FLORIN WEBSITE
A WEBSITE
ON FLORENCE © JULIA BOLTON HOLLOWAY, AUREO ANELLO ASSOCIAZIONE,
1997-2024: ACADEMIA
BESSARION
||
MEDIEVAL: BRUNETTO
LATINO, DANTE
ALIGHIERI, SWEET NEW STYLE: BRUNETTO
LATINO, DANTE
ALIGHIERI, &
GEOFFREY CHAUCER
|| VICTORIAN:
WHITE
SILENCE:
FLORENCE'S
'ENGLISH'
CEMETERY
|| ELIZABETH
BARRETT BROWNING
|| WALTER
SAVAGE LANDOR
|| FRANCES
TROLLOPE
|| ABOLITION
OF SLAVERY
|| FLORENCE
IN SEPIA
|| CITY AND BOOK CONFERENCE
PROCEEDINGS
I, II, III,
IV,
V,
VI,
VII
, VIII, IX, X || MEDIATHECA
'FIORETTA
MAZZEI'
|| EDITRICE
AUREO ANELLO CATALOGUE
|| UMILTA
WEBSITE
|| LINGUE/LANGUAGES: ITALIANO,
ENGLISH
|| VITA
New: Opere
Brunetto Latino || Dante vivo || White Silence
ALCUNE
RIFLESSIONI SULLA PAROLA POLIS, CIVITAS, CITTA'
FRANCESCA
DITIFECI, UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE
Abstract
E’ nella città che l’essere umano cerca la sua
realizzazione perché “per ciascuna di esse è valida la
definizione luminosa di
Péguy: essere la città dell’uomo abbozzo e prefigurazione
della città di Dio.
Città arroccate attorno al tempio; irradiate dalla luce
celeste che da esso
deriva: città nelle quali la bellezza ha preso dimora, s’è
trascritta nelle
pietre: città collocate sulla montagna dei secoli e delle
generazioni:
destinate ancora oggi e domani a portare alla civiltà
meccanica del nostro
tempo e del tempo futuro una integrazione sempre più profonda
ed essenziale di
qualità e di valore! Ognuna di queste città non è un museo ove
si accolgono le
reliquie, anche preziose, del passato: è una luce ed una
bellezza destinata ad
illuminare le strutture essenziali della storia e della
civiltà dell’avvenire.”
(La Pira 1955).
As Aristotle said, the
human being is ζῷον
πολιτικόν λόγον
ἔχον, zoon politikon echon ton logon, a
political animal endowed with
speech, a body inhabited by speech. And it is precisely in his
identity as a
speaker that he becomes a citizen, an inhabitant of the polis.
Thus men are
beings capable of politics because they are beings capable of
language. In this
perspective, it becomes clear that "in a city there must be a
place for
everyone: a place to pray (the church), a place to love (the
home), a place to
work (the workshop), a place to think (the school), a place to
heal (the
hospital). In this city framework, therefore, the political
and economic,
social and technical, cultural and religious problems of our
age take on an
elementary and human approach! They appear as they are: that
is, problems that
can no longer be left unsolved” (La
Pira 1954).
It is in the city that
the human being seeks his fulfilment because "for each of them
Péguy's
luminous definition is valid: to be the city of man, a sketch
and prefiguration
of the city of God. Cities perched around the temple;
irradiated by the celestial
light that derives from it: cities in which beauty has taken
up residence, has
transcribed itself in the stones: cities placed on the
mountain of centuries
and generations: destined still today and tomorrow to bring to
the mechanical
civilisation of our time and of future times an ever deeper
and more essential
integration of quality and value! Each of these cities is not
a museum where
relics, even precious ones, of the past are housed: it is a
light and a beauty
destined to illuminate the essential structures of the history
and civilisation
of the future” (La Pira 1955).
uesto
mio lavoro parte con una domanda: “Che cos’è una città?”
proponendo un percorso
di parola, un viaggio all’interno della parola “città”,
durante il quale ho
avuto autorevolissimi compagni di viaggio quali Giorgio La
Pira e Fioretta
Mazzei con Giovanna Carocci, cui si affiancano due
autorevolissimi oratori che
ho avuto l'onore di avere come ospiti nei miei “Dialoghi dalla
città sul monte
2023”, il primo è il Professor Panayotis Kantzas, psicanalista
lacaniano, https://www.youtube.com/watch?v=2XWRnAqfakk , il secondo è Padre Bernardo
Gianni, Abate di San
Miniato al Monte https://www.youtube.com/watch?v=D9Ol-kCfCAw.
E in
questo mio viaggio basato anche sull’ analisi quantitativa, ho
individuato
alcune parole guida nello spazio e nel tempo. Ecco le parole
che io ho scelto,
in base appunto all’analisi dei testi, come parole guida, sono
sei: la prima è ‘essere
umano in quanto essere parlante’/human being as speaking
being; la
seconda è quella di ‘animale politico’/political animal;
la terza è la
parola ‘relazione’/relationship; la quarta è la parola
‘vocazione’/vocation;
la quinta è la parola ‘mistero’/mystery; e l’ultima è
la parola futuro/future.
E parto con una, a mio parere bellissima, citazione di
Tucidide riportato poi
anche da Hannah Arendt nel suo testo “Vita activa” che è
“Ovunque voi andrete
sarete una polis”. Che vuol dire questo? Vuol dire che
la polis è
antecedente agli edifici. Prima viene la civitas e
poi viene la urbs.
Perché questo? Perché come diceva Aristotele, l'essere umano è
ζῷον πολιτικόν λόγον
ἔχον, zoòn
politikòn èchon tòn logon, cioè un animale politico
dotato di parola. Noi
siamo corpi abitati dalla parola; ed è proprio nella sua
identità di parlessere
che diviene cittadino, cioè abitante della polis.
Quindi, dice
sempre Aristotele, gli uomini sono esseri capaci di politica
perché sono esseri
capaci di linguaggio. Teniamo ben presente l’immagine della
discesa di Mosè dal
Monte Sinai con la Tavola delle Leggi, il Decalogo, e questo
Decalogo cioè
queste parole sono quelle che poi costituiscono l'essenza
della polis, che
da questo gruppo errante diviene polis, quindi intorno
a queste parole
si crea il legame sociale.
È
dunque il logos ad essere decisivo nella polis,
in quanto è colui
che conferisce la posizione dell'essere parlante. La polis,
la città è
il luogo del logos. Nella polis i cittadini
conducono un modo di
vita nel quale solo il discorso aveva senso e in cui
l'attività fondamentale di
tutti i cittadini era di parlare tra di loro. Insisto molto
sul discorso della
comunità, della communitas fondata sul fatto che i
suoi membri sono
esseri parlanti legati fra di loro. Infatti è proprio il fatto
di essere
parlante ciò che caratterizza, che distingue l'essere umano da
tutti gli altri
esseri animati; il fatto esclusivo di parlare è ciò che segna
la differenza tra
lui e tutti gli altri animali. L' essere umano è un parlessere,
come
viene definito da Jacques Lacan. Il fatto di essere parlante è
ciò che lo
predispone per natura a vivere in una polis costruita
per la
realizzazione del bene comune, dei suoi cittadini, in un
rapporto di relazione
con gli altri suoi simili. Come sottolineato da Francesco
Barone, ma possiamo anche
andare molto più indietro e arrivare fino ai tempi di Socrate,
il linguaggio è
l'attività più umana. Heidegger afferma che il linguaggio è la
dimora
dell'essere; nella sua casa abita l'essere umano. L'essere,
l'essenza degli
individui sono determinati rispetto all'essere e all'essenza
del linguaggio.
Allora capire questo fondamento della polis è il
presupposto necessario
per andare poi a vedere quelli che principalmente in Giorgio
La Pira e in Fioretta
Mazzei sono gli elementi costitutivi della polis.
Questa è la base, cioè
l'incontro tra esseri parlanti che costituiscono legame
sociale organizzato poi
attorno a delle leggi.
Dice
La Pira il 6 novembre del 1953 all’inaugurazione del nuovo
quartiere dell’Isolotto:
“Ogni città racchiude in sé una vocazione e un mistero.
Amatela e custoditela”.
Quindi già in questo primo riferimento che abbiamo a Giorgio
La Pira abbiamo
incontrato due di quelle che sono le parole chiave
selezionate: vocazione e
mistero. In un altro celebre discorso tenuto da
Giorgio la Pira a
Ginevra all’Assemblea della Croce Rossa Internazionale il 12
aprile del 1954,
[La Pira] fa riferimento al valore storico della città e
quello correlativo
delle responsabilità storiche. Facendo riferimento alla
categoria del tempo,
chiaramente facciamo riferimento alla sua tripartizione in
passato, presente e futuro,
che in La Pira e in Fioretta Mazzei trovano poi un unicum.
Per entrambi
la responsabilità che la generazione presente ha - noi oggi,
per esempio- ha
sia una dimensione diacronica, sia anche legata al passato, ma
al tempo stesso
proiettata verso il futuro, cioè delle rifrazioni
dell'eternità nel tempo. E si
chiede La Pira, visti i tempi, vista la minaccia, - come non
pensare ad una incredibile
analogia con il nostro presente momento storico! - è possibile
che queste città,
tutte le città del mondo vengano radicalmente cancellate dalla
faccia della
Terra? In realtà è inequivocabilmente provato che questa
devastazione totale
delle città dell'uomo dalla faccia della Terra è possibile.
L'attualità del
discorso è davvero considerevole; infatti qualche bomba a
idrogeno lasciata
cadere su alcuni punti del globo può ridurre la Terra ad un
deserto. Ecco
quindi il richiamo alla rappresentanza e alla responsabilità
di tutte le città
della Terra. Certamente loro parlano da Firenze. Firenze ha
una vocazione
particolare per la sua storia, da cui parte un abbraccio a
tutte le città del
mondo in quanto tutte le città sono responsabili. Responsabili
perché cosa? “Il
diritto all'esistenza delle città umane, un diritto di cui
siamo titolari noi
della generazione presente, ma del quale sono titolari ancor
di più gli uomini
delle generazioni future”. Ecco qui che passato, presente e
futuro si
armonizzano. In che modo? “Nel diritto, il cui valore storico,
sociale,
politico, culturale e religioso si fa più grande nella misura
in cui si
chiarisce, nella meditazione umana attuale, il significato
misterioso e
profondo delle città. Nessuno senza commettere un crimine
irreparabile contro
l'intera famiglia umana può condannare a morte una città. Io
domando, anche a
nome delle generazioni future, che i beni di cui sono
destinatari non siano
distrutti”. E poi La Pira fa un riferimento alla sua “dolce e
armoniosa
Firenze, creata in un certo senso sia per l'uomo come per Dio,
per essere come
la città sulla montagna. Luce e conforto sul cammino degli
uomini; non vuole
essere distrutta. Questa stessa volontà di vita viene
affermata insieme con
Firenze, grazie ad una missione tacitamente affidata al
sindaco del capoluogo
toscano, da tutte le città della Terra; città, ripeto,
capitali e non capitali,
grandi e piccole, storiche o di recente tradizione artistica e
no, tutte indistintamente.
Esse rivendicano unanimemente il loro inviolabile diritto all'
esistenza.
Nessuno ha il diritto per qualsiasi motivo di distruggerle. Le
generazioni
attuali non hanno il diritto di distruggere una ricchezza che
è stata loro
affidata in vista delle generazioni future”. Si tratta di beni
che derivano
dalla generazione passata, di fronte al quale le presenti
rivestono la figura
giuridica degli eredi fiduciari. I destinatari ultimi di
quest’ eredità sono le
generazioni successive. “Sono venuto qui a Ginevra, dice La
Pira, per affermare
il diritto all'esistenza delle città umane, un diritto di cui
siamo titolari
noi della generazione presente, ma della quale sono titolari
ancor di più gli
uomini delle generazioni future”.
Questo
incontro a Ginevra del ‘54 è quello che poi stimolerà,
ispirerà l'incontro a
Firenze nel 1955, in cui appunto ci sarà il Convegno dei
Sindaci dalle capitali
di tutta la Terra. Quindi da Ginevra si torna a Firenze.
Firenze diventa luogo
di abbraccio, di incontro e di abbraccio per tutte le città
del mondo. E in
questo incontro di nuovo La Pira si lamenta, urla, denuncia,
piange la crisi
del proprio tempo; e anche qui non possiamo non leggere
l’incredibile simmetria
con questo nostro particolare momento storico che riguarda non
solamente
Firenze, ma ovviamente tutte le città, di nuovo, del mondo.
“La crisi del
nostro tempo, che è una crisi di sproporzione e di dismisura
rispetto a ciò che
è veramente umano; usa esattamente le due parole che poco
tempo prima aveva
usato Simone Weil: sproporzione e dismisura. Ci fornisce la
prova del valore,
diciamo così, terapeutico e risolutivo che in ordine ad essa
la città possiede.
Com’ è stato felicemente detto, infatti, la crisi del tempo
nostro può essere
definita come sradicamento della persona dal contesto organico
della città. È bellissima
questa immagine della città come di un corpo vivente dal quale
anche oggi,
anche in questo momento, la persona viene sradicata. Ebbene
questa crisi non
potrà essere risolta che mediante un radicamento nuovo; dallo
sradicamento a un
nuovo radicamento più profondo, più organico della persona
nella città in cui
essa è nata e nella storia e nella cui tradizione essa è
organicamente
inserita. Questo, Signori, è il significato dell'improvvisa e
vasta risonanza
che ha oggi nel mondo intero il tema della città. Parliamo qua
da Firenze, in
questa nostra asse con Delhi e con altre citta, ma lo siamo
con tutte le città
del mondo. Il tema della città è un tema che va diventando
l'aspetto sempre più
marcato della cultura e della vita del tempo nostro. A tutti
si fa chiaro
infatti che in una città un posto ci deve essere per tutti: un
posto per
pregare- la chiesa, un posto per amare- la casa, un posto per
lavorare- l'officina,
un posto per pensare- la scuola, un posto per guarire-
l'ospedale. In questo
quadro cittadino, perciò, i problemi politici ed economici e
sociali e tecnici,
culturali e religiosi della nostra epoca prendono una
impostazione elementare.
Appaiono quelli che sono, cioè problemi che non possono più
essere lasciati
insoluti. Perché questo? Perché è proprio nella città, in
questa dimensione di
legame sociale, in questa dimensione comunitaria che l'essere
umano cerca la
sua realizzazione. Perché per ciascuna di esse è valida la
definizione luminosa
di Charles Péguy: essere la città dell'uomo, abbozzo e
prefigurazione della
città di Dio. E questo è un aspetto molto particolare sia di
La Pira che di
Fioretta Mazzei, anche in questo perfettamente allineati;
infatti queste parole
a cui io faccio riferimento si trovano nei testi di entrambi.
Non solo guardare
alla città come memoria, come patrimonio da trasmettere, ma
anche come
prospettiva di futuro, come anticipazione di quella che sarà
la città celeste.
Firenze come anticipazione della Gerusalemme celeste; Firenze
come tutte le
città del mondo. È molto bello questo focalizzarsi su Firenze,
ma aprire le
braccia a tutte le città del mondo. Questo è un procedimento
linguistico comune
ad entrambi gli autori e che attraversa tutti i loro testi.
Città arroccate
attorno al tempio, irradiate dalla luce celeste che da esso
deriva; città nelle
quali la bellezza ha preso dimora. Certamente, il tema della
bellezza è un tema
molto caro sia a La Pira sia a Fioretta Mazzei; è un tema
secondo cui è necessario
che nella città si respiri bellezza. E qui occorre
puntualizzare che quando ci
riferiamo alla parola ‘bellezza’ non ci riferiamo
semplicemente ad un edificio
pur bello. Noi siamo pieni di edifici bellissimi in questa
città ovviamente, ma
è l’edificio cui facciamo riferimento esiste ancor prima nel
legame tra le
persone che poi lo andranno ad abitare. Ed ecco il
collegamento all' essere
umano come essere dotato di parola, caratterizzato dalla
parola. Quindi c’è una
bellezza anteriore che poi viene scritta nelle chiese. Sono
città collocate
sulla montagna dei secoli e delle generazioni, destinata
ancora oggi e domani a
portare alla civiltà meccanica del nostro tempo e del nostro
futuro una
integrazione sempre più profonda ed essenziale di qualità e di
valore. Ognuna
di queste città non è un museo, messaggio fortissimo per
questa nostra città di
Firenze e non solo. Non è un museo ove si accolgono le
reliquie, anche
preziose, del passato; è una luce ed una bellezza destinata ad
illuminare le
strutture essenziali della storia e della civiltà
dell'avvenire. Ecco in queste
parole il tempo si anima, perché qui il tempo- come vive nella
sua dimensione
completa, tripartita, dove il passato, il presente e il futuro
formano un unicum,
e non se ne può levare un pezzetto, perché altrimenti la
bellezza dell'insieme
svanisce. E parallelamente, come mette magistralmente in luce
Giovanna Carocci
nel decennale dalla morte (Toscana Oggi 2008): “Fioretta
infatti aveva in mente
un volto ben preciso di Firenze, volto teologale che
rispecchia qualcosa dell'infinita
bellezza della civitas dei”. Ecco di nuovo questa
parola, che è futuro,
condivisa dai due. La città come organismo vitale, composto di
persone che
vivono le une accanto alle altre, in un'aspirazione
comunitaria che tenti di
costruire giorno per giorno con umiltà, sapienza e amore il
bene comune.
Visione del resto costituzionalmente sancita; invece vedeva
intorno a sé un
muro di incomprensione quando non di rispettoso disprezzo; e
pochi giorni prima
della morte, avvenuta nel 1998, scriveva una specie di
testamento, riassunto in
queste poche parole: “Una città può riflettere una bellezza
addirittura
superiore alla bellezza di un viso perché è una bellezza
comunitaria, voluta da
tutti, condivisa; e come perfino la bellezza naturale, ha
bisogno di essere
accompagnata, scoperta, anche corretta dallo sguardo e dalla
mano dell'uomo,
così la bellezza cittadina ha bisogno di una partecipazione,
di un occhio
d'amore collettivo. Il degrado di tante città è dovuto proprio
a questo, alla
non educazione, alla non comunità. La vita comunitaria infatti
riflette la vita
del cielo nei suoi misteri.” che non sono solitari. Perché il
nostro occhio sia
capace in profondità di bellezza e di poesia ci vuole un
atteggiamento
interiore umile, semplice, costante perché, nonostante tutto,
camminiamo verso
il massimo del semplice, dell’umile, del lineare. Dio è
semplice. La
costruzione e il denaro possono investire tutto, ma non è da
questa analisi che
ne usciamo, ma in un rinnovamento interiore al quale tutti
aspiriamo e a cui
non vogliamo rinunciare”.
A
questo punto non possiamo non soffermarci sulla parola
“degrado”. È una parola
verso la quale inevitabilmente c’è un istintivo rifiuto di
ascolto, ma della
quale non possiamo fare a meno, in quanto senza consapevolezza
del problema, non
c’è possibilità di soluzione. Aveva ragione Fioretta quando
parlava di degrado,
oggi potenziato dalla iperconnessione. Siamo sempre connessi e
al tempo stesso
ci appare sovente una città svuotata del discorso dei suoi
cittadini. Come
abbiamo visto la città è fondata sull’incontro di esseri umani
parlanti che poi
diventano cittadini. Se viene svuotata del discorso dei suoi
cittadini, la
città muore, svuotata dalla sua lingua, che diventa spesso una
metalingua, la
città soccombe. Rimasta un insieme di edifici disidratati e
svuotati della
parola, la città perde la vita, divenendo una specie di
maschera di cartapesta,
ripiegata su se stessa. È l’era del post umano, dell'umanità
superflua
profetizzata da Hannah Arendt.
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