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ALCUNE RIFLESSIONI SULLA PAROLA POLIS, CIVITAS, CITTA'

FRANCESCA DITIFECI, UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE

 

Abstract

Come diceva Aristotele l’essere umano è ζῷον πολιτικόν λόγον ἔχον, zoon politikon echon ton logon, animale politico dotato di parola, corpo abitato dalla parola. Ed è proprio nella sua identità di parlessere che diviene cittadino, abitante della polis. Quindi gli uomini sono esseri capaci di politica, perché sono esseri capaci di linguaggio. In questa prospettiva diviene chiaro che “in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per pensare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale). In questo quadro cittadino, perciò, i problemi politici ed economici, sociali e tecnici, culturali e religiosi della nostra epoca prendono una impostazione elementare ed umana! Appaiono quali sono: cioè problemi che non possono più essere lasciati insoluti” (La Pira 1954).

E’ nella città che l’essere umano cerca la sua realizzazione perché “per ciascuna di esse è valida la definizione luminosa di Péguy: essere la città dell’uomo abbozzo e prefigurazione della città di Dio. Città arroccate attorno al tempio; irradiate dalla luce celeste che da esso deriva: città nelle quali la bellezza ha preso dimora, s’è trascritta nelle pietre: città collocate sulla montagna dei secoli e delle generazioni: destinate ancora oggi e domani a portare alla civiltà meccanica del nostro tempo e del tempo futuro una integrazione sempre più profonda ed essenziale di qualità e di valore! Ognuna di queste città non è un museo ove si accolgono le reliquie, anche preziose, del passato: è una luce ed una bellezza destinata ad illuminare le strutture essenziali della storia e della civiltà dell’avvenire.” (La Pira 1955).

 

As Aristotle said, the human being is ζῷον πολιτικόν λόγον ἔχον, zoon politikon echon ton logon, a political animal endowed with speech, a body inhabited by speech. And it is precisely in his identity as a speaker that he becomes a citizen, an inhabitant of the polis. Thus men are beings capable of politics because they are beings capable of language. In this perspective, it becomes clear that "in a city there must be a place for everyone: a place to pray (the church), a place to love (the home), a place to work (the workshop), a place to think (the school), a place to heal (the hospital). In this city framework, therefore, the political and economic, social and technical, cultural and religious problems of our age take on an elementary and human approach! They appear as they are: that is, problems that can no longer be left unsolved” (La Pira 1954).

It is in the city that the human being seeks his fulfilment because "for each of them Péguy's luminous definition is valid: to be the city of man, a sketch and prefiguration of the city of God. Cities perched around the temple; irradiated by the celestial light that derives from it: cities in which beauty has taken up residence, has transcribed itself in the stones: cities placed on the mountain of centuries and generations: destined still today and tomorrow to bring to the mechanical civilisation of our time and of future times an ever deeper and more essential integration of quality and value! Each of these cities is not a museum where relics, even precious ones, of the past are housed: it is a light and a beauty destined to illuminate the essential structures of the history and civilisation of the future” (La Pira 1955).


 

uesto mio lavoro parte con una domanda: “Che cos’è una città?” proponendo un percorso di parola, un viaggio all’interno della parola “città”, durante il quale ho avuto autorevolissimi compagni di viaggio quali Giorgio La Pira e Fioretta Mazzei con Giovanna Carocci, cui si affiancano due autorevolissimi oratori che ho avuto l'onore di avere come ospiti nei miei “Dialoghi dalla città sul monte 2023”, il primo è il Professor Panayotis Kantzas, psicanalista lacaniano, https://www.youtube.com/watch?v=2XWRnAqfakk , il secondo è Padre Bernardo Gianni, Abate di San Miniato al Monte https://www.youtube.com/watch?v=D9Ol-kCfCAw.


E in questo mio viaggio basato anche sull’ analisi quantitativa, ho individuato alcune parole guida nello spazio e nel tempo. Ecco le parole che io ho scelto, in base appunto all’analisi dei testi, come parole guida, sono sei: la prima è ‘essere umano in quanto essere parlante’/human being as speaking being; la seconda è quella di ‘animale politico’/political animal; la terza è la parola ‘relazione’/relationship; la quarta è la parola ‘vocazione’/vocation; la quinta è la parola ‘mistero’/mystery; e l’ultima è la parola futuro/future. E parto con una, a mio parere bellissima, citazione di Tucidide riportato poi anche da Hannah Arendt nel suo testo “Vita activa” che è “Ovunque voi andrete sarete una polis”. Che vuol dire questo? Vuol dire che la polis è antecedente agli edifici. Prima viene la civitas e poi viene la urbs. Perché questo? Perché come diceva Aristotele, l'essere umano è
ζῷον πολιτικόν λόγον ἔχον, zoòn politikòn èchon tòn logon, cioè un animale politico dotato di parola. Noi siamo corpi abitati dalla parola; ed è proprio nella sua identità di parlessere che diviene cittadino, cioè abitante della polis. Quindi, dice sempre Aristotele, gli uomini sono esseri capaci di politica perché sono esseri capaci di linguaggio. Teniamo ben presente l’immagine della discesa di Mosè dal Monte Sinai con la Tavola delle Leggi, il Decalogo, e questo Decalogo cioè queste parole sono quelle che poi costituiscono l'essenza della polis, che da questo gruppo errante diviene polis, quindi intorno a queste parole si crea il legame sociale.


È dunque il logos ad essere decisivo nella polis, in quanto è colui che conferisce la posizione dell'essere parlante. La polis, la città è il luogo del logos. Nella polis i cittadini conducono un modo di vita nel quale solo il discorso aveva senso e in cui l'attività fondamentale di tutti i cittadini era di parlare tra di loro. Insisto molto sul discorso della comunità, della communitas fondata sul fatto che i suoi membri sono esseri parlanti legati fra di loro. Infatti è proprio il fatto di essere parlante ciò che caratterizza, che distingue l'essere umano da tutti gli altri esseri animati; il fatto esclusivo di parlare è ciò che segna la differenza tra lui e tutti gli altri animali. L' essere umano è un parlessere, come viene definito da Jacques Lacan. Il fatto di essere parlante è ciò che lo predispone per natura a vivere in una polis costruita per la realizzazione del bene comune, dei suoi cittadini, in un rapporto di relazione con gli altri suoi simili. Come sottolineato da Francesco Barone, ma possiamo anche andare molto più indietro e arrivare fino ai tempi di Socrate, il linguaggio è l'attività più umana. Heidegger afferma che il linguaggio è la dimora dell'essere; nella sua casa abita l'essere umano. L'essere, l'essenza degli individui sono determinati rispetto all'essere e all'essenza del linguaggio. Allora capire questo fondamento della polis è il presupposto necessario per andare poi a vedere quelli che principalmente in Giorgio La Pira e in Fioretta Mazzei sono gli elementi costitutivi della polis. Questa è la base, cioè l'incontro tra esseri parlanti che costituiscono legame sociale organizzato poi attorno a delle leggi.


Dice La Pira il 6 novembre del 1953 all’inaugurazione del nuovo quartiere dell’Isolotto: “Ogni città racchiude in sé una vocazione e un mistero. Amatela e custoditela”. Quindi già in questo primo riferimento che abbiamo a Giorgio La Pira abbiamo incontrato due di quelle che sono le parole chiave selezionate: vocazione e mistero. In un altro celebre discorso tenuto da Giorgio la Pira a Ginevra all’Assemblea della Croce Rossa Internazionale il 12 aprile del 1954, [La Pira] fa riferimento al valore storico della città e quello correlativo delle responsabilità storiche. Facendo riferimento alla categoria del tempo, chiaramente facciamo riferimento alla sua tripartizione in passato, presente e futuro, che in La Pira e in Fioretta Mazzei trovano poi un unicum. Per entrambi la responsabilità che la generazione presente ha - noi oggi, per esempio- ha sia una dimensione diacronica, sia anche legata al passato, ma al tempo stesso proiettata verso il futuro, cioè delle rifrazioni dell'eternità nel tempo. E si chiede La Pira, visti i tempi, vista la minaccia, - come non pensare ad una incredibile analogia con il nostro presente momento storico! - è possibile che queste città, tutte le città del mondo vengano radicalmente cancellate dalla faccia della Terra? In realtà è inequivocabilmente provato che questa devastazione totale delle città dell'uomo dalla faccia della Terra è possibile. L'attualità del discorso è davvero considerevole; infatti qualche bomba a idrogeno lasciata cadere su alcuni punti del globo può ridurre la Terra ad un deserto. Ecco quindi il richiamo alla rappresentanza e alla responsabilità di tutte le città della Terra. Certamente loro parlano da Firenze. Firenze ha una vocazione particolare per la sua storia, da cui parte un abbraccio a tutte le città del mondo in quanto tutte le città sono responsabili. Responsabili perché cosa? “Il diritto all'esistenza delle città umane, un diritto di cui siamo titolari noi della generazione presente, ma del quale sono titolari ancor di più gli uomini delle generazioni future”. Ecco qui che passato, presente e futuro si armonizzano. In che modo? “Nel diritto, il cui valore storico, sociale, politico, culturale e religioso si fa più grande nella misura in cui si chiarisce, nella meditazione umana attuale, il significato misterioso e profondo delle città. Nessuno senza commettere un crimine irreparabile contro l'intera famiglia umana può condannare a morte una città. Io domando, anche a nome delle generazioni future, che i beni di cui sono destinatari non siano distrutti”. E poi La Pira fa un riferimento alla sua “dolce e armoniosa Firenze, creata in un certo senso sia per l'uomo come per Dio, per essere come la città sulla montagna. Luce e conforto sul cammino degli uomini; non vuole essere distrutta. Questa stessa volontà di vita viene affermata insieme con Firenze, grazie ad una missione tacitamente affidata al sindaco del capoluogo toscano, da tutte le città della Terra; città, ripeto, capitali e non capitali, grandi e piccole, storiche o di recente tradizione artistica e no, tutte indistintamente. Esse rivendicano unanimemente il loro inviolabile diritto all' esistenza. Nessuno ha il diritto per qualsiasi motivo di distruggerle. Le generazioni attuali non hanno il diritto di distruggere una ricchezza che è stata loro affidata in vista delle generazioni future”. Si tratta di beni che derivano dalla generazione passata, di fronte al quale le presenti rivestono la figura giuridica degli eredi fiduciari. I destinatari ultimi di quest’ eredità sono le generazioni successive. “Sono venuto qui a Ginevra, dice La Pira, per affermare il diritto all'esistenza delle città umane, un diritto di cui siamo titolari noi della generazione presente, ma della quale sono titolari ancor di più gli uomini delle generazioni future”.


Questo incontro a Ginevra del ‘54 è quello che poi stimolerà, ispirerà l'incontro a Firenze nel 1955, in cui appunto ci sarà il Convegno dei Sindaci dalle capitali di tutta la Terra. Quindi da Ginevra si torna a Firenze. Firenze diventa luogo di abbraccio, di incontro e di abbraccio per tutte le città del mondo. E in questo incontro di nuovo La Pira si lamenta, urla, denuncia, piange la crisi del proprio tempo; e anche qui non possiamo non leggere l’incredibile simmetria con questo nostro particolare momento storico che riguarda non solamente Firenze, ma ovviamente tutte le città, di nuovo, del mondo. “La crisi del nostro tempo, che è una crisi di sproporzione e di dismisura rispetto a ciò che è veramente umano; usa esattamente le due parole che poco tempo prima aveva usato Simone Weil: sproporzione e dismisura. Ci fornisce la prova del valore, diciamo così, terapeutico e risolutivo che in ordine ad essa la città possiede. Com’ è stato felicemente detto, infatti, la crisi del tempo nostro può essere definita come sradicamento della persona dal contesto organico della città.
È bellissima questa immagine della città come di un corpo vivente dal quale anche oggi, anche in questo momento, la persona viene sradicata. Ebbene questa crisi non potrà essere risolta che mediante un radicamento nuovo; dallo sradicamento a un nuovo radicamento più profondo, più organico della persona nella città in cui essa è nata e nella storia e nella cui tradizione essa è organicamente inserita. Questo, Signori, è il significato dell'improvvisa e vasta risonanza che ha oggi nel mondo intero il tema della città. Parliamo qua da Firenze, in questa nostra asse con Delhi e con altre citta, ma lo siamo con tutte le città del mondo. Il tema della città è un tema che va diventando l'aspetto sempre più marcato della cultura e della vita del tempo nostro. A tutti si fa chiaro infatti che in una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare- la chiesa, un posto per amare- la casa, un posto per lavorare- l'officina, un posto per pensare- la scuola, un posto per guarire- l'ospedale. In questo quadro cittadino, perciò, i problemi politici ed economici e sociali e tecnici, culturali e religiosi della nostra epoca prendono una impostazione elementare. Appaiono quelli che sono, cioè problemi che non possono più essere lasciati insoluti. Perché questo? Perché è proprio nella città, in questa dimensione di legame sociale, in questa dimensione comunitaria che l'essere umano cerca la sua realizzazione. Perché per ciascuna di esse è valida la definizione luminosa di Charles Péguy: essere la città dell'uomo, abbozzo e prefigurazione della città di Dio. E questo è un aspetto molto particolare sia di La Pira che di Fioretta Mazzei, anche in questo perfettamente allineati; infatti queste parole a cui io faccio riferimento si trovano nei testi di entrambi. Non solo guardare alla città come memoria, come patrimonio da trasmettere, ma anche come prospettiva di futuro, come anticipazione di quella che sarà la città celeste. Firenze come anticipazione della Gerusalemme celeste; Firenze come tutte le città del mondo. È molto bello questo focalizzarsi su Firenze, ma aprire le braccia a tutte le città del mondo. Questo è un procedimento linguistico comune ad entrambi gli autori e che attraversa tutti i loro testi. Città arroccate attorno al tempio, irradiate dalla luce celeste che da esso deriva; città nelle quali la bellezza ha preso dimora. Certamente, il tema della bellezza è un tema molto caro sia a La Pira sia a Fioretta Mazzei; è un tema secondo cui è necessario che nella città si respiri bellezza. E qui occorre puntualizzare che quando ci riferiamo alla parola ‘bellezza’ non ci riferiamo semplicemente ad un edificio pur bello. Noi siamo pieni di edifici bellissimi in questa città ovviamente, ma è l’edificio cui facciamo riferimento esiste ancor prima nel legame tra le persone che poi lo andranno ad abitare. Ed ecco il collegamento all' essere umano come essere dotato di parola, caratterizzato dalla parola. Quindi c’è una bellezza anteriore che poi viene scritta nelle chiese. Sono città collocate sulla montagna dei secoli e delle generazioni, destinata ancora oggi e domani a portare alla civiltà meccanica del nostro tempo e del nostro futuro una integrazione sempre più profonda ed essenziale di qualità e di valore. Ognuna di queste città non è un museo, messaggio fortissimo per questa nostra città di Firenze e non solo. Non è un museo ove si accolgono le reliquie, anche preziose, del passato; è una luce ed una bellezza destinata ad illuminare le strutture essenziali della storia e della civiltà dell'avvenire. Ecco in queste parole il tempo si anima, perché qui il tempo- come vive nella sua dimensione completa, tripartita, dove il passato, il presente e il futuro formano un unicum, e non se ne può levare un pezzetto, perché altrimenti la bellezza dell'insieme svanisce. E parallelamente, come mette magistralmente in luce Giovanna Carocci nel decennale dalla morte (Toscana Oggi 2008): “Fioretta infatti aveva in mente un volto ben preciso di Firenze, volto teologale che rispecchia qualcosa dell'infinita bellezza della civitas dei”. Ecco di nuovo questa parola, che è futuro, condivisa dai due. La città come organismo vitale, composto di persone che vivono le une accanto alle altre, in un'aspirazione comunitaria che tenti di costruire giorno per giorno con umiltà, sapienza e amore il bene comune. Visione del resto costituzionalmente sancita; invece vedeva intorno a sé un muro di incomprensione quando non di rispettoso disprezzo; e pochi giorni prima della morte, avvenuta nel 1998, scriveva una specie di testamento, riassunto in queste poche parole: “Una città può riflettere una bellezza addirittura superiore alla bellezza di un viso perché è una bellezza comunitaria, voluta da tutti, condivisa; e come perfino la bellezza naturale, ha bisogno di essere accompagnata, scoperta, anche corretta dallo sguardo e dalla mano dell'uomo, così la bellezza cittadina ha bisogno di una partecipazione, di un occhio d'amore collettivo. Il degrado di tante città è dovuto proprio a questo, alla non educazione, alla non comunità. La vita comunitaria infatti riflette la vita del cielo nei suoi misteri.” che non sono solitari. Perché il nostro occhio sia capace in profondità di bellezza e di poesia ci vuole un atteggiamento interiore umile, semplice, costante perché, nonostante tutto, camminiamo verso il massimo del semplice, dell’umile, del lineare. Dio è semplice. La costruzione e il denaro possono investire tutto, ma non è da questa analisi che ne usciamo, ma in un rinnovamento interiore al quale tutti aspiriamo e a cui non vogliamo rinunciare”.


A questo punto non possiamo non soffermarci sulla parola “degrado”. È una parola verso la quale inevitabilmente c’è un istintivo rifiuto di ascolto, ma della quale non possiamo fare a meno, in quanto senza consapevolezza del problema, non c’è possibilità di soluzione. Aveva ragione Fioretta quando parlava di degrado, oggi potenziato dalla iperconnessione. Siamo sempre connessi e al tempo stesso ci appare sovente una città svuotata del discorso dei suoi cittadini. Come abbiamo visto la città è fondata sull’incontro di esseri umani parlanti che poi diventano cittadini. Se viene svuotata del discorso dei suoi cittadini, la città muore, svuotata dalla sua lingua, che diventa spesso una metalingua, la città soccombe. Rimasta un insieme di edifici disidratati e svuotati della parola, la città perde la vita, divenendo una specie di maschera di cartapesta, ripiegata su se stessa. È l’era del post umano, dell'umanità superflua profetizzata da Hannah Arendt.







 

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