto ed il busto stesso, benché più protetti dalle intemperie, versavano in condizioni critiche a causa dell’attacco delle polveri e delle aggressioni biologiche e atmosferiche. Un pino caduto sul monumento nel 2005 aveva danneggiato la copertura della cupola. L’intervento di restauro, iniziato nel 2019 e concluso nel 2020, è stato svolto mirando alla conservazione dei caratteri originari dell’opera, mediante l’uso di materiali e tecniche compatibili con quelli esistenti, con l’obiettivo di restituire adeguata leggibilità al monumento. Il restauro degli elementi lapidei (gradonata, basamento, archi intradossali ed extradossali, in pietra serena e busto in marmo) è iniziato con il preconsolidamento, per non perdere preziosi frammenti del paramento decorato, purtroppo in fase avanzata di distacco, soprattutto nelle parti soggette ad infiltrazioni d’acqua. Successivamente è stato svolto il lungo processo della pulitura, con la rimozione dei depositi incoerenti, quali terriccio e depositi pulverulenti, prima e con l’applicazione di biocida a base di cloruro di benzalconio poi. Il biocida è servito per disinfestare le colonie di microflora prima della loro rimozione meccanica, al fine di evitare la volatilità e la trasmigrazione delle spore infestanti. Poi si è proceduto con la rimozione dei depositi coerenti, mediante impacchi a base di carbonato d’ammonio ed “EDTA” veicolati da pasta cellulosica e sepiolite ove necessario. Le stuccature cementizie incoerenti sono state rimosse mediante l’uso di bisturi e microscalpello. Si è poi proceduto con una doppia applicazione di consolidante a base di silicato d’etile, dopo averne verificato, mediante prove e campioni, la giusta penetrazione e la non alterazione cromatica. Sono state ricostruiti molteplici frammenti, previo calco siliconico e/o stuccature a base di calce idraulica naturale. Infine come protettivo finale è stato applicato un polisilossano trasparente, non filmogeno. Il restauro pittorico ha riguardato in particolare l’intradosso della cupola, decorato con costoloni in rilievo a foglie color oro su fondo azzurro. Dopo campionature e analisi di laboratorio, necessarie per comprendere i vari interventi eseguiti nel tempo e le cromie originali, si è proceduto con la pulitura ed al consolidamento. Il film pittorico, una pittura a secco (non un affresco), risultava steso su un supporto a base di gesso. La superficie della pellicola presentava sia qualche piccola crepatura che qualche rigonfiamento ed esfoliazione, in special modo negli interventi e nei “ritocchi” di restauri pregressi. La pulitura è stata eseguita soprattutto a secco, vista la componente gessosa del supporto e la fragilità del colore. Particolare attenzione ha richiesto la rimozione dei numerosi nidi di ragno aderiti alla superficie con grande tenacia, soprattutto negli interstizi. Il consolidamento è stato realizzato con iniezioni a tergo di malta consolidante a base calce naturale ed esente da sali. La conguagliatura cromatica è stata effettuata mediante applicazioni di più velature con pitture minerali ai silicati addizionate con pigmenti e terre fino al raggiungimento del tono ritrovato. La pulitura a secco è stata condotta su tutta la superficie con pennelli morbidi e gommine whishab, mentre è stato necessario l’utilizzo di micro bisturi per interventi localizzati. Grazie alle analisi sono state ritrovate scialbature cementizie, rimosse e sostituite con stuccature a base calce idraulica naturale. Per la rimozione di macchie, sono stati applicati localmente piccoli impacchi con bassa percentuale di carbonato d’ammonio, per breve contatto. Il restauro delle leghe metalliche ha interessato i colonnini e le ringhiere. I quattro colonnini in ghisa sono cavi all’interno, con uno spessore di circa 2 cm. Uno di essi presentava una profonda fessurazione longitudinale che inizialmente era stato ipotizzato di consolidare con l’inserimento di collari in acciaio. Per il consolidamento è stata successivamente individuata una tecnica più rispettosa del risultato estetico, sempre dopo aver effettuato studi e test approfonditi, consistente nell’utilizzo di fibre di carbonio applicate con resine epossidiche. Sono stati realizzati previa forature, “fiocchi” di collegamento all’interno del colonnino, in modo da far collaborare maggiormente la massa di ghisa ed evitare scorrimenti. La conformazione geometrica del colonnino e la sua decorazione hanno permesso di mascherare la fibra all’interno della scanalatura elicoidale della colonna. Sono stati ricostruiti i piccoli petali mancanti, previo calco con gomme siliconiche sugli elementi originali, con resina epossidica pigmentata. Così come i petali, sono state ricostruite anche due pigne. La ringhiera interna in ghisa, arricchita da elementi decorativi floreali, dopo un lavoro di minuziosa sabbiatura e pulitura, è stata completamente consolidata mediante iniezioni di resina epossidica, ricostruzioni in resina, ma soprattutto integrazioni con nuovi elementi in ottone, poi verniciati. Per ricostruire tali porzioni sono stati effettuati rilievi 3D e stampe in materiale plastico per poter poi lavorare successivamente con le fusioni.

APPENDICE – Breve contributo sul restauro della fontana dedicata alla Regina Vittoria
La “fontana della Regina Vittoria” si trova in un’aiuola situata ai margini di piazza Vittorio Veneto. E’ realizzata tra il 1897 e il 1900, anno della sua inaugurazione ufficiale, in occasione del sessantesimo anno di regno della Regina Vittoria d'Inghilterra. Voluta dalla comunità britannica fiorentina, è progettata dall'ingegnere Lorenzo Priuli Bon. Il manufatto, realizzato in marmo rosso di Verona, è posto su un basamento di pietra arenaria a gradoni concentrici: “Il pilastro centrale, da cui si dipartono ad una certa altezza le tre vasche poligonali sorrette da colonnini, poggia sulla base di tre gradini sagomati a trifoglio. La fontana si presenta oggi mancante del settore superiore dello stelo centrale (a sezione triangolare e recante sulle facce delle iscrizioni latine), in origine ornato di colonnine tortili e sormontato da una corona in bronzo” (Carlo Cresti). I primi atti vandalici sul monumento, con l’asportazione degli ornamenti metallici, risalgono agli anni della prima guerra mondiale: “In Piazza degli Zuavi, la colonia inglese, a ricordo della permanenza in Firenze dell'amata Regina Vittoria, volle eretta una modesta ma utile fontana, con ornamenti in bronzo e quattro mascheroni da cui l'acqua zampillava per ricadere nella sottostante vasca. Non solo furono divelti tali ornamenti, ma anche gli altri ornamenti metallici, e furono ostruite le bocche d'acqua, per modo che la fontana è ora ridotta ad un arido ed inutile ingombro" (Carlo Papini ,"Arte e Storia" 1919).


Edimburgo - Historic Burial Grounds sia come esemplare che a rischio - Dr Peter Burman MBE FSA, storico dell'architettura e conservatore, Companion of the Guild of St George of John Ruskin
 
Peter Burman iniziò ad essere interessato ai cimiteri storici come scolaro che esplorava chiese e cimiteri nella sua contea natale di Warwickshire. Questo lo ha portato a studiare Storia dell'Arte presso l'Università di Cambridge. Il suo primo ruolo è stato quello di Assistente, Vice allora Direttore del Consiglio per la cura delle Chiese e la Commissione Cathedrals Fabric per l'Inghilterra. In questo ruolo, che durò ventidue anni, lui e i suoi colleghi stavano costantemente dando consigli e sovvenzioni per la conservazione e la riparazione di monumenti scultoreamente importanti sia all'interno delle chiese che all'esterno nei cimiteri storici che tipicamente li circondano. Cominciò a lavorare non solo con i conservatori per conservarli, ma anche con gli artigiani per garantire che i nuovi monumenti fossero belli e significativi.
In seguito, come Direttore dei Servizi di Conservazione e Proprietà del National Trust for Scotland, si trovò a vivere all'interno del Sito del Patrimonio Mondiale della Città di Edimburgo e questo lo incoraggiò a interessarsi alle cinque sepolture storiche che si trovano lì. Sono luoghi della memoria, ma anche luoghi sociali, visitati da molti interessati al loro patrimonio e ai valori umani. Egli è affascinato dal loro interesse artistico e storico, ma anche dal ruolo che possono svolgere nella comunità contemporanea di una città. A Edimburgo (come in tutte le altre città dove esistono sepolture storiche) ci sono molti aspetti che devono essere gestiti: mantenere l'architettura spesso ambiziosa del mausoleo in buona riparazione attraverso una regolare manutenzione (a Edimburgo includono mausoleo simile a un tempio progettato da membri del XVIII secolo della famosa famiglia di architetti Adam); muri, spesso estesi e di carattere impressionante; conservazione della scultura, utilizzando materiali compatibili con l'originale; drenaggio; archeologia; fauna selvatica; fiori e greensward. Idealmente queste sepolture storiche devono essere tranquille e dignitose, ma allo stesso tempo accoglienti e sicure. L'architettura e la scultura artistica, unite a caratteri belli e caratteristici, hanno il loro ruolo da svolgere, ma spesso c'è anche una risposta personale a questi paesaggi di bellezza malinconica.
Le sfide di prendersi cura di questi particolari paesaggi della memoria sono molte e varie, ma le sepolture di Edimburgo sono probabilmente tipiche di molte situazioni urbane: carenza di fondi; mancanza di chiarezza sulla proprietà dei monumenti; abbandono (che porta a problemi standard di conservazione della pietra sporca; giunti aperti; riparazioni scadenti, utilizzando cemento invece di malte a base di calce; vegetazione); vandalismo, anche furto; leggibilità delle iscrizioni; comportamento antisociale; avidità di sviluppatori su siti adiacenti; e così via.
Peter Burman parlerà da molti anni di ricca esperienza di conservazione del patrimonio architettonico e artistico, e di essere autore congiunto con Henry Stapleton del Churchyards Handbook, che ha attraversato molte edizioni nel corso degli anni. Nel suo ruolo di 'chiese' ha spesso collaborato con esperti di tress, muschi e licheni; lettering e scultura; nell'organizzazione di Churchyard Study Days per introdurre la gente locale alle bellezze, agli interessi e alla particolarità del loro cimitero storico.




INDIA



23 aprile, domenica, Red House, Delhi





Veda Francesca Alexander and John Ruskin: Tuscan Folk Tales

 


La Sibilla toscana di Ruskin: Francesca Alexander - Emma Sdegno, Università Ca' Foscari Venezia


Il libro di cui parlerò è l'edizione di Ruskin dei Roadside Songs of Tuscany di Francesca Alexander, opera pubblicata in fascicoli tra il 1884 e il 1885; la città è la località rurale di Cutigliano, un paesino di montagna dell'Abetone, nell'Appennino toscano.

    Il libro fu concepito nella stagione successiva alla guerra franco-prussiana (1870-1871), un conflitto che per Ruskin fu molto doloroso, che amplificò la sofferenza psicologica di quegli anni e il senso di devastazione dell’eredità culturale e spirituale europea.

    Nel ricostruire la genesi del libro, seguiremo Ruskin nel suo penultimo viaggio sul Continente. Il 5 agosto 1882, cinque mesi dopo il terzo e più grave episodio della malattia mentale che lo afflisse dal 1877, Ruskin intraprese – su consiglio medico – il suo penultimo viaggio nel continente, l’ultimo in Toscana, accompagnato dal suo domestico e dal giovane artista W.G. Collingwood.

    Il viaggio si svolse in parte in Francia (Champagne, Borgogna e Giura) ed in parte in Toscana (Pisa, Lucca e Firenze). L’itinerario francese lo portò “sulla vecchia strada”, come Ruskin la chiamava, nei luoghi dell’Europa che aveva ripetutamente visitato con i genitori e che sarebbero stati ricordati nella sua autobiografia Praeterita (1885-1889). Già negli anni 1860 Ruskin aveva progettato una serie di “Studi sulla storia e sull’architettura cristiana” il cui titolo generale sarebbe stato: Our Fathers have told us [I nostri padri ci raccontarono]. L’opera aveva lo scopo di studiare - attraverso un lavoro sul campo, visitandone i luoghi – “il potere della Chiesa nel XIII secolo”. L’unico volume della serie ad essere pubblicato fu La Bibbia di Amiens nel 1880. Il viaggio del 1882 doveva andare più indietro nel tempo, nei primi secoli del Cristianesimo. Ruskin non portò a termine questo progetto ambizioso, ma l’interesse per il monachesimo primitivo risulta essere profondamente rilevante per Roadside Songs of Tuscany.

    La storia di Roadside Songs of Tuscany ha inizio il 5 ottobre 1882, quando Ruskin e Collingwood arrivano a Firenze e vengono presentati agli Alexander, una famiglia di espatriati del Massachusetts che si era stabilita in Toscana nel 1853. Francis, un pittore ritrattista di Boston, e Lucia Gray Swett, donna di origini alto borghesi e con amicizie aristocratiche, facevano parte di quella vasta cerchia di artisti anglo-americani che vivevano a Firenze alla fine dell'Ottocento, e rispetto ai quali la figlia Fanny doveva risultare una ragazza piuttosto eccentrica. Nata a Boston nel 1837, Esther Frances, detta “Fanny”, parlava l’italiano come seconda lingua madre. Era particolarmente e insolitamente legata ai poveri della popolazione locale, e coltivava le sue abilità di disegnatrice per comporre fogli preziosi come messali con disegni di fiori e canzoni popolari, con la cura e la devozione di un’amanuense. Gli Alexander trascorrevano abitualmente le vacanze estive sugli Appennini, all’Abetone, dove Fanny aveva un rapporto straordinariamente profondo e solidale con le contadine del villaggio. Era una evangelica luterana particolarmente devota, profondamente interessata alle tradizioni religiose e alle leggende popolari che venivano trasmesse tra i contadini soprattutto attraverso il canto. “In queste montagne”, come dice Van Brooks, “tutti cantavano, i contadini, i pastori e i carbonai che, mentre vegliavano i loro fuochi di notte, si tenevano compagnia cantando insieme e improvvisando versi”. Dotata anche lei di talento musicale, Fanny iniziò a trascrivere i canti e le melodie contadine in un manoscritto. Il suo lavoro accurato aveva uno scopo documentario e artistico, oltre che filantropico, in quanto Fanny intendeva vendere il manoscritto a qualche mecenate americano per poi ridistribuire il denaro tra i poveri dell’Abetone. Fanny era strettamente legata ad un vincolo di solidarietà con la gente del luogo, che la vedeva "miracolosa", chi "curava gli invalidi [...], permetteva ai bambini poveri di andare al mare, comprava loro materassi, vestiti e scarpe e pagava loro l’affitto a  chi non aveva i mezzi”.


Beatrice

    Un’importante mediatrice della cultura orale toscana per Fanny fu Beatrice Bernardi di Pian degli Ontani, improvvisatrice analfabeta dalla cui viva voce Fanny trascrisse e tradusse la maggior parte delle canzoni, dei rispetti e degli stornelli toscani. Già sessantenne quando la conobbe Fanny, Beatrice era una celebrità nei salotti fiorentini, sebbene continuò a vivere del lavoro contadino, conducendo una di stenti fino alla fine. In Roadside Songs Beatrice occupa un posto di primo piano: il suo ritratto apre la raccolta e una decina di pagine sono dedicate a particolari di prima mano della sua biografia. Un’altra fonte importante fu Edwige Gualtieri, l'affettuosa, pia e musicale domestica di Fanny, la cui fama si deve invece solamente all’edizione di Roadside Songs of Tuscany di Ruskin.

    I canti raccolti da Fanny sono un’elegia a un territorio e alla sua gente, alla vita contadina, ai sentimenti universali, alla musica antica tramandata oralmente. I disegni e le poesie che trascrisse e tradusse furono generati da un intenso rapporto con il luogo. Né autoctona né straniera, ma una insieme di entrambe, Fanny dà un’immagine composita della sua Toscana, con la comprensione dell’insider, ed lo sguardo meravigliato dell’outsider. Il suo lavoro è parte di quell'interesse letterario per le tradizioni e per i canti popolari emerso in Italia negli anni Quaranta dell'Ottocento, quando diversi studiosi avevano iniziato a raccogliere e pubblicare un vasto corpus di materiali e a stabilire forme metriche e rime, varianti e teorie sulle origini e sui loro modi di trasmissione. Inoltre, la scrittrice inglese Ouida aveva ambientato nell'Abetone il suo romanzo A Village Commune (1881), riportando in appendice una documentata storia del luogo e di Beatrice di Pian degli Ontani. Tutte queste opere sono menzionate in Roadside Songs of Tuscany.

    Il 9 ottobre 1882, in termini iperbolici che ricordano le descrizioni di alcuni momenti rivelatori - come l’incontro con Tintoretto nella Scuola di San Rocco nel 1845 - Ruskin scrisse a Mrs Alexander dicendo che il loro incontro aveva segnato una svolta nella propria vita:

Ho preso una nuova penna - è tutto ciò che posso fare - vorrei imparare una scrittura completamente nuova da qualche grazioso orlo di una veste d'angelo, per dirvi con quale felice e riverente ammirazione ho visto ieri i disegni di vostra figlia; riverente, non solo per il dono di genio del tutto celestiale in un genere che non avevo mai visto prima, ma anche per lo spirito altamente dolce e amorevole che ha animato e santificato l’opera, e per la serenità che ha espresso nelle più sicure fedi e nei migliori scopi della vita.

Ruskin propose di acquistare il manoscritto, che gli si era rivelato strettamente legato “al [suo] lavoro in Inghilterra”, di pagare la somma richiesta dalla famiglia di 600 ghinee e di collocarlo nel Saint George Museum. La sua idea era di esporre il manoscritto a Sheffield a beneficio dei Companions of the Guild of Saint George e dei contadini locali. A questo scopo, desiderava che Fanny scrivesse “come introduzione al manoscritto, brevi schizzi delle persone reali di cui sono riportati i ritratti”. L’obiettivo principale degli schizzi sarebbe stato quello di “trasmettere alla mente dei nostri paesani inglesi (per non dire dei principi) una conoscenza solidale della realtà della dolce anima dell’Italia cattolica”.

    L'incontro segnò una svolta anche per Fanny. La notizia della visita di Ruskin e dell’interesse di quest’ultimo per il suo manoscritto si diffuse rapidamente in tutta Firenze e lei divenne all’improvviso una celebrità. A dicembre scrisse a un amico che era entrata "nella lista delle persone illustri", che la sua casa era stata invasa dalla "più strana varietà di persone [...] di ogni nazionalità", che chiedevano di vedere il suo lavoro in una frenesia di emulare Ruskin.

    Quando Ruskin tornò in Inghilterra, a metà novembre 1882, era in uno stato di grande entusiasmo per il suo nuovo tesoro e iniziò rapidamente a diffondere riferimenti all’opera di Fanny nelle sue conferenze pubbliche. Deve essere stato in questo periodo che iniziò a riferirsi a Fanny nei suoi scritti pubblici come “Francesca”.

    Ruskin presentò l’opera di Francesca in diverse occasioni, suscitando un notevole interesse per la sua nuova amica e per il suo lavoro. In giugno, a Prince of Wales Terrace, Kensington, tenne una conferenza privata sul “Libro di Francesca” con duecento invitati. Diversi giornali riportarono l’evento, non celando la curiosità di scoprire l’identità della misteriosa Francesca. Tutti notarono che il conferenziere era “in ottima salute e spirito”, che la seconda parte fu tutta dedicata al “Libro di Francesca”, un’opera “scritta e illustrata da una certa Miss Alexander”, di cui furono mostrati i disegni originali a penna e inchiostro. Una recensione più lunga sullo Spectator del 19 giugno riportava la conferenza in modo più dettagliato, affermando che Ruskin aveva menzionato alcuni difetti correggibili nella resa della figura umana di Francesca, ma aveva espresso l’elogio incondizionato della forza e della delicatezza dei suoi disegni di fiori, paragonabili solo a quelli di Leonardo da Vinci. L'associazione con i fiori lo aveva poi portato a vedere nelle leggende popolari che Francesca aveva appreso da Beatrice degli Ontani “le scintille che hanno acceso la sua immaginazione e dato vita alla sua abilità”, scintille che dovevano ricordare a Francesca “nella sua innocente freschezza, i Fioretti che, sei secoli prima, si riunirono intorno alla memoria di San Francesco”.

    Questo riferimento ai Fioretti è interessante e merita una certa attenzione. Quando i primi due numeri di Roadside Songs vennero pubblicati nell’agosto del 1884, Ruskin scrisse nuovamente a Francesca paragonando l’opera ai Fioretti di San Francesco, e fece un riferimento più stretto allo scopo del libro e ad alcune note aggiuntive che aveva inserito. “Sono molto, molto contento”, disse, “della forma che sta prendendo il libro - i piccoli pezzi aggiuntivi mi permettono di mettere insieme il tutto, in quella che sarà la cosa più bella e più buona che si sia mai vista, i fioretti di San Francesco”.

Fioretti di San Francesco

Prima del primo studio filologico di Paul Sabatier del 1893 sui Fioretti, che ha dato il via agli studi moderni su San Francesco, il libro circolava in varie edizioni italiane. Nelle opere tarde Ruskin si riferisce ai Fioretti con parole di apprezzamento. Egli pensava che l’opera fosse una buona lettura per le giovani inglesi, come dimostra una lettera che scrisse nel luglio 1883 all’amica Geraldine Bateman, desiderosa di apprendere l’italiano. Ruskin le inviò un libretto di preghiere in latino e in italiano per iniziare ad imparare l’italiano e le promise di inviarle i Fioretti di San Francesco – “graziosi e semplici e pieni di belle storie” – quando avrebbe “imparato un po’ d’italiano” (XXXVII: 462). La grazia e la semplicità dei Fioretti sono indicate come qualità da Francesco De Sanctis, che li definisce “il più amabile e il più amato dei libri medievali per bambini”. La “semplicità” dei Fioretti è oggetto di dibattito critico, certamente per Ruskin, così come per De Sanctis, semplice e infantile sono categorie estetiche e morali che avevano uno scopo educativo e formativo, e che egli ritrovava negli affreschi di Giotto che lo incantavano negli anni 1870. La maggior parte delle sue opere tarde sono rivolte ai giovani.

    L'associazione del libro di Francesca con i Fioretti potrebbe implicare qualcosa di più di una generica allusione evocativa. Il collegamento era stato fatto per la prima volta all’inizio del giugno 1883 dal cardinale Henry E. Manning, nella sua lettera di ringraziamento per la copia di The Story of Ida. Concludendo la sua introduzione a The Hidden Servants di Francesca Alexander, Anna Fuller riporta le parole del cardinale:

È semplicemente bellissimo, come i Fioretti di San Francesco. Tali fiori possono crescere solo in un terreno. Si possono trovare solo nel giardino della Fede, sul quale il mondo della luce incombe visibilmente, ed è visto più intensamente dai poveri e dai puri di cuore che dai ricchi, o dai dotti, o dagli uomini di cultura.

Scrivendo alla signora Alexander il 22 giugno, Ruskin fa riferimento a una lettera di Manning che aveva inoltrato a Francesca. Cook e Wedderburn ci informano laconicamente che Ruskin "vide qualcosa del cardinale Manning nei suoi ultimi anni" e che “alcune lettere del cardinale erano accompagnate da doni di libri come i Fioretti di San Francesco”, ma nell’edizione della Biblioteca non c'è alcun riferimento al dono, né siamo informati che fu il cardinale Manning a tradurre e pubblicare per la prima volta i Fioretti in inglese nel 1864 con il titolo di Little Flowers of St Francis. Il riferimento di Manning ai Fioretti in relazione a The Story of Ida riecheggia la sua stessa prefazione alla traduzione, in cui definiva le storie dei santi poveri raccolte nel florilegio anonimo, come “mirabili poesie in prosa” che possono essere giustamente paragonati a fiori che testimoniano la stagione che li ha fatti nascere, ma non rivelano il nome del giardiniere che li ha piantati. Ogni pagina di questo piccolo libro respira la fede e la semplicità del Medioevo. [...]. In effetti, nessun autore avrebbe potuto comporre questo libro. Compilato da una varietà di fonti, è come se fosse il lavoro di un intero secolo.

Nella sua prefazione, Manning sottolineava anche che i Fioretti non erano da considerarsi come “schizzi banali e superficiali, destinati solo a far conoscere al pubblico le austere virtù del chiostro”; piuttosto, le storie, nella "loro grande semplicità", erano "piene di forte dottrina, e adatte a uomini profondamente versati in teologia", e fornivano una lettura tipologica di episodi delle vite di San Luigi, di Santa Chiara e di San Francesco, riconoscendo l'illustre studioso francese, il professor Ozanam, come sua fonte. L’edizione di Manning era, infatti, fortemente debitrice di Frédéric Ozanam (1813-1853), un illustre studioso cattolico che aveva tradotto in francese una selezione dei Fioretti. Questa costituisce una parte del suo ampio studio storico-letterario sulle fonti, Poètes Franciscains en Italie au treizième siècle (1852), corrispondente al capitolo VII, intitolato “Les Petits fleurs de saint François”. Gli studi storici e letterari si fondono con l’impegno sociale in Ozanam, che fu anche fondatore della Società di San Vincenzo de’ Paoli. Questo duplice impegno emerge nei suoi studi sulla prima poesia francescana, dove vengono messi in evidenza il valore poetico e religioso della povertà. La povertà è vista anche come cifra stilistica da Ozanam, che elogia i Fioretti come vera poesia e vede nella prosa la forma più adatta a raccontare l’epopea dei poveri.  Non sorprende quindi scoprire che, tra le pale d'altare incontrate nelle sue cavalcate per i borghi umbri, abbia cercato quella in onore di Santa Zita.

    In Roadside Songs Ruskin dà un ruolo di primo piano a Santa Zita, serva e patrona di Lucca. Nei primi due numeri inserisce i disegni di Francesca e la "Ballata di Santa Zita", seguiti da una lunga nota sulla sua agiografia. Una serie di corrispondenze ci inducono a credere che Ruskin conoscesse l'opera e il pensiero di Ozanam. Studioso della poesia e dell'arte medievale e attivamente impegnato in opere di beneficenza, Ozaman aveva tutte le caratteristiche per attrarre l'interesse di Ruskin.

    L'opera di Frédéric Ozanam era stata introdotta in Inghilterra da Kathleen O'Meara nella sua biografia del 1876. Due anni dopo apparve una seconda edizione del libro con una prefazione di quindici pagine del cardinale Manning, in cui Manning faceva una vera e propria dichiarazione politica che era in effetti un appello ai cristiani europei e al clero all’azione. Il cardinale presentava Ozanam come “uno dei più brillanti della brillante schiera” di scrittori cattolici francesi del XIX secolo che aveva lasciato “un segno indelebile nel Paese”. Il suo contributo risiedeva nella proposta di una futura Repubblica d'Europa, un'idea nata dal "fascino" esercitato dalla cultura medievale unita alle moderne teorie socio-politiche. Le questioni che il cardinale Manning solleva nella sua Prefazione sono di importanza fondamentale per Ruskin, e possiamo immaginare il loro emergere negli scambi tra i due amici nei primi anni Ottanta del XIX secolo.

    Manning potrebbe essere stato il veicolo con cui Ruskin ha conosciuto Ozanam attraverso la biografia di O’Meara, e ulteriori echi nei Roadside Songs sembrano supportare questa ipotesi. Nell’introdurre i Fioretti, O’Meara riporta un velato riferimento di Ozanam alla moglie Adèle - che egli chiama la sua “Beatrice” - e alla sua “mano delicata” nel tradurre i “piccoli fiori”. È interessante notare che, nel riportare queste parole, O'Meara amplia la metafora floreale implicita nei Fioretti e li definisce come i "fiorellini profumati che crescevano nei punti più bassi lungo la strada". Si è tentati di immaginare che Roadside Songs of Tuscany possa essere stato ispirato dall'immagine di O'Meara. Un riferimento che sarebbe stato particolarmente appropriato per Francesca, la cui "mano delicata" non solo aveva trascritto e tradotto le poesie, ma le aveva anche illustrate con i suoi straordinari disegni floreali. La catena di connessioni e corrispondenze può essere letta come un'associazione di fiori e canzoni a più livelli che ha determinato la scelta di Ruskin del titolo finale del libro. Come sappiamo, i titoli delle ultime opere di Ruskin sono il risultato di processi semioscuri, densamente personali e altamente evocativi.

    L'eccitazione e un senso di inadeguatezza che Ruskin esprime nelle sue lettere su Roadside Songs dopo l’estate del 1883, quando aveva concepito il senso pieno del progetto, possono essere così messe in relazione con la complessità dell’impresa e la “santità” del modello dei Fioretti.

    Intorno al 10 maggio Ruskin riceve da Firenze il "Libro di Francesca". Il 13 condivide con lei il suo "sconcerto" per la sua bellezza e preziosità, confidando che “presto saprà quanto prezioso [diventerà] per un numero incalcolabile di persone”. Accennò alla necessità di cambiare la forma del manoscritto e, annunciando l'imminente pubblicazione de La storia di Ida, disse che una volta che Ida avesse cominciato a essere conosciuta avrebbe fatto conoscere "questo libro" a Oxford.

    La Storia di Ida è la prima opera di Francesca pubblicata da Ruskin e quella più aderente all’originale. Quando Ruskin vide per la prima volta il manoscritto, fu colpito dall'associazione tra la fragile fanciulla italiana e Rose La Touche, la giovanissima donna che amò in modo appassionato e disperato, che morì nel 1875. Ma a colpirlo fu anche il potenziale ecumenico della storia, come riferisce Francesca:

Parlò molto della mia piccola storia di Ida, che aveva appena letto, e mi lasciò senza fiato proponendomi di portarla via e di farla stampare. Disse che sarebbe stato un libro religioso molto utile [...] soprattutto per l'assenza di ogni sentimento settario in esso, e si rallegrò molto della forte amicizia e simpatia religiosa tra me e Ida, appartenenti come eravamo a due chiese diverse e solitamente opposte. E a proposito di questo, parlò con molta tristezza dell'inimicizia tra le diverse sette cristiane, dicendo che aveva conosciuto buoni cristiani, in tutte (e questa è anche la mia esperienza personale).

    La necessità di colmare la frattura tra le Chiese protestanti e cattoliche e di superare quella che considerava una delle maggiori barriere culturali che dividevano l'Europa dall'Inghilterra (e che dividevano la stessa Inghilterra), era una forte preoccupazione del tardo Ruskin, e il potenziale che trovò nell'opera di Francesca, una pia donna evangelica americana che raccoglieva le poesie religiose dei contadini cattolici, divenne gradualmente più chiaro. A questo punto, l’idea di conservare il manoscritto al St George’s Museum aveva lasciato il posto alla prospettiva di una pubblicazione - forse imminente – dell’opera. Nel frattempo, aveva ricevuto da Francesca i “brevi schizzi biografici” che dovevano accompagnare i disegni. Sebbene non ancora completamente definita, anche l'idea di una pubblicazione in forma seriale stava prendendo forma. Il 24 ottobre 1883 Fanny scrisse all’amica Lucy Woodbridge: “Una parte del libro delle Roadside Songs sarà stampata in numeri, ma non so quanto, né quando apparirà”.

    I dieci numeri di Roadside Songs of Tuscany apparvero tra l’aprile 1884 e l’agosto 1885. Ruskin lavorò intensamente a un numero alla volta, conquistando l'attenzione del pubblico passo dopo passo. Ognuno degli esili numeri era costituito da 25-30 pagine di materiali eterogenei: alcune canzoni popolari, due disegni e i bozzetti in prosa dei contadini di Francesca, ed infine alcune note dell’editore. Nel dicembre del 1884 erano usciti quattro numeri, suscitando delle perplessità nei recensori, che faticavano a definirlo. Un lungo articolo nell’Evening News and Star di novembre prevedeva che “una volta completata” l’opera sarebbe stata “probabilmente unica nel mondo dell’arte e delle lettere”. Quando l’intera opera apparve, nel settembre 1885, sotto forma di un volume cartonato in folio di 340 pagine, fu accolta come un “libro molto sontuoso” il cui interesse storico-sociale per il pubblico britannico era, secondo il recensore, compromesso dal formato difficilmente accessibile.

    Nel corso della redazione Ruskin aveva completamente riorganizzato il manoscritto di Francesca, selezionando i disegni e i canti popolari e cambiandone l’ordine, in modo da mettere al primo posto la Ballata di Santa Zita, invece dei due inni religiosi che aprivano il manoscritto, e chiudendo il libro con una versione della leggenda di San Cristoforo che aveva chiesto a Francesca di trasporre in prosa per rendere più chiaro il racconto. La sezione centrale comprendeva due lunghi canti religiosi - La Madonna e il ricco e La Madonna e la zingara - e il disegno di Francesca di Cristo e la donna di Samaria accompagnato da una nota del traduttore. Questi testi costituivano l’ossatura della raccolta, quella che potremmo definire la sua cornice cristiana, ed erano costruiti intorno ai disegni di Francesca. Ruskin attribuiva grande importanza alle persone che avevano posato per i disegni, gli "originali" - come li chiamava Francesca - della Madonna, della Samaritana, di San Cristoforo e della Zingara. Vedeva una risonanza nelle loro vite con gli episodi e le leggende del Vangelo di cui parlano le canzoni. Pensava alle loro storie come a nuovi Fioretti, storie di santi poveri e quotidiani, sopravvivenze di quello spirito monastico di cui era sulle tracce da qualche anno. Lo suggerisce la prefazione del curatore al primo numero, dove informa il lettore che Francesca aveva scelto i suoi modelli perché condividevano alcune “circostanze e abituali toni d’animo” con le figure dei santi che rappresentavano.

    Originariamente destinati solo a integrare i disegni, i brani sulla vita dei contadini costituiscono in realtà la parte più consistente di Roadside Songs of Tuscany: 136 su 340 pagine, circa due terzi dell’intero libro. Il loro rilievo è assicurato da un indice di ventuno nomi che apre il volume, in cui sono elencate le “Persone di cui si tratteggiano i caratteri, o si dà conto di alcuni passaggi della loro vita, a illustrazione dei canti di Toscana”. Gli schizzi in prosa sono riportati “nei termini colloquiali, o francamente epistolari, di Francesca stessa, come la migliore interpretazione delle leggende che lei fa rivivere per noi, in queste immagini nella loro esistenza vivente”. Ruskin insiste sulla corrispondenza tra i personaggi dipinti e quelli reali, che sono l’incarnazione dei personaggi delle ballate: la modella di Santa Zita, la santa serva, era in realtà una “perfetta serva contadina doverosa e felice”, che in realtà lavorava senza salario, e la zingara è in realtà una ragazza di sangue gitano che aveva salvato un ragazzino quando le altre donne non avevano dato prova di coraggio.

Ruskin afferma la prossimità, la corrispondenza tra personaggio e modello, come se i disegni fossero in realtà la prova della veridicità delle storie raccontate nelle poesie. Per questo commissiona a Francesca i particolari biografici dei modelli, i contadini. Questi ora accompagnano le poesie e, per Ruskin, sono più importanti del libro originale che illustrano. I brani biografici sono "porzioni di vita", che egli conserva nel libero stile colloquiale della lettera come la migliore interpretazione delle leggende che incarnano. (Opere XXXII, p. 54).

    Tuttavia, in Roadside Songs l’associazione tra un santo e il suo “originale” si rivela tutt’altro che sistematica; a volte è solo accennata, una mera suggestione, e a volte viene abbandonata a favore di un altro personaggio che nel quadro appare in modo sfocato e distante. Francesca ci racconta con voce narrativa sicura e assertiva di Gigia, Lucia Santi, Geminiano Amidei, Emilia, Paolina, dei loro fratelli, delle loro madri, delle loro cognate, dei loro vicini, dei loro asini: ricreando di fatto un’intera comunità. “Tuttavia”, scrive Ruskin a un certo punto, “non sto scrivendo una storia di Cutigliano, ma di Assunta, che abitava in una delle sue stradine ripide e strette, con gradini bassi, ma con bei giardini tra le vecchie case, e rose e gelsomini ai muri”. Ruskin, il maestro e mentore che educa Francesca al disegno, le conferisce anche lo status di narratore, incoraggiandola a scrivere un'infinità di storie che confluiranno nella successiva raccolta di racconti pubblicata a puntate con il titolo Christ's Folk in the Apennine (1887-1889).


Questi “pezzetti” in prosa si susseguono in ogni numero di Roadside Songs. Si crea così l'effetto di una comunità di persone con cui i lettori britannici familiarizzano gradualmente, come con i personaggi dei romanzi vittoriani a puntate. Si intrecciano anche con il gruppo di testi dei rispetti - canzoni più brevi composte da versi endecasillabi - e degli stornelli, brevi canzoni proverbiali di tre righe ciascuna incentrata su un fiore (ad esempio "Flower of the Pea", "Flower of the Maize"). Il disegno di Francesca – “sincero e vero come il sole; operoso, [...]; modesto e disinteressato, come sempre fu il lavoro del buon servo per l’amato padrone” - coglie e rende queste corrispondenze con “candore e mancanza di ostentazione”. È interessante notare che le ballate e i canti riportati e tradotti trattano tutti di incontri tra sconosciuti: la Madonna e il ricco, la Madonna e la zingara, così come il disegno di Cristo e la donna di Samaria. Inoltre, tutte le figure coinvolte in questi incontri sono donne, come modelli di benevolenza e accoglienza, e alla femminilità, nella raccolta, Ruskin attribuisce un "potere di guida".

    L'intervento editoriale di Ruskin è massiccio. Organizza l’opera in modo da dare rilievo alla cornice cristiana e ai ritratti e alle vite dei contadini, aggiungendo note utili ad orientare i testi e rendere il discorso rilevante per la Gran Bretagna contemporanea all’interno del più ampio contesto continentale. La lunga “Nota sul carattere degli zingari” è un duro attacco all’intolleranza britannica, in cui Ruskin indica la “saggezza molto più felice” dei contadini italiani dimostrando “quanto profondamente e crudelmente il disprezzo della razza zingara si fosse infisso nelle menti delle prospere classi medie della nostra isola, all’inizio del secolo”, riferendosi alla voce del 1797 dell'Encyclopædia Britannica.

    In concomitanza con la nascita dell’interesse per il mondo contadino a partire dagli anni Settanta del XIX secolo, Roadside Songs of Tuscany fu percepito come un’opera composita il cui interesse etnografico fu presto riconosciuto. Nell’assemblare i testi e le immagini, Ruskin compie un complesso atto di mediazione culturale attraverso molteplici processi di traduzione. Per trasmettere il senso di un’intera cultura che stava scomparendo, egli impiega una varietà di materiali per rappresentare quel mondo. Egli utilizza in forma sperimentale varie forme di traduzione: da quella interlinguistica a quella intersemiotica - che coinvolge musica, disegno, biografie, note di redazione - per cercare di rappresentare quello "spazio di realtà". Se la traduzione è un mezzo fondamentale di trasmissione culturale, l'uso di materiali eterogenei si è rivelato funzionale alla trasmissione di quella realtà: è un "fatto inevitabile", dice Lotman, "che lo spazio della realtà non può essere rappresentato da una sola lingua ma solo da un aggregato di lingue". (Lotman, Cultura ed esplosione, 2009, p. 2).

    È questo il complesso lavoro editoriale che ha prodotto il “sontuoso” libro a partire dai delicati fioretti di Francesca. L’intervento di Ruskin rimodella e trasforma profondamente il manoscritto originale, per lasciare che le sue “dramatis personae”, le voci e le forme dei contadini, prendano la scena. Il libro si chiude con due sezioni di lettere di Francesca che raccontano altre storie riportate dalla sua domestica Edwige, su donne e bambini, sulla vita familiare e sull’aiuto reciproco, sulla povertà e sulla carità. Il volume si conclude con la preghiera della sera che, assicura Francesca in una nota, tutti i contadini cantano ai loro bambini. È un finale appropriato per un libro che non voleva essere un monumento di una visione idealizzata della vita rurale, ma un memoriale di contadini toscani viventi che mirava a riaccendere, nella Gran Bretagna moderna, quel misticismo della vita quotidiana che Ruskin vedeva come il nucleo dell'eredità del primo monachesimo che ricercava all'inizio del suo viaggio del 1882.



Mascolinizzazione della "Patria": analizzare The Home and the World di Rabindranath Tagore attraverso una lente ecofemminista - Pritha Chakraborty



La presentazione si propone di affrontare il concetto di "Patria" come percepito nel testo di The Home and the World di Rabindranath Tagore. Mira a esaminare il concetto di "casa" e il "mondo" e come ha un impatto diretto sulle donne della nazione. Mira a far emergere le ideologie ipocrite del nazionalista sulla scia del movimento di lotta per la libertà dell'India. Mostra come il Bengala del diciannovesimo secolo abbia visto l'emergere di nazionalisti fanatici che hanno creato un'immagine della nazione come una patria e hanno inciso il nome "Bharat Mata" associato alla massa continentale. Ironia della sorte, è stata questa madrepatria ad essere sistematicamente erosa sulla base del fanatismo religioso, del comunalismo e di un grido fanatico dei nazionalisti che hanno lavorato nella politica di inclusione ed esclusione dei membri della nazione. I criteri di appartenenza a una nazione erano basati sull'assimilazione culturale, la tradizione comune, la lingua e così via. In India, il concetto di nazionalismo è stato costruito sulla civiltà vedica che affermava che l'India è una nazione per gli indù e dagli indù. È questa esclusione sistematica di alcuni membri della società dal processo di costruzione della nazione che viene messa in discussione e interrogata di nuovo. Da un lato, alle donne veniva attribuito lo status di Dea e 'Shakti' e dall'altro, era questa 'Shakti' che veniva infranta e violata nelle mani dei poteri maschili dello stato che volevano che la nazione fosse costruita come secondo le proprie ideologie. Usando il concetto di "mascolinizzazione della madrepatria" di Vandana Shiva, mira a mostrare come la nazione si stesse spostando verso la "patria" dal cosiddetto culto materno idolatrato della nazione mentre tutti i poteri del processo di costruzione della nazione erano posti nel mani degli uomini fanatici che hanno tentato di difendere l'onore della madrepatria.
Il documento mostra Bimala, la protagonista femminile del romanzo divisa tra le ideologie del concetto ottocentesco di "Bhadra Mahila" e l'associazione della sua femminilità con "Madre India". Il Bengala del diciannovesimo secolo era in procinto di illuminare le loro donne con l'istruzione occidentale e verso la metà del secolo il nazionalismo indiano iniziò a provare un senso di superiorità tra le loro donne e voleva che si ritirassero dal mondo e portassero tutta la loro attenzione al loro domestico. In un contesto simile, Kundamala Debi aveva consigliato alle donne: “Se hai acquisito una vera conoscenza, allora non dare posto nel tuo cuore a un comportamento simile a un memsahib. Questo non si addice a una casalinga bengalese. Guarda come una donna istruita può svolgere i lavori domestici in modo ponderato e sistematico in un modo sconosciuto a una donna ignorante e non istruita. E guarda come se Dio non ci avesse assegnato questo posto nella casa, come sarebbe un posto infelice il mondo”. (qtd in Chatterjee 129). Un'idea simile era radicata nell'ideologia di Bimala. La sua ideologia della femminilità era associata alle "virtù femminili". Considerava i doveri verso suo marito Nikhil come il suo unico motivo di vita e lo adorava. Commenta che quando prendeva la polvere dei piedi di suo marito senza svegliarlo, in quei momenti poteva "sentire il segno vermiglio sulla sua (mia) fronte risplendere come una stella mattutina" (20). Questo la mostra come direttamente attaccata al concetto di donne "casalinghe".
Tuttavia, più avanti nel romanzo, l'emergere di Sandeep come leader nazionalista incuriosisce Bimala.
Le sue parole entusiaste sulla rivendicazione della nazione dalle grinfie del potere occidentale motivano Bimala a schierarsi con lui. Inoltre, la sua etichettatura di lei come "Queen Bee" e "Mother Goddess" diventa problematizzata nel concetto di nazionalità. Bimala è facilmente sbalordito dalle voci carismatiche di libertà che Sandip mira a raggiungere in nome di Swadeshi. Afferma: “Tu sei l'ape regina del nostro alveare e noi lavoratori ci raduneremo intorno a te. Tu sarai il nostro centro, la nostra ispirazione” (47). Bimala rimane incantata dal concetto di libertà che non riguarda solo la terra ma anche se stessa. La sua porta verso la libertà è stata aperta dallo stesso marito, che voleva che lei aprisse la sua mente e cercasse la propria individualità. Sandip con la sua orazione poetica traduce la politica di Swadeshi nel suo essere e ne costruisce un piedistallo collegandola all'immagine della divina Shakti attorno alla quale il mondo ruoterebbe. Mette simbolicamente in relazione la terra emergente con il potere di Shakti e saluta la nazione come "Bande Mataram". Tuttavia, "Hail Mother" diventa per lui una frase a più livelli per intrappolare Bimala nella lotta per la pseudo-libertà della nazione. La lotta nazionalista per la libertà diventa un'impresa maschile dove nelle parole di Vandana Shiva, “Una politica di esclusione e violenza è costruita in nome del nazionalismo. La mascolinizzazione della patria comporta quindi l'eliminazione di tutte le associazioni di forza con il femminile e con la diversità” (111).
Nel discorso nazionalista, come le donne dell'epoca, la terra è percepita come "l'altro" che aveva bisogno di protezione dai suoi "figli virili". Tale protezione è fornita da figure maschili attraverso il mezzo della violenza e dei conflitti armati. Tagore vedeva il nazionalismo come un'idea dell'Occidente, organizzato da alcuni programmi egoistici di persone fanatiche che volevano sfruttare tutte le altre comunità per i propri guadagni egoistici. Shiva osserva: “Hindutva, è stato ripetutamente affermato, è l'ideologia di un'India modernizzante. Tuttavia, mentre si stanno sviluppando, la liberalizzazione e la modernizzazione si basano sulla rottura di ogni legame con la madrepatria. La musicalizzazione della madrepatria porta alla scomparsa della madrepatria dai cuori e dalle menti delle persone” (111).
Il romanzo sembra chiaramente ritrarre la nazione come un oggetto che deve essere saccheggiato, strappato e vinto con la forza. Sandeep è l'incarnazione di tale violenza in cui la nazione diventa una mera cosa da saccheggiare per ottenere la sua libertà, il che è in netto contrasto con l'ideologia del suo amico Nikhil, che crede in una nazione onnicomprensiva che non è divisa o violata. sulla base di un nazionalismo aggressivo, come afferma: “Usare la forza? Ma per cosa? Può la forza prevalere sulla Verità? (100) L'onestà e l'idealismo di Nikhil sono in contrasto con l'astuzia e il narcisismo flagrante di Sandip. Secondo le sue ideologie machiavelliche, “Non c'è tempo per i bei scrupoli... Dobbiamo essere risoluti, irragionevolmente, brutali. Dobbiamo peccare» (50). La nazione, quindi, diventa l'incarnazione di una donna che è sopraffatta dalla mascolinità e viene strappata alla sua femminilità ideale conducendola verso la via dell'infedeltà. Come nota Paola Bachetta, per due dei leader spirituali dell'India, Rama Krishna e Aurobindo, la madre come simbolo del Paese era carica di amore per tutti i loro figli, in tutta la loro diversità. Tuttavia, Hindutva Bharat Mata ha dovuto essere "salvata" dai suoi "figli virili" che usano mezzi di inganno e mezzi illegali e promuovono il concetto di colonialismo per raggiungere il loro fine. Sandip è così atroce e avido nell'accumulare ricchezze materiali in nome della costruzione di una nazione che non esita a incoraggiare la moglie del suo amico a derubare il proprio marito per il bene della nazione. Tagore in questo contesto ha definito la costruzione della nazione come il più grande male per la civiltà poiché si basa su dinamiche di potere e coercizione che si concentrano semplicemente sull'accumulo di ricchezza e sul manifestare terrore su individui innocenti della nazione.
                   

l'India del diciannovesimo secolo era basata sulla mascolinità egemonica in cui l'onore degli uomini era significativamente correlato alla loro prova di mascolinità egemonica. Ciò include il mantenimento della loro cavalleria e del loro onore limitando il confine tra le donne e la nazione e consentendo loro di funzionare secondo il manuale di istruzioni degli uomini e la potente politica che ruota attorno a loro. Peterson osserva: “La patria è il corpo di una donna e come tale è sempre in pericolo di violazione da parte di maschi 'stranieri'. Difendere le sue frontiere e il suo onore richiede una vigilanza implacabile e il sacrificio di innumerevoli cittadini guerrieri…” (80). In questo contesto, si può notare che l'approccio di Sandip e i suoi falsi discorsi oratori per istigare Bimala a violare la propria "casa" contrasta paradossalmente con il motivo di liberare il paese dalle grinfie del colonialismo. Benedict Anderson osserva che una nazione è una "comunità immaginata". Sostiene chiaramente il fatto che una nazione che aderisce interamente alle ideologie e alle credenze dominanti e sostiene il sistema di inclusione ed esclusione è destinata a essere uno sforzo immaginario e non ci si aspetta che ne venga tratto nulla di concreto. Il grido di Sandip al nazionalismo rimane un grido vuoto, privo di devozione e basato esclusivamente su guadagni personali. La sua teoria del boicottaggio delle merci straniere e del costringere gli innocenti abitanti del villaggio a rinunciare al loro commercio era una fonte di violenza oltraggiosa nel nome della liberazione del paese dal dominio straniero. Il suo concetto di nazionalismo era pretenzioso e divenne dannoso per gli indù e i musulmani della nazione. Aveva provocato i giovani del villaggio di Nikhil a imporre la violenza contro i vicini poveri e innocenti in modo che fossero terrorizzati nell'accettare il suo stesso concetto di nazione. Come notato da Leonard A. Gordon, “Il movimento nazionalista indiano così come si sviluppò nel Bengala durante l'ultimo quarto del diciannovesimo secolo era dominato da indù di alta casta... ma i musulmani del Bengala erano rimasti indietro rispetto agli indù nell'istruzione, nelle professioni e i servizi governativi. La maggior parte dei musulmani erano coltivatori di classe inferiore nei distretti orientali del Bengala vero e proprio” (278). Mentre per Nikhilesh l'idea di Swadeshi implicava l'inclusione di tutte le comunità della nazione, l'idea incentrata sulla religione di Sandeep e l'ulteriore esclusione di una certa sezione di persone dall'unire le mani per liberare la madrepatria hanno rappresentato un fallimento del progetto nazionalista. Anita Desai in questo contesto sottolinea che Sandip “non assomiglia tanto al convenzionale mascalzone del palcoscenico indiano o del cinema di Bombay, che si accarezza i baffi a manubrio mentre gongola davanti a una borsa d'oro e a una fanciulla rannicchiata” (55). Il corpo di Bimala rappresenta quindi un luogo di guerra e un possesso da saccheggiare e saccheggiare in nome della salvezza della nazione. Rivendicarla attraverso falsi discorsi oratori agisce come mezzo di strumentalizzazione del genere. La sua rappresentazione come "Dea Madre" le fa pensare che sia suo dovere proteggere l'onore della nazione. L'erotizzazione della nazione rispetto al corpo delle donne non solo le pone all'interno dell'idea di nazionale, ma le rende anche portatrici di culture e quindi più vulnerabili alla violenza. La loro inclusione nel conflitto serve come mezzo per influenzare la generazione futura e coinvolgerla nel grido fanatico per la liberazione della nazione. Mrinalini Sinha afferma che le donne hanno l'onere di bilanciare la "tradizione" (22) della tradizione precoloniale e della modernità postcoloniale. Ci si aspetta che cerchino la modernità con l'astuzia della tradizione, dove lei agisce come sostenitrice e preservatrice della cultura. Bimala è considerata l'appassionata sostenitrice di questa tradizione in cui la sua preferenza per la casa è una presentazione paradigmatica dell'armonia che cerca attraverso l'aspetto devozionale della femminilità. La sua storia inizia con la sua dedizione verso la sua casa e finisce con il ritorno ai modi di casa dopo aver visto attraverso i motivi malvagi di Sandip.
L'intera idea di appartenenza a una nazione diventa di genere dove ci si aspetta che gli uomini siano mascolini e mostrino tratti masochistici nel salvare la nazione mentre le donne dovrebbero essere sacrificali, fedeli e pure. In Burdens of Nationalism, Uma Chakravarti menziona come in Sri Lanka, gli uomini fossero quelli che partecipavano ai conflitti armati, mentre ci si aspettava che le donne attribuissero valori sentimentali e soffrissero per la perdita. La creazione dell'idea delle donne come madri ha collegato loro il concetto di riproduzione in cui sono legate a un costrutto eterosessuale che le subordina solo. Sebbene Bimala come moglie rispettosa e responsabile sia stata attratta dalla seduzione di Sandeep e dal suo confronto con la Dea Madre, la eleva a un piedistallo dove è ispirata a convincere il proprio marito ad adottare i mezzi violenti e sostenere Sandeep nel bruciare il beni stranieri a favore di beni swadeshi edificanti, è divisa tra la "casa" e il "mondo" in cui è il suo "zenana" con cui si connette e a cui vuole tornare fino a quando non è troppo tardi e Nikhilesh viene coinvolta la turbolenta violenza nella nazione. Significa quindi che in nome della nazione e del nazionalismo, le donne sono intrappolate tra il fervore della politica degli uomini dove lei rimane un burattino nelle loro mani proprio come il paese è destinato a soffrire per mano della politica violenta come osserva Maria Miles, “Dall'inizio del moderno stato-nazione (le patrie) le donne sono state colonizzate. Ciò significa che il moderno stato-nazione controllava necessariamente la loro sessualità, la loro fertilità e la loro capacità lavorativa o forza-lavoro. Ed è questa colonizzazione che costituisce il fondamento di quella che oggi viene chiamata "società civile". La militarizzazione degli uomini in nome della costruzione della nazione non colpisce solo le donne di altre comunità, ma anche le donne della propria comunità» (27).
Il grido di Bankim Chandra Chatterjee per l'India indipendente attraverso la canzone nazionale di "Bande Mataram" nel suo famoso romanzo Anandamath (1882) in cui la madrepatria è lodata al massimo per essere portatrice di una ricca cultura e patrimonio, si sposta sistematicamente allo "stato padre" attraverso l'inizio del secolo in cui "Patria", che inizialmente si riferiva al Bengala, si spostò in India e il paese fu "violentato" in nome del nazionalismo. Il ricco patrimonio culturale della nazione fu diviso tra diverse comunità quando i semi del comunalismo iniziarono a violare la nazione con la divisione del Bengala nel 1905, dove le aree orientali in gran parte musulmane furono separate dalle aree occidentali in gran parte indù. Nikhilesh come portavoce di Tagore nel romanzo, parla dell'unione di indù e musulmani nella lotta contro il colonialismo in contrasto con il punto di vista di Sandeep di escludere i musulmani dagli sforzi nazionalistici, poiché secondo lui il Bengala era solo la terra degli indù . Tale polarizzazione della nazione in nome del bigottismo e della religione ha portato all'ulteriore disintegrazione di una "patria" in cui la guerra ha costituito la creazione di un paese maschile privo di umanità e devozione. Tagore nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel osserva: “Dobbiamo scoprire l'unità più profonda, l'unità spirituale tra le diverse razze. L'uomo non deve combattere con altre razze umane, altri individui umani, ma il suo compito è portare la riconciliazione e la pace e ristabilire i legami dell'amicizia e dell'amore” (Arun).
In nome del nazionalismo arriva la distruzione della terra da cui migliaia di persone sono state sradicate, la terra è testimone di violenze comunitarie, omicidi di massa, morte di persone innocenti e divisione della nazione in nome della religione.
In un contesto simile, osserva Shiva, “il malsviluppo è visto qui come un processo mediante il quale la società umana emargina il gioco del principio femminile nella natura e nella società. Il crollo ecologico e la disuguaglianza sociale sono intrinsecamente legati al paradigma di sviluppo dominante che pone l'uomo contro la natura e le donne” (46). Il modo estremista di boicottare le merci britanniche ha provocato grandi difficoltà per i piccoli commercianti e contadini rurali, la maggior parte dei quali erano musulmani e indù di bassa casta. La costruzione di Chandranath Babu da parte di Tagore nel romanzo era basata sulla figura di Ashwini Kumar Dutta del Bengala, il cui sostegno allo sviluppo rurale era da lui fortemente ammirato.
L'erotizzazione della Nazione con l'amante diventa l'aspetto più inquietante del romanzo.
Sandeep riunisce l'amante e la madrepatria; Bimala e il Paese diventano una cosa sola. Come nota Tanika Sarkar nel suo lavoro, "L'emozione che anima entrambi, e l'emozione che evocano, sono chiaramente erotici... La madre protegge, l'amante conduce alla distruzione" (35).

Sebbene il romanzo parli di politica che riguarda la devozione alla Patria e l'appello a "Bande Mataram" che significa un saluto alla Patria, non c'è una madre single nel testo né è visibile la vera devozione verso un personaggio femminile. È questa ironica promessa di sviluppo della nazione attraverso i mezzi di bottino, rapina, falsa devozione e forza che il romanzo critica. In un contesto simile, Shiva commenta: “…sotto il nome di sviluppo, è un processo di malsviluppo, una fonte di violenza per le donne e la natura in tutto il mondo. Questa violenza non nasce dall'errata applicazione di un modello altrimenti benigno e neutrale rispetto al genere, ma è radicata nei presupposti patriarcali di omogeneità, dominio e centralizzazione che sono alla base dei modelli dominanti di pensiero e delle strategie di sviluppo” (44). Pertanto, portando in primo piano le donne emarginate, è un tentativo da parte del romanziere di preservare la "Terra Madre" che richiede amore, cura e umanità e riportarla dalle grinfie degli sforzi maschili. Il ritorno di Bimala dal marito alla fine del romanzo simboleggia in un certo senso il radicamento del principio femminile nel contesto della nazione e lo sviluppo della terra che comporta attraverso il processo, come osserva Vandana Shiva nelle sue parole: “Le loro voci sono le voci della liberazione e della trasformazione che forniscono nuove categorie di pensiero e nuove direzioni esplorative... l'esperienza mostra che l'ecologia e il femminismo possono combinarsi nel recupero del principio femminile e, attraverso questo recupero, possono ristrutturare e trasformare intellettualmente e politicamente il malsviluppo” (45) .


BIBLIOGRAFIA
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Tagore, Rabindranath. The Home and the World. Penguin Classics, 2005.



Il leone Marzocco fiorentino nella poesia politica e civile trecentesca minore di area toscana, similitudini con il contesto indiano - Marialaura Pancini

Il leone fin dall’antichità ha esercitato un certo fascino nell’immaginario umano divenendo oggetto di una serie innumerevole di similitudini, metafore e immagini simboliche che attraversano le culture, le aree geografiche e le epoche. Se si osserva il panorama della poesia politica e civile trecentesca minore di area toscana si può vedere che il leone come simbolo della città di Firenze è molto presente nel repertorio tematico dei rimatori toscani, in particolare fiorentini. Lo scopo di questa presentazione è quello, in primo luogo, grazie all’utilizzo di testi concreti afferenti al genere della poesia politica e civile trecentesca minore di area toscana, di delineare quella che è la considerazione che si ha del leone e la simbologia che è legata a questo animale in questo contesto storico e geografico. In secondo luogo, si evidenzieranno quelle che sono le similitudini tra l’immagine del leone nel contesto toscano medievale fiorentino e la simbologia che il contesto indiano attribuisce.
Appare a questo punto necessario premettere che si tratta di una selezione di testi arbitraria, fatta sulla base del criterio di eterogeneità, rappresentatività e ampiezza dell’argomento, si è scelto, infatti, di dare maggiore importanza ai testi nei quali si fa ampiamente riferimento al leone Marzocco fiorentino. Per non essere troppo prolissi e non allontanarsi troppo dal focus fiorentino della presentazione e del convegno, si eviterà di citare tutti i casi – anche se questi sono numerosi- di riferimenti brevi e poco significativi al leone come metafore, frasi gnomiche etc. che non hanno una vera e propria tematizzazione nel testo, ma sono solamente costrutti fissi popolari.
Si esamineranno, quindi, una serie di casi concreti nei quali si fa riferimento al leone come simbolo della città di Firenze rappresentato attraverso il leone Marzocco.
Il sonetto Il lion di Firenze è migliorato  viene scritto in occasione dell’acquisto da parte di Firenze di Arezzo. Il sonetto anonimo gioca con gli animali araldici presenti nei gonfaloni delle città toscane e nasconde, dietro riferimenti a prima vista zoologici, la narrazione delle vicende politiche di quegli ultimi anni. La prima quartina, attraverso l’animale simbolo di Firenze, il leone marzocco, ora «migliorato» v.1 dopo che «lungo tempo è stato in malattia» v.2, descrive i trascorsi della città di Firenze. La città, dopo le sconfitte subite dalla ghibellina Pisa di Uguccione della Faggiola (1315) e dopo il periodo dell’infruttuosa signoria di Carlo, Duca di Calabria (1325), a questa altezza cronologica riprende la sua politica di espansione verso le zone limitrofe, Arezzo è proprio una di queste . La quartina in questione esalta la conquista della città di Arezzo, rappresentata attraverso il «Cavallo sfrenato» elemento caratteristico del gonfalone aretino , attraverso tale azione la città di Firenze vede compiersi la sua signoria, il suo potere su Arezzo. Si allude anche al compimento di una profezia «che Daniello aveva profetizzato» v. 8 e che ora è «tutta adempiuta» v. 7.  I versi potrebbero riferirsi al libro di Daniele, nel quale viene descritto un sogno, dove sono protagoniste quattro bestie, la prima bestia ha figura leonina con ali d’aquila, la seconda bestia figura di orsa, la terza di leopardo, la quarta è una bestia senza un preciso referente reale, ha molte corna e distrugge tutto ciò che trova. La quarta bestia viene «uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare sul fuoco. Alle altre bestie fu tolto il potere e fu loro concesso di prolungare la vita fino a un termine stabilito di tempo.» . Secondo l’interpretazione, che segue nel libro, le quattro bestie rappresentano quattro re che si succedono nel tempo, nonostante le prime bestie rappresentate nel libro di Daniele, il leone e l’orsa trovino corrispondenza con i versi resta però piuttosto oscuro il collegamento tematico, non è quindi certo il riferimento. Nella terzina che segue si fa riferimento, attraverso i loro animali araldici, alle città toscane rimaste a guardare il crescere della potenza fiorentina. Siena viene rappresentata come una lupa ferita «scorticata» v. 9  e Pistoia come un’«Orsa» v. 9, entrambe colpite dalla «branca»  v. 10 del leone fiorentino, che si è appropriato della città di Arezzo, e ha inoltre con questo gesto messo in fuga le altre bestie  ovvero ha fatto arretrare le altre città toscane dalle loro posizioni espansionistiche e di potere nella zona, dimostrando la propria forza leonina. Nell’ultima quartina torna il tema della profezia di Daniello del v. 8, questa si avvererà se il leone fiorentino continuerà a fare «borsa» delle pelli «cuoi» v. 13 degli animali che rappresentano le città toscane, se quindi la città di Firenze affermerà la propria egemonia sulla Toscana. La cauda è un avvertimento, posto in forma proverbiale, che suggerisce di stare attenti alle persone alle quali si è avuto fretta di commettere torti, perché in breve tempo queste presenteranno la loro vendetta . Questa conclusione gnomica potrebbe essere indirizzata o alla stessa città di Firenze, invitandola a rimanere vigile su una possibile vendetta della città toscane, oppure potrebbe anche essere riferita alla vendetta che i fiorentini hanno attuato, dopo le sconfitte subite nei primi anni del secolo ad opera dei baluardi ghibellini Uguccione della Faggiola e Castruccio Castracani.
Proprio in seguito alla compera di Arezzo da parte di Firenze del 1385 Antonio Pucci e Franco Sacchetti, autori fiorentini molto attivi nella scena politica della loro città, si scambiano una tenzone in commento alla vicenda. Il primo a dare avvio alla corrispondenza è Antonio Pucci, che scrive e indirizza a Franco Sacchetti il sonetto Il veltro e l’orsa e ‘l cavallo sfrenato . Il sonetto ricorda molto il testo analizzato in precedenza Il lion di Firenze, dove i riferimenti alle città toscane sono tutti espressi mediante gli animali simbolo di queste. Nella prima quartina, Pucci descrive la situazione di alleanza «parentado» v. 2 tra Volterra: il veltro , l’orsa: Pistoia e il cavallo sfrenato, ovvero Arezzo, e Firenze: il leone. Anche Il lion di Firenze utilizza gli stessi riferimenti per Pistoia e Arezzo «l’Orsa» v. 9 e «il Cavallo sfrenato» v. 4. Pucci conclude la quartina ricordando Pisa: la volpe; il toro: Lucca; Siena: la lupa e il grifone perugino  alcune di queste città che menziona sono poco turbate per l’accrescimento del potere fiorentino, altre, invece, lo sono «molto» v. 4. La seconda quartina, si incentra tutta su un riferimento ai tempi passati della guerra tra Firenze e Pisa per la presa di Lucca del 1342. C’è infatti un discorso diretto pronunciato dalla stessa volpe pisana che rammenta la «tencione» v. 6 avuta con il leone fiorentino perché «contra ragione» v. 7 Pisa «volea pigliar […] / il toro» vv. 7-8. Il riferimento all’intrusione senza averne diritto di Pisa nella compravendita di Lucca torna anche negli altri testi di Pucci dove è trattata la vicenda. Seguono poi i discorsi degli altri animali menzionati che rappresentano le città: la lupa Siena, che esprime il suo dubbio per quanto riguarda l’origine del suo cattivo rapporto con il leone fiorentino. Il grifone di Perugia esprime invece la sua gioia per essere da sempre «amico» v. 13 del leone fiorentino, il rimando, come sottolinea anche Ageno , potrebbe verosimilmente essere alla Guerra degli Otto Santi durante la quale Perugia si ribella all’abate Géraud Dupuy, vicario papale nell’amministrazione della città sottoposta al dominio pontificio. Lo stesso Pucci descrive infatti dettagliatamente la ribellione della città e la cacciata di Dupuy nel suo Cantare della guerra degli Otto Santi, anche Franco Sacchetti fa riferimento a Dupuy come il «porco monacese» v. 127 nella sua canzone Hercole già di Libia ancor risplende. In conclusione, Pucci si rivolge all’altro poeta e chiede il suo parere sulla questione appena trattata.
Franco Sacchetti risponde per le rime alla sollecitazione dell’amico ed esprime il proprio parere con Se quella leonina ov’io son nato , riprendendo il sonetto di Pucci fa riferimento a Firenze come «quella leonina» v. 1 dove lo stesso autore è nato. La sua risposta è però molto critica nei confronti dell’atteggiamento fiorentino. Sacchetti accusa, infatti, Firenze di non essere governata in maniera tale da poter garantire il benessere per i suoi cittadini, che dall’altro lato si sono sempre dimostrati a lei fedeli. Sacchetti accusa direttamente la città di non contraccambiare i suoi concittadini dello stesso amore che questi le hanno riversato in passato. Secondo l’autore è questa la ragione per cui le altre città «ogni animale che hai narrato» v. 5 si astengono dal sottomettersi alla città del giglio «verebbe sotto al florido pennone» v. 6, per quanto riguarda l’utilizzo dell’aggettivo florido, al di là del riferimento alla prosperità ci potrebbe essere un rimando etimologico con il nome di Firenze, questo aggettivo è utilizzato da Sacchetti anche in altri contesti sempre riferendosi a Firenze . Nella seconda quartina Sacchetti chiarisce ulteriormente il motivo del suo risentimento nei confronti di Firenze: delle persone disoneste e incivili «rei villani» v. 7 attraverso menzogne «con falso sermone» v. 7 si stanno allontanando sempre più dall’esempio morale dei celebri «Bruto, Scipïone e Cato» v. 8, non è un caso che vengano citati tre autori romani, in questo periodo cronologico è infatti diffusa l’esaltazione della romanitas fiorentina, che trae base dalle origini fiesolane della città e vede Firenze come nuova Roma . Le terzine mostrano un crescendo della disperazione del poeta che rimanda nella prima terzina al credo cattolico, «nessun conosce grazia da Colui / ch’ognora in essa tiene la mente pia» vv. 10-11. Questa coppia di versi appare speculare nella struttura ai vv. 1-4, in questa prima quartina Sacchetti accusa Firenze di ingratitudine verso i cittadini che per lei si dimostrano fedeli, allo stesso modo nei vv. 10-11 Sacchetti accusa con un generico «nessun» v. 10 di non mostrare gratitudine verso colui che costantemente «ognora» v. 11 tiene conto della città: Dio. In questo caso è presente un rovesciamento con la narrazione che lo stesso Sacchetti fa, circa un decennio prima, (1375-1378) della città durante la guerra degli Otto Santi, dove Firenze è sempre fedele al divino e ai suoi precetti e assume il ruolo, intriso di senso biblico, di pastore e guida delle città ribelli in fuga dagli ecclesiastici erranti rispetto ai valori divini paragonati ai Faraoni. Nell’ultima terzina torna, come nell’ultima quartina, il riferimento al tradimento della romanitas fiorentina. Sono infatti silenti e assenti personaggi come Cicerone, Curio e Silla, citati per antonomasia, chi governa adesso, infatti non vanta un’ascendenza nota. Ageno in proposito segnala un possibile riferimento al tumulto dei Ciompi del 1378 e alle nuove arti dei farsettai e dei tintori proclamate in quell’occasione, ma dopo poco abolite . Il riferimento al tradimento dei valori della romanitas è tematica centrale della canzone di Bindo di Cione del Frate Quella virtù, che ‘l terzo cielo infonde dove attraverso un sogno appare Roma nei panni di donna anziana che si lamenta per lo stato nel quale riversa adesso la sua discendenza. Oltre al riferimento tematico nella canzone ricorrono, insieme a molti altri exempla di virtù, anche i nomi di Bruto, Scipione e Catone, menzionati da Sacchetti.   
I versi conclusivi di Fiorenza mïa, poi che disfatt’hai , dello stesso Franco Sacchetti, fanno riferimento allo stesso modo a Firenze attraverso il suo animale simbolo che ricorre frequentemente nei testi presi in esame: il leone marzocco, al quale la famiglia degli Ubaldini aveva per anni creato problemi «dispettando» v. 47. Sacchetti gioca inoltre sul significato figurato del verbo sommergere e sull’accostamento del marzocco al golfo del Leone, per precisare la fine che invece ha poi fatto la famiglia «dispettando il leone, / che gli ha sommersi, e non nel mar Leone» vv. 47-48. La stanza successiva prosegue, sulla scia dei versi precedenti, questo gioco sulla parola leone riferendosi a «Castel Leone» v. 49 nome con il quale si identificava l’attuale Lévane , occupato dagli Ubaldini dal dicembre 1372 al giugno 1373, che avevano con disonestà «di furto avendol preso» v. 50 ai fiorentini. Riprendendo il tema del v. 3 «superba» si giustifica tale irriverenza come mossa dalla stessa superbia «tant'era su montata lor superba» v. 51 della famiglia. I vv. 52-54 tornano sul leone fiorentino, elogiandone la superiorità «mag[g]ior leone» v. 52 e le azioni di conquista.
Altri casi, significativi, nei quali si fa riferimento a Firenze tramite il leone sono il v. 39 di Deh, angeli ed arcangeli con truoni  di Antonio Pucci, dove il riferimento alle città viene espresso attraverso gli animali simbolici che li rappresentano il leone per Firenze, e la volpe per Pisa.
Anche in O Signor mio ch’agli apostoli tuoi , Pucci conclude fornendo le coordinate temporali della vicenda ai lettori «Contato v’ho di fino a mezzo luglio / de l’anno sopradetto» v. IV.32.1-2 e descrivendo - attraverso una metafora zoologica che vede protagonisti gli animali simboli delle città toscane: il leone per Firenze e la volpe per Pisa - la situazione attuale, lasciando trapelare qualche anticipazione di quello che seguirà. Il leone fiorentino e la volpe pisana si trovano ora uno di fronte all’altro a trattare per una pace, i pisani sono però come di consueto inclini all’inganno, i fiorentini dal lato loro non sono per nulla sciocchi, verranno ingannati solo a causa della loro lealtà.
Allo stesso modo anche il cantare O indivisa etterna Ternitade  dello stesso Pucci anticipa in chiusura quello che seguirà nel cantare successivo della serie dei cantari della Guerra di Pisa, Pucci alimenta le aspettative del pubblico annunciando quello che avverrà «Or vi dirò s’ come di ragione / seppe la volpe qui più che [‘l] leone» v. V.17. 7-8. Il cantare successivo, di conseguenza, fa riferimento al tradimento del leone fiorentino «la volpe a∙leon diè mala strenna / ch’avendol’ quasi a la pace promosso / e leopardi gli mandòne adosso» v. VI.12.6. 
Interessante a proposito è anche il sonetto O Pisa, vituperio delle genti  di Filippo dei Bardi. L’autore si rivolge alla stessa Pisa ricordandole che nemmeno Dio la salverà dalle grinfie del leone fiorentino «E non ti val chiamar quell’alto Teta» v. 4. Il leone viene rappresentato in tutta la sua rabbia e maestosità che con i suoi attributi «denti» v. 5; «artigli possenti» v. 7 è intento senza freno a spargere il sangue pisano «che no si cheta / Perché abbia rossi gli artigli possenti / Del sangue de’ tuoi fi’ con tanta pieta» vv. 6-8.
La tenzone  che vede coinvolti il lucchese Pietro de’ Faitinelli e un anonimo rimatore pisano è molto interessante perché vede il confronto diretto tra due autori divisi in quel momento dall’assedio. Lo scambio di sonetti risale infatti al periodo che va dal 25 settembre 1341 e il 2 ottobre dello stesso anno, periodo nel quale Firenze occupa la città di Lucca non avendo ancora subìto la sconfitta di Monte san Quirino e non avendo ancora lasciato Lucca in mano pisana . Come nota Aldinucci , il sonetto di mano di Faitinelli, Mugghiando va il Leon pel la foresta , ricorda il sonetto analizzato Il lion di Firenze è migliorato, e si basa come quest’ultimo sugli animali simbolo delle città toscane. La città di Firenze, il leone , gioisce per la recente conquista di Arezzo, il Cavallo disfrenato ,  e ha sotto di sé anche Pistoia, l’orsa . Firenze aveva ottenuto, infatti Arezzo nel 1336 come testimonia il sonetto Il lion di Firenze è migliorato, anche la città di Pistoia è parte dal 1331 della sfera di influenza fiorentina . Nei versi successivi, vv. 5-8, entra in scena Lucca, la Pantera, dotata di un alito ammaliatore  che «presta» v. 5 questa sua peculiarità al leone fiorentino permettendogli così di attrarre a sé i comuni toscani . L’appoggio lucchese dei fiorentini si dimostra vantaggioso anche in termini geopolitici, l’aver ottenuto Lucca da Mastino della Scala permette a Firenze di «accerchiare il territorio di Pisa da ogni parte» . Dopo l’allusione al vantaggio che ottiene Firenze sui pisani ecco che nei versi successivi anche la Lepre pisana fa la sua comparsa nel testo, Pisa farà bene a stare attenta dal momento che oltre alle città sopra citate anche Siena, la Lupa, si è alleata con Firenze in prospettiva anti-pisana . La metafora «il Leon e la Lupa odi ch’han fatto: / tes’han le reti e vogliolla pigliare» vv. 10-11, usata per rappresentare le trame che Firenze e Siena stanno mettendo in atto contro Pisa, si allaccia alla rappresentazione delle città come animali e tare origine dalla sfera della caccia , una metafora inerente allo stesso ambito si trova anche nei sonetti Ceneda e Feltro e ancor Monte Belluni e San Marco e ’l Doge. Per la Lepre pisana non ci sarà scampo inutile fuggire come è solita fare oppure riporre le speranze nella sorte, come viene espresso attraverso l’utilizzo della metafora dei dadi , Firenze, il Leone, e Siena, la Lupa, sono prossimi a distruggerla. Per quanto riguarda il riferimento alla lepre come animale erbivoro di scarso valore bellico, ma piuttosto incline alla fuga e al rintanarsi si veda il sonetto Più lichisati siete ch’ermellini di Folgore da San Gimignano uno tra gli innumerevoli riferimenti alla Lepre pisana presenti nella letteratura medievale .
A questo sonetto Faitinelli riceve risposta da un anonimo rimatore pisano che gli indirizza Amico, guarda non sia mal di testa . Il sonetto si configura come una risposta diretta al lucchese e si basa sulla stessa cerchia lessicale . La prima quartina riprende specularmente il tema del sonetto di Faitinelli «ribaltandone ironicamente il significato»  sotto un’ottica pisana. Se il sonetto lucchese narrava di un leone a testa alta per la felicità, qui si invita l’«amico» v. 1 ad assicurarsi che il leone non sia molestato dal mal di testa, che gli fa alzare la testa, piuttosto che la felicità, oppure che non sia uno dei consueti dolori, con una possibile allusione alle divisioni interne alla città di Firenze . Il pisano continua con la reinterpretazione del sonetto del lucchese, non c’è motivo di essere allegri «come tu di’» v. 6, dal momento che Lucca, la Pantera, si è dovuta sottomettere alla città di Firenze non per sua volontà ma perché sottoposta al volere del suo signore Mastino della Scala, perché costretta ad ubbidire: «per mostrarsi ne l’ubidir presta» v. 8. La prima terzina approfondisce ulteriormente il tema dell’acquisto di Lucca definito spregiativamente come «baratto» v. 10, che si rivelerà come un dolore più che una felicità per la Pantera lucchese. Per quanto riguarda il Cavallo aretino, si invita l’amico a stare attento che questo non si rivolti contro chi lo sprona arditamente, il pericolo che rappresenta il cavallo sfrenato di schiena è identificabile con quello che potrebbe essere il pericolo di una rivolta contro i fiorentini ad Arezzo, circostanza che effettivamente si verifica nel luglio 1341 ; in quegli anni avviene proprio il tradimento di «quel da Pietramala», l’aretino Tarlato Tarlati, menzionato nella canzone di Antonio Pucci O lucchesi v. XI.6, Arezzo dopo essersi dapprima alleata con Firenze ordisce una congiura contro la stessa città del giglio .  Il v. 14 «talor di schiena» potrebbe alludere, tra l’altro, alla posizione geografica di Arezzo nei confronti di Firenze, che vista da Pisa appare in posizione posteriore rispetto alla città gigliata. Gli ultimi versi elogiano la Lepre pisana, questa volta è lei ad essere allegra, questa non teme infatti le trame che stanno tessendo contro di lei «quei falsi» v. 16 di Firenze il Leone, e Siena la Lupa. Anzi in vigore delle sue qualità: l’arguzia, la forza e il senno «non teme» v. 18 né Firenze, né le città che questa ha posto sotto la sua ala: Siena e Pistoia.
Se si osserva il contesto indiano, il capitello di Sarnath, emblema della Repubblica Indiana, rappresenta sull’abaco quattro leoni addossati, la maestosità di questi leoni ricorda da vicino il Marzocco fiorentino. In particolare, il pilastro di Ashokan eretto a Sarnath è quello più iconico e celebrato dei pilastri di Ashokan , esso è infatti raffigurato anche nella banconota da una rupia indiana e sulla moneta da due rupie e inoltre è divenuto l’emblema nazionale indiano. L’aspetto che in questa sede ci interessa del pilastro è il capitello nel quale sono raffigurati quattro leoni ognuno posizionato in direzione dei quattro punti cardinali. I leoni hanno la bocca aperta e ruggiscono, il leone nel contesto indiano, oltre ad essere simbolo di regalità e potere, come nel contesto occidentale e fiorentino, è anche simbolo di Buddha stesso. Nella base del capitello sono scolpiti altri animali: un cavallo, un toro, un leone e un elefante .
Come nel caso di Firenze, anche nel caso indiano del capitello di Ashokan il leone diviene simbolo di fierezza e possenza nel comando, ma allo stesso tempo viene associato ad altri animali, sia nel caso del capitello che nei casi dei sonetti presi in esame, come se sia nel contesto indiano, che in quello fiorentino si volesse far riferimento al leone sì simbolizzandolo e rendendolo un emblema di una città ma allo stesso tempo senza estrapolarlo del tutto dal suo contesto naturale nel quale si trova circondato da altri animali e dalla natura.


BIBLIOGRAFIA
Studi:
Gatti Luca, Il mito di Marte a Firenze e la «pietra scema». Memorie riti, e ascendenze, in «Rinascimento», XXXV (1995), pp. 201-230. 
Shelby Karen, "Lion Capital, Ashokan Pillar at Sarnath", in Smarthistory, 9 agosto 2015, accesso 3 aprile 2023, https://smarthistory.org/lion-capital-ashokan-pillar-at-sarnath/.
Morpurgo Salomone, Dieci sonetti storici fiorentini, Firenze, Carnesecchi, 1893.
Edizioni critiche di autori:
ANTONIO PUCCI, Cantari della Guerra di Pisa = ANTONIO PUCCI, Cantari della Guerra di Pisa, edizione critica, a cura di, M. Bendinelli Predelli, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2017. 
FRANCO SACCHETTI = FRANCO SACCHETTI, Il libro delle rime, a cura di F. Brambilla Ageno, Firenze-Melbourne, Olschki-University of Australia Press, 1989 (A.); FRANCO SACCHETTI, Il libro delle rime con le lettere; La battaglia delle belle donne, a cura di D. Puccini, Torino, UTET, 2007, (P.). 
PIETRO DE’ FAITINELLI = PIETRO DE’ FAITINELLI, Rime, a cura di B. Aldinucci, Firenze, Accademia della Crusca, 2016.
Strumenti di consultazione: 
DBI = Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-. 
Libro di Daniele = Testo a cura della Conferenza Episcopale Italiana, https://www.vatican.va/archive/index_it.htm
TLIO = Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, fondato da Pietro G. Beltrami e diretto da P. Squillacioti presso CNR-Opera del Vocabolario Italiano, http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/
Toscana Giunta Regionale, 1995 = Toscana Giunta Regionale, La Toscana e i suoi comuni, storia, territorio, popolazione, stemmi e gonfaloni delle libere comunità toscane, Venezia, Marsilio, 1995. 

Website
http://www.sarnathmuseumasi.org/gallery/Gallery3%20Acc%20No%20355.html


Restoration by India's Diaspora, the Roma - Daniel-Claudiu Dumitrescu


APPENDICES

Una storia globale delle lapidi a forma di obelisco: uno studio sui cimiteri britannici in India - Kana Tomizawa 



Tomba di Rose Aylmer, cimitero di Park Street, Calcutta

Articolo letto alla Conferenza annuale del Collegium Mediterraneanistrarum, 12 giugno 2022

Le lapidi a forma di obelisco, abbastanza comuni nei moderni cimiteri occidentali, sono state considerate un prodotto della cosiddetta 'rinascita egiziana', una moda nel design egiziano che è nata dallo sviluppo degli studi egiziani dopo la campagna egiziana di Napoleone (1789-1799). Si dice anche che la creazione di cimiteri moderni al di fuori delle chiese risalga al XIX secolo. In India, tuttavia, gli inglesi avevano formato cimiteri molto prima, e molte lapidi a forma di obelisco possono essere trovate lì. In altre parole, è altamente probabile che le lapidi obelische siano comparso in India prima della campagna egiziana, da alcune altre cause. In questa carta in primo luogo verificheremo questo esaminando le lapidi esistenti nei cimiteri britannici in India. allora tenterà una piccola 'storia del mondo dei tombstones 'guardando indietro nel tempo per vedere come gli obelischi ed i loro disegni sono stati usati prima del diciottesimo secolo, e quando, dove e come erano associati ai memoriali per i morti.

In India vedremo prima il cimitero di South Park Street a Calcutta (oggi Calckata), un cimitero fondato nel 1767. Lì possiamo vedere molte lapidi a forma di obelisco, ma dobbiamo esaminare quanti di loro sono stati effettivamente eretti prima dell'impatto della campagna egiziana. L'autore studiò le forme delle lapidi di coloro che morirono fino al 1805. Tale indagine ha rivelato che delle 185 lapidi sopravvissute in questo periodo, 27 erano chiaramente a forma di obelisco, e un totale di 44 sono stati identificati dove sono stati aggiunti quelli leggermente più spessi o più piramidali.

Da ciò si può notare che una nuova espressione moderna riguardante i memoriali potrebbe essere stata stabilita in India prima del continente europeo. Ma, a conferma di ciò, è anche necessario rivedere come gli obelischi fossero stati associati ai memoriali prima del XVIII secolo. La diffusione degli obelischi e dei loro disegni in Occidente iniziò quando un certo numero di obelischi portati dall'Egitto a Roma nei tempi antichi furono in seguito riportati in vita nel XVI-XVII secolo. Vedendo lo sviluppo degli obelischi e i loro disegni dall'antichità, specialmente dal XVI-XVII secolo in poi, possiamo trovare alcuni usi per le espressioni commemorative. Ma, per quanto l'autore sa, non erano pietre tombali autoportanti a forma di obelisco, il tema di questa carta, ma solo parti decorative o rilievi piatti. L'autore ritiene che l'uso diffuso di lapidi autoportanti a forma di obelisco si sia verificato in India prima di quelli in Europa.

Perché, allora, le lapidi con questo disegno egiziano sono comparso in India prima che l'egittologia fosse stabilita? La prima cosa da notare è il legame tra l'architettura funeraria indiana e il cimitero britannico di Surat e il drammaturgo e architetto britannico John Vanbrugh. C'erano alcuni architetti coinvolti nella costruzione di diversi obelischi e strutture piramidali nella Gran Bretagna del XVIII secolo, in città e case di campagna, e, al centro dei loro architetti possiamo trovare John Vanbrugh. È interessante notare che la fonte delle sue immagini era il cimitero inglese che aveva visto a Surat quando era ancora giovane. Nel 1711, Vanbrugh presentò una proposta per un cimitero costituito da 'Alti e Nobili Mausolei', sul modello del cimitero inglese che aveva visto a Surat un quarto di secolo prima, in cui si possono trovare obelischi e lapidi piramidali negli schizzi. I cimiteri britannici e olandesi di Surat oggi hanno infatti diverse lapidi a forma di obelisco, forse non databili, ma alcune possono essere sicuramente identificate come risalenti al XVII secolo. L'unica espressione commemorativa del cimitero mostra l'influenza dell'architettura islamica del mausoleo, che fiorì in India intorno al XIV secolo, e dei cenotafi principeschi indù (chhatris) che furono fondati intorno al Rajasthan sotto la sua influenza. Il cimitero di Surat, con la sua miscela di questi diversi edifici sepolcrali e disegni di origine europea, influenzò l'architettura britannica del XVIII secolo attraverso Vanbrugh.

Il prossimo punto di interesse è la possibile confusione e sovrapposizione tra le immagini di obelischi e altre architetture antiche. Prima dell'istituzione dell'egittologia, non ci dovrebbero essere basi per collegare gli obelischi con i concetti di morte e rinascita, ma possiamo effettivamente trovare un certo collegamento tra obelischi e immagini consolatorie. Uno dei motivi sembra essere la confusione tra le immagini degli obelischi e le piramidi. Il Cenotafio del massacro britannico del XVIII secolo a Patna è anche a volte indicato come un "obelisco", ma è chiaramente modellato su una colonna commemorativa romana. È interessante notare che il famoso Memorial Colum di Traiano è anche una sorta di tomba, in quanto ha i suoi resti sulla parte base. Il Mausoleo di Maussollos a Helicarnassus è stato spesso raffigurato come simile a un obelisco o a una piramide, anche se la sua forma reale è sconosciuta. Questa e altre rappresentazioni delle cosiddette Sette Meraviglie del Mondo e capricci dei secoli XVII-XVIII suggeriscono che una vasta gamma di antiche immagini architettoniche legate a monumenti e obelischi si sono sviluppate in modo sovrapposto e misto.

Così, si presume che la forma della lapide obelisco è stato istituito e sviluppato in India come la storia di immagini complesse di obelischi e la cultura indiana di architettura funeraria intersecato. Lo sfondo di questo potrebbe essere stata la necessità di nuovi siti di sepoltura e nuove espressioni di commemorazione a causa dell'alto tasso di mortalità degli occidentali in India e della mancanza di chiese e cimiteri, ma ci sono molte altre questioni da interrogare ulteriormente, compresa la più ampia influenza dell'architettura e della tecnologia indiana. Questo fenomeno culturale è difficile da afferrare in una struttura binaria britannica/ indiana, occidentale/ orientale, dominante/ dominata, e sarà essenziale acquisire conoscenze tra discipline e regioni per chiarirlo. L'autore spera di essere guidato da vari ricercatori.

Il documento originale è stato scritto e letto in giapponese.


Gandhi femminista - Julia Bolton Holloway


Il Mahatma Gandhi ha portato una nuova dimensione nelle nostre vite. Quando parlava di nonviolenza, intendeva non solo evitare l'azione violenta, ma purificare i nostri cuori dall'odio e dall'amarezza. Ha svelato il potere politico spirituale degli analfabeti e degli umili poveri e ha sottolineato che gli unici programmi degni di essere predicati erano quelli che potevano essere tradotti in azione. Ha detto che ogni decisione e programma dovrebbe essere giudicato dal punto di vista dei più poveri e dei più deboli. Indira Gandhi

Il lettore potrebbe benissimo ribellarsi al titolo di questo articolo. Gandhi è visto come un "maschilista". Tuttavia, ci sono aspetti della vita e del pensiero di Gandhi che possono essere collegati al femminismo. Questo documento discute tre aspetti di Gandhi: Gandhi e il patriarcato, Gandhi e le donne, Gandhi e la bomba, tutti collegati tra loro. Non sarà accademico ma piuttosto, in larga misura, alla maniera di Gandhi, un esperimento con la verità.

Gandhi e il patriarcato,
Gandhi e le donne, Gandhi e la bomba, tutti collegati tra loro. Non sarà accademico ma piuttosto, in larga misura, alla maniera di Gandhi, un esperimento con la verità. Gandhi e il patriarcato La mia strada migliore per affrontare questo argomento è discutere la relazione tra un padre, una figlia e Gandhi. Mio padre era un inglese in India e amico di Gandhi. Mio padre e Gandhi erano entrambi giornalisti, quindi una volta che entrambi hanno scritto interviste l'uno dell'altro, quella seria di mio padre su Gandhi in The Times of India, quella scherzosa di Gandhi in Young India su Glorney Bolton dagli occhi azzurri e dai capelli biondi. Mio padre era con Gandhi nella marcia del sale verso Dandi nel marzo 1930. C'era una registrazione a più voci della British Broadcasting Corporation, "Talking of Gandhiji", la voce di mio padre era una di queste, ora perduta. Sebbene il libro che ne è derivato esista. Questo è quello che disse mio padre in quella trasmissione dell'evento in cui Gandhi raccolse illegalmente e molto semplicemente il sale dal mare:

E c'era Gandhi, che camminava, con i suoi amici intorno a lui, era una sorta di terrificante anticlimax. Non ci furono applausi, né grandi grida di gioia, e nessuna specie di maestosa processione, tutto qui. . . in un certo senso piuttosto farsesco. Comunque questa grande marcia era cominciata. . . eccolo qui, abbastanza felice, con la gente intorno a lui, nel complesso molto tranquillo, ma di tanto in tanto si sentiva Gandhi. . . scoppiare con quella sua meravigliosa risata fanciullesca. Non sapeva come sarebbe andata a finire la marcia, ma nonostante ciò, ero lì, a vedere la storia accadere in uno strano tipo di modo; qualcosa di completamente non europeo eppure molto, molto commovente.

Quell'atto doveva porre fine al dominio britannico dell'India. Un atto così semplice, eppure molto più potente di qualsiasi atto di terrorismo violento, di qualsiasi uso di qualsiasi bomba. Ma ha bisogno di una spiegazione. La Gran Bretagna ha imposto il monopolio del sale in India. Lo fece perché anche Roma aveva imposto un tale monopolio su tutte le terre che giacevano sotto il giogo del suo vasto impero. Da esso deriva la parola "salario" che usiamo oggi. Il sale è stato trasformato in moneta, lo stato controllava una sostanza essenziale alla vita. Tuttavia, un tale monopolio non era la pratica in Gran Bretagna. La sua imposizione all'India fu un atto ingiusto, patriarcale, imperiale e Gandhi, che aveva studiato legge in Inghilterra, lo sapeva. La nostra versione americana di questa semplice raccolta di sale dal mare è stata Rosa Parks, a causa dei suoi piedi stanchi, che ha rifiutato il suo posto a un uomo bianco su un autobus dell'Alabama - un atto che ci ha cambiato da una nazione razzista a una con un sogno di uguaglianza in parte realizzato, anche se dobbiamo andare oltre.

Sono cresciuta con la conoscenza di Gandhi su di me da ragazza in Inghilterra, sapendo che mio padre era suo amico e aveva scritto la sua biografia, The Tragedy of Gandhi, pubblicata nel 1934 quando sembrava che Gandhi avesse fallito. Ricordo di aver ascoltato con grande intensità la Dichiarazione di Indipendenza dell'India di Earl Mountbatten e Jawaharlal Nehru alla radio quando avevo dieci anni. Ma ora, quando leggo la biografia di Gandhi di mio padre, due cose mi fanno ribellare alla prospettiva di quell'inglese. Mio padre scrisse che disprezzava il "masochismo femminile" di Gandhi (in parte alludendo al suo uso dell'"anoressia") e criticava anche l'adesione di Gandhi alla povertà. Mio padre era il figlio di una vedova, aveva conosciuto una relativa povertà e aveva lottato contro di essa per acquisire un'istruzione a Oxford, non riuscendo a ottenere la laurea. Voleva disperatamente avere successo nel giornalismo e nella politica. Tuttavia, Gandhi ha avuto davvero successo - ma insistendo per sbarazzarsi dello status, del rango e della casta - sapendo che c'era solo così tanto da fare e che doveva essere condiviso, che la ricchezza di un uomo causa la povertà di un altro. Anche Willy Brandt nel rapporto Nord/Sud lo esprime in relazione alla guerra.

Mentre la fame regna, la pace non può prevalere. Chi vuole bandire la guerra deve bandire anche la povertà. Non fa differenza se un essere umano viene ucciso in guerra o muore di fame a causa dell'indifferenza degli altri.

Mio padre allora era ambizioso di ricchezza e fama e quindi le idee di Gandhi si scontravano con le sue. Ma molti anni dopo scriverà una biografia di Papa Giovanni XXIII, Living Peter, una biografia che loda piuttosto che biasimare un uomo simile. Gandhi, si può vedere, istruì con successo i suoi avversari. Una potenza coloniale deve mentire a se stessa. Gandhi ha strappato via quelle bugie, usando la giustizia per svelare l'ingiustizia, usando la legge per dimostrare l'illegalità del dominio britannico. E per farlo si è rivolto alle donne.


Gandhi e le donne
L'India un tempo era stata una grande nazione produttrice di tessuti. Il nome della nostra cotonina americana significa che un tempo veniva prodotta a Calicut, a Madras, in India, e poi esportata in Inghilterra e nelle sue colonie. Ma gli inglesi nel diciannovesimo secolo, per proteggere le proprie industrie tessili, vietarono all'India di continuare la sua. Gli indiani che un tempo avevano esportato tessuti ora dovevano importarli dal Lancashire. Gandhi vedeva un modo per spezzare il dominio britannico sull'India nel diventare autosufficiente nella produzione tessile. Così si rivolse all'artigianato del villaggio e dei cottage, le sue donne e lui stesso filavano e tessevano stoffa khaddar, stoffa fatta in casa. Santha Rama Rau, nella sua autobiografia, Home to India, ha discusso del boicottaggio e della partecipazione centrale delle donne. È difficile per la cultura maschile occidentale rendersi conto della piena importanza politica della stoffa. Siamo più coinvolti con il testo che con il tessuto. Tuttavia, guardare alla letteratura classica significa scoprire che la tessitura da parte delle donne era importante quanto il racconto di storie, la scrittura della storia, da parte degli uomini, i due si intrecciano l'uno nell'altro. Oggi in Guatemala le donne raccontano la loro oppressione attraverso immagini ricamate, che non possono essere censurate allo stesso modo della parola scritta. Sembra che ogni movimento di liberazione abbia bisogno del femminile oltre che del maschile, le donne simboleggiano molto più chiaramente la transizione dalla schiavitù alla libertà rispetto all'uomo. Gandhi assunse volontariamente il ruolo di quella donna, usando quel simbolismo. La sua rivoluzione contro la madrepatria non fu con armi maschili di distruzione ma con strumenti femminili di produzione. La sua spada maschile era un arcolaio femminile, il charka, la ruota della vita, l'emblema oggi sulla bandiera dell'India - e su quella dei Rom.
Trovo il filatoio ammirevole, non disprezzabile. Qui io e mio padre ci separeremmo.

Gandhi e la bomba
atomica
Margaret Bourke-White che ha fotografato questo immediatamente prima che Gandhi fosse assassinato
L'India un tempo era stata una grande nazione produttrice di tessuti. Il nome della nostra cotonina americana significa che un tempo veniva prodotta a Calicut, a Madras, in India, e poi esportata in Inghilterra e nelle sue colonie. Ma gli inglesi nel diciannovesimo secolo, per proteggere le proprie industrie tessili, vietarono all'India di continuare la sua. Gli indiani che un tempo avevano esportato tessuti ora dovevano importarli dal Lancashire. Gandhi vedeva un modo per spezzare il dominio britannico sull'India nel diventare autosufficiente nella produzione tessile. Così si rivolse all'artigianato del villaggio e dei cottage, le sue donne e lui stesso filavano e tessevano stoffa khaddar, stoffa fatta in casa. Santha Rama Rau, nella sua autobiografia, Home to India, ha discusso del boicottaggio e della partecipazione centrale delle donne. È difficile per la cultura maschile occidentale rendersi conto della piena importanza politica della stoffa. Siamo più coinvolti con il testo che con il tessuto. Tuttavia, guardare alla letteratura classica significa scoprire che la tessitura da parte delle donne era importante quanto il racconto di storie, la scrittura della storia, da parte degli uomini, i due si intrecciano l'uno nell'altro. Oggi in Guatemala le donne raccontano la loro oppressione attraverso immagini ricamate, che non possono essere censurate allo stesso modo della parola scritta. Sembra che ogni movimento di liberazione abbia bisogno del femminile oltre che del maschile, le donne simboleggiano molto più chiaramente la transizione dalla schiavitù alla libertà rispetto all'uomo. Gandhi assunse volontariamente il ruolo di quella donna, usando quel simbolismo. La sua rivoluzione contro la madrepatria non fu con armi maschili di distruzione ma con strumenti femminili di produzione. La sua spada maschile era un arcolaio femminile, il charka, la ruota della vita, l'emblema oggi sulla bandiera dell'India - e su quella dei Rom. Trovo il filatoio ammirevole, non disprezzabile. Qui io e mio padre ci separeremmo. Gandhi e la bomba Margaret Bourke-White, la fotografa americana Time/Life che era con Gandhi poco prima che gli sparassero, non era d'accordo con i suoi principi femminili. Paradossalmente voleva soluzioni maschili. Come mio padre, vedeva la risposta alla povertà dell'India nell'occidentalizzazione, nell'industrializzazione e nell'alta tecnologia. Gandhi l'ha contrastata filando silenziosamente la stoffa mentre lei lo fotografava. Nella sua autobiografia, Portrait of Myself, ha riportato l'ultima conversazione di Gandhi. Riguardava la bomba nucleare. Mentre sedevamo lì nella sottile luce del sole invernale, lui girava e io annotavo le sue parole, nessuno di noi due poteva sapere che quello sarebbe stato forse il suo ultimo messaggio al mondo. . . Gandhi iniziò a sondare il terribile problema che ci ha travolti tutti. Ho chiesto a Gandhi come avrebbe incontrato la bomba atomica. Lo affronterebbe con la nonviolenza? 'Ah', disse. 'Come dovrei rispondere? Lo affronterei con un'azione di preghiera.' Ho chiesto quale forma avrebbe preso quell'azione. «Non andrò sottoterra. Non andrò nei rifugi. Uscirò e affronterò il pilota così vedrà che non ho la faccia del male contro di lui.' Tornò alla sua filatura. . . Mi sono alzato per andarmene e ho incrociato le mani nel gesto di addio che usano gli indù. Ma Gandhiji mi tese la mano e la strinse cordialmente alla maniera occidentale. Quel gesto, per inciso, mostra che non si impugna una spada. Gandhi poi andò in preghiera e fu colpito. L'uomo aveva dato la risposta della donna, per filare, per fornire vestiti alle generazioni future. La donna è stata portata all'ultimo sviluppo tecnologico, l'arma maschile che potrebbe annientare il futuro. Non so perché questa conversazione sia stata omessa dal film, Gandhi, se non per dire che tre anni fa non era ancora di moda temere la bomba. Era un tabù, qualcosa di profondamente represso. Oggi stiamo esaminando apertamente e consapevolmente tale questione. Gandhi può aiutarci verso una soluzione. Vorrebbe farci disarmare. Femminilizzerebbe il mondo. Ci sono più tonnellate di potenza esplosiva per bambino, donna e uomo nel mondo che cibo. Gandhi direbbe che prepararsi alla guerra per prevenirla è una follia. Einstein l'ha detto. È tempo di una rivoluzione per la pace. Gandhi ci ha insegnato come fare una rivoluzione con strumenti che costruiscono un futuro, piuttosto che con armi che annientano il passato, il presente e il futuro. Per imparare a usare questi strumenti, lo stesso Gandhi era disposto a farsi insegnare dalle donne. Esistono armi per rafforzare il potere di una nazione, razza, sesso, credo o casta su quello di un'altra. Il loro è solo un potere negativo, distruttivo. Ma in un mondo in cui le preoccupazioni primarie sono riparo, cibo e vestiario per tutti, a prescindere da queste distinzioni superficiali, le armi diventano inutili. Gandhi, rivolgendosi agli intoccabili e alle donne, ha capovolto l'induismo e ha capovolto il mondo.

Originariamente dato come articolo, poi pubblicato, nel 1984, ha ricevuto il premio "Art of Peace".
La trasmissione della BBC è ora persa, ma il libro pubblicato da essa sopravvive.


Gandhi's possessions at his death, his glasses, his sandals, etc.


Prega, rifletti e poi fai:

questa regola (di Gandhi) ottenne l'independenza dell'India/

Fioretta Mazzei
 


PARTICEPANTI

Arch. Amina Anelli is the restorer of the monument of the Indian Prince in the Cascine and architect for the Comune of Florence. Dal 2015 lavora presso la Direzione Servizi Tecnici del Comune di Firenze nell’ambito del Servizio Belle Arti e Fabbrica di
Palazzo Vecchio fino al mese di dicembre 2022 e dopo nell’ambito del Servizio Supporto Tecnico Quartieri e Impianti Sportivi (P.O. Scuole, Biblioteche, Ludoteche, Centri civici ed altri immobili del Quartiere 1), occupandosi di progettazione, direzione
lavori, coordinamento della sicurezza e verifica progetti e in qualità di membro di commissioni giudicatrici per appalti di lavori pubblici e di relatrice in conferenze illustrative di progetti/lavori.
 
Dr Peter Burman studied History of Art at the University of Cambridge. His first role was as Assistant, Deputy then Director of the Council for the Care of Churches and the Cathedrals Fabric Commission for England. Later, as Director of Conservation & Property Services of the National Trust for Scotland, he found himself living within the City of Edinburgh World Heritage Site. Companion of the Guild of St George of John Ruskin.

Pritha Chakraborty  has completed her B.A in English from University of Calcutta and is currently pursuing her M.A in English Literature and Language in Department of English, University of Delhi. Her areas of interest include Gender Studies, Victorian Age, Feminist Criticism, Masculinity Studies, American Literature, Modern Age etc. She blogs, writes poetry, has worked with Stirring Minds, based in Bangalore, and Teevro Private Limited based in Jaipur as a content writer. She wishes to continue her career in academia and has published articles while also taking part and presenting papers in various national and international conferences. You can reach her at prithabarac@gmail.com.

Gabriella Del Lungo Camiciotti was Professor of English, University of Florence, publishing on Margery Kempe and other women contemplatives.

Francesca Ditifeci is Ricercatore of English Language and Translation of the University of Florence's Dipartimento di Formazione, Lingue, intercultura, Letterature e Psicologia.

Daniel-Claudiu Dumitrescu is from Romania, the restorer of the English Cemetery, who inherited his grandfather's copper-smithing tools. He has also worked on the restoration of Donatello's pulpit in Prato, has created two facsimiles of the Libro del Chiodo, and chisels the memorial plaques to Frederick Douglass, Sarah Parker Remond, etc. The Roma from India by way of Persia and Turkey a thousand years ago, their language still Sanskrit.

Mi chiamo Elena Giannarelli: sono fiorentina, filologa classica e docente universitaria in pensione. Ho vissuto otto bellissimi anni postlaurea alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Ho viaggiato molto per lavoro, in Europa, negli Stati Uniti, in Australia, finendo per tornare in Italia e a Firenze. Ho pubblicato volumi e saggi di storia delle donne nel mondo antico, ho tradotto e commentato testi greci e latini, soprattutto biografie. Ho scritto libri di storia di Firenze, materia che insegno all’Università dell’Età Libera della mia città, dove sono presidente del Centro di Studi Patristici e professore invitato alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.

Nick Havely is Emeritus Professor at the University of York, where he taught courses on English literature and Dante. His recent books include: Dante’s British Public (2014); Dante Beyond Borders: Contexts and Reception (2021); and After Dante (2021), a new translation of the Purgatorio by sixteen contemporary poets. He has held Leverhulme and Bogliasco Fellowships, and has been elected an Honorary Member of the Dante Society of America. His current project is Apennine Crossings: Travellers on the Edge of Tuscany, to be published by Oxford University Press.

Julia Bolton Holloway is Professor Emerita of the University of Colorado at Boulder, her doctorate from the University of California at Berkeley where she taught, also at Princeton University. She has published books and articles on Dante Alighieri, his teacher, Brunetto Latino, editing his writings, those of Julian of Norwich and Birgitta of Sweden, and of Elizabeth Barrett Browning's poetry for Penguin and in Italian for Le Lettere. She is Custodian of Florence's English Cemetery, organizes the City and Book international conferences and the Academia Bessarion encounters, and is a Companion of the Guild of St George of John Ruskin. The websites for Florence's English Cemetery are at florin.ms


Arjun Shivaji Jain received a Master of Science in Physics from the Indian Institute of Technology in Roorkee, Uttarakhand in 2014, and a Post Graduate Certificate in Art and Science from Central Saint Martins of the University of the Arts in London in 2016. Recipient of multiple scholarships and fellowships instituted by the Department of Science, Govt. of India, and having worked at the Indian Institute of Technology and National Science Academy in Delhi, and the National University of Singapore, he has assumed various disparate roles over the years (including, but not limited to, waiting tables, invigilating galleries, housekeeping, gardening, felling trees, & teaching). Self-published and well-travelled, he is serving at present as the first Young Companions' Representative of the Guild of St George, UK, whilst working, in a personal capacity, as a visual artist. He is proprietor of the John Ruskin Manufactory, and director at Red House, here in Delhi where he currently resides.


Dr Rosie Llewellyn-Jones MBE is an Executive Committee member of BACSA (British Association for Cemeteries in South Asia) and the editor of its Journal, Chowkidar. She is a specialist on colonial India and her most recent book, published in January 2023 by Hurst is Empire Building: the Construction of British India. BACSA’s website is: https://www.bacsa.org.uk.


Sir Nicholas Mander, restored Owlpen Manor and is a Companion of the Guild of St George of John Ruskin.

Marialaura Pancini is a Ph.D. student at the University for Foreigners of Siena, where she studies fourteenth-century Political and Civil Minor Poetry in the Tuscan area.

Nic Peeters is an independent art historian, lecturer and writer in Antwerp, Belgium, who specialises in British nineteenth-century art particularly that of women artists. His doctoral thesis for Brussels University (VUB) was on the work of Evelyn De Morgan focusing on a combination of spiritualism and feminism

Sriram Rajasekaran, a medical doctor by profession, with all his heart in the Arts, often found reading Proust and Joyce, currently pursuing his postgraduation in Preventive and Social Medicine.
 
Domenico Savini is a scholar of the nobility of Florence and the royalty of England

Emma Sdegno. Professor of English, Dipartimento di Studi Europei e Postcoloniali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Università Ca' Foscari Venezia.

Rita Severi, Professor of English, University of Verona, Victorianist and co-editor of  'Oh Bella Libertà!': Le Poesie di Elizabeth Barrett Browning, Florence: Le Lettere, 2022.


Because both Florence and India/Pakistan have been major textile producers these materials will be available for a donation at the conference.

         



On 1 October 2023 the Maharajah of Kolhapur and his family came to Florence to visit their tomb in the Cascine.


Photo Kirsten Hills

Photo Kirsten Hills

Photo Kirsten Hills

The Maharajah's Palace at Kolhapur, its ground floor now a museum.

           


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