LA VITA NUOVA
PARADIGMI DI PELLEGRINAGGIO1
La Vita Nuova è, come la traduttrice Barbara Reynolds osserva, un'opera intorno alla poesia,2 un'opera di un poeta per i poeti. E' altresi, come Charles Singleton ha abilmente dimostrato nel suo Essay on the Vita Nuova, un libro sul Libro.3 E in tal senso è autocosciente, autoreferenziale, autoriflessivo; nel contempo è un testo bifronte, scritto con ambages, oscure ambiguità, intenzionali duplicità di senso (Eneide VI.29,9; De vulgari eloquentia I.x). E' un testo ermeneutico, crittografico, e molti dei suoi significati da decodificare hanno a che fare con il pellegrinaggio. E' stato scritto in un'epoca in cui la teoria critica era la teologia, i testi sacri erano riflessi nei testi secolari, e la riconciliazione delle ambages era affidata il pluralismo culturale.
L'ermeneutica della Vita Nuova può essere cifrata mediante un'archeologia del suo testo,4 della sua intertestualità con un testo anteriore che a sua volta descrive una geografia aliena ed estranea a quella di Dante, l'una la geografia di Israele in Asia, l'altra la geografia del Sinai in Africa, ma anche descrive l'ambito geografico della natia Firenze e di Roma, in Europa. Dante crea sul Vecchio e sul Nuovo Testamento utilizzando i paradigmi dell'Esodo e di Emmaus come un palinsesto, dando forma nuova all'ebraico, al greco e al latino della Bibbia trasfondendoli nel volgare fiorentino. Direi, inoltre, che il contesto culturale spiega sia il testo sia il suo metodo, la sua crittografia. Questo saggio tenterà di dipanare quegli aspetti del suo enigma che sono connessi con il pellegrinaggio ed i suoi paradigmi.
Il secolo XIII è il secolo del 'dolce stil nuovo', dello 'stile Gotico', che prese a prestito motivi dai Saraceni, osservati in Spagna, in Sicilia, nel Regno di Gerusalemme, dove la cultura cristiana con i suoi crociati e i suoi pellegrinaggi incontrò il ricco pluralismo degli altri popoli del Libro, e, rese ultracristiano tale materiale ultracivilizzato in antitesi al romanico, che ora si preferiva interpretare come Antico, che fosse materiale romano o giudaico, ellenico o ebraico. Panofsky ha mostrato come questa epoca si servisse di questi due stili in una lingua codificata, che trasmetteva Antico e Nuovo insieme, quest'uno a compimento dell'altro. Non per abolirlo. 5 Auerbach e Jameson hanno dimostrato come la teologia medievale abbia congiunto disparati modi di leggere i testi in una complementarietà, una ricca coesistenza che continuò fino a che il sistema divenne troppo difficile da controllare, sovraccarico e, in tempi più moderni, contraddittorio per i lettori.6
Il pellegrinaggio fu considerato dai teologi, tra loro Filone Giudeo, una paideia, un percorso di formazione. La Vita Nuova è associata sia al pellegrinaggio sia alla formazione. Si ritiene, inoltre, che Dante Alighieri fece dono dell'opera al suo maestro, Brunetto Latino, e che il dono fu accompagnato da un sonetto ove egli parla a lui del suo testo quale testo bifronte.7 Tale testo funziona come epistemologia, sia del suo autore sia del lettore, e a entrambi è richiesto di decifrarne il codice, di risolverne l'enigma.8 Lungo i secoli precedenti e sucessivi vi sono opere ad esso connesse: Le Confessiones (Le confessioni) di Agostino, il De Consolatione Philosophiae (La consolazione della filosofia) di Boezio, lo Speculum Stultorum di Wireker, l'Encomium moriae (Elogio della follia) di Erasmo, l'Utopia di More, il Pilgrim's Progress (Il viaggio del pellegrino) di Bunyan, A Portrait of the Artist as a Young Men (Ritratto dell'artista da giovane) di Joyce. Queste opere usano personae dell'autore e specula, maschere e specchi, e sono dottamente facete, e infantilmente arcane. Si imperniano su un fulcro, sulle conversioni ('Tolle, lege, tolle, lege'). Sono libri educativi e sulla formazione: e contengono significati uguali e opposti nella loro forma dialettica.
Il secolo XIII è il secolo di Aristotele, autore che Brunetto Latino insegnò a Dante Alighieri, e le cui opere furono prese a prestito dagli arabi, che diversamente dai cristiani preservarono i testi greci. Autore ora reso ultraortodosso da Tommaso d'Aquino dopo un amaro, iniziale rifiuto dei suoi scritti considerati eretici. Quello che si verifica è un mutamento di paradigma di grande importanza per la cultura occidentale, quantunque censurato e mascherato.9 Brunetto Latino e Dante, maestro e discepolo, trasmettono quel nuovo sapere, inizialmente sospetto e controverso, e ambedue riconciliano in una dialettica il modello greco-arabo e il giudaico-cristiano. La volontà di accogliere una duplicità di pensiero ha ulteriormente incoraggiato l'unificazione del Vecchio e del Nuovo Testamento come giustificazione dell'analoga giustapposizione di filosofia, greco-romana, e teologia, giudaico-cristiana. Beryl Smalley ha discusso di questo aspetto dello studio biblico medievale e Gabriel Astrick ne ha dimostrato la presenza negli stemmi delle università medievali.10
Tale duplicità del secolo XIII, tale complementarietà, permea profondamente la Vita Nuova, un testo averroistico e gotico che si serve di testi anteriori. Nella Vita Nuova Dante decostruisce la sua poesia giovanile, trovando livelli di significato più profondi di quanto all'inizio egli stesso sospettasse vi fossero. Egli gioca con la duplicità del testo, la sua intertestualità in relazione al testo di Dio e di Aristotele. Il testo insegnerà a lui l'Etica di Aristotele e il decalogo di Dio dato a Mosè. Vale a dire teologia e filosofia; ellenismo ed ebraismo. La Vita Nuova è, dunque, un'opera che presenta una mappa di misreading, è come un testo bifronte con un altro di opposto significato nascosto dietro il testo di superficie; entrambe le orditure, tuttavia, sono di valore, come il palinsesto di un manoscritto, dove un testo liturgico romanico è stato coperto da un Ovidio gotico o, nel caso del manoscritto di Brunetto Latino - il Marston 28, conservato a Yale - dove un testo legale raschiato del secolo XIII è stato sostituito dalla traduzione di Brunetto dell'Etica di Aristotele, da lui acquisita in Spagna e trascritta in Francia, durante l'esilio dopo la battaglia di Montaperti e prima di quella di Benevento.
Il secolo XIII è il secolo delle università, e tutti questi testi insieme, testi filosofici e teologici, greco-romani e giudaico-cristiani, furono fondamentali per l'aula universitaria medievale e per quelle istituzioni pedagogiche formatesi nelle aule giuridiche e nelle cancellerie in quelle città dove mancavano le università. Osservando Brunetto Latino vediamo che egli insegnava ai suoi studenti ad Arras e a Firenze proprio così, servendosi dei testi acquisiti nella Spagna quasi saracena. Tra i suoi discepoli il giovane Dante Alighieri, Guido Cavalcanti.11
La Vita Nuova potrebbe essere oggetto di insegnamento in corsi sul pellegrinaggio medievale e sulla poesia, trasmettendo in tal modo agli studenti una metodologia per la decifrazione del testo attraverso paradigmi e persino mediante mappe letterarie. Esistono due principali paradigmi di pellegrinaggio giudaico-cristiano cui si fa ricorso nei testi letterari medievali: il modello di Emmaus e il modello dell'Esodo. Nel corso dovrebbe in primo luogo essere spiegato agli studenti che il mondo ebraico aveva richiesto a tutti gli ebrei maschi tre pellegrinaggi annuali al tempio di Gerusalemme, in occasione della Pasqua, per la Pentecoste, e per la Festa dei Tabernacoli. Tutti e tre ritualmente replicavano le peregrinazioni dell'Esodo, con i pellegrini che ponevano rami di palma sui corni dell'altare del Tempio. Si potrebbe poi mostrare come questi pellegrinaggi ebraici, liturgicamente e archeologicamente, permeano profondamente i pellegrinaggi cristiani più tardi, e tutti offrono un modello sia alla Vita Nuova, sia ad altri importanti testi di pellegrinaggio.
I. Il paradigma di Emmaus
In Luca 24, in origine scritto in greco, apprendiamo di due pellegrini in cammino sul far della sera verso una locanda, ai quali si unisce un terzo, che inizialmente essi non riconoscono. (Questa narrazione di racconti di pellegrini suggestionerà anche Chaucer, Joyce, e Eliot; la sua archeologia non soltanto influenza Dante ma si proietta nel futuro oltre lui - ed in larga parte proprio grazie a lui). Il racconto del Vangelo veniva letto nella liturgia della Chiesa il lunedì di Pasqua e spesso veniva rappresentato come dramma, accompagnato dal salmo 113, In exitu Israel de Aegypto, originariamente il salmo della liturgia giudaica dell''Hallel', cantato mentre si portano rami di palma nel pellegrinaggio al Tempio, ed ora intonato in latino e in canto gregoriano, come in origine lo fu in ebraico modulato con un tonus peregrinus analogo.12
Il paradigma di Emmaus, del narratore del racconto che inizialmente è tardo e che solo dopo giunge a discernere la presenza di Gesù in sembianze di pellegrino, sarà l'espediente del pellegrinaggio che Dante prenderà a prestito da Luca. E' il mantello con cui l'autore si avvolge per il racconto della Vita Nuova, racconto autocosciente, autoreferenziale, autoriflessivo: la narrazione peregrina della Vita nuova. Egli assumerà nuovamente tale veste per la Commedia: là Dante è Luca; Virgilio il 'suo' Clèopa e insieme 'suo' Aronne, nella struttura tipologica del poeta stesso.
Il dramma liturgico basato su Luca 24, l'Officium Peregrinorum, aveva efficacemente presentato i paradossi del riconoscimento e della risurrezione. Dante ricorrerà nuovamente, intertestualmente, a quell'episodio drammatico, in Purgatorio XXI 7-11, 'Ed ecco, sì come ne scrive Luca/che Cristo apparve a' due ch'erano in via,/già surto de la sepulcral buca', dove egli fa incontrare due poeti, Virgilio e Dante, con un terzo poeta, Stazio. L'incontro di due pellegrini con un terzo avviene infine apertamente come paradigma di Emmaus; ma in precedenza, per tutto l'Inferno e il Purgatorio, ogni incontro dei due, Virgilio e Dante, con altri era avvenuto nella matrice del pellegrinaggio di Emmaus, ma non in formula evidente. Il racconto di Emmaus, manifestamente dunque, si basa sull'iniziale non riconoscimento, a causa della stoltezza e del peccato. E' un Pilgrim's Progress, un Viaggio del pellegrino.
Nella tradizione medievale, il secondo discepolo, non indicato per nome, diviene il giovane, imberbe Luca, lo stesso futuro autore ed Evangelista di quel racconto di pellegrino, mentre il primo era il più anziano e barbuto Cléopa. Il testo di Luca parla dei due discepoli affermando 'oculi autem illorum tenebantur, ne eum agnoscerunt' [Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo] (24,16), mentre camminavano assieme narrando racconti di pellegrini, 'dum fabularentur' [mentre discorrevano e discutevano insieme] (24,15). Clèopa, senza riconoscerlo, dice a Gesù: 'Tu solus peregrinus es in Jerusalem, et non cognovisti quae facta sunt in illa his diebus?' [Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?] (24,18). Nell'iconografia medievale della scena, Gesù, sotto le spoglie di pellegrino così risponde: 'O stulti et tardi corde ad credendum in omnibus quae locuti sunt prophetae?' [Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei Profeti!] (25). Ed egli inizia a raccontare loro dell'Esodo, della storia di Mosè e della sua peregrinazione nel deserto, come se si trattasse di una profezia riguardante se stesso. Il riconoscimento avviene successivamente quando benedice e spezza il pane nella locanda. Questa è ironia drammatica; è connessa con l'enigma e le ambages. Vi è un capovolgimento delle percezioni. Le personae e i lettori sono ingannati.
Nella Vita Nuova ritroviamo due volte il racconto di Emmaus, e la prima volta che viene introdotto, nel capitolo nove, è misread, è interpretato male e non riconosciuto. La Vita Nuova esige un grande e attento studio per la simbologia numerale, soprattutto per tale numero, il nove. Il titolo dell'opera, ripetuto nella rubrica in latino, nell'incipit del testo, gioca sulle parole 'nuova' 'nove', in antitesi all'antichità del numero otto, il fonte battesimale ottagonale, l'imperatore pagano Ottaviano Augusto che ebbe all'Ara Coeli una visione della Vergine col Bambino; questi due numeri, otto e nove, divengono poi, nella simbologia numerale medievale, i numeri della conversione. Agostino analogamente aveva avuto la sua conversione nell'ottavo libro delle sue Confessioni, il battesimo alla nuova vita nel nono. Beatrice è identificata con il 'nove' (XXXVIII-XXXIX). Dante ne indica il codice e richiama l'attenzione sui modi per poterlo decifrare.
In questo capitolo Dante è partito da Firenze (proprio come Luca e Cléopa erano in cammino, lontani da Gerusalemme), quando per via incontra Amore nelle sembianze di pellegrino: 'E però lo dolcissimo segnore . . . ne la mia immaginazione apparve come peregrino leggeramente vestito e di vili drappi'. Dante, per essere un pellegrino, è impropriamente a cavallo: 'Cavalcando l'altr'ier per un cammino'; il pellegrino Amore è correttamente a piedi, e presumibilmente scalzo. (John Donne, quattro secoli dopo, giocherà con quel paradosso nel suo 'Venerdì Santo cavalcando verso ovest').
Esiste una ulteriore relazione
con il paradigma di Emmaus rispetto a quella che potrebbe
essere evidente a un lettore moderno:
l'Officium peregrinorum del martedì di Pasqua, uno dei drammi liturgici
monastici, non soltanto utilizzava il salmo 113 della
liturgia pasquale ma poneva a prefazione del dramma anche un
inno: 'Jesu, Amor et Desiderium' [Gesù, Amore e Desiderio].13 Inoltre, se ROMA è pronunciata
a ritroso, il pellegrinaggio a Roma era verso AMOR, verso
amore. A motivo di ciò molto spesso nel far ricorso al
paradigma di Emmaus i testi medievali coniugavano l'erotico
e il Cristologico, così come avviene con l'incontro di
Tristano con due pellegrini veneziani sulle sponde di
Tintagel, nel suo pellegrinaggio non verso Cristo ma verso
Isolde, e con il pellegrinaggio di Petrarca verso Laura
(Sonetto XVI), quello di Troilo di Chaucer nel mancato
convegno con Criseida, e con il pellegrinaggio di Romeo di
Shakespeare verso Giulietta.14 Dietro il gioco medievale sul
pellegrinaggio, che può e dovrebbe essere casto, ma che è
trattato in chiave parodica come se fosse lussurioso,
troviamo, in parte, le parole di 1Pietro 2,11: 'Carissimi, io
vi esorto, come stranieri e pellegrini sulla terra ad
astenervi dai desideri della carne, che fanno guerra
all'anima'. Le proibizioni provocano ridanciane sfrenatezze,
burleschi saturnali. Dante nella razio del suo
poema, sottolinea che all'improvviso Amore 'disparve' così
come nel paradigma di Emmaus. Ma l'apparizione del suo
Amore, a questo punto dell'opera, è più l'apparizione di
Cupido che non quella di Cristo. In questa fase del
pellegrinaggio della Vita nuova i riferimenti
cristologici sono con intenzionalità mantenuti vaghi e
oscuri sia per il suo personaggio assimilato a Luca, che è
tardo e lento a credere, sia per il suo lettore che è un
riflesso di lui. Il capitolo XL della Vita nuova
è l'altra metà del symbolon sul pellegrinaggio di Emmaus con i versi del
sonetto:
Deh
peregrini
che
pensosi
andate,
forse
di
cosa
che
non v'è presente
venite
voi
da
sì
lontana gente,
com'a
la
vista
voi
ne dimostrate,
che
non
piangete
quando
voi passate
per
lo
suo
mezzo
la città dolente,
come
quelle
persone
che
neente
par
che
'ntendesser
la
sua gravitate?15
Il commentario relativo prosegue parlando di pellegrini che passando per Firenze si recano a Roma per mirare 'quella immagine benedetta la quale Iesu Cristo lasciò a noi per essemplo de la sua bellissima figura'.
In generale si suppone che si tratti del panno della Veronica, che il venerdì santo veniva esposto ai pellegrini in San Pietro. Ma uno studio della pratica del pellegrinaggio a Roma nel secolo XIII indica, invece, trattarsi del volto di Cristo nel mosaico dell'abside di San Giovanni in Laterano, che si narra fosse miracolosamente fluttuato nella basilica attraverso la porta dorata.16 Guardare questo Santo Volto, meritava al pellegrino, anche nel secolo XIII, l'indulgenza plenaria. Il Laterano, dunque, in importanza e santità era di gran lunga superiore al Vaticano. Nella Vita Nuova IX quella immagine di Cristo era confusa; nella Vita Nuova XL è rivelata, poiché il Viaggio del pellegrino dell'opera è volutamente quello di 1Corinzi 13,12: 'Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem; nunc cognosco ex parte, tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum' [Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto].17
In rapporto con questo pellegrinaggio alla
volta di Roma Dante dà una definizione accurata delle diverse
tipologie di pellegrini in relazione alle loro mete geografiche:
.
.
.
chiamansi
palmieri in quanto vanno oltremare, là onde molte volte
recano
la
palma;
chiamansi
peregrini in quanto vanno a la casa di
Galizia,
però
che
la
sepultura di sa' Iacopo fue più lontana de la sua
patria
che
c'alcuno
altro
apostolo; chiamansi romei in quanto vanno a
Roma,
là
ove
questi
cu'io chiamo peregrini andavano.
Ma Dante sottintende qui che la sua città, che questi pellegrini attraversano, è un'altra città di pellegrini. Citando Geremia: "Quomodo sedet sola civitas" ['Ah! come sta solitaria la città'] egli crea un'analogia tra Firenze e Gerusalemme: la prima città per la perdita di Beatrice rispecchia quell'altra città per la morte di Cristo, ad imitazione del modo in cui Cristo considera le profezie riguardo a sé stesso nel Vecchio Testamento adempiute nel Nuovo. Dante inserisce due volte Firenze nel paradigma di Emmaus, la prima volta in modo oscuro, la seconda in modo svelato. In Arte e illusione, E. H. Gombrich ha parlato di questa abilità di sostituire una città con un'altra, nell'arte e nelle stampe; altrettanto fece Emile Mâle.18
II Il Paradigma dell'Esodo
Richiamiamo alla memoria che sulla strada per Emmaus, Cristo, Luca, e Clèopa narravano storie. Un racconto di Cristo era su Mosé, che avrebbe dovuto includere la narrazione dell'Esodo. Sappiamo che nell'Officium Peregrinorum era anche cantato il dramma liturgico dei Vespri del lunedì di Pasqua, quel salmo 113 (salmo 114 e 115 nella King James Bible), narrando nuovamente il racconto dell'Esodo. I racconti dell'Esodo e di Emmaus erano essi stessi visti l'uno come palinsesto dell'altro. Quello che scopriremo è che Dante crea ancora un terzo racconto da questi due racconti intrecciati. Egli adatta le loro analogie al suo racconto in modo così accurato come Bach avrebbe creato una fuga e una passacaglia.19
Dante si serve delle Stazioni dell'Esodo come di un libro della memoria, un teatro della memoria, un pellegrinaggio della memoria, per la crittografia della memoria della Vita Nuova, un sistema di categorie per la suddivisione dell'opera in quarantadue capitoli, facendola divenire sia un ermetico pellegrinaggio nel deserto del Vecchio Testamento sia un pellegrinaggio del Nuovo Testamento che sarà rivelato. Ad entrambi egli dà nuova vita, una vita nuova.20 Parlerò prima delle strutture generali, e particolari poi, delle stazioni dell'Esodo di Numeri 33, che, come è stato osservato da John V. Fleming, corrispondono alla suddivisione che Dante dà alla Vita Nuova.21 La cultura gotica, sappiamo, amava molto questi paradigmi numeroligici.22 Ci renderemo anche conto di come i nomi ebraici e le parole dei quarantadue nomi delle stazioni corrispondano al tempo stesso a lettere e numeri, mostrando in tal modo a noi italiani, latini, greci, ebrei, una consonanza tra quelle lingue del Libro fondata sul pellegrinaggio.
L'Esodo è una storia di liberazione, di paideia, è il Bildungsroman di Israele - e Dante così lo definirà in modo accurato nella Epistola a Cangrande della Scala. L'Esodo fu un evento storico, ma secondo Agostino ed altri anche un evento letterario. Ricordiamo che Agostino sostenne fosse lecito servirsi della poesia pagana nei sermoni cristiani; Dio stesso disse agli Israeliti di prendere a prestito oggetti d'oro dagli Egiziani e di portarli con loro nel deserto (Esodo 12,35).23 Quell'oro fu dapprima utilizzato per forgiare il vitello d'oro, quando gli Israeliti andando da Aronne dissero: 'facci un Dio' (32,1). Così agendo gli Israeliti infransero il comandamento contro l'idolatria, contro le immagini scolpite. Danzando nudi intorno al vitello infransero anche il comandamento contro l'adulterio, contro la concupiscenza. E per questi loro atti furono molto severamente puniti. Lo stesso oro egiziaco fu in seguito utilizzzato per adornare l'Arca che custodiva le tavole della legge contenenti i comandamenti; tra gli altri i comandamenti contro l'idolatria e l'adulterio. Paolo aveva predicato un sermone ai pagani Ateniesi in mezzo all'Areòpago e si era servito in questo sermone cristiano di citazioni tratte dalla poesia tragica greca (Atti 17). I Padri della Chiesa ricorsero a questi due episodi per sostenere che materiale pagano, così come l'oro egiziaco e la poesia greca, poteva essere utilizzato per intenti cristiani. L'Esodo, dunque, era visto sia come una liberazione storica, sia come una allegoria sulla poesia e la sua duplicità. Dante si servirà pertanto di Beatrice e come 'vitello d'oro' e come 'Tabernacolo dell'Arca'. Ella rappresenta sia la poesia sia la teologia, e la concupiscenza e la carità.
Il Medioevo e le sue cattedrali e summae prendevano molto seriamente l'affermazione della Scrittura secondo cui Dio ha disposto il mondo con misura, calcolo e peso (Libro della Sapienza di Salomone 11,20). Al momento della Crocifissione Cristo aveva trentatré anni. Il Libro dei Numeri, nel suo trentatreesimo capitolo, procede ad enumerare le quarantadue stazioni dell'Esodo. Queste quarantadue stazioni, che i pellegrini percorsero, furono di grande importanza sia nel mondo ebraico sia nel mondo cristiano. A loro imitazione nelle chiese di Roma, includendo le sette maggiori basiliche, furono fissate le stazioni del pellegrinaggio. A imitazione delle une e delle altre, quattordici stazioni di pellegrinaggio furono infine fissate dai francescani in Gerusalemme, a rappresentare i quattordici eventi della Crocifissione, le Stazioni della Via crucis. L'elencazione di Numeri 33 è stata oggetto di studio, prendendo in considerazione il significato dei nomi ebraici - sulle orme di Gerolamo e Beda - in guide per i pellegrini e nella Glossa Ordinaria.24 Essa funzionava come gematria, dove le lettere corrispondono a numeri e i numeri a lettere; qui, anziché lettere, sono corrispondenti i numeri e i nomi, in una intertestualità di spazio e tempo, nell'Universo inteso come Libro scritto da Dio. Per Dante può essere divenuto un sistema analogo a quello che più tardi Eco adotterà nell'usare la biblioteca ne Il nome della rosa, lì basato sull'Apocalisse; qui, da Dante, per la Vita Nuova, su Numeri 33.
Dante deve aver avuto a disposizione l'Epistola 78 di Gerolamo a Fabiola, 'Ad Fabiolam de mansionibus filiorum israhel per heremum,' che enumera le stazioni dell'Esodo e traduce i loro nomi ebraici, più o meno accuratamente,25 questo è ripetuto nella Glossa Ordinaria. Il testo della Glossa è particolarmente interessante in quanto fonde i significati delle Scritture ebraiche e del Testamento greco, vedendo tutti gli eventi in Numeri 33 in relazione a Cristo. Si potrebbe anche parlare di due racconti di pellegrini presentando le stazioni dell'Esodo assieme al testo crittografico di Dante. Una relazione analoga, Pellegrino anonimo VI (Pseudo-Beda), è del secolo XII; l'altra, Fetellus, è del secolo XIII e, dunque, presumibilmente più corrotta. John Demaray considera anche La fonte della Divina Commedia di Paolo Amaducci che ha cercato di equiparare, in modo forzato, nella sua interezza, a questo testo il De Quadragesima, et quadraginta duabus Hebraeorum mansionibus di Peter Damian.26 Per quanto ho conoscenza non è stato compiuto alcun tentativo di applicare in modo accurato le quarantadue stazioni dell'Esodo alla Vita Nuova come una mappa, un sottotesto, o un palinsesto.
Vi è una certa confusione tra queste relazioni di pellegrinaggi e quelle di Numeri 33; ma tutti rendono crittografico, strutturale il senso della Vita Nuova, come se una versione di una delle due fosse stata a portata di mano di Dante mentre scriveva il testo. Si dovrebbero, forse, compiere delle ricerche nelle biblioteche fiorentine per scoprire quei manoscritti che Dante potrebbe aver usato. Quello che ne risulterebbe è che in alcuni casi esiste un perfetto parallelismo, in altri casi non è così, come se Dante avesse utilizzato le stazioni dell'Esodo quale schema preparatorio per la sua opera, allo stesso modo delle sinopie - poi coperte - degli affreschi che illustrano i pellegrinaggi a Tavant; andata oggi oramai perduta la copertura sono venuti alla luce i disegni originali di colore rossastro. Alcune edizioni della Vita Nuova, ma non molte, cambiano la numerazione da quarantadue a quarantatré capitoli.
Il curatore di Fetellus (edizione del 1887-1897), James Rose MacPherson, di questo testo ha osservato: 'A questo punto egli introduce una lunga affermazione per quanto concerne l'itinerario dell'Esodo, nella quale fa menzione di alcune leggende degne di nota, e dà molte strane interpretazioni dei nomi delle stazioni delle peregrinazioni nel deserto. Queste esplicitazioni sono talora del tutto ridicole, ma non più di quello che era comune sino a epoca relativamente recente.27 Si deve ammettere che il tono dei racconti fondato sulla credulità suoni strano a un lettore moderno. Oggi siamo nominalisti. Il sistema di Umberto Eco è soltanto accidentalmente conforme agli eventi che traspaiono nel suo romanzo giallo Il nome della rosa, quantunque sia stato lui a crearli. Ma il pensiero altomedievale considerava i nomi, i luoghi, e i loro significati, le loro etimologie disegno di Dio, creati da Dio. E' tale spirito a permeare questi racconti.
John Demaray, per il suo The Invention of Dante's Commedia, ripercorre l'itinerario dell'Esodo, visitando il Monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai. Egli applica le Stazioni dell'Esodo alla Commedia, ma non alla Vita Nuova.28 Ha scoperto che le guide dei pellegrini ripetevano ancora queste formule oralmente quasi parola per parola quali sono riportate nelle guide per pellegrini di epoca medievale.29 E' serbata viva memoria e forte è la tradizione riguardo ai luoghi meta di pellegrinaggio, dove il Mondo e il Libro, come Singleton ha dimostrato nel suo Essay on the Vita Nuova, divengono una cosa sola. Nel Monastero di Santa Caterina vi è, infatti, una magnifica icona di Cristo con il Libro, nella quale si percepisce come egli sia anche, per analogia, Mosè con le Tavole della Legge, e che il Libro contenga Numeri 33 e Luca 24.30 Questo è il 'libro de la memoria' di Dante, il suo libro della memoria.
Torniamo al testo della Vita Nuova ed analizziamolo con i palinsesti del pellegrino di Numeri 33 a nostra disposizione, servendocene come di un libro codice per la crittografia dell'opera e vediamo quel che accade. Dante inizia osservando che il suo palinsesto si apre con 'una rubrica la quale dice: Incipit vita nova' [una riga vergata in rosso dove si legge: qui inizia la Vita Nuova]. Nella Vulgata latina il Mar Rosso è il 'mare Rubrum'. Il Salmo 113, usato nel rito del battesimo a Pasqua, fa menzione di questo mare. La Chiesa vedeva una analogia tra il passaggio del Mar Rosso e il battesimo. La prima stazione è detta Ramses e significa 'confusione'. La prima parte della Vita Nuova rappresenta l'inizio del pellegrinaggio di Dante, assimilato a quello dell'Esodo dall'Egitto a Israele, dalla confusione alla chiarificazione, dalla nascita alla vita fino alla salvezza, un pellegrinaggio che egli può fare dopo aver compiuto la 'spogliazione degli Egiziani'. Gerolamo e Pseudo-Beda ci danno come data d'inizio di Numeri 33 il secondo giorno dopo la Pasqua, la data liturgica della lettura del Vangelo del racconto dell'Incredulità di Tommaso, un episodio spesso incluso il lunedì di Pasqua e nell'Officium Peregrinorum del martedì. In questo dramma Cristo dice a Tommaso che egli pur avendolo visto non ha creduto. Tutti questi aspetti si possono ritrovare evocati nel testo di Dante.
La seconda stazione è quella di Succot, del Tabernacolo. Nell'Esodo e altrove è detto che il colore dominante del Tabernacolo, dell'Arca è il rosso, il cremisi, lo scarlatto. Di questo colore è la veste di Beatrice: 'Apparve vestita di nobilissimo colore, umile ed onesto, sanguigno.' Il Tabernacolo dell'Arca doveva essere custodito nel Sancta Sanctorum, nel Tempio di Gerusalemme. Dante dice qui 'lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore. Quel che è interessante qui è che Beatrice è associata a Miriam, a Maria, e a Cristo; il racconto dell'Esodo della Vulgata dà il nome di Miriam come Maria, e gli Apocrifi raccontano la storia della Vergine che fila e tesse la tela rossa per la cortina del Tempio, ella stessa essendo l'Arca Dei, l'Arca di Dio.31 L'ufficio di Dante diviene qui quello di Mosè davanti al roveto ardente, e quello di Aronne, al quale è concesso di accedere al Sancta Sanctorum, ma soltanto una volta all'anno. Così 'l'oro egiziaco' di Omero è particolarmente appropriato: 'Ella non parea figliuola d'uomo immortale, ma di deo'. Bernardo aveva parlato della Vergine Maria come la 'figlia del suo figlio', e Dante riprenderà quel paradosso (Paradiso XXXIII 1-36). In questo sistema né il personaggio né il genere hanno bisogno di rimanere fissi; il palinsesto può variare le dramatis personae. Qui Dante reagisce alla visione di Beatrice come Mosè alla visione di Dio. L'iconografia medievale collegava la visione di Dio di Mosè nel roveto ardente alla visione della Vergine con Bambino di Ottaviano Augusto cogliendovi una analogia. L'icona nel Monastero di Santa Caterina può significare Dio e Mosè che si specchiano l'un l'altro. La Glossa Ordinaria enfaticamente collega Mosè a Cristo: 'Moses id est Christus'.
La terza stazione, Etam, è quella della colonna di nube e fuoco, la stazione del 'coraggio', della 'perfezione', e della 'solitudine'. Qui Dante incontra la mirabile Beatrice dapprima vestita di colore bianco. Poi Amore presenta lei a lui in una visione di 'una nebula di colore di fuoco, avvolta in 'uno drappo sanguigno'. Dapprima Dante è impaurito e trepidante, e così è anche Beatrice, timida e timorosa, piuttosto che tutti e due audaci. Per raggiungere questa visione, nella quale viene detto a lui 'Ego dominus tuus' [Io sono il tuo signore], egli si è ritirato nella solitudine della sua stanza. Le corrispondenze tra queste sezioni sono nuovamente piuttosto chiare.
Il quarto luogo è Pi-Achirot, il luogo dove crescono le canne, e qui Dante diviene così debole e fragile, 'di sì fraile e debole condizione', da suscitare nei suoi amici pensieri di preoccupazione. E' 'fragile come una canna'. La quinta stazione è quella di Mara, che significa 'amarezza', ma questa stazione è anche collegata con un gioco di parole a 'Maria'. Dante parla di bearsi alla vista de 'la regina della gloria', un attributo solitamente riservato alla Vergine Maria, ma qui, abbastanza chiaramente, detto di Beatrice. La sesta è la stazione di Elim, nota per le sue dodici sorgenti d'acqua e settanta palme. Mi chiedo se esistano manoscritti che parlino di 'settanta', piuttosto che di 'sessanta' donne, alle quali egli scrive il suo serventese.
La settima stazione è quella del cammino compiuto dagli Israeliti quando essi si accamparono presso il Mar Rosso ('Mare delle canne') agitato dai flutti. Dante parla qui due volte del viaggio, nel suo sonetto in volgare: 'O voi che per la via d'Amor passate,/attendete e guardate/s'elli è dolore alcun, quanto'l mio grave'32; di questo a sua volta vi sono reminiscenze, o piuttosto questo è riecheggiato, nelle parole di Geremia in un latino grave: 'O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus' [tutti voi che andate per via, osservate, e guardate se c'è alcun dolore simile al mio]. Queste parole sono sovente trovate incise sotto i crocifissi. Ma Dante impiega il linguaggio religioso in modo blasfemo, Bachtianamente, per la concupiscenza piuttosto che per la carità.
L'ottava stazione è quella del deserto di Sin, che significa 'rovo' e 'odio'. In questo capitolo Dante compiange la morte di una giovane e bella donna, e biasima la morte come la sua nemica che egli vitupera: 'Morte villana, di pietà nemica/ . . . di te blasmar la lingua s'affatica'. La nona stazione di Dofka, significa 'battente' o 'scalpitante', e si può solo giungere a tale significato per il rumore degli zoccoli del cavallo in 'Cavalcando' [Cavalcando l'altr'ier]. In altre spiegazioni ha anche il significato di 'salus' 'salute' e 'salvezza'. Amore appare a Dante mentre ambedue viaggiano lungo un bel fiume. Più tardi arriviamo a comprendere che Amore è anche Cristo 'salus noster'. La stazione successiva, la decima, è Alus, che significa 'scontento', e descrive l'infelicità di Dante per il saluto negato da Beatrice. Fu qui che gli Israeliti si lamentarono della fame e ricevettero in dono le quaglie e la manna.
L'undicesima stazione, Refidim o 'desolazione degli intrepidi', è dove gli Israeliti essendo in errore adorano l'idolo del vitello d'oro. Dante rende qui omaggio a Beatrice e sente il cuore ardergli dentro (quell'unione di concupiscenza e carità del paradigma di Emmaus) alla vista di lei. Il testo coglie le due differenti percezioni di Dante riguardo a Beatrice, con concupiscenza, con amore, e la stessa identica donna sta a rappresentare per lui, prima il vitello d'oro, forgiato con l'oro delle spogliazioni degli Egiziani, e poi il Tabernacolo dell'Arca realizzato con lo stesso oro e argento preso a prestito dagli Egiziani. Ella è la moglie di un altro, egli un adultero che desidera infrangere la legge mosaica. Siamo soliti leggere la Vita Nuova nel contesto dell''Amore cortese', non rendendoci conto che si è trattato di un misreading del secolo XIX, un misreading di Andreas Capellanus nel suo De arte honeste amandi, poi letto romanticamente, senza l'ironia intesa dall'autore. E' una questione di prospettiva, di quali parti dei testi leggere, semplicemente un solo livello, o la duplicità. D. W. Robertson ha dimostrato questa caratteristica nel suo 'Doctrine of Charity in Medieval Literary Gardens', un'opera di critica letteraria che analizza la duplicità dei testi medievali entro i loro contesti culturali. Sappiamo, dal commentario di Pietro Alighieri al magnum opus di suo padre che Dante possedeva una copia del testo di Capellanus e che lesse tale testo ironicamente.33 Dante descrive qui se stesso come sotto il peso e la signoria di Amore, quantunque egli pretenda di accogliere questa insopportabile situazione.
La dodicesima stazione è il Deserto del Sinai, dove - dopo essere stato sul monte - Mosè ritornò al suo popolo con le Tavole della Legge, e dove una volta distrutto il vitello d'oro fu fatto il Tabernacolo. Dante in questo capitolo parla di 'ritornare' al suo proposito ritirandosi in un luogo solitario a piangere dopo che Beatrice gli ha negato il saluto. Un giovane in vesti bianchissime appare a lui, e gli dice di mettere da parte tutti i suoi idoli: 'Fili mi, tempus est ut pretermictantur simulacra nostra' [Figlio mio, è tempo di abbandonare le nostre finzioni]. La parola 'simulacra' è messa in rilievo anche nel Salmo 113. Dante ha fatto di Beatrice, o della sua poesia intorno a Beatrice, tale simulacra, tale idolo, tale vitello d'oro, quando ella è in realtà una icona, un'arca, una imago di beatitudine. Dante-persona ha confuso significante e significato e così diviene un idolatra. Amore dice poi a Dante che egli soffre a causa di una boeziana perdita di prospettiva: 'Ego tamquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentiae partes: tu autem non sic'. Lascerò volutamente questo rigo non tradotto per preservarne il carattere ermeneutico, il suo aspetto privilegiato, il suo cerchio chiuso, intatto e integro.
Nella tredicesima stazione, Kibrot-Taava, i 'sepolcri dell'ingordigia', dove gli Israeliti furono presi dalla bramosia per le pentole di carne dell'Egitto, Dante scrive poesia d'amore, non sapendo verso quale via muovere il passo e desiderando ardentemente pietà dalla sua donna, di cui parla in disdegnoso modo. Dante si comporta come uno di quegli Israeliti ribelli amanti dell'Egitto, pieni di risentimento per il dominio di Mosè su di loro, per le peregrinazioni che avevano dovuto compiere nel Deserto, e per la manna e le quaglie con le quali furono nutriti. La quattordicesima stazione di Cazerot, è dove Aronne e Miriam espressero la loro riprovazione per il matrimonio di Mosè. In questo capitolo Dante assiste a un matrimonio dove è presente anche Beatrice. A quel matrimonio di Mosè con la figlia del re etiopico, il signore punisce Miriam con la lebbra. Il nome di questa stazione si dice significhi 'offesa'. In questa scena siamo testimoni dell'improvvisa malattia di Dante, come se facesse la parte di Miriam, mentre Beatrice assume quella di Mosè nei confronti di quello. Aronne in Numeri 12 deve, dunque, condurre Miriam fuori dell'accampamento e lontano dal Tabernacolo per un certo arco di tempo. Dante è condotto via dal luogo dove tante donne si sono adunate, tra queste Beatrice. Un amico fa qui le veci di Aronne.
Quindicesima stazione, Ritma, non corrisponde proprio esattamente alla Vita Nuova XV, quantunque continuino qui i riferimenti al malore quasi fatale di Dante, come a correlare questo con la malattia di Miriam. La stazione successiva, Rimmon- Perez, significa la 'divisione della melagrana'. La veste di Aronne era ricamata con melagrane e sonagli; Robert Browning ha raccolto tale allusione per le sue poesie, in Bells and Pomegranates. Dante si riferisce forse qui alle suddivisioni delle sue poesie, che rimandano ad Aronne, con le quali egli celebra e compie atti di adorazione davanti all'Arca, vale a dire davanti a Beatrice dopo aver inizialmente fatto di lei il suo vitello d'oro? Se così fosse, il ruolo di Dante come Aronne, che fa di Beatrice un vitello d'oro, idolo adorato nell'errore, è parimenti brutalmente distrutto da Dio e da Beatrice; ella è il suo Mosè, che, con la sua morte assimilata a quella di Cristo, va a scrivere il racconto di lui in modo inverso, modellando così la Vita Nuova letterariamente nella nuova vita, nel Nuovo piuttosto che nell'Antico. Il testo usurpa il suo poeta.
Nel capitolo diciassettesimo, Dante scrive di aver trovato una nuova materia per la sua poesia, non parlare più di se stesso (con quella autocommiserazione che Boezio aveva utilizzato, e tuttavia schernita, e come dopo di lui fecero i sonettisti giù giù atttraverso i secoli), ma di più nobili preoccupazioni. Questa stazione, Libna, è interpretata come 'bianchezza'. La diciottesima stazione, Rissa, significa 'freno', che Dante ci mostra con il suo blocco nella scrittura - un blocco autocosciente, autoreferenziale - che imbriglia la sua arte: 'e pensando molto a ciò, pareami avere impresa troppo alta matera quanto a me, sì che non ardia di cominciare; e così dimorai alquanti dì con disiderio di dire e con paura di cominciare'.34 La diciannovesima stazione, Keelata, significa 'assemblea' o 'chiesa', e in alcune fonti anche 'principio'. Dante parla di cominciare a scrivere, e quello che scrive è un sonetto rivolto ad una assemblea di donne che per intuito sanno cosa è amore. La ventesima stazione, il monte Sefer, è quella della 'bellezza' o di 'Cristo'. Per tre volte la Vita Nuova XX parla di bellezza e in chiusura di un 'omo valente', un uomo di valore.
La ventunesima stazione, Arada, significa 'miracolo' e qui all'inizio ci viene detto che Beatrice mirabilmente operando fa esistere l'amante che è in potenza. Si conclude parlando del suo mirabile sorriso. La ventiduesima stazione, Makelot è, di nuovo, 'assemblea' o 'chiesa' e nella Vita Nuova XXII ascoltiamo di donne che si sono ritrovate per essere con Beatrice mentre piange la morte del padre. La stazione ventitreesima, Tacat, significa 'paura', e nella Vita Nuova XXIII siamo testimoni del terrore di Dante per la sua infermità e per la convinzione di essere in punto di morte, seguite dal suo sogno della morte di Beatrice, assimilata alla morte di Cristo. Alla morte di lei si eclissano il sole e le stelle, gli uccelli che volano per l'aere stramazzano morti sulla terra scossa dai terremoti. Un altro significato per questa stazione è 'pazienza'. In tutta questa parte vi sono riferimenti alla 'paura' e alla consolazione.
La ventiquattresima stazione, Terach, significa 'pascolo'. Lo stesso bel capitolo XXIV della Vita Nuova, nel quale Beatrice viene fatta precedere dalla donna dell'amico, dalla Giovanna di Guido Cavalcanti, non pare avere alcun riferimento al modo in cui è strutturato l'Esodo, a meno che il riferimento non sia all'iconografia di San Giovanni Battista: 'Ego vox clamantis in deserto: parare viam Domini' (io sono la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del signore), un pastore che pascola il gregge, 'Ecce agnus dei'. La venticinquesima stazione, Mitka, è quella della dolcezza, e qui ci ritroviamo nel mondo di Guido Cavalcanti e nella sua cerchia poetica del 'dolce stil nuovo'. (Brunetto Latino fu anche il maestro di Guido). La ventiseiesima stazione, Asmona, si dice significhi affrettandosi, e nella Vita Nuova XXVI sappiamo di persone che corrono per ammirare Beatrice che passava per via, 'le persone correano per vedere lei'.
La ventisettesima stazione, Moserot, significa 'legami' 'disciplina'. Qui Dante dice di essere sotto la signoria d'Amore. La ventottesima stazione è Bene-Iaakan, 'figli del bisogno'. Qui vediamo Firenze privata della sua Beatrice, la città è lasciata orfana e nello stato di bisogno. Ventinovesima stazione, Or-Ghidgad, significa 'messaggero', 'cingere', 'circoncisione'. In questo capitolo Dante collega il concetto di Beatrice come un nove all'astronomia, sia secondo il pagano Tolomeo sia secondo la dottrina cristiana. Una astronomia che si serve di cerchi in mezzo ad altri cerchi, di ruota in mezzo a un'altra ruota. Trentesima stazione, Iotbata, è quella 'del Bene' e di 'Cristo'. Dante ancora una volta cita da Geremia su Gerusalemme rimasta vedova senza Cristo e parla anche della sua amicizia con Cavalcanti e del comune desiderio di scrivere in volgare (il dolce stil nuovo) piuttosto che in latino. A motivo di ciò, dice Dante, egli non può dare le altre profezie su Cristo in latino.
La trentunesima stazione,
Abrona, significa 'passaggio'. Qui Dante parla della morte
di Beatrice, 'Ita n'è Beatrice', e del suo dolore. La
trentaduesima stazione, Ezion-Gheber, significa consiglio
degli uomini. Qui il fratello di Beatrice chiede a Dante di
scrivere un sonetto per tutti e due, in tal modo cercando
consolazione per la morte di lei con la loro amicizia. Nella
trentatreesima stazione, Kades, 'santa', Miriam muore ed è
sepolta, alla sua morte nella stazione successiva segue la
morte del fratello Aronne. Nella Vita Nuova XXXIII veniamo a conoscenza di Dante che parla con
l'altro suo grande amico, il fratello di Beatrice, e che
compone una poesia che sarà declamata e dal fratello e da
lui stesso, come servo di Beatrice e suo adoratore. Nella Glossa a Numeri 33 e nella Vita Nuova XXXIII si parla di Aronne e del fratello di Beatrice
sciolti in pianto. Nella trentaquattresima stazione Aronne
muore sul monte Or e la sua tomba non viene trovata. Lo
custodiscono Dio e i suoi angeli. Nella Vita Nuova XXXIV Dante disegna figure
d'angeli (uno splendido dipinto di Dante Gabriel Rossetti di
questa scena è conservato all'Ashmolean Museum di Oxford, un
dipinto molto autoreferenziale). E' l'anniversario della
morte di Beatrice.
La trentacinquesima stazione in alcuni resoconti è Salmona, in altri Obeth; quest'ultima significa 'profetessa'. Qui Dante vede la donna che lo guarda da una finestra e comprende il suo stato d'animo. La trentaseiesima stazione è quella di Punon dove gli Israeliti si lamentano nuovamente del cibo e sono morsi dai serpenti. La trentasettesima stazione è di nuovo Obot ed ancora su questa donna. Queste stazioni, dalla trentacinquesima alla trentottesima, non hanno più un senso. Ma con la trentanovesima, la consonanza è nuovamente chiara, Dibon-Gad, significa 'tentazione degli occhi', 'chiusura' e 'confusione'. Dante parla qui del senso di vergogna per i suoi occhi, della loro infermità. La prima precedente visione di Beatrice così come apparve a lui, si ripete ora all'ora nona ed egli è pieno di vergogna per il modo in cui ha frainteso lei, interpretandone male la mappa dell'Esodo come fosse un ritorno verso l'Egitto, con la ricaduta nel peccato, piuttosto che quella del pellegrinaggio verso Gerusalemme.
La stazione successiva, la quarantesima, Almon-Diblataim, è della 'vergogna per le vie'. Qui Dante vede i pellegrini che si recano alla volta di Roma e camminano per le strade fiorentine; il modello dell'Esodo si interseca qui con quello di Emmaus in questa fuga. La quarantunesima stazione è il monte Abarim, il 'monte dei trapassati', dove muore Mosè senza raggiungere fisicamente la Terra promessa. Dante parla qui del pellegrinaggio spirituale di Beatrice nei cieli. La stazione successiva è il monte Moab, presso Gerico lungo il fiume Giordano, che significa 'ristagnato', e Galgala, che significa 'rivelazione'. Dante termina qui la sua Vita Nuova, interrompendola con la rivelazione di Beatrice nei cieli che contempla il Santo Volto, il Santo Volto di Dio. Ella è a Sua immagine. La sua icona ora, non più idolo, può essere riflessa nel Libro della Memoria di Dante, in quella mappa di pellegrinaggio, sia dell'Esodo sia di Emmaus, mediante analogie con Aronne e Mosè, Luca e Cristo, evidenti sia allo scrittore sia al lettore.
Questi paradigmi dell'Esodo e di Emmaus, quantunque non siano affatto tutta la Vita Nuova, sono certamente parte del progetto incrociato di Dante per la sua opera. I testi medievali sovente con autoriflessione racchiudevano in sé la loro teoria critica. Dante ha fatto questo. Anche Chaucer. Oggi frequentemente i critici teorici moderni si concentrano unicamente sulla teoria, senza alcun tipo di richiamo ai testi letterari. Dante, nella Vita Nuova, parla della sua amicizia per Guido Cavalcanti e dell'intento comune di scrivere in volgare, nel dolce stil nuovo. Questi scenari di pellegrinaggio, all'epoca di Dante, erano immaginati come appartenenti alla cultura saracena. Rappresentarli in un testo fiorentino significava riconciliare i Popoli del Libro, vale a dire riconciliare Giudaismo, Cristianità, e Islam.
Siamo a conoscenza dell'incantevole sonetto del periodo di Pasqua, presumibilmente composto da Dante per Brunetto Latino - maestro suo e di Guido, che insegnò ad entrambi i testi averroistici acquisiti in Spagna - e che accompagnò il suo dono a lui della Vita Nuova. Un altro sonetto, che compiange la morte di Brunetto, parla di un pellegrinaggio nel deserto. 35 Brunetto stesso scrisse un'opera di pellegrinaggio, Il Tesoretto, i cui modelli furono Boezio, Alanus ab Insulis, ed il Roman de la Rose, nel quale Brunetto Latino descrive se stesso che apprende del suo esilio da Firenze nel 1260 mentre si trovava al Passo di Roncisvalle sulla Via Francigena. Addolorandosi profondamente egli smarrisce la via, e seguendo il sentiero di un insolito bosco giunge in un paesaggio di sogno dove gli vengono insegnate la morale e l'etica, da Ovidio, Tolomeo, e moltissimi altri. Latino, come i suoi due illustri discepoli, sostenne fermamente la scrittura in volgare, e a beneficio dei suoi studenti tradusse Aristotele, Tolomeo. e Cicerone in francese e italiano. Gli accadde di trovarsi al Passo di Roncisvalle sulla via del ritorno in patria dalla Corte di Alfonso el Sabio (il padre era stato insignito del titolo di Re delle tre religioni). Lì Brunetto aveva acquisito molte conoscenze, e la cultura araba su Tolomeo e Aristotele. Conosceva già Cicerone. Deve anche essere venuto a contatto con gli scritti di Alfonso. Nel trattato legale di Alfonso, Las Siete Partidas, troviamo una definizione del pellegrino riecheggiata dalla definizione di Dante nella Vita Nuova - e poi nuovamente da Cesare Ripa nella Nova Iconologia.
Dante è così parte di un mondo che conosce le culture di tutti e tre i Popoli del Libro, la cultura giudaico-cristiana e l'islamica, un mondo nel quale può anche essere incluso il sapere del mondo greco-romano. Tutte queste culture, apprendendo l'una dall'altra, attribuivano grande valore all'educazione. Davano anche grande valore al pellegrinaggio. Il pellegrinaggio cristiano a San Giacomo di Compostela corrispondeva al pellegrinaggio musulmano a Cordova e Mecca, riflesso del pellegrinaggio a Gerusalemme per gli israeliti.
La Vita Nuova non sarà l'ultimo tentativo compiuto da Dante di scrivere un'opera di pellegrinaggio. E' la sua esercitazione di classe, la sua opera di apprendistato.36 La Vita Nuova di Dante porta in sé l'impronta dell'insegnamento di Brunetto Latino come il Ritratto dell'artista da giovane di Joyce trasmette i concetti educativi e pluralistici di John Henry Newman. Sia Dante sia Joyce si oppongono agli insegnamenti dei loro pedagoghi, e tuttavia molto attingono da essi. Nella sua opera Joyce fa analoghi giochi crittografici e intertestuali, rimandando con il suo testo alle Confessioni di Sant'Agostino (il suo secondo nome era Agostino e pertanto la confessione occorre a metà libro) e all'Apologia pro vita sua di Newman (per ordine della madre, Stephen all'inizio deve scusarsi con sua zia Dante, canta poi una canzoncina per bambini su questo).37
Anche la Commedia, che segue subito dopo la
Vita Nuova, si servirà del paradigma dell'Esodo e di
Emmaus. Questi sono parti dei 'patterns' nella trama
dell'opera di Dante. In essi Dante è come il nuovo Aronne che
diviene un Mosè, un nuovo Clèopa che diviene un Luca,
recandosi dalla Firenze terrena, che è anche un Egitto, alla
Roma celeste che è anche una Gerusalemme. Sia la geografia sia
l'allegoria del pellegrinaggio sono alla base di questi libri
fondati sul Libro della Parola di Dio e sul Libro
dell'Universo di Dio. Dante crea nel volgare secolare e
profano una intertestualità con i testi sacri e divini della
Bibbia, in latino, greco, ebraico; sia con il codice di Luca
24 per i Vangeli, sia con il codice di Numeri 33 per l'Esodo.
(Quei codici parlavano più profeticamente di quanto egli
stesso fosse in grado di comprendere. Egli diverrà
letterariamente l'esule della sua definizione di
pellegrinaggio della Vita Nuova XL). Dante impiega
entrambi i codici di pellegrinaggio, i codici dell'Esodo e di
Emmaus, da cui creare l'ermeneutica bifronte, le ambages
pulcerrime, della sua Vita Nuova scritta nel dolce
stil
nuovo
del gotico Fiorentino.
Note
1 Originariamente pubblicato in Dante Studies, 103 (1985), 103-104.
2 Dante Alighieri, La Vita Nuova, trad. Barbara Reynolds (Harmondsworth: Penguin 1969), p. 11.
3 Charles S. Singleton, An Essay on the Vita Nuova (Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1949), pp. 25-54.
4 Michel Foucault, The Archeology of Knowledge and The Discourse on Language (New York: Pantheon, 1982); Fredric Jameson, 'Metacommentary,' PMLA, 86 (1971), 9-17.
5 Erwin Panofsky, Early Netherlandish Paintings: Its Origin and Character (New York: Harper and Row, 1971), I 131-148.
6 Enrich Auerbach, 'Figura' in Scenes from the Drama of European Literature, trad. Ralph Manheim (New York: Meridian, 1959), pp. 11-76; 'Metacommentary', pp. 9-10.
7 Il sonetto di Dante per Brunetto Latino - che accompagnava il suo dono pasquale del manoscritto della Vita Nuova - nella traduzione di Dante Gabriel Rossetti compare in Dante and his Circle with the Italian Poets Preceding Him (London: Ellis and Elvey, 1892), p. 96; su questo sonetto si veda Brunetto Latini, Il Tesoretto, a cura e trad. di Julia Bolton Holloway (New York: Garland, 1987), p. xviii; testo italiano in Raccolta di rime antiche toscane (Palermo: Assenzio, 1817), II, 32:
Messer Brunetto, questa pulzella
Con
esso
voi
si
vien la Pasqua fare;
Non
intendete
pasqua
da
mangiare,
Ch'ella
non
mangia,
anzi
vuol essere letta.
La
sua
sentenza
non
richiede fretta,
Nè
luogo
di
romor,
né da giullare;
Anzi
si
vuol
più
volte lusingare,
Prima
che
in
intelletto
altrui si metta,
Se
voi
non
la'ntendete
in questa guisa,
In
vostra
gente
ha
molti frati Alberti,
D'intender
ciò,
che
porta
loro in mano,
Color,
v'me
stringete
senza
risa,
E
se
gli
altri
de' dubbj non son certi,
Ricorrete
alla
fine
a
Messer Giano.
Master
Brunetto,
this
my
little maid
Is
come
to
spend
her Easter-tide with you;
Not
that
she
reckons
feasting as her due,-
Whose
need
is
hardly
to be fed, but read.
Not
in
a
hurry
can her sense be weigh'd.
Nor
mid
the
jests
of any noisy crew:
Ah!
and
she
wants
a little coaxing too
Before
she'll
get
into
another's head.
But
if
you
do
not find her meaning clear,
You've
many
Brother
Alberts
hard at hand,
Whose
wisdom
will
respond
to any call.
Consult
with
them
and
do not laugh at her;
And
if
she
still
is hard to understand,
Apply
to
Master
Janus
last of all.
8 Stanley E. Fish, 'Progress in The Pilgrim's Progress', in Self-Consuming Artifacts: The Experience of Seventeenth- Century Literature (Berkeley: University of California Press, 1972), pp. 224-64; Hans Robert Jauss, Toward an Aestheticof Reception, trad. Timothy Bahti (Minneapolis: University of Minnesota Press, 1982).
9 Thomas S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions (Chicago: Chicago University Press, 1970); Frank Kermode, The Sense of an Ending: Studies in the Theory of Fiction (New York: Oxford University Press); Julia Bolton Holloway, Twice-Told Tales: Brunetto Latino and Dante Alighieri (New York: Peter Lang, 1992).
10 Beryl Smalley, The Study of the Bible in the Middle Ages (Notre Dame: University of Notre Dame Press, 1964); Gabriel L. Astrik, 'The Significance of the Book in Medieval University Coats of Arms', in Medieval and Renaissance Studies, a cura di O.B. Hardison, Jr. (Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1966).
11 Julia Bolton Holloway, 'Alfonso el Sabio, Brunetto Latino, Dante Alighieri', Thought, 60 (1985), 471; trattato ulteriormente in Twice Told Tales.
12 John F. Mahoney, 'The Role of Statius in the Structure of the Purgatorio', 79° Annual Report of the Dante Society (1961), 11-38, in particolare 22; Eric Werner, The Sacred Bridge: The Interdependence of Liturgy and Music in Synagogue and Church During the First Millenium (London: Dobson, 1959), pp. 419-421.
13 Edmond de Coussemaker, Drames liturgiques du Moyen Age (Paris: Vatar, 1861); Giampiero Tintori, Sacre rappresentazioni del manoscritto 201 della Bibliothèque Municipale di Orléans (Cremona: Athenaeum Cremonense, 1958), p. lxxi.
14 Roger Sherman Loomis, The Romance of Tristan and Ysolt (New York: Dutton, 1967), pp. 28-33; Mikhail Bakhtin, Rabelais and his World, trad. Helene Iswolsky (Cambridge, Mass.: MIT Press, 1968), pp. 1-58, 437-474; Victor Turner,The Ritual Process: Structure and Anti-Structure (Ithaca: Cornell University Press, 1971), passim; Maria Corti, 'Models and Antimodels in Medieval Culture', NLH, 10 (1979), 339-356.
15 Trad. Reynolds, p. 97.
16 Hartmann Grisar, History of Rome and the Popes in the Middle Ages, trad. Luigi Cappadelta (London: Herder, 1911), III 302-303.
17 Gerhart B. Ladner, Idea of Reform: Its Impact on Christian Thought and Action in the Age of the Fathers (New York: Harper, 1967), esamina brillantemente l'importanza di questo concetto nella cristianità.
18 E. H. Gombrich, Art and Illusion (Princeton: Princeton University Press, 1961), pp. 68-69; Emile Mâle, The Gothic Image: Religious Art in France in the Thirteenth Century, trad. Dora Nussey (New York: Harper e Row, 1958), p. 2.
19 Douglas R. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: An Eternal Golden Braid (New York: Vintage, 1979); Otto von Simson, The Gothic Cathedral: Origins of Gothic Architecture and the Medieval Concept of Order (Princeton: Princeton University Press, 1974), p. 42; Kathi Meyer, 'The Eight Gregorian Modes on the Cluny Capitals', Art Bulletin, 35 (1952), 81-82, parla dei capitelli nei chiostri come se rispecchiassero armonie musicali.
20 Jonathan D. Spence in The Memory Palace of Matteo Ricci (Harmondsworth: Penguin, 1985), parla del teatro e del palazzo come 'topologia' della memoria che il missionario gesuita adotterà in Cina. Per far questo egli impiega analogamente il racconto e le immagini dei pellegrini di Emmaus, pp. 128-161.
21 E. Proto, Rassegna critica della letteratura italiana, 17 (1912), p. 246.
22 Simson, pp. 21-50.
23 Sant'Agostino, On Christian Doctrine, trad. D. W. Robertson, Jr., (Indianapolis: Bobbs-Merrill, 1958), p. 75.
24 Patrologia Latina, a cura di J. P. Migne, 113.438-444.
25 Dal CLCLT.CD della Universitas Catholica Lovaniensis/Brepols, e della Cetedoc Library of Christian Latin Texts, che include le Epistole di Gerolamo.
26 John G. Demaray, The Invention of Dante's Commedia (New Haven: Yale University Press, 1974), pp. 155-156; Paolo Amaducci, La Fonte della Divina Commedia (Rovigo, 1911), voll. 2
27 Fetellus, Palestine Pilgrims' Text Society, a cura di James Rose MacPherson (London, 1887-1897), V 14-22, p. vii.
28 Ivi, p. 155.
29 Ivi, pp. 46-47.
30 Kurt Weitzmann, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai (Princeton: Princeton University Press, 1976), I 13-15, Icona B. 1.
31 Gail MacMurray Gibson, 'The Thread of Life in the Hand of the Virgin', Duke University Art Museum, 1972, ripubblicato in Equally in God's Image: Women in the Middle Ages, a cura di Julia Bolton Holloway, Joan Bechtold, Constance S. Wright (New York: Peter Lang, 1990), pp. 144-63.
32 Reynolds, p. 35
33 Petri Allegherii super Dantis ipsius genitoris Comoediam Commentarium (Firenze, 1856).
34 Reynolds, p. 54
35 Il sonetto scritto per compiangere la morte di Brunetto Latino si apre esprimendo il grande dolore del poeta alla morte del suo Brunetto gioioso: 'Brunetto Gajoso' (Raccolta, I 105), e afferma poi:
I'
voglio
dipartirmi,
e
amantellato
Andar vagando, come pellegrino,
Sin
che
trovo
un
bosco disertato.
Voglio
cangiare
con
l'acqua
lo vino,
In
ghiande
lo
mio
pane dilicato.
Pianger
la
sera,
la notte, e'l mattino.
36 Lawrence Lipking in The Life of the Poet: Beginning and Ending Poetic Careers (Chicago: Chicago University Press, 1981), pp. 20-34, si esprime analogamente per Marriage of Heaven and Hell di Blake, p. 18; esso 'contiene intere biblioteche . . .quasi una bibbia . . . offre un sacro codice assoluto in forma fortemente concentrata'.
37 James Joyce, Ritratto dell'artista da
giovane.
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FLORENCE'S
'ENGLISH'
CEMETERY
|| ELIZABETH
BARRETT BROWNING
|| WALTER
SAVAGE LANDOR
|| FRANCES
TROLLOPE
|| ABOLITION
OF SLAVERY
|| FLORENCE
IN SEPIA
|| CITY AND BOOK CONFERENCE
PROCEEDINGS
I, II, III,
IV,
V,
VI,
VII
, VIII, IX, X || MEDIATHECA
'FIORETTA
MAZZEI'
|| EDITRICE
AUREO ANELLO CATALOGUE
|| UMILTA
WEBSITE
|| LINGUE/LANGUAGES: ITALIANO,
ENGLISH
|| VITA
New: Opere
Brunetto Latino || Dante vivo || White Silence
© Julia Bolton
Holloway, Sweet New Style: Brunetto Latino,
Dante Alighieri, Geoffrey Chaucer, Essays, 1981-2017
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formerly abandoned English Cemetery and to its Library
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