La regina Victoria, India e Firenze - Domenico Savini
La regina Vittoria imperatrice dell’India - Gabriella Del Lungo Camiciotti, Università di Firenze
Introduzione
Alla fine dell’Ottocento motivi economici, politici e
religiosi mossero le nazioni europee a espandere la loro
influenza su altre regioni, ciascuna nell’intento di
accrescere il proprio potere sulla terra. L’impero britannico
si estesero aldilà del mare perché la rivoluzione industriale
dell’Ottocento aveva creato il bisogno di risorse naturali
necessarie a far funzionare i macchinari e i mezzi
di trasporto appena inventati. In questo periodo l’India, che
era già sotto il controllo della corona dal 1858,
acquisì status imperiale nell’intento di collegarla più
strettamente al suo centro metropolitano, Londra.
Un atto parlamentare riguardante i titoli reali (Royal Titles
Bill) fu presentato in parlamento nel 1876, e nel 1877
Benjamin Disraeli, primo ministro conservatore, fece
proclamare la regina Vittoria imperatrice dell’India. La
regina Vittoria aprì il parlamento in persona per la prima
volta dopo la morte del principe Alberto, per annunciare il
cambio di titolo reale. A Dehli, in ciò che è conosciuto come
il Dehli Dunbar (corte di Dehli), il 1 gennaio 1877 si tennero
delle celebrazioni sotto la guida del viceré Lord Lytton.
Questo evento inaugurò il periodo del nuovo imperialismo in
Gran Bretagna, ideologia che fu disseminata tramite un gran
numero di agenzie propagandistiche imperiali fondate nel tardo
Ottocento e ai primi del Novecento; queste diffondevano una
visione del mondo in buona parte basata su un rinnovato
militarismo, la devozione verso la regalità, e
l’identificazione con e la venerazione di eroi nazionali,
insieme al culto della personalità e idee razziali associate
con il darwinismo sociale. Come osservato da MacKenzies (1990,
pp. 2-3) l’influenza di queste idee sulla cultura popolare fu
profonda in quanto penetrarono nel sistema educativo, nelle
forze armate, nei movimenti giovanili in uniforme, nelle
chiese e società missionarie, ed anche in forme di
intrattenimento pubblico come il music hall e le esposizioni.
Neanche l'intellighenzia fu immune dall’ imperialismo.
Forse il più famoso scrittore[1] che contribuì a diffondere
l’idea della superiorità della civiltà bianca è Kipling che si
fece interprete, propagandista e principale apologeta
dell'élite imperialista. Un punto di vista meno darwiniano è
quello di Lytton Strachey, intellettuale membro del gruppo di
Bloomsbury, il quale dopo il successo del suo Vittoriani
Eminenti (Eminent Victorians,1918). pubblicò la biografia
della regina Vittoria (Queen Victoria) nel 1921.
La regina Vittoriani
Come indicato da MacKenzies, la venerazione della monarchia si
sviluppò dalla fine degli anni 70 dell'Ottocento e quando ciò
avvenne lo fu in stretta unione con il ruolo imperiale
del monarca. La biografia della regina Vittoria di
Strachey contribuì a stabilizzare il ruolo del monarca come
emblema imperiale; Stracey sottolinea presenta Vittoria come
matriarca regale, dal momento che considerava i sudditi
imperiali come la sua famiglia allargata, e mostra il suo
particolare attaccamento all’India. La regina Vittoria era
infatti affascinata dall’India. Come scrive Le Jeune (2017,
p.1): «In tutta la sua vita la monarca fu molto attiva nello
scoprire l’India. Cercava di entrare in contatto con il
suo “popolo indiano” del cui benessere si interessava
regolarmente. Era curiosa di ascoltare e leggere le
testimonianze e le storie personali di ufficiali inglesi o
viaggiatori tornati di recente dall’India. Divenne
appassionata degli Indiani, particolarmente di coloro che
poteva incontrare in Inghilterra. Collezionava oggetti,
dipinti e schizzi che evocavano scene di vita del
subcontinente indiano. Più anziana cercò di riprodurre
il mondo orientale intorno a lei a Osborne House. Nel
suo Raj (Territori della Corona in India) cercò di difendere i
nativi dell’India dal duro dominio imperiale dei suoi
ministri, per affezione materna.»[mia traduzione]
Vittoria prendeva i suoi doveri di imperatrice con molta
serietà e quando arrivò il momento del suo giubileo
d’oro nel 1887 e fece ogni sforzo per mettere in risalto
il “gioiello dell’Impero Britannico” come chiamava il Raj.
Offrì banchetti sontuosi non solo alla nobiltà europea ma
anche per ai principi indiani, e partecipò a complicate
processioni a cavallo accompagnata dalla cavalleria coloniale
indiana. Aggiunse anche inservienti indiani alla famiglia
reale per aiutare nei festeggiamenti. Vittoria sviluppò una
particolare simpatia per uno dei suoi nuovi servitori, Abdul
Karim. Ben presto ruolo di questi cambiò: dal
servire al tavolo all’insegnare alla regina a leggere,
scrivere e parlare in Urdu, o ‘Industani’. La regina voleva
conoscere tutto dell’India, un paese sul quale dominava ma che
non poté mai visitare. Abdul le raccontò tutto di Agra, dai
frutti e le spezie locali ai panorami e ai suoni della sua
patria. In breve egli divenne il suo ‘Munshi’, o
insegnante, e si iniziò un’amicizia che sarebbe durata
più di una decade.
La biografia della regina Vittoriani
Nella sua biografia della regina Vittoria Strachey si
focalizza solo su uno dei tre elementi della propaganda
imperialista individuati da MacKenzie. Dopo che Vittoria
fu proclamata imperatrice dell’India, egli mostra come la
monarchia sia collegata all’imperialismo, e come Vittoria
incarni in modo particolarmente appropriato l’impero.
Lytton Strachey, La regina Vittoria, p. 330:
Naturalmente tutto il misticismo della costituzione inglese si
concentrava nella Corona, con la sua venerabile antichità, le
sue sacre rimembranze, le sue cerimonie imponenti e
spettacolose. Ma per quasi due secoli il buon senso aveva
predominato nel grande edificio e il piccolo cantuccio
inesplorato e inesplicabile aveva attratto ben poca attenzione
[riferimento a una zona della costituzione inglese che sfugge
al buon senso e ospita l’ elemento mistico]. Perché
l’imperialismo non è soltanto una questione d’affari, ma è
anche una questione di fede e col suo crescere crebbe anche il
lato mistico della vita pubblica inglese, e simultaneamente
una nuova importanza cominciò ad essere attribuita alla
Corona. Il bisogno di un simbolo della potenza inglese,
del valore inglese, dello straordinario e misterioso
destino dell’Inghilterra, cominciò a essere sentito più forte
che mai. Quel simbolo era rappresentato dalla Corona, e
la corona posava sul capo di Vittoria. Così avvenne che,
mentre al termine del regno il potere della sovrana era
sensibilmente diminuito, il prestigio della sovrana invece
era enormemente cresciuto.
I Britannici certamente concepivano il loro impero
gerarchicamente, in termini razzisti di superiorità e
inferiorità, centro e periferia, ma, come indicato da
Cannadine (2001), oltre alla considerazione dell’India basata
sulle differenze, la percepivano anche come un territorio
coloniale dotato di somiglianze: vedevano le altre popolazioni
composte di individui che si potevano comparare sulla base di
una somiglianza di status; questo portò al riconoscimento di
status sociali uguali — i principi sono principi ovunque — e
formò la base dell’estremamente elaborato territorio coloniale
dell’India. Questo aspetto è presente anche nella biografia di
Strachey, nella quale Vittoria è presentata come un matriarca
che governa il suo popolo, sia britannico sia coloniale. Ciò è
solennemente ricordato da Strachey in occasione del giubileo,
che legittimò lo status imperiale nella relazione che univa la
corona ai principi governanti del subcontinente indiano, ora
integrati nei principi aristocratici britannici.
Lytton Strachey, La regina Vittoria, p. 307:
L’anno seguente era il cinquantesimo del suo regno e nel
giugno lo splendido anniversario fu celebrato con pompa
solenne. Vittoria, circondata dai supremi dignitari del regno,
scortata da uno scintillante corteo di re e di principi, passò
attraverso la folla entusiasta della capitale per recarsi a
ringraziare Dio nell’abbazia di Westminster. In quell’ora di
trionfo le ultime tracce residue delle vecchie antipatie e
della vecchie discordie furono interamente cancellate. La
regina fu salutata a un tempo come la madre del suo popolo e
come il simbolo incarnato della grandezza imperiale
d’Inghilterra; ed ella corrispose a questo duplice sentimento
con tutto l’ardore del suo spirito. Ella sapeva, ella sentiva
che l’Inghilterra e il suo popolo erano, per un prodigio
meraviglioso e tuttavia semplicissimo, cosa sua. Esultanza,
affetto, gratitudine, un senso profondo di riconoscenza, un
orgoglio senza limiti: tali erano i suoi sentimenti — ma sopra
di essi vi era qualche altra cosa, che dava colore e
intensità a tutto il resto. Finalmente, dopo tanto tempo, la
felicità, per quanto frammentaria e carica di gravità, ma
tuttavia vera e indisconoscibile felicità, era ritornata a
lei. Questo insolito sentimento riempiva e accendeva
tutta la sua coscienza. Quando, ritornata a Buckingham Palace
dopo la fine della lunga cerimonia, le fu chiesto come si
sentiva: «Sono molto stanca, ma anche molto felice», rispose.
Strachey mostra anche la crescita del ruolo cerimoniale
dell’imperatrice. Con considerevole pompa si tennero
esibizioni indiane e coloniali, inaugurate da Vittoria. La
regina Vittoria divenne il perno del nuovo imperialismo,
percepito in gran Bretagna come un periodo di sicurezza e
prosperità. Per le celebrazioni del 1887 e 1897 vennero a
Londra primi ministri coloniali e principi indiani,
accompagnati da truppe e seguaci esotici e pieni di
colore. Così Strachey descrive il giorno che segue il
giubileo.
Lytton Strachey, La regina Vittoria, p. 308:
Così, dopo i travagli e le tempeste della giornata sopravvenne
un lungo crepuscolo dolce e sereno e illuminato dai raggi
dorati della gloria. Perché un’atmosfera senza esempio di
trionfo e di adorazione avvolse l’ultimo periodo della vita di
Vittoria. Il suo trionfo era la sintesi e l’emblema di un più
grande trionfo, della culminante prosperità della nazione. Il
consistente splendore del decennio [1887-1897] che trascorse
tra i due giubilei di Vittoria trova a stento eguali negli
annali dell’Inghilterra. I saggi consigli di Lord
Salisbury parvero portare con sé non soltanto la
ricchezza e la potenza, ma anche la sicurezza: e il paese si
assise con sicura tranquillità al godimento di una grandezza
ben stabilita. Come era naturale, anche Vittoria si assise.
Perché ella era una parte dell’edificio: una parte che
appariva essenziale; come un mobile, una magnifica e
inamovibile vetrina, nel vasto salone dello Stato. Senza di
lei il copioso festino del 1890 avrebbe perduto la sua qualità
più singolare: la serie così ben ordinata di sostanziosi e
semplici piatti, con il riflesso pesante, sulle pareti,
dell’argenteria quasi nascosta agli sguardi.
Osservazioni conclusive
Il punto centrale della biografia della regina Vittoria di
Strachey è la sua trasformazione da vedova petulante a
matriarca imperiale. Il ruolo mondiale di imperatrice fu per
lei fonte di eccitazione nella sua vecchiaia e conferì
nuovo significato al cerimoniale che la circondava.
Sebbene I toni più aspramente darwiniani dell’ideologia
imperialista siano assenti in questo lavoro, la luce
favorevole gettata sulla qualità mistica dell’impero
britannico e su Vittoria, lei stessa una tory imperialista non
da meno dei suoi ministri, mostra chiaramente che la biografia
di Strachey è opera di propaganda a favore della mentalità
coloniale così diffusa nella Gran Bretagna vittoriana ed
edoardiana in tutte le classi sociali e che, dice MacKenzies
(1990, p.4), inaugurò un periodo —che sarebbe durato fino
all’ascesa al trono di Elisabetta II — nel quale tutti I
grandi eventi reali sarebbero stati imperiali.
BIBLIGRAFIA
Bearce George D. (1961). British Attitudes Towards
India,1784-1858. Oxford, Oxford University Press.
Cannadine David (2001). Ornamentalism.
How the British saw their Empire. Penguin Books, London.
Le Jeune Françoise (2017). "Queen Victoria’s orientalism,
inventing India in England". In Imaginaires, Féminisme et
orientalisme,21, hal.archives-ouvertes.fr-03313493.
MacKenzie John M. (1990, 1984). Propaganda and Empire. The
Manipulation of British public opinion, 1880-1960.
Manchester University Press.
Metcalf Thomas R. (1995). Ideologies of the Raj,
Cambridge, Cambridge University Press.
Nünning, Ansgar and Rupp, Jan. "The Dissemination of
Imperialist Values in Late Victorian Literature and Other
Media". In Ethics in Culture: The Dissemination of Values
through Literature and Other Media, edited by Astrid
Erll, Herbert Grabes and Ansgar Nünning, Berlin, New York: De
Gruyter, 2008, pp. 255-278.
Strachey, Lytton (1921). Queen Victoria. Release Date:
August 21, 2011 [EBook #37153]. Project Gutenberg.
Strachey, Lytton (1966). La regina Vittoria.
Traduzione a cura di Santino Caramella. Milano, Arnoldo
Mondadori editore.
[1] Sul ruolo propagandistico della letteratura si
veda Nünning, Ansgar e Rupp, Jan 2008.
Isa Blagden and Robert Lytton - Elena Giannarelli
2,30-3,30 John Ruskin e Oscar Wilde
Oscar Wilde
Viaggiatore a Firenze; Ammiratore
dell'India - Rita Severi
Oscar Wilde (1854-1900) è autore di poesie, una
tragedia, lettere e vari scritti che ambientano,
descrivono o espongono alcune delle sue idee su Firenze
e sul suo più grande poeta, Dante Alighieri.
Visitò per la
prima volta Firenze nel 1875, quando era ancora studente a Oxford, dove
aveva assistito alle lezioni di Ruskin. Tornò in città
nel 1894, quando visitò Violet Paget/Vernon Lee e il suo
fratellastro Eugene Lee Hamilton. Ha visto molto
Bernard Berenson, un po' meno André Gide, ha visitato
Villa Stibbert e ha lasciato la sua firma nel libro
degli ospiti. Per tutta la
vita è stato attratto dal subcontinente indiano, dalla
sua spiritualità e religione. Come editore di
"The Woman's World" (1887-1890) scelse di recensire
libri sulla società indiana e le sue donne, e sollecitò
articoli sull'India, scritti da autori inglesi che
avevano visitato e studiato quel mondo intrigante.
Era estremamente
appassionato di conoscere la sua poesia sacra e i suoi
antichi rituali. Nella sua casa,
in Tite Street, Chelsea, si circondò di piccoli oggetti
decorativi indiani e fece ricoprire la maggior parte dei
pavimenti della casa con stuoie indiane. Nella sua
tragedia, Salomé, nella metaforica “danza dei sette
veli”, Wilde evoca sorprendentemente uno dei miti
indiani più complessi e artistici.
Ruskin and Mountains - Sir Nicholas Mander
La città come concetto
Alcune riflessioni sulla parola polis, civitas,
città/Some reflections on the word polis, civitas, city -
Francesca Ditifeci
Come diceva Aristotele l’essere umano è zoon politikon
echon ton logon, animale politico dotato di parola, corpo
abitato dalla parola. Ed è proprio nella sua identità di
parlessere che diviene cittadino, abitante della polis. Quindi
gli uomini sono esseri capaci di politica, perché sono esseri
capaci di linguaggio. In questa prospettiva diviene chiaro che
“in una città un posto ci deve essere per
tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare
(la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per
pensare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale). In
questo quadro cittadino, perciò, i problemi politici ed
economici, sociali e tecnici, culturali e religiosi della
nostra epoca prendono una impostazione elementare ed umana!
Appaiono quali sono: cioè problemi che non possono più
essere lasciati insoluti” (La Pira 1954).
E’ nella città che l’essere umano cerca la sua
realizzazione perché “per ciascuna di esse è valida la
definizione luminosa di Péguy: essere la città dell’uomo
abbozzo e prefigurazione della città di Dio. Città arroccate
attorno al tempio; irradiate dalla luce celeste che da esso
deriva: città nelle quali la bellezza ha preso dimora, s’è
trascritta nelle pietre: città collocate sulla montagna dei
secoli e delle generazioni: destinate ancora oggi e domani a
portare alla civiltà meccanica del nostro tempo e del tempo
futuro una integrazione sempre più profonda ed essenziale di
qualità e di valore! Ognuna di queste città non è un museo ove
si accolgono le reliquie, anche preziose, del passato: è una
luce ed una bellezza destinata ad illuminare le strutture
essenziali della storia e della civiltà dell’avvenire.” (La Pira 1955).
Mattine a
Delhi - Arjun Shivaji Jain
INTRODUZIONE
Prendendo spunto da Mornings in Florence1 di John Ruskin del 1886,
desidero che quanto segue sia l'umile guida che posso
offrire ai viaggiatori a Delhi, sia indiani che non,
dove sono nato e cresciuto, e dove sono tornato, a
vivere e a Amore.
Come ha fatto
Ruskin, non intendo consegnarlo diversamente da come
lo farei agli amici, che potrebbero avermi chiesto le
mie opinioni su di esso, senza preoccuparsi di quanto
"sbagliati", accademicamente, potrebbero forse
rivelarsi. Nel corso di
una settimana, in spirito, camminerò con te per la
città. Chissà quante
epoche passate potremo incontrare, quanti degli
innumerevoli poeti e pittori – tutti amanti appunto –
potremo incontrare? Vedremo cosa
faremo, occhi immacolati dal dogma. Vedremo come
un bambino, a pieni polmoni e con gli occhi luminosi.
E possiamo
decidere anche di vedere – ed è davvero una decisione
– di vedere con il cuore felice? — Prima di
iniziare, immagino che i dottori ti consiglieranno di
farti le iniezioni e tutto il resto, così potresti non
prendere niente di particolarmente brutto mentre sei
qui; "Delhi belly"
è come si chiama di solito, ho capito. Bene, lascia
che ti dica che catturerai davvero "qualcosa" e che
nessun colpo al mondo sarà in grado di impedirlo
davvero. Potresti
davvero ammalarti e decidere di partire la prima
mattina, ma potresti anche decidere di restare, per
sempre. Un ospite è
simile a Dio, si crede qui in queste terre.
LA PRIMA
MATTINA
APPRODO
Ah! Che mattina
davvero! E che tempo
perfetto! Lo senti sulla
tua pelle? Sembra che
ieri sera abbia piovuto. Beh, non
aprire gli occhi finché non te lo dico io.
- Ora.
Vedere.
Con cautela
perché i tuoi occhi potrebbero reagire a tutta questa
repentinità. L'aria ha un
colore completamente diverso, non è vero?
Un arancione
acceso, direi, e vago, come velato di bianco.
Ha anche un
odore diverso, sai? Speziato e
denso, di incenso, pesante come se potessi
raccoglierlo in un barattolo e portarlo con te.
Ti suggerisco
di non parlare per un po', ma di ascoltare.
Prendi la
città, il paese, il subcontinente e forse il mondo.
La maggior
parte di oggi, lascia che te lo dica, potresti non
ricordare attivamente, ma solo come in un sogno.
Quindi cogli
l'attimo. Sogna tutto il
giorno oggi. E no, non
dormirai; non è quel
tipo di sogno. Non c'è riposo
qui da trovare, almeno non inizialmente.
Perché, i tuoi
sensi sono tutti svegli, vero? Hai visto
tanti colori prima? Hai sentito
tanti profumi? Hai sentito
tanti suoni o toccato tante cose? Hai provato
tanti sentimenti? Tutto in una
volta? Sei stato in
un oceano e sei sopravvissuto per raccontare la
storia? Bene, questo è
tutto. Nota che la
tua attenzione diventa più acuta di secondo in
secondo. Il peso della
sensazione su di te. Sensazione
infinita. Come un
fulmine sta trapassando la tua coscienza.
Non c'è niente
che abbia senso. Ecco com'è la
vita - vita pura, vita cruda -.
LA SECONDA
MATTINA
PARCO DI CHITTARANJAN
Buongiorno! Hai dormito
bene la notte? Hai avuto
qualcosa, vero? Non devi
rispondere. Non sarei
sorpreso se il tuo cuore battesse ancora veloce come
ieri. Ci vuole un
po' di tempo in effetti. Oggi stiamo
passeggiando per il Chittaranjan Park, dove vivo ormai
da alcuni anni. È la parte
bengalese della città, la parte della città in cui
probabilmente vivrebbe il poeta Tagore, se fosse lì.
Bengala a
Delhi, chiedi? Perchè si!
Tutta l'India
è a Delhi, davvero! E con il
tempo, vedrai, anche tutto il resto del mondo.
I clacson, sì,
delle macchine? Sì, beh, è
qualcosa con cui dobbiamo confrontarci costantemente
qui. A seconda di
dove pensi finisca Delhi, da qualche parte tra i
diciassette ei quarantatre milioni di persone chiamano
Delhi la loro casa, da qualche parte tra l'intera
Olanda e più dell'Ucraina. È divertente
però, nel complesso, come tutto sembri ancora
funzionare. Se da qualche
parte c'era il caos nel mondo, è qui, se da qualche
parte c'era l'anarchia, anche quello – eppure, tutti
sembrano restare calmi, più o meno, e tutti, più o
meno – più poveri che ricchi – hanno un sorriso
sul loro
volto. Anche il suono
costante del clacson: è più un "ehi, sono qui" che un
"vattene!", davvero. E oh, hai
notato anche gli animali? I gatti
randagi, i cani randagi e le mucche randagie?
Sì, abituati,
come hanno fatto loro, gli animali. I leoni
possono benissimo essere i re delle giungle qui in
India, ma le mucche sono i re delle città.
E oh, ma
potremmo dimenticare le scimmie? Come osiamo,
davvero?
LA TERZA MATTINA
PARCO VERDE E PARCO DEI CERVI
Sai, nella mia infanzia, avevamo davvero anche degli
incantatori di serpenti? Non scherzo
affatto. Ho vissuto a
Yusaf Sarai da bambino, un tempo sede di una casa di
riposo medievale, e ora una vera e propria colonia di
Delhi, un villaggio urbano. Per tutta la
sua popolazione e l'inquinamento, Delhi è, che ci
crediate o no, una delle città più verdi del mondo,
come ovviamente potete vedere. Il mese
scorso, l'albero semal-rosso-cotone-seta era tutto in
fiore, forse per celebrare Holi, la festa dei colori.
Oh sì, ne
abbiamo un sacco, festival. Ogni due
settimane, sul serio! Ma sì, allora
era semal, e presto saranno tutti amaltas ovunque,
laburnum e Gulmohar, la Royal Poinciana
meravigliosamente cremisi - che puoi davvero mangiare!
È un po'
acido! Lascia che ti
porti al Deer Park dopo, piuttosto vicino, e il mio
parco preferito da giovane. Oh guarda!
Un pavone!
E conigli!
E cervi!
E oh Dio, ha
un profumo così buono, vero? Profuma di
innocenza. E oh, guarda
che il gelso è tutto abbastanza maturo adesso.
Vuoi avere un
assaggio? Dai, non
essere così delicato! Scegline uno
direttamente dal ramo - quelli nerastri più scuri sono
più dolci - e mettilo in bocca. Il lavaggio
toglie la maggior parte dello zucchero, a quanto pare.
Delizioso,
vero? Ehi, c'è un
albero di eucalipto, vedi? Vieni, ti
mostro qualcosa. Ecco, strofina
queste foglie secche nel palmo della mano -
schiacciale, davvero - e annusale? Sì?
Vedo che sei
distratto da tutti i nomi degli innamorati scolpiti
sugli alberi qui.
LA QUARTA
MATTINA
CHANDNI CHOWK
Oh, quanto
sono stato impertinente a non averti ancora chiesto da
mangiare? Sono già
passati tre giorni! Bene, lascia
che ti porti a Chandni Chowk allora oggi, la Moonlit
Square. Ora, questa è
Old Delhi, la vera Delhi se vuoi, prima degli inglesi.
È un po' come
il Quartiere Gotico di Barcellona, vero?!
Ah, se solo ci
fosse meno gente, o il governo presterebbe più
attenzione. Comunque, se
pensavi di aver visto tutto il giorno in cui sei
atterrato, non sei preparato, lo giuro.
Tutti i tipi
di persone strane che vedrai oggi, tutti i tipi di
cose strane che accadono. L'architettura,
sebbene fatiscente, è bella, vero? Dio sa da
quanti anni questi edifici sono qui? Tutto arcuato,
reticolato e filigranato, quasi. Eppure,
nessuno che si prenda cura di loro. Bene, iniziamo
oggi dal Forte Rosso, roccaforte dell'Impero Mughal,
la penultima, o forse terzultima, grande città di
Delhi, da sette, o nove, o undici, chi può dirlo?
Ogni stradina
qui vende qualcosa di completamente diverso: spezie,
carta, gioielli, aquiloni, i bordi dei sari per l'amor
di Dio! E oh, cibo!
Ora che è qui
ad ogni angolo. Sai, la vera
arte è sempre quella del cibo? Gli artisti
fingono tutti, mi sembra a volte, con i loro quadri.
Ma attenzione,
il cibo di Delhi non è per i deboli di cuore.
È vegetariano,
sì, quasi tutto, ma speziato a un livello che potresti
sentirti all'inferno - ma dagli tempo, e sarà un
inferno che desidererai ardentemente! Vieni,
prendiamo un po' di chole-kulche e kachori?
Che ne dici di
qualche nagori? Naan-khataai?
Condito con un
bicchiere di limonata frizzante?
LA QUINTA MATTINA
GIARDINI DI LODHI
Hai notato, mi
chiedo, lungo tutta la tua sinistra ieri, la sequenza
di edifici che stavamo attraversando? Non sono
sicuro che una cosa del genere esista in qualsiasi
altra parte del mondo, ma uno per uno, uno dopo
l'altro, vicini l'uno all'altro, siamo passati davanti
a un tempio giainista, un tempio indù, una chiesa
battista, un Gurudwara sikh e due moschee
medievali! Incredibile,
vero? Ma andiamo ora
ai Lodhi Gardens, l'ennesima delle tante Delhi del
passato, ora trasformate in parco. L'enorme
numero di monumenti che Delhi ha, davvero, è
sbalorditivo. Sono solo lì.
Qui, là,
ovunque, e spesso nessuno li guarda nemmeno una
seconda volta, sono così radicati nella mente del
Delhiite. Bene, i
giardini di Lodhi sono lussureggianti, come puoi
vedere. Rigoglioso di
vegetazione. Gli edifici
hanno tutti quanto, mille anni? Tutto
costruito in quarzite, grigia, con dentro il fuoco,
quarzite dell'antica catena montuosa degli Aravalli,
ormai quasi tutto tranne un ricordo del passato.
Questa parte
di Delhi, come puoi vedere, di Nuova Delhi, è proprio
Nuova Delhi. Vorrei che a
volte anche il resto potesse assomigliargli.
Bene, qui è
dove vivono i politici, questi sono i "loro" giardini,
a quanto pare. Questo, e
tutto intorno, potresti dimenticarti di essere in
India per un minuto o due. I miei
sentimenti per questo sono contrastanti.
Lo adoro: è
bellissimo! Ma lo è anche
molto di più, se solo fosse curato meglio, o per
niente. I soldi del
contribuente? Bene, qui è
dove va, suppongo, all'abitazione del fisco.
THE SIXTH MORNING
RED HOUSE
And now that we come to the end of these six days in Delhi,
I would like to take you somewhere new today, somewhere you
can feel where the city might proceed towards, if tended to
carefully. It is a sad fact of this country, as many in the
region, that its citizens, if given the choice, will indeed
flee it at once. The moral fibre of the nation, once famed,
if you delve deep enough, you may not find it too easily
today. The fickleness of certain peoples, really, Is
unbelievable. And yet, places like these do also exist –
like the Red House. May all of Delhi look someday like this?
Built progressively of brick, naked brick, and lime,
latticed in every pattern? And arched, wherever an arch can
fit? There were no plans for this, you know, no
architectural blueprints? It was worked upon like a
sculpture, with love every day. Come, let us sit in the open
courtyard for a while, and let us enjoy the
all-embowered-ness of it. Say, would you like some tea
perhaps? The smell of the Rangoon creeper is all about us,
threatening to make us stay here forever. Ah, look, a band
of youngsters have just come in. They’re here for a workshop
it seems. They speak in English, though not affected, and
are dressed quite fashionably, no? And how beautifully they
feel a part of all this? Have they all known each before, do
you reckon? Or has this place done something to them? Now
this is precious. The sunlight’s so very beautiful. All of
life feels so very beautiful. Let us not make haste for
tomorrow. This is good!
LA SETTIMA
MATTINA
DILLI HAAT
CONCLUSIONE
Beh, forse una
settimana non era affatto sufficiente per un tour del
genere, vero? Come ha fatto
Ruskin, temo di non essere riuscito a scegliere
nessuna opera d'arte molto particolare da prendere in
considerazione, ma è davvero difficile qui, questo,
sai? L'arte non c'è
più, nel senso ovvio, da nessuna parte, da guardare
qui. Forse è
ovunque? Non è affatto
visto allo stesso modo, vedi. Le cose non
sono classificate, conquistate e rese schiave qui
dell'intelletto. Devono essere
più sentiti, lo sento. Più per essere
percepito da un cuore aperto, che dalla mente.
Tuttavia, i
mormorii dei secoli risiedono, come promesse del
futuro. La città
continua – Dio sa come, ma lo fa! — Dimmi,
vorresti qualche ricordo di questo nostro viaggio da
tenere con te, da portare con te? Andiamo una
volta a Dilli Haat prima di partire, il bazar nel
cuore di questa metropoli. Puoi dirmi
quello che cattura la tua fantasia, va bene?
Sarà il mio
regalo per te. Oh, che ne
dici di questa gonna ricamata d'oro? Questa sciarpa
indaco? Qualcuno di
questi infiniti tappeti pesanti? O mango?
Oh, sì, mango
- di centinaia di varietà - il re dei frutti!
Se non li hai
mai mangiati prima, forse non crederai a quanto sono
dolci e come mai una tale dolcezza avrebbe potuto
essere risucchiata dal terreno? Bene, c'è
qualcosa nel terreno qui, c'è davvero. In quale altro
modo Gandhi potrebbe essere nato qui? In quale altro
modo Mahavira e Buddha? E tutto il
resto esistente? Ma temo di
averti intrappolato! Chi, sano di
mente, potrebbe sopportare di lasciare questi vicoli?
Queste non
sono le "strade" di Delhi, amico mio, ma la tela di un
artista. Delhi.
La città
prescelta del mondo. La città che i
cieli hanno saccheggiato e devastato, più e più volte.
Solo Delhi è
la città dell'amore. E io sono un
abitante di questo giardino distrutto. - Addio!
Ci rivedremo.
BIBLIOGRAFIA
1 The Complete Works of John Ruskin,
Library Edition. Volume XXIII, pp. 293-436. Lancaster
University. Available online at lancaster.ac.uk/media/lancaster-university/content-assets/documents/ruskin/23ValdArno.pdf
Restauri
The Indian
Memorial, Firenze - Dott.ssa Rosie Llewellyn-Jones MBE
Il Parco delle Cascine a Firenze contiene un insolito
monumento funerario di un sovrano indiano, Rajaram II di
Kolhapur. Il rajah, appena
ventenne, morì il 30 novembre 1870 all'Hotel della Pace in
piazza Manin a Firenze. Stava tornando a
casa, viaggiando attraverso l'Europa dopo aver trascorso
quasi cinque mesi in Inghilterra. Kolhapur era un
piccolo stato nominalmente indipendente nel paese del
Mahratta meridionale, ora nel Maharashtra. Non faceva parte
dell'India britannica sebbene il governo britannico avesse
nominato un agente politico e l'educazione del giovane
rajah fosse attentamente supervisionata. Se si fosse
rivelato un sovrano inadatto, agli occhi degli inglesi,
sarebbe stato tranquillamente deposto e sarebbe stato
nominato un successore più malleabile. Ma Rajaram divenne
un principe modello, lungimirante, interessato alla
scienza e alle arti, parlava un inglese fluente, lo
scriveva abbastanza bene ed era generalmente disponibile
nei confronti del capitano Edward West, che fu nominato
"assistente speciale" per sovrintendere alla sua
istruzione e formazione. Un parsi laureato
all'Università di Bombay fungeva da tutore del rajah.
Sebbene fosse un indù praticante e consapevole dei suoi
illustri antenati Mahratta, Rajaram divenne anglicizzato e
sviluppò un gusto per la società degli europei.
Visitava il
quartiere britannico di Kolhapur e ascoltava la banda del
reggimento che suonava la sera mentre chiacchierava con il
pubblico. Gli piaceva
partecipare alle cene e imparò a ballare le quadriglie.
Fu il suo incontro
a Bombay con il principe Alfredo, il secondogenito della
regina Vittoria, a far nascere nella mente del rajah
l'idea di una visita in Inghilterra. Ma c'erano una
serie di problemi che dovevano essere risolti prima.
Molti indù non
avrebbero viaggiato fuori dall'India perché significava
attraversare il kala pani, l'acqua nera, e questo
significava che avrebbero perso la casta. Poi c'era il
problema del cibo: Rajaram non avrebbe mangiato alle cene
britanniche a Kolhapur a meno che non avesse portato il
proprio cibo, preparato dai cuochi bramini.
Doveva portare con
sé in Inghilterra un cuoco e un assistente e loro dovevano
portare con sé le loro pentole e anche tutte le spezie
necessarie. Le uniche cose che
potevano essere acquistate all'estero erano i polli vivi,
le uova e le verdure.
Tuttavia, Rajaram
salpò da Bombay nel 1870 con il capitano West, l'anonimo
tutore parsi e 11 assistenti nativi. Il gruppo è
arrivato a Folkestone, sulla costa del Kent, il 14 giugno,
poi ha preso il treno fino alla stazione di Charing Cross
e da lì ha raggiunto una casa in affitto vicino a Hyde
Park. Gli accordi
sarebbero stati presi dal personale dell'India Office
perché si trattava di un evento importante: la prima volta
che un principe indù regnante aveva visitato
l'Inghilterra. È stato elaborato
un programma fitto. Durante la prima
settimana Rajaram ha visitato Madame Tussauds, la galleria
delle cere, Trafalgar Square e la Torre di Londra.
Fu accolto
calorosamente all'India Office, il dipartimento
governativo che era succeduto alla vecchia Compagnia delle
Indie Orientali che era stata abolita nel 1858. La
Compagnia aveva istituito un proprio museo e il rajah fu
sorpreso di vedere una così vasta collezione di antichità
indiane a Londra . Alcune delle sue
visite sono state motivate dal suo stesso interesse per le
nuove tecnologie, come la conferenza al Regent Street
Polytechnic che utilizzava diapositive di lanterne magiche
e l'ufficio del telegrafo elettrico, dove i messaggi
potevano essere ricevuti dall'India e anche ricevere
risposta, il tutto entro cinque minuti. Attrazioni
turistiche tra cui il British Museum, il Crystal Palace, i
Kew Gardens e la cattedrale di St Paul, che sono state
tutte molto apprezzate. Altri eventi
furono organizzati appositamente per mostrare al meglio
l'Inghilterra vittoriana e, implicitamente, i benefici che
l'India poteva ricevere sotto il benevolo dominio
britannico. Rajaram è stato
presentato due volte alla regina Vittoria vedova al
Castello di Windsor; ha frequentato le
Houses of Parliament, dove ha visto la democrazia in
azione e ha incontrato il Primo Ministro, William
Gladstone e Benjamin Disraeli. È stato invitato a
una cerimonia di laurea all'Università di Oxford dove il
comportamento strepitoso degli studenti lo ha stupito.
Non sono state solo visite formali: il rajah si è goduto
la tradizionale partita di cricket tra le scuole di Eton e
Harrow al Lord's Cricket Ground; prendeva lezioni
di ballo, giocava a croquet sul prato di una casa di
campagna, frequentava più volte il teatro per ascoltare
Adelina Patti, la celebre cantante lirica italiana che
ammirava molto. Ha incontrato un
certo numero di connazionali che si erano stabiliti in
Inghilterra, tra cui Dadabhai Naoroji, il primo deputato
indiano e ha visitato il maharajah Duleep Singh, il cui
regno sikh era stato preso dagli inglesi, e che ora viveva
come un gentiluomo di campagna nel Suffolk . Rajaram ha anche
incontrato il nawab nazim del Bengala, Mansur Ali Khan,
che era venuto in Inghilterra per fare appello contro il
sequestro da parte del governo britannico del suo
precedente stipendio, il fondo nizamat. I due uomini,
entrambi governanti indiani a pieno titolo, ed entrambi
alla ricerca di cose diverse, conversarono in inglese nel
paese straniero che governava il loro. Rajaram ha
mostrato poca comprensione della propria posizione e il
Capitano West, che ha curato il suo diario dopo la morte
del rajah, afferma che si trattava semplicemente di un
resoconto quotidiano di visite ed eventi, piuttosto che
un'analisi delle relazioni indo-britanniche o di qualsiasi
profondo- riflessioni sedute
sulla propria posizione anomala. Gli indiani erano
ancora una rarità anche a Londra all'epoca e quando il
rajah e il suo gruppo fecero un giro in carrozza a
Victoria Park, a est di Londra, notò che "le persone che
camminavano nel parco erano stupite di vederci nativi e
solevano fanno un gran
rumore ogni volta che ci vedono».
Dopo brevi visite
in Scozia, nelle Midlands e in Irlanda, dove è stato
accolto dal viceré a Dublino, il gruppo ha lasciato Dover
il 1° novembre, recandosi a Ostenda, quindi attraverso il
Belgio e la Germania. Lo scoppio della
guerra franco-prussiana significava che la Francia doveva
essere evitata. L'11 novembre il
rajah fece l'ultima annotazione scritta a mano nel suo
diario - annotazioni successive furono dettate da lui,
probabilmente al Capitano West. Due giorni dopo
Rajaram ha riferito di aver "avuto un attacco di febbre e
stava molto male". Il giorno
successivo, 14 novembre, non poteva camminare "a causa di
un attacco visivo di reumatismi" e dovette essere portato
su una sedia alla sua carrozza a Innsbruck.
Sembrò riprendersi
quando il gruppo arrivò a Venezia e fu portato su una
portantina a Palazzo Ducale e in piazza San Marco.
A Firenze il rajah
accettò con riluttanza di farsi visitare da un medico
inglese, il dottor Fraser – aveva portato con sé il
proprio medico indiano – ma le sue condizioni subirono un
improvviso peggioramento e morì nella sua suite d'albergo
il 30 novembre. La causa della
morte, senza un'autopsia, è stata data vagamente come
"viscere addominali, insieme a collasso della potenza
nervosa", il che non spiega i sintomi reumatici.
La triste notizia
è stata telegrafata alla famiglia del rajah a Kolhapur.
Nella morte rajah
Rajaram ha presentato molti più problemi di quanti ne
avesse avuti in vita. I suoi assistenti
indù hanno insistito affinché il suo corpo fosse cremato,
ma ciò era severamente vietato dal comune di Firenze.
La reclusione per
due anni era la pena per non aver seppellito un cadavere
in una bara. Ora, per una
curiosa coincidenza, la questione della cremazione era
stata sollevata un anno prima a Firenze, quando la città
ospitò nel settembre 1869 il secondo Convegno Medico
Internazionale, al quale parteciparono delegati
provenienti anche dall'India e dall'America.
Durante le due
settimane di conferenza è stata letta una relazione dal
dottor Pierre Castiglioni, anch'egli fiorentino.
"Sull'incenerimento
dei cadaveri" era un'idea ben argomentata, anche se
radicale. I cimiteri erano
diventati luoghi insalubri, ha detto, con l'odore di corpi
mal sepolti che penetrano nelle aree urbane.
Anche i campi di
battaglia erano un problema quando i cadaveri non potevano
essere seppelliti rapidamente. C'erano obiezioni
religiose, ha detto il dott. Castiglioni, e anche
difficoltà tecniche prima che i crematori fossero
sviluppati. Ma, ha concluso,
non era meglio per le persone in lutto avere una "manciata
di polvere" (une poignee de poussière) purificata, leggera
e senza odore, piuttosto che il pensiero di una persona
cara che si decompone su un letto di parassiti e
putrefazione. Questo discorso
potente ed emozionante è stato calorosamente applaudito e
la mozione affermava che la cremazione doveva essere
preferita all'inumazione. Sebbene non sia
diventato completamente legale per altri diciotto anni, un
crematorio fu costruito a Milano nel 1876 e l'Italia fu in
prima linea negli sviluppi tecnici con ingegneri che
visitarono l'Inghilterra per consigliare. Nel 1885 il primo
crematorio era stato istituito a Woking, nel sud
dell'Inghilterra.
Non sappiamo se il
dottor Castiglioni sia stato consultato dopo la morte del
rajah quando si sono svolte discussioni frenetiche per
risolvere due opposte ideologie col passare del tempo.
Una cremazione
indù normalmente avviene entro 24 ore, per ovvie ragioni.
Il dottore avrebbe
certamente sostenuto la cremazione ed è possibile che
abbia stabilito una sorta di precedente mentre il
dibattito continuava negli anni '70 dell'Ottocento.
Chiaramente era
possibile essere sia profondamente religiosi che praticare
la cremazione: era solo una religione diversa dalle rigide
credenze cattoliche prevalenti all'epoca. Il Capitano West
ha delineato quanto accaduto dopo che la morte del rajah
era stata certificata dal medico locale, Enrico Passigli.
Il signor Peruzzi,
il Sindaco di Firenze (l'ufficiale municipale capo) si
recò immediatamente alla Legazione Britannica per
incontrare Sir Augustus Paget, il Console Britannico e per
discutere della cremazione. Peruzzi, di
un'antica famiglia fiorentina di notevole importanza,
accantonò le obiezioni degli "altri partiti" e le superò
con i suoi "noti sentimenti di tolleranza religiosa".
Entro l'una di
notte erano state predisposte le disposizioni per il
corteo funebre e la cremazione e ne sono stati informati
il Direttore della Polizia Municipale e il Segretario
della Commissione Sanitaria Comunale.
Il luogo prescelto
per la cremazione era all'estremità del Parco delle
Cascine, sulla riva del fiume Arno, in una spianata
deserta e aperta. Normalmente il
corpo sarebbe stato trasportato su una bara all'altezza
delle spalle da quattro o sei uomini, ma si è convenuto
che ciò avrebbe attirato troppa attenzione, quindi è stato
utilizzato un omnibus trainato da cavalli appartenente
all'hotel. I servitori del
rajah si sedettero all'interno, l'uno di fronte all'altro,
e sostennero in ginocchio la tavola su cui giaceva il
corpo. Non è stata
esattamente un'uscita dignitosa, ma ha evitato che il
corpo venisse adagiato sul pavimento. Nonostante l'ora
mattutina e il cattivo tempo, numerose carrozze e una
grande folla avevano saputo dell'evento e avevano seguito
il corteo fino al luogo dove era già ammucchiata la pira
funebre. Il corpo è stato
deposto con riverenza in cima al tumulo alto tre piedi con
la faccia rivolta verso est all'1:30. I resoconti dei
testimoni oculari differiscono su come il rajah era
vestito per questo atto finale: alcuni riportavano grandi
collane di perle, braccialetti d'oro e gioielli su un
turbante, anche se un'altra descrizione di un ricco
scialle rosso con bordi ricamati in oro sembra più
probabile. La testa era unta
con burro chiarificato e legno di sandalo e rami di
betulle ammucchiati. L'intera scena era
illuminata da piccole lanterne di carta portate dai
servitori del rajah. Poco prima delle
2:00 è stata applicata una torcia alla pira e un forte
vento di tramontana ha favorito le fiamme. I servi indiani
sedevano a gambe incrociate per terra, pregando in
silenzio e inchinandosi verso la pira. Alle ore 10:00 del
mattino del 1° dicembre fu terminato e le guardie
municipali aiutarono a raccogliere i frammenti di ossa e
cenere ea depositarli in un vaso di porcellana che si
richiuse con un panno rosso e ceralacca. Il sito della pira
fu ripulito e lavato e chicchi di riso sparsi sull'erba
come offerta all'anima del morto.
È stato istituito il Comitato commemorativo di Rajaram
Chhatrapati. È stato aperto un elenco di abbonamenti
appositamente per dotare la Kolhapur High School di borse di
studio per i poveri meritevoli. Il defunto rajah aveva posto la
prima pietra per la scuola l'anno prima e l'istruzione per
ragazzi e ragazze era uno dei suoi interessi particolari. La
scuola è stata ribattezzata in suo onore.
A Firenze, vicino al luogo della cremazione, un bel baldacchino
in stile indiano sorretto da quattro elaborati pilastri copre un
bel busto di Rajaram. Lo scultore, Charles Francis Fuller, è
stata una scelta delicata. Nato in Gran Bretagna, Fuller si
trasferì a Firenze negli anni Cinquanta dell'Ottocento e fece
parte di un piccolo gruppo di "esuli" artistici, felici nel loro
paese di adozione. Il busto si basa su fotografie del rajah
scattate mentre si trovava a Londra e lo mostra con indosso il
tradizionale turbante Mahratta, con una visiera sul lato destro.
Secondo le descrizioni di coloro che lo incontrarono in
Inghilterra, non fu mai visto senza questo turbante perché
sarebbe stato indicibilmente maleducato da parte sua apparire a
capo scoperto in compagnia. Il baldacchino, basato sul chhatri
indiano, è stato progettato dal maggiore Charles Mant degli
ingegneri di Bombay. Mant ha continuato ad avere una proficua
carriera come architetto in India e ha progettato una serie di
palazzi per governanti reali minori. In particolare fu
incaricato dal successore di Rajaram, Narain Rao, di progettare
un nuovo palazzo per Kolhapur, che era una fantastica miscela di
architettura indo-saracena, irta di torri, torrette, cupole e
chioschi, e fu completato nel 1884. Non è noto chi ha pagato per
il chhatri e il busto di Firenze, anche se c'è un suggerimento
che potrebbe essere stata la famiglia del rajah. Un ponte vicino
al sito, aperto nel 1978, è conosciuto semplicemente come Indian
Bridge, un bel tributo a questo modesto principe che aveva
sperato di introdurre nuove idee a Kolhapur dopo la sua visita
in Europa, ma che purtroppo non è mai tornato a casa.
Nel 2019 sono iniziati i lavori di restauro del monumento,
deterioratosi, che si sono rivelati complicati per la varia
composizione e l'esposizione alle intemperie: sgretolamento
degli ornamenti in marmo e arenaria, disgregazione del volto e
del busto, perdite nella decorazione causate dai lavori di
ricostruzione utilizzando una varietà di tecniche nel tempo. Il
monumento presentava anche un preoccupante deficit strutturale
su una delle colonne in ghisa che sostenevano il baldacchino. Il
progetto, ora completato, è stato gestito dall'Assessorato alle
Belle Arti della città ed è costato 240.000 euro.
Il monumento
restaurato nel Parco delle Cascine
Busto di Rajah
Rajaram di Charles Francis
Fuller
Rajah Rajaram, da una fotografia, 1870
Il nuovo
palazzo, Kolhapur
Edimburgo –
Cimiteri storici sia esemplari che a rischio - Dr Peter
Burman MBE FSA, storico dell'architettura e conservatore
Peter Burman ha iniziato a interessarsi ai cimiteri
storici da scolaro esplorando chiese e cimiteri nella
sua contea natale del Warwickshire. Questo lo ha
portato a studiare Storia dell'Arte all'Università di
Cambridge. Il suo primo
ruolo è stato quello di assistente, vice poi direttore
del Consiglio per la cura delle chiese e della
Commissione per i tessuti delle cattedrali per
l'Inghilterra. In questo ruolo,
durato ventidue anni, lui ei suoi colleghi hanno
costantemente fornito consigli e sovvenzioni per la
conservazione e la riparazione di monumenti
scultoreamente importanti sia all'interno delle chiese
che all'esterno delle chiese nei cimiteri storici che
tipicamente li circondano. Iniziò a
lavorare non solo con i conservatori per conservarli, ma
anche con gli artigiani per garantire che i nuovi
monumenti fossero belli e significativi.
In seguito, come
direttore dei servizi di conservazione e proprietà del
National Trust for Scotland, si è trovato a vivere
all'interno del sito Patrimonio dell'Umanità della città
di Edimburgo e questo lo ha incoraggiato a interessarsi
ai cinque cimiteri storici che vi si trovano.
Sono luoghi
della memoria, ma anche luoghi sociali, visitati da
molti interessati al loro patrimonio e ai valori umani.
È affascinato
dal loro interesse artistico e storico ma anche dal
ruolo che possono svolgere nella comunità contemporanea
di una città. A Edimburgo
(come in tutte le altre città in cui esistono cimiteri
storici) ci sono molti aspetti che devono essere
gestiti: mantenere in buono stato l'architettura spesso
ambiziosa del mausoleo attraverso una manutenzione
regolare (a Edimburgo includono mausolei simili a templi
progettati da membri del XVIII secolo della famosa
famiglia di architetti Adam); mura, spesso
estese e di carattere imponente; conservazione
della scultura, utilizzando materiali compatibili con
l'originale; drenaggio;
archeologia;
animali
selvatici; fiori e prato.
Idealmente
questi cimiteri storici devono essere tranquilli e
dignitosi, ma allo stesso tempo accoglienti e sicuri.
L'architettura e
la scultura artistica, alleate con scritte belle e di
carattere, hanno il loro ruolo da svolgere, ma spesso
c'è anche una risposta personale a questi paesaggi di
malinconica bellezza.
Le sfide per
prendersi cura di questi speciali paesaggi della memoria
sono molte e varie, ma i cimiteri di Edimburgo sono
probabilmente tipici di molte situazioni urbane: carenza
di fondi; mancanza di
chiarezza sulla proprietà dei monumenti; incuria (che
porta a problemi conservativi standard di murature
sporche; giunti aperti; riparazioni scadenti, utilizzo
di malte cementizie al posto di malte a base di calce;
vegetazione); vandalismo,
anche furto; leggibilità
delle iscrizioni; comportamento
anti-sociale; avidità di
sviluppatori su siti adiacenti; e così via.
Peter Burman parlerà di molti anni di ricca esperienza
nella conservazione del patrimonio architettonico e
artistico e di essere coautore con Henry Stapleton del
Manuale dei cimiteri, che ha avuto molte edizioni nel
corso degli anni. Nel suo "ruolo
di chiesa" ha spesso collaborato con esperti di alberi,
muschi e licheni; lettere e
sculture; nell'organizzazione
delle Giornate di studio del sagrato per far conoscere
alla popolazione locale le bellezze, gli interessi e la
particolarità del loro storico cimitero.Edinburgh
– Historic Burial Grounds both as exemplar and at risk - Dr
Peter Burman MBE FSA, architectural historian and conservator
INDIA
23 aprile, domenica, Red House, Delhi
Ruskin e
la sua Sibilla toscana, Francesca Alexander -
Emma Sdegno.
Nell'ottobre
1882, durante la sua ultima visita in Toscana,
Ruskin fu presentato a Firenze a Francesca
Alexander, un'espatriata americana, figlia di
una coppia di artisti di Boston. Con la
passione per la Toscana e per la sua gente,
Francesca raccolse canti popolari trasmessi
oralmente tra i contadini, e compose un
bellissimo manoscritto con le poesie che
trascrisse e tradusse in inglese, decorato con
disegni di fiori di campo, ritratti della gente
e scene che illustrano la canzoni.
Questo
lavoro aveva scopi filantropici poiché lo scopo
di Francesca non era quello di pubblicarlo come
tale, ma di vendere l'unico manoscritto a
beneficio finanziario dei poveri contadini
italiani che li avevano forniti. Quando
vide il manoscritto di 108 pagine Ruskin si
offrì immediatamente di acquistarlo e acquisire
i diritti d'autore per pubblicare l'opera come
suo editore con l'obiettivo di trasmettere alla
mente inglese "una concezione comprensiva della
realtà della dolce anima dell'Italia cattolica".
Nel mio
articolo delineerò l'affascinante storia
dell'edizione di Ruskin di Roadside Songs of
Tuscany di Francesca Alexander, e il suo
tentativo di comporre un memoriale spirituale
dei contadini dell'Abetone e del misticismo
della loro vita quotidiana.
Mascolinizzazione della "Patria": analizzare The Home and the World di Rabindranath Tagore attraverso una lente ecofemminista - Pritha Chakraborty
l'India del
diciannovesimo secolo era basata sulla mascolinità
egemonica in cui l'onore degli uomini era
significativamente correlato alla loro prova di
mascolinità egemonica. Ciò include il
mantenimento della loro cavalleria e del loro onore
limitando il confine tra le donne e la nazione e
consentendo loro di funzionare secondo il manuale di
istruzioni degli uomini e la potente politica che ruota
attorno a loro. Peterson
osserva: “La patria è il corpo di una donna e come tale
è sempre in pericolo di violazione da parte di maschi
'stranieri'. Difendere le sue
frontiere e il suo onore richiede una vigilanza
implacabile e il sacrificio di innumerevoli cittadini
guerrieri…” (80). In questo
contesto, si può notare che l'approccio di Sandip e i
suoi falsi discorsi oratori per istigare Bimala a
violare la propria "casa" contrasta paradossalmente con
il motivo di liberare il paese dalle grinfie del
colonialismo. Benedict
Anderson osserva che una nazione è una "comunità
immaginata". Sostiene
chiaramente il fatto che una nazione che aderisce
interamente alle ideologie e alle credenze dominanti e
sostiene il sistema di inclusione ed esclusione è
destinata a essere uno sforzo immaginario e non ci si
aspetta che ne venga tratto nulla di concreto.
Il grido di
Sandip al nazionalismo rimane un grido vuoto, privo di
devozione e basato esclusivamente su guadagni personali.
La sua teoria
del boicottaggio delle merci straniere e del costringere
gli innocenti abitanti del villaggio a rinunciare al
loro commercio era una fonte di violenza oltraggiosa nel
nome della liberazione del paese dal dominio straniero.
Il suo concetto
di nazionalismo era pretenzioso e divenne dannoso per
gli indù e i musulmani della nazione. Aveva provocato
i giovani del villaggio di Nikhil a imporre la violenza
contro i vicini poveri e innocenti in modo che fossero
terrorizzati nell'accettare il suo stesso concetto di
nazione. Come notato da
Leonard A. Gordon, “Il movimento nazionalista indiano
così come si sviluppò nel Bengala durante l'ultimo
quarto del diciannovesimo secolo era dominato da indù di
alta casta... ma i musulmani del Bengala erano rimasti
indietro rispetto agli indù nell'istruzione, nelle
professioni e i servizi
governativi. La maggior parte
dei musulmani erano coltivatori di classe inferiore nei
distretti orientali del Bengala vero e proprio” (278).
Mentre per
Nikhilesh l'idea di Swadeshi implicava l'inclusione di
tutte le comunità della nazione, l'idea incentrata sulla
religione di Sandeep e l'ulteriore esclusione di una
certa sezione di persone dall'unire le mani per liberare
la madrepatria hanno rappresentato un fallimento del
progetto nazionalista. Anita Desai in
questo contesto sottolinea che Sandip “non assomiglia
tanto al convenzionale mascalzone del palcoscenico
indiano o del cinema di Bombay, che si accarezza i baffi
a manubrio mentre gongola davanti a una borsa d'oro e a
una fanciulla rannicchiata” (55).
Il corpo di
Bimala rappresenta quindi un luogo di guerra e un
possesso da saccheggiare e saccheggiare in nome della
salvezza della nazione. Rivendicarla
attraverso falsi discorsi oratori agisce come mezzo di
strumentalizzazione del genere. La sua
rappresentazione come "Dea Madre" le fa pensare che sia
suo dovere proteggere l'onore della nazione.
L'erotizzazione
della nazione rispetto al corpo delle donne non solo le
pone all'interno dell'idea di nazionale, ma le rende
anche portatrici di culture e quindi più vulnerabili
alla violenza. La loro
inclusione nel conflitto serve come mezzo per
influenzare la generazione futura e coinvolgerla nel
grido fanatico per la liberazione della nazione.
Mrinalini Sinha
afferma che le donne hanno l'onere di bilanciare la
"tradizione" (22) della tradizione precoloniale e della
modernità postcoloniale. Ci si aspetta
che cerchino la modernità con l'astuzia della
tradizione, dove lei agisce come sostenitrice e
preservatrice della cultura. Bimala è
considerata l'appassionata sostenitrice di questa
tradizione in cui la sua preferenza per la casa è una
presentazione paradigmatica dell'armonia che cerca
attraverso l'aspetto devozionale della femminilità.
La sua storia
inizia con la sua dedizione verso la sua casa e finisce
con il ritorno ai modi di casa dopo aver visto
attraverso i motivi malvagi di Sandip.
L'intera idea di
appartenenza a una nazione diventa di genere dove ci si
aspetta che gli uomini siano mascolini e mostrino tratti
masochistici nel salvare la nazione mentre le donne
dovrebbero essere sacrificali, fedeli e pure.
In Burdens of
Nationalism, Uma Chakravarti menziona come in Sri Lanka,
gli uomini fossero quelli che partecipavano ai conflitti
armati, mentre ci si aspettava che le donne
attribuissero valori sentimentali e soffrissero per la
perdita. La creazione
dell'idea delle donne come madri ha collegato loro il
concetto di riproduzione in cui sono legate a un
costrutto eterosessuale che le subordina solo.
Sebbene Bimala
come moglie rispettosa e responsabile sia stata attratta
dalla seduzione di Sandeep e dal suo confronto con la
Dea Madre, la eleva a un piedistallo dove è ispirata a
convincere il proprio marito ad adottare i mezzi
violenti e sostenere Sandeep nel bruciare il
beni stranieri a
favore di beni swadeshi edificanti, è divisa tra la
"casa" e il "mondo" in cui è il suo "zenana" con cui si
connette e a cui vuole tornare fino a quando non è
troppo tardi e Nikhilesh viene coinvolta la turbolenta
violenza nella nazione. Significa quindi
che in nome della nazione e del nazionalismo, le donne
sono intrappolate tra il fervore della politica degli
uomini dove lei rimane un burattino nelle loro mani
proprio come il paese è destinato a soffrire per mano
della politica violenta come osserva Maria Miles,
“Dall'inizio del
moderno stato-nazione (le patrie) le donne sono state
colonizzate. Ciò significa
che il moderno stato-nazione controllava necessariamente
la loro sessualità, la loro fertilità e la loro capacità
lavorativa o forza-lavoro. Ed è questa
colonizzazione che costituisce il fondamento di quella
che oggi viene chiamata "società civile".
La
militarizzazione degli uomini in nome della costruzione
della nazione non colpisce solo le donne di altre
comunità, ma anche le donne della propria comunità»
(27).
Il grido di
Bankim Chandra Chatterjee per l'India indipendente
attraverso la canzone nazionale di "Bande Mataram" nel
suo famoso romanzo Anandamath (1882) in cui la
madrepatria è lodata al massimo per essere portatrice di
una ricca cultura e patrimonio, si sposta
sistematicamente allo "stato padre" attraverso
l'inizio del
secolo in cui "Patria", che inizialmente si riferiva al
Bengala, si spostò in India e il paese fu "violentato"
in nome del nazionalismo. Il ricco
patrimonio culturale della nazione fu diviso tra diverse
comunità quando i semi del comunalismo iniziarono a
violare la nazione con la divisione del Bengala nel
1905, dove le aree orientali in gran parte musulmane
furono separate dalle aree occidentali in gran parte
indù. Nikhilesh come
portavoce di Tagore nel romanzo, parla dell'unione di
indù e musulmani nella lotta contro il colonialismo in
contrasto con il punto di vista di Sandeep di escludere
i musulmani dagli sforzi nazionalistici, poiché secondo
lui il Bengala era solo la terra degli indù
.
Tale
polarizzazione della nazione in nome del bigottismo e
della religione ha portato all'ulteriore disintegrazione
di una "patria" in cui la guerra ha costituito la
creazione di un paese maschile privo di umanità e
devozione. Tagore nel suo
discorso di accettazione del Premio Nobel osserva:
“Dobbiamo scoprire l'unità più profonda, l'unità
spirituale tra le diverse razze. L'uomo non deve
combattere con altre razze umane, altri individui umani,
ma il suo compito è portare la riconciliazione e la pace
e ristabilire i legami dell'amicizia e dell'amore”
(Arun).
In nome del nazionalismo arriva la distruzione della
terra da cui migliaia di persone sono state sradicate,
la terra è testimone di violenze comunitarie, omicidi di
massa, morte di persone innocenti e divisione della
nazione in nome della religione. In un contesto
simile, osserva Shiva, “il malsviluppo è visto qui come
un processo mediante il quale la società umana emargina
il gioco del principio femminile nella natura e nella
società. Il crollo
ecologico e la disuguaglianza sociale sono
intrinsecamente legati al paradigma di sviluppo
dominante che pone l'uomo contro la natura e le donne”
(46). Il modo
estremista di boicottare le merci britanniche ha
provocato grandi difficoltà per i piccoli commercianti e
contadini rurali, la maggior parte dei quali erano
musulmani e indù di bassa casta. La costruzione
di Chandranath Babu da parte di Tagore nel romanzo era
basata sulla figura di Ashwini Kumar Dutta del Bengala,
il cui sostegno allo sviluppo rurale era da lui
fortemente ammirato.
L'erotizzazione della Nazione con l'amante diventa
l'aspetto più inquietante del romanzo. Sandeep riunisce
l'amante e la madrepatria; Bimala e il
Paese diventano una cosa sola. Come nota Tanika
Sarkar nel suo lavoro, "L'emozione che anima entrambi, e
l'emozione che evocano, sono chiaramente erotici... La
madre protegge, l'amante conduce alla distruzione" (35).
BIBLIOGRAFIA
Arun, “The Noble Prize Acceptance Speech”. Literature
Worms, https://www.literatureworms.com/2012/06/nobel-prize-acceptance-speech-by-tagore.html#,
Accessed on 20 March 2023.
Basu, Sanjukta. “Gender, Sexuality and Nation- Tagore’s Ghaire
Baire (Home and the World). This is My Truth, 18 May
2020, https://sanjukta.wordpress.com/2020/05/18/gender-sexuality-and-nation-rabindranath-tagore-ghare-baire-home-and-the-world-ignou-assignments-mawgs/
Chakravarti, Uma. “Wifehood, widowhood and adultery: Female
sexuality, surveillance and the state in eighteenth century
Maharashtra”. Of Property and Propriety: The Role of
Gender and Class in Imperialism and Nationalism, The
University of Toronto Press, 2001.
Chatterjee, Partha. The Nation and Its Fragments: Colonial
and Postcolonial History. Princeton UP, 1993.
D, Dipanshi. “Tagore on Freedom and Critique of Nationalism”.
Academia, n.d.
https://www.academia.edu/35372378/Tagore_on_Freedom_and_Critique_of_Nationalism.
Gordon, Leonard. “Divided Bengal: Problems of Nationalism and
Identity in the 1947 Partition”. India’s Partition :
Process, Strategy and Mobilization, edited by Mushirul
Hasan, Oxford UP, 1993.
Mies, Maria and Vandana Shiva. Ecofeminism. Zed Books,
1993.
Peterson, V. Spike. “Gendered Nationalism: Reproducing Us
versus Them”. Peace Review: A Journal of Social Justice,
vol. 9, no.1, pp. 77-83.
Sarkar, Tanika. “Many Faces of Love, Country, Women and God in
The Home and the World”, The Home and the World: A
Critical Companion, edited by P.K. Dutta, Permanent
Black, 2003, pp. 27-44.
Shiva, Vandana. Staying Alive: Women, Ecology and Survival
in India. Indraprastha Press, 1988.
Sinha, Mrinalini. Colonial Masculinity: The ‘manly’
Englishman and the ‘effeminate Bengali’ in the late
nineteenth century. Manchester UP, 1995.
Tagore, Rabindranath. The Home and the World. Penguin
Classics, 2005.
Il leone Marzocco fiorentino nella poesia politica e civile
trecentesca minore di area toscana, similitudini con il
contesto indiano - Marialaura Pancini
Il leone fin dall’antichità ha esercitato un certo fascino
nell’immaginario umano divenendo oggetto di una serie
innumerevole di similitudini, metafore e immagini simboliche
che attraversano le culture, le aree geografiche e le epoche.
Se si osserva il panorama della poesia politica e civile
trecentesca minore di area toscana si può vedere che il leone
come simbolo della città di Firenze è molto presente nel
repertorio tematico dei rimatori toscani, in particolare
fiorentini. Lo scopo di questa presentazione è quello, in
primo luogo, grazie all’utilizzo di testi concreti afferenti
al genere della poesia politica e civile trecentesca minore di
area toscana, di delineare quella che è la considerazione che
si ha del leone e la simbologia che è legata a questo animale
in questo contesto storico e geografico. In secondo luogo, si
evidenzieranno quelle che sono le similitudini tra l’immagine
del leone nel contesto toscano medievale fiorentino e la
simbologia che il contesto indiano attribuisce.
Appare a questo punto necessario premettere che si tratta di
una selezione di testi arbitraria, fatta sulla base del
criterio di eterogeneità, rappresentatività e ampiezza
dell’argomento, si è scelto, infatti, di dare maggiore
importanza ai testi nei quali si fa ampiamente riferimento al
leone Marzocco fiorentino. Per non essere troppo prolissi e
non allontanarsi troppo dal focus fiorentino della
presentazione e del convegno, si eviterà di citare tutti i
casi – anche se questi sono numerosi- di riferimenti brevi e
poco significativi al leone come metafore, frasi gnomiche etc.
che non hanno una vera e propria tematizzazione nel testo, ma
sono solamente costrutti fissi popolari.
Si esamineranno, quindi, una serie di casi concreti nei quali
si fa riferimento al leone come simbolo della città di Firenze
rappresentato attraverso il leone Marzocco.
Il sonetto Il lion di Firenze è migliorato viene scritto
in occasione dell’acquisto da parte di Firenze di Arezzo. Il
sonetto anonimo gioca con gli animali araldici presenti nei
gonfaloni delle città toscane e nasconde, dietro riferimenti a
prima vista zoologici, la narrazione delle vicende politiche
di quegli ultimi anni. La prima quartina, attraverso l’animale
simbolo di Firenze, il leone marzocco, ora «migliorato» v.1
dopo che «lungo tempo è stato in malattia» v.2, descrive i
trascorsi della città di Firenze. La città, dopo le sconfitte
subite dalla ghibellina Pisa di Uguccione della Faggiola
(1315) e dopo il periodo dell’infruttuosa signoria di Carlo,
Duca di Calabria (1325), a questa altezza cronologica riprende
la sua politica di espansione verso le zone limitrofe, Arezzo
è proprio una di queste . La quartina in questione esalta la
conquista della città di Arezzo, rappresentata attraverso il
«Cavallo sfrenato» elemento caratteristico del gonfalone
aretino , attraverso tale azione la città di Firenze vede
compiersi la sua signoria, il suo potere su Arezzo. Si allude
anche al compimento di una profezia «che Daniello aveva
profetizzato» v. 8 e che ora è «tutta adempiuta» v. 7. I
versi potrebbero riferirsi al libro di Daniele, nel quale
viene descritto un sogno, dove sono protagoniste quattro
bestie, la prima bestia ha figura leonina con ali d’aquila, la
seconda bestia figura di orsa, la terza di leopardo, la quarta
è una bestia senza un preciso referente reale, ha molte corna
e distrugge tutto ciò che trova. La quarta bestia viene
«uccisa e il suo corpo distrutto e gettato a bruciare sul
fuoco. Alle altre bestie fu tolto il potere e fu loro concesso
di prolungare la vita fino a un termine stabilito di tempo.» .
Secondo l’interpretazione, che segue nel libro, le quattro
bestie rappresentano quattro re che si succedono nel tempo,
nonostante le prime bestie rappresentate nel libro di Daniele,
il leone e l’orsa trovino corrispondenza con i versi resta
però piuttosto oscuro il collegamento tematico, non è quindi
certo il riferimento. Nella terzina che segue si fa
riferimento, attraverso i loro animali araldici, alle città
toscane rimaste a guardare il crescere della potenza
fiorentina. Siena viene rappresentata come una lupa ferita
«scorticata» v. 9 e Pistoia come un’«Orsa» v. 9,
entrambe colpite dalla «branca» v. 10 del leone
fiorentino, che si è appropriato della città di Arezzo, e ha
inoltre con questo gesto messo in fuga le altre bestie
ovvero ha fatto arretrare le altre città toscane dalle loro
posizioni espansionistiche e di potere nella zona, dimostrando
la propria forza leonina. Nell’ultima quartina torna il tema
della profezia di Daniello del v. 8, questa si avvererà se il
leone fiorentino continuerà a fare «borsa» delle pelli «cuoi»
v. 13 degli animali che rappresentano le città toscane, se
quindi la città di Firenze affermerà la propria egemonia sulla
Toscana. La cauda è un avvertimento, posto in forma
proverbiale, che suggerisce di stare attenti alle persone alle
quali si è avuto fretta di commettere torti, perché in breve
tempo queste presenteranno la loro vendetta . Questa
conclusione gnomica potrebbe essere indirizzata o alla stessa
città di Firenze, invitandola a rimanere vigile su una
possibile vendetta della città toscane, oppure potrebbe anche
essere riferita alla vendetta che i fiorentini hanno attuato,
dopo le sconfitte subite nei primi anni del secolo ad opera
dei baluardi ghibellini Uguccione della Faggiola e Castruccio
Castracani.
Proprio in seguito alla compera di Arezzo da parte di Firenze
del 1385 Antonio Pucci e Franco Sacchetti, autori fiorentini
molto attivi nella scena politica della loro città, si
scambiano una tenzone in commento alla vicenda. Il primo a
dare avvio alla corrispondenza è Antonio Pucci, che scrive e
indirizza a Franco Sacchetti il sonetto Il veltro e l’orsa e
‘l cavallo sfrenato . Il sonetto ricorda molto il testo
analizzato in precedenza Il lion di Firenze, dove i
riferimenti alle città toscane sono tutti espressi mediante
gli animali simbolo di queste. Nella prima quartina, Pucci
descrive la situazione di alleanza «parentado» v. 2 tra
Volterra: il veltro , l’orsa: Pistoia e il cavallo sfrenato,
ovvero Arezzo, e Firenze: il leone. Anche Il lion di Firenze
utilizza gli stessi riferimenti per Pistoia e Arezzo «l’Orsa»
v. 9 e «il Cavallo sfrenato» v. 4. Pucci conclude la quartina
ricordando Pisa: la volpe; il toro: Lucca; Siena: la lupa e il
grifone perugino alcune di queste città che menziona
sono poco turbate per l’accrescimento del potere fiorentino,
altre, invece, lo sono «molto» v. 4. La seconda quartina, si
incentra tutta su un riferimento ai tempi passati della guerra
tra Firenze e Pisa per la presa di Lucca del 1342. C’è infatti
un discorso diretto pronunciato dalla stessa volpe pisana che
rammenta la «tencione» v. 6 avuta con il leone fiorentino
perché «contra ragione» v. 7 Pisa «volea pigliar […] / il
toro» vv. 7-8. Il riferimento all’intrusione senza averne
diritto di Pisa nella compravendita di Lucca torna anche negli
altri testi di Pucci dove è trattata la vicenda. Seguono poi i
discorsi degli altri animali menzionati che rappresentano le
città: la lupa Siena, che esprime il suo dubbio per quanto
riguarda l’origine del suo cattivo rapporto con il leone
fiorentino. Il grifone di Perugia esprime invece la sua gioia
per essere da sempre «amico» v. 13 del leone fiorentino, il
rimando, come sottolinea anche Ageno , potrebbe verosimilmente
essere alla Guerra degli Otto Santi durante la quale Perugia
si ribella all’abate Géraud Dupuy, vicario papale
nell’amministrazione della città sottoposta al dominio
pontificio. Lo stesso Pucci descrive infatti dettagliatamente
la ribellione della città e la cacciata di Dupuy nel suo
Cantare della guerra degli Otto Santi, anche Franco Sacchetti
fa riferimento a Dupuy come il «porco monacese» v. 127 nella
sua canzone Hercole già di Libia ancor risplende. In
conclusione, Pucci si rivolge all’altro poeta e chiede il suo
parere sulla questione appena trattata.
Franco Sacchetti risponde per le rime alla sollecitazione
dell’amico ed esprime il proprio parere con Se quella leonina
ov’io son nato , riprendendo il sonetto di Pucci fa
riferimento a Firenze come «quella leonina» v. 1 dove lo
stesso autore è nato. La sua risposta è però molto critica nei
confronti dell’atteggiamento fiorentino. Sacchetti accusa,
infatti, Firenze di non essere governata in maniera tale da
poter garantire il benessere per i suoi cittadini, che
dall’altro lato si sono sempre dimostrati a lei fedeli.
Sacchetti accusa direttamente la città di non contraccambiare
i suoi concittadini dello stesso amore che questi le hanno
riversato in passato. Secondo l’autore è questa la ragione per
cui le altre città «ogni animale che hai narrato» v. 5 si
astengono dal sottomettersi alla città del giglio «verebbe
sotto al florido pennone» v. 6, per quanto riguarda l’utilizzo
dell’aggettivo florido, al di là del riferimento alla
prosperità ci potrebbe essere un rimando etimologico con il
nome di Firenze, questo aggettivo è utilizzato da Sacchetti
anche in altri contesti sempre riferendosi a Firenze . Nella
seconda quartina Sacchetti chiarisce ulteriormente il motivo
del suo risentimento nei confronti di Firenze: delle persone
disoneste e incivili «rei villani» v. 7 attraverso menzogne
«con falso sermone» v. 7 si stanno allontanando sempre più
dall’esempio morale dei celebri «Bruto, Scipïone e Cato» v. 8,
non è un caso che vengano citati tre autori romani, in questo
periodo cronologico è infatti diffusa l’esaltazione della
romanitas fiorentina, che trae base dalle origini fiesolane
della città e vede Firenze come nuova Roma . Le terzine
mostrano un crescendo della disperazione del poeta che rimanda
nella prima terzina al credo cattolico, «nessun conosce grazia
da Colui / ch’ognora in essa tiene la mente pia» vv. 10-11.
Questa coppia di versi appare speculare nella struttura ai vv.
1-4, in questa prima quartina Sacchetti accusa Firenze di
ingratitudine verso i cittadini che per lei si dimostrano
fedeli, allo stesso modo nei vv. 10-11 Sacchetti accusa con un
generico «nessun» v. 10 di non mostrare gratitudine verso
colui che costantemente «ognora» v. 11 tiene conto della
città: Dio. In questo caso è presente un rovesciamento con la
narrazione che lo stesso Sacchetti fa, circa un decennio
prima, (1375-1378) della città durante la guerra degli Otto
Santi, dove Firenze è sempre fedele al divino e ai suoi
precetti e assume il ruolo, intriso di senso biblico, di
pastore e guida delle città ribelli in fuga dagli
ecclesiastici erranti rispetto ai valori divini paragonati ai
Faraoni. Nell’ultima terzina torna, come nell’ultima quartina,
il riferimento al tradimento della romanitas fiorentina. Sono
infatti silenti e assenti personaggi come Cicerone, Curio e
Silla, citati per antonomasia, chi governa adesso, infatti non
vanta un’ascendenza nota. Ageno in proposito segnala un
possibile riferimento al tumulto dei Ciompi del 1378 e alle
nuove arti dei farsettai e dei tintori proclamate in
quell’occasione, ma dopo poco abolite . Il riferimento al
tradimento dei valori della romanitas è tematica centrale
della canzone di Bindo di Cione del Frate Quella virtù, che ‘l
terzo cielo infonde dove attraverso un sogno appare Roma nei
panni di donna anziana che si lamenta per lo stato nel quale
riversa adesso la sua discendenza. Oltre al riferimento
tematico nella canzone ricorrono, insieme a molti altri
exempla di virtù, anche i nomi di Bruto, Scipione e Catone,
menzionati da Sacchetti.
I versi conclusivi di Fiorenza mïa, poi che disfatt’hai ,
dello stesso Franco Sacchetti, fanno riferimento allo stesso
modo a Firenze attraverso il suo animale simbolo che ricorre
frequentemente nei testi presi in esame: il leone marzocco, al
quale la famiglia degli Ubaldini aveva per anni creato
problemi «dispettando» v. 47. Sacchetti gioca inoltre sul
significato figurato del verbo sommergere e sull’accostamento
del marzocco al golfo del Leone, per precisare la fine che
invece ha poi fatto la famiglia «dispettando il leone, / che
gli ha sommersi, e non nel mar Leone» vv. 47-48. La stanza
successiva prosegue, sulla scia dei versi precedenti, questo
gioco sulla parola leone riferendosi a «Castel Leone» v. 49
nome con il quale si identificava l’attuale Lévane , occupato
dagli Ubaldini dal dicembre 1372 al giugno 1373, che avevano
con disonestà «di furto avendol preso» v. 50 ai fiorentini.
Riprendendo il tema del v. 3 «superba» si giustifica tale
irriverenza come mossa dalla stessa superbia «tant'era su
montata lor superba» v. 51 della famiglia. I vv. 52-54 tornano
sul leone fiorentino, elogiandone la superiorità «mag[g]ior
leone» v. 52 e le azioni di conquista.
Altri casi, significativi, nei quali si fa riferimento a
Firenze tramite il leone sono il v. 39 di Deh, angeli ed
arcangeli con truoni di Antonio Pucci, dove il
riferimento alle città viene espresso attraverso gli animali
simbolici che li rappresentano il leone per Firenze, e la
volpe per Pisa.
Anche in O Signor mio ch’agli apostoli tuoi , Pucci conclude
fornendo le coordinate temporali della vicenda ai lettori
«Contato v’ho di fino a mezzo luglio / de l’anno sopradetto»
v. IV.32.1-2 e descrivendo - attraverso una metafora zoologica
che vede protagonisti gli animali simboli delle città toscane:
il leone per Firenze e la volpe per Pisa - la situazione
attuale, lasciando trapelare qualche anticipazione di quello
che seguirà. Il leone fiorentino e la volpe pisana si trovano
ora uno di fronte all’altro a trattare per una pace, i pisani
sono però come di consueto inclini all’inganno, i fiorentini
dal lato loro non sono per nulla sciocchi, verranno ingannati
solo a causa della loro lealtà.
Allo stesso modo anche il cantare O indivisa etterna
Ternitade dello stesso Pucci anticipa in chiusura quello
che seguirà nel cantare successivo della serie dei cantari
della Guerra di Pisa, Pucci alimenta le aspettative del
pubblico annunciando quello che avverrà «Or vi dirò s’ come di
ragione / seppe la volpe qui più che [‘l] leone» v. V.17. 7-8.
Il cantare successivo, di conseguenza, fa riferimento al
tradimento del leone fiorentino «la volpe a∙leon diè mala
strenna / ch’avendol’ quasi a la pace promosso / e leopardi
gli mandòne adosso» v. VI.12.6.
Interessante a proposito è anche il sonetto O Pisa, vituperio
delle genti di Filippo dei Bardi. L’autore si rivolge
alla stessa Pisa ricordandole che nemmeno Dio la salverà dalle
grinfie del leone fiorentino «E non ti val chiamar quell’alto
Teta» v. 4. Il leone viene rappresentato in tutta la sua
rabbia e maestosità che con i suoi attributi «denti» v. 5;
«artigli possenti» v. 7 è intento senza freno a spargere il
sangue pisano «che no si cheta / Perché abbia rossi gli
artigli possenti / Del sangue de’ tuoi fi’ con tanta pieta»
vv. 6-8.
La tenzone che vede coinvolti il lucchese Pietro de’
Faitinelli e un anonimo rimatore pisano è molto interessante
perché vede il confronto diretto tra due autori divisi in quel
momento dall’assedio. Lo scambio di sonetti risale infatti al
periodo che va dal 25 settembre 1341 e il 2 ottobre dello
stesso anno, periodo nel quale Firenze occupa la città di
Lucca non avendo ancora subìto la sconfitta di Monte san
Quirino e non avendo ancora lasciato Lucca in mano pisana .
Come nota Aldinucci , il sonetto di mano di Faitinelli,
Mugghiando va il Leon pel la foresta , ricorda il sonetto
analizzato Il lion di Firenze è migliorato, e si basa come
quest’ultimo sugli animali simbolo delle città toscane. La
città di Firenze, il leone , gioisce per la recente conquista
di Arezzo, il Cavallo disfrenato , e ha sotto di sé
anche Pistoia, l’orsa . Firenze aveva ottenuto, infatti Arezzo
nel 1336 come testimonia il sonetto Il lion di Firenze è
migliorato, anche la città di Pistoia è parte dal 1331 della
sfera di influenza fiorentina . Nei versi successivi, vv. 5-8,
entra in scena Lucca, la Pantera, dotata di un alito
ammaliatore che «presta» v. 5 questa sua peculiarità al
leone fiorentino permettendogli così di attrarre a sé i comuni
toscani . L’appoggio lucchese dei fiorentini si dimostra
vantaggioso anche in termini geopolitici, l’aver ottenuto
Lucca da Mastino della Scala permette a Firenze di
«accerchiare il territorio di Pisa da ogni parte» . Dopo
l’allusione al vantaggio che ottiene Firenze sui pisani ecco
che nei versi successivi anche la Lepre pisana fa la sua
comparsa nel testo, Pisa farà bene a stare attenta dal momento
che oltre alle città sopra citate anche Siena, la Lupa, si è
alleata con Firenze in prospettiva anti-pisana . La metafora
«il Leon e la Lupa odi ch’han fatto: / tes’han le reti e
vogliolla pigliare» vv. 10-11, usata per rappresentare le
trame che Firenze e Siena stanno mettendo in atto contro Pisa,
si allaccia alla rappresentazione delle città come animali e
tare origine dalla sfera della caccia , una metafora inerente
allo stesso ambito si trova anche nei sonetti Ceneda e Feltro
e ancor Monte Belluni e San Marco e ’l Doge. Per la Lepre
pisana non ci sarà scampo inutile fuggire come è solita fare
oppure riporre le speranze nella sorte, come viene espresso
attraverso l’utilizzo della metafora dei dadi , Firenze, il
Leone, e Siena, la Lupa, sono prossimi a distruggerla. Per
quanto riguarda il riferimento alla lepre come animale
erbivoro di scarso valore bellico, ma piuttosto incline alla
fuga e al rintanarsi si veda il sonetto Più lichisati siete
ch’ermellini di Folgore da San Gimignano uno tra gli
innumerevoli riferimenti alla Lepre pisana presenti nella
letteratura medievale .
A questo sonetto Faitinelli riceve risposta da un anonimo
rimatore pisano che gli indirizza Amico, guarda non sia mal di
testa . Il sonetto si configura come una risposta diretta al
lucchese e si basa sulla stessa cerchia lessicale . La prima
quartina riprende specularmente il tema del sonetto di
Faitinelli «ribaltandone ironicamente il significato»
sotto un’ottica pisana. Se il sonetto lucchese narrava di un
leone a testa alta per la felicità, qui si invita l’«amico» v.
1 ad assicurarsi che il leone non sia molestato dal mal di
testa, che gli fa alzare la testa, piuttosto che la felicità,
oppure che non sia uno dei consueti dolori, con una possibile
allusione alle divisioni interne alla città di Firenze . Il
pisano continua con la reinterpretazione del sonetto del
lucchese, non c’è motivo di essere allegri «come tu di’» v. 6,
dal momento che Lucca, la Pantera, si è dovuta sottomettere
alla città di Firenze non per sua volontà ma perché sottoposta
al volere del suo signore Mastino della Scala, perché
costretta ad ubbidire: «per mostrarsi ne l’ubidir presta» v.
8. La prima terzina approfondisce ulteriormente il tema
dell’acquisto di Lucca definito spregiativamente come
«baratto» v. 10, che si rivelerà come un dolore più che una
felicità per la Pantera lucchese. Per quanto riguarda il
Cavallo aretino, si invita l’amico a stare attento che questo
non si rivolti contro chi lo sprona arditamente, il pericolo
che rappresenta il cavallo sfrenato di schiena è
identificabile con quello che potrebbe essere il pericolo di
una rivolta contro i fiorentini ad Arezzo, circostanza che
effettivamente si verifica nel luglio 1341 ; in quegli anni
avviene proprio il tradimento di «quel da Pietramala»,
l’aretino Tarlato Tarlati, menzionato nella canzone di Antonio
Pucci O lucchesi v. XI.6, Arezzo dopo essersi dapprima alleata
con Firenze ordisce una congiura contro la stessa città del
giglio . Il v. 14 «talor di schiena» potrebbe alludere,
tra l’altro, alla posizione geografica di Arezzo nei confronti
di Firenze, che vista da Pisa appare in posizione posteriore
rispetto alla città gigliata. Gli ultimi versi elogiano la
Lepre pisana, questa volta è lei ad essere allegra, questa non
teme infatti le trame che stanno tessendo contro di lei «quei
falsi» v. 16 di Firenze il Leone, e Siena la Lupa. Anzi in
vigore delle sue qualità: l’arguzia, la forza e il senno «non
teme» v. 18 né Firenze, né le città che questa ha posto sotto
la sua ala: Siena e Pistoia.
Se si osserva il contesto indiano, il capitello di Sarnath,
emblema della Repubblica Indiana, rappresenta sull’abaco
quattro leoni addossati, la maestosità di questi leoni ricorda
da vicino il Marzocco fiorentino. In particolare, il pilastro
di Ashokan eretto a Sarnath è quello più iconico e celebrato
dei pilastri di Ashokan , esso è infatti raffigurato anche
nella banconota da una rupia indiana e sulla moneta da due
rupie e inoltre è divenuto l’emblema nazionale indiano.
L’aspetto che in questa sede ci interessa del pilastro è il
capitello nel quale sono raffigurati quattro leoni ognuno
posizionato in direzione dei quattro punti cardinali. I leoni
hanno la bocca aperta e ruggiscono, il leone nel contesto
indiano, oltre ad essere simbolo di regalità e potere, come
nel contesto occidentale e fiorentino, è anche simbolo di
Buddha stesso. Nella base del capitello sono scolpiti altri
animali: un cavallo, un toro, un leone e un elefante .
Come nel caso di Firenze, anche nel caso indiano del capitello
di Ashokan il leone diviene simbolo di fierezza e possenza nel
comando, ma allo stesso tempo viene associato ad altri
animali, sia nel caso del capitello che nei casi dei sonetti
presi in esame, come se sia nel contesto indiano, che in
quello fiorentino si volesse far riferimento al leone sì
simbolizzandolo e rendendolo un emblema di una città ma allo
stesso tempo senza estrapolarlo del tutto dal suo contesto
naturale nel quale si trova circondato da altri animali e
dalla natura.
BIBLIOGRAFIA
Studi:
Gatti Luca, Il mito di Marte a Firenze e la «pietra scema».
Memorie riti, e ascendenze, in «Rinascimento», XXXV (1995),
pp. 201-230.
Shelby Karen, "Lion Capital, Ashokan Pillar at Sarnath", in Smarthistory,
9 agosto 2015, accesso 3 aprile 2023,
https://smarthistory.org/lion-capital-ashokan-pillar-at-sarnath/.
Morpurgo Salomone, Dieci sonetti storici fiorentini, Firenze,
Carnesecchi, 1893.
Edizioni critiche di autori:
ANTONIO PUCCI, Cantari della Guerra di Pisa = ANTONIO PUCCI, Cantari
della Guerra di Pisa, edizione critica, a cura di, M.
Bendinelli Predelli, Firenze, Società Editrice Fiorentina,
2017.
FRANCO SACCHETTI = FRANCO SACCHETTI, Il libro delle rime,
a cura di F. Brambilla Ageno, Firenze-Melbourne,
Olschki-University of Australia Press, 1989 (A.); FRANCO
SACCHETTI, Il libro delle rime con le lettere; La battaglia
delle belle donne, a cura di D. Puccini, Torino, UTET, 2007,
(P.).
PIETRO DE’ FAITINELLI = PIETRO DE’ FAITINELLI, Rime, a
cura di B. Aldinucci, Firenze, Accademia della Crusca, 2016.
Strumenti di consultazione:
DBI = Dizionario Biografico degli Italiani,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-.
Libro di Daniele = Testo a cura della Conferenza
Episcopale Italiana,
https://www.vatican.va/archive/index_it.htm
TLIO = Tesoro della Lingua Italiana delle Origini,
fondato da Pietro G. Beltrami e diretto da P. Squillacioti
presso CNR-Opera del Vocabolario Italiano,
http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/
Toscana Giunta Regionale, 1995 = Toscana Giunta Regionale, La
Toscana e i suoi comuni, storia, territorio, popolazione,
stemmi e gonfaloni delle libere comunità toscane,
Venezia, Marsilio, 1995.
Website
http://www.sarnathmuseumasi.org/gallery/Gallery3%20Acc%20No%20355.html
Restoration by India's Diaspora, the Roma - Daniel-Claudiu Dumitrescu
Relazione letta al Convegno Annuale del Collegium
Mediterraneanistrarum, 12 giugno 2022
Le lapidi a forma di obelisco, che sono abbastanza
comuni nei moderni cimiteri occidentali, sono state
considerate un prodotto del cosiddetto "rinascimento
egiziano", una moda del design egiziano nata dallo
sviluppo degli studi egiziani dopo la campagna d'Egitto
di Napoleone (1789-1799 ).
Si dice che
anche l'istituzione di cimiteri moderni fuori dalle
chiese risalga al XIX secolo. In India,
tuttavia, gli inglesi avevano creato cimiteri molto
prima e vi si possono trovare molte lapidi a forma di
obelisco. In altre parole,
è molto probabile che le pietre tombali degli obelischi
siano apparse in India prima della campagna d'Egitto,
per altre cause. In questo
articolo lo verificheremo prima esaminando le lapidi
esistenti nei cimiteri britannici in India.
Tenterà quindi
una piccola "storia mondiale delle lapidi" guardando
indietro nel tempo per vedere come gli obelischi e i
loro disegni venivano usati prima del XVIII secolo e
quando, dove e come erano associati ai memoriali per i
morti.
In India vedremo prima il cimitero di South Park Street
a Calcutta (ora Kolkata), un cimitero fondato nel 1767.
Lì possiamo vedere molte lapidi a forma di obelisco, ma
dobbiamo esaminare quante di esse furono effettivamente
erette prima dell'impatto della campagna
d'Egitto. L'autore ha
studiato le forme delle lapidi di coloro che sono morti
fino al 1805. Quel sondaggio ha rivelato che delle 185
lapidi sopravvissute in quest'epoca, 27 erano
chiaramente a forma di obelisco, e un totale di 44 sono
state identificate dove leggermente più spesse o più
piramidali- simili sono
stati aggiunti.
Da ciò si può sottolineare che una nuova espressione
moderna riguardante i memoriali potrebbe essere stata
stabilita in India prima della terraferma europea.
Ma, a conferma
di ciò, è anche necessario rivedere come gli obelischi
erano stati associati ai memoriali prima del XVIII
secolo. La diffusione
degli obelischi e dei loro disegni in Occidente iniziò
quando alcuni obelischi portati dall'Egitto a Roma
nell'antichità furono poi riproposti nei secoli
XVI-XVII. Vedendo lo
sviluppo degli obelischi e dei loro disegni
dall'antichità, soprattutto dal XVI al XVII secolo in
poi, possiamo trovare alcuni usi per espressioni
commemorative. Ma, per quanto
ne sa l'autore, non si trattava di lapidi autoportanti a
forma di obelisco, tema di questo scritto, ma solo di
parti decorative o rilievi piatti. L'autore ritiene
che l'uso diffuso di lapidi autoportanti a forma di
obelisco sia avvenuto in India prima di quelle in
Europa.
Perché, allora, le pietre tombali con questo disegno
egiziano sono apparse in India prima che fosse fondata
l'egittologia? La prima cosa da
notare è il legame tra l'architettura funeraria indiana
e il cimitero britannico di Surat e il drammaturgo e
architetto britannico John Vanbrugh. C'erano alcuni
architetti coinvolti nella costruzione di diversi
obelischi e strutture piramidali nella Gran Bretagna del
XVIII secolo, in città e case di campagna, e, al centro
dei loro architetti, possiamo trovare John Vanbrugh.
È interessante
notare che la fonte delle sue immagini era il cimitero
inglese che aveva visto a Surat quando era ancora
giovane. Nel 1711
Vanbrugh presentò una proposta per un cimitero composto
da "Mausolei alti e nobili", sul modello del cimitero
inglese che aveva visto a Surat un quarto di secolo
prima, in cui negli schizzi si possono trovare obelischi
e lapidi a forma di piramide .
I cimiteri
britannici e olandesi a Surat oggi hanno infatti diverse
lapidi a forma di obelisco, alcune delle quali non
possono essere datate, ma alcune possono essere
sicuramente identificate come risalenti al XVII secolo.
L'esclusiva
espressione commemorativa del cimitero mostra
l'influenza dell'architettura del mausoleo islamico, che
fiorì in India intorno al XIV secolo, e dei cenotafi
principeschi indù (chhatris) che furono stabiliti
intorno al Rajasthan sotto la sua influenza.
Il cimitero di
Surat, con la sua miscela di questi diversi edifici
tombali e disegni di origine europea, ha influenzato
l'architettura britannica del XVIII secolo attraverso
Vanbrugh.
Il prossimo
punto di interesse è la possibile confusione e
sovrapposizione tra le immagini degli obelischi e altre
architetture antiche. Prima
dell'affermarsi dell'egittologia, non doveva esserci
alcuna base per collegare gli obelischi con i concetti
di morte e rinascita, ma possiamo effettivamente trovare
un certo legame tra gli obelischi e le immagini
consolatorie. Uno dei motivi
sembra essere la confusione tra le immagini degli
obelischi e delle piramidi. Anche il
cenotafio del massacro britannico del XVIII secolo a
Patna è talvolta indicato come un "obelisco", ma è
chiaramente modellato su una colonna commemorativa
romana. È interessante
notare che anche la famosa Colonna commemorativa di
Traiano è una specie di tomba, in quanto ha i suoi resti
nella parte di base. Anche il
Mausoleo di Maussollos a Helicarnassus è stato spesso
raffigurato come simile a un obelisco o pyramid,
anche se la sua forma attuale è sconosciuta.
Questa e
altre rappresentazioni delle cosiddette sette
meraviglie del mondo e dei capricci dei secoli
XVII-XVIII suggeriscono che una vasta gamma di
immagini architettoniche antiche legate a
memoriali e obelischi si sia sviluppata in modo
sovrapposto e misto.
Pertanto,
si presume che la forma della lapide dell'obelisco
sia stata stabilita e sviluppata in India mentre
la storia delle immagini complesse degli obelischi
e la cultura indiana dell'architettura funeraria
si intersecavano. Lo sfondo
di ciò potrebbe essere stato la necessità di nuovi
luoghi di sepoltura e nuove espressioni di
commemorazione a causa dell'alto tasso di
mortalità degli occidentali in India e della
mancanza di chiese e cimiteri, ma ci sono molte
altre questioni da interrogare ulteriormente,
incluso il più ampio influenza
dell'architettura e della tecnologia indiana.
Questo
fenomeno culturale è difficile da cogliere in una
struttura binaria britannica/indiana,
occidentale/orientale, dominante/dominata, e sarà
essenziale acquisire conoscenze tra discipline e
regioni per chiarirlo. L'autore
spera nella guida di vari ricercatori.
Il
documento originale è stato scritto e letto in
giapponese.
Il Mahatma Gandhi ha portato una nuova dimensione nelle nostre vite. Quando parlava di nonviolenza, intendeva non solo evitare l'azione violenta, ma purificare i nostri cuori dall'odio e dall'amarezza. Ha svelato il potere politico spirituale degli analfabeti e degli umili poveri e ha sottolineato che gli unici programmi degni di essere predicati erano quelli che potevano essere tradotti in azione. Ha detto che ogni decisione e programma dovrebbe essere giudicato dal punto di vista dei più poveri e dei più deboli. Indira GandhiIl lettore potrebbe benissimo ribellarsi al titolo di questo articolo. Gandhi è visto come un "maschilista". Tuttavia, ci sono aspetti della vita e del pensiero di Gandhi che possono essere collegati al femminismo. Questo documento discute tre aspetti di Gandhi: Gandhi e il patriarcato, Gandhi e le donne, Gandhi e la bomba, tutti collegati tra loro. Non sarà accademico ma piuttosto, in larga misura, alla maniera di Gandhi, un esperimento con la verità.
E c'era Gandhi, che camminava, con i suoi amici intorno a lui, era una sorta di terrificante anticlimax. Non ci furono applausi, né grandi grida di gioia, e nessuna specie di maestosa processione, tutto qui. . . in un certo senso piuttosto farsesco. Comunque questa grande marcia era cominciata. . . eccolo qui, abbastanza felice, con la gente intorno a lui, nel complesso molto tranquillo, ma di tanto in tanto si sentiva Gandhi. . . scoppiare con quella sua meravigliosa risata fanciullesca. Non sapeva come sarebbe andata a finire la marcia, ma nonostante ciò, ero lì, a vedere la storia accadere in uno strano tipo di modo; qualcosa di completamente non europeo eppure molto, molto commovente.Quell'atto doveva porre fine al dominio britannico dell'India. Un atto così semplice, eppure molto più potente di qualsiasi atto di terrorismo violento, di qualsiasi uso di qualsiasi bomba. Ma ha bisogno di una spiegazione. La Gran Bretagna ha imposto il monopolio del sale in India. Lo fece perché anche Roma aveva imposto un tale monopolio su tutte le terre che giacevano sotto il giogo del suo vasto impero. Da esso deriva la parola "salario" che usiamo oggi. Il sale è stato trasformato in moneta, lo stato controllava una sostanza essenziale alla vita. Tuttavia, un tale monopolio non era la pratica in Gran Bretagna. La sua imposizione all'India fu un atto ingiusto, patriarcale, imperiale e Gandhi, che aveva studiato legge in Inghilterra, lo sapeva. La nostra versione americana di questa semplice raccolta di sale dal mare è stata Rosa Parks, a causa dei suoi piedi stanchi, che ha rifiutato il suo posto a un uomo bianco su un autobus dell'Alabama - un atto che ci ha cambiato da una nazione razzista a una con un sogno di uguaglianza in parte realizzato, anche se dobbiamo andare oltre.
Mentre la fame regna, la pace non può prevalere. Chi vuole bandire la guerra deve bandire anche la povertà. Non fa differenza se un essere umano viene ucciso in guerra o muore di fame a causa dell'indifferenza degli altri.Mio padre allora era ambizioso di ricchezza e fama e quindi le idee di Gandhi si scontravano con le sue. Ma molti anni dopo scriverà una biografia di Papa Giovanni XXIII, Living Peter, una biografia che loda piuttosto che biasimare un uomo simile. Gandhi, si può vedere, istruì con successo i suoi avversari. Una potenza coloniale deve mentire a se stessa. Gandhi ha strappato via quelle bugie, usando la giustizia per svelare l'ingiustizia, usando la legge per dimostrare l'illegalità del dominio britannico. E per farlo si è rivolto alle donne.
Gandhi's
possessions at his death, his glasses, his sandals, etc.
Prega, rifletti e poi fai:
questa
regola (di Gandhi) ottenne l'independenza dell'India/
Arjun Shivaji Jain received a Master of Science in
Physics from the Indian Institute of Technology in
Roorkee, Uttarakhand in 2014, and a Post Graduate
Certificate in Art and Science from Central Saint
Martins of the University of the Arts in London in 2016.
Recipient of multiple scholarships and fellowships
instituted by the Department of Science, Govt. of India,
and having worked at the Indian Institute of Technology
and National Science Academy in Delhi, and the National
University of Singapore, he has assumed various
disparate roles over the years (including, but not
limited to, waiting tables, invigilating galleries,
housekeeping, gardening, felling trees, & teaching).
Self-published and well-travelled, he is serving at
present as the first Young Companions' Representative of
the Guild of St George, UK, whilst working, in a
personal capacity, as a visual artist. He is proprietor
of the John Ruskin Manufactory, and director at Red
House, here in Delhi where he currently resides.
To donate to the restoration by Roma of
Florence's formerly abandoned English Cemetery and to
its Library click on our Aureo Anello Associazione's
PayPal button: THANKYOU! |