'Dante vivo', 1997-2013 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli


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DANTE ALIGHIERI

COMMEDIA. INFERNO I
                                                                                     



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Reader/Lettore, Carlo Poli


el mezzo del cammin di nostra vita      1 
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
                                                                                       

   Ahi quanto a dir qual era è cosa dura       4
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

   Tant' è amara che poco è più morte;        7
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

   Io non so ben ridir com' i' v'intrai,           10
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.

  Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,    13
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,

   guardai in alto e vidi le sue spalle             16
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.

   Allor fu la paura un poco queta,                 19
che nel lago del cor m'era durata
la notte ch'i' passai con tanta pieta.
                                                                       

   E come quei che con lena affannata,       22
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l'acqua perigliosa e guata,

   così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,         25
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.

   Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso, 28
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.

   Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,      31
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;

   e non mi si partia dinanzi al volto,           34
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
                                                                      

   Temp' era dal principio del mattino,       37
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino

  mosse di prima quelle cose belle;             40
sì ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle

   l'ora del tempo e la dolce stagione;         43
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.

   Questi parea che contra me venisse        46     
con la test' alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l'aere ne tremesse.

   Ed una lupa, che di tutte brame                 49
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,

   questa mi porse tanto di gravezza           52
con la paura ch'uscia di sua vista,
ch'io perdei la speranza de l'altezza.

   E qual è quei che volontieri acquista,     55 
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;

   tal mi fece la bestia sanza pace,                 58
che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove 'l sol tace.

   Mentre ch'i' rovinava in basso loco,        61
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.

  Quando vidi costui nel gran diserto,        64
«Miserere di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

  Boccaccio, Biblioteca Riccardiana

   Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,      67
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.

   Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,  70
e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.

   Poeta fui, e cantai di quel giusto               73
figliuol d'Anchise che venne di Troia,
poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.

   Ma tu perché ritorni a tanta noia?           76
perché non sali il dilettoso monte
ch'è principio e cagion di tutta gioia?».

   «Or se' tu quel Virgilio e quella fonte      79
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos' io lui con vergognosa fronte.

   «O de li altri poeti onore e lume,               82
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.

   Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,    85
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.

   Vedi la bestia per cu' io mi volsi;              88
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».

   «A te convien tenere altro vïaggio»,       91
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo' campar d'esto loco selvaggio;

   ché questa bestia, per la qual tu gride,  94
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;

   e ha natura sì malvagia e ria,                     97
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo 'l pasto ha più fame che pria.

   Molti son li animali a cui s'ammoglia,   100
e più saranno ancora, infin che 'l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.

   Questi non ciberà terra né peltro,           103
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

   Di quella umile Italia fia salute                 106
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.

   Questi la caccerà per ogne villa,               109
fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
là onde 'nvidia prima dipartilla.

   Ond' io per lo tuo me' penso e discerno 112
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;

   ove udirai le disperate strida,                    116
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch'a la seconda morte ciascun grida;

   e vederai color che son contenti               118
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.

   A le quai poi se tu vorrai salire,                 121
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;

   ché quello imperador che là sù regna,   124
perch' i' fu' ribellante a la sua legge,
non vuol che 'n sua città per me si vegna.

   In tutte parti impera e quivi regge;         127  
quivi è la sua città e l'alto seggio:
oh felice colui cu' ivi elegge!».

   E io a lui: «Poeta, io ti richeggio               130
per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò ch'io fugga questo male e peggio,

   che tu mi meni là dov' or dicesti,             133
sì ch'io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti».

   Allor si mosse, e io li tenni dietro.           136






William Blake, Inferno I


Fonti:
Dante Alighieri. La Commedia secondo l'antica vulgata a cura di Giorgio Petrocchi. Edizione Nazionale a cura della Società Dantesca Italiana. Milano: Mondadori, 1966-1967.
Dante Alighieri. La Divina Commedia. Illustrazioni di Sandro Botticelli. Firenze: Le Lettere, 1997.
Dante Alighieri. La divina commedia nella figurazione artistica e nel secolare commento. A cura di Guido Biagi, Giuseppe Lando Passerini, Enrico Rostagno & Umberto Cosmo. 3 vols. Torino: UTET, 1924-39.
Vittorio Alinari. Paesaggi italici nella "Divina Commedia". Firenze: Presso Giorgio e Piero Alinari, 1921.
Julia Bolton Holloway. The Pilgrim and the Book: A Study of Dante, Langland and Chaucer. Berne: Peter Lang, 1987, 1989, 1993.
Giovanni Papini. Dante vivo. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina, 1933.

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