FLORIN
WEBSITE
A WEBSITE
ON FLORENCE © JULIA
BOLTON HOLLOWAY, AUREO ANELLO ASSOCIAZIONE,
1997-2022:
ACADEMIA
BESSARION
||
MEDIEVAL: BRUNETTO
LATINO, DANTE
ALIGHIERI, SWEET
NEW STYLE: BRUNETTO LATINO, DANTE
ALIGHIERI, &
GEOFFREY CHAUCER
|| VICTORIAN:
WHITE
SILENCE:
FLORENCE'S
'ENGLISH' CEMETERY
|| ELIZABETH
BARRETT BROWNING
|| WALTER
SAVAGE LANDOR
|| FRANCES
TROLLOPE
|| ABOLITION
OF SLAVERY ||
FLORENCE
IN SEPIA
|| CITY
AND BOOK CONFERENCE
PROCEEDINGS I, II,
III,
IV,
V,
VI,
VII
, VIII, IX, X || MEDIATHECA
'FIORETTA MAZZEI'
|| EDITRICE
AUREO
ANELLO CATALOGUE || UMILTA WEBSITE ||
LINGUE/LANGUAGES:
ITALIANO,
ENGLISH
|| VITA
New: Opere
Brunetto Latino || Dante vivo || White Silence
BRUNETTO'S BESTIARY
IL TESORO
LIBRO QUARTO

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 45v
Continuing Aristotle's
educative work for Alexander, Brunetto Latino wrote the
first vernacular encyclopedia including a bestiary as Li Livres dou Tresor
in French for King Charles of Anjou, Carlo d'Angiò. Its
Bestiary section is Florence's answer to Sicily's De arte venandi cum avibus,
the work about nature and wisdom, written and profusely
illustrated for Federico II. Brunetto translated his magnum opus also into
Italian, and Florence is especially enriched by these Tesoro manuscripts,
while lacking the French work, apart from one Ashburnham
manuscript in the Laurentian Library. It is safe to
conclude that this Italian version is the text which
Brunetto would have taught his young Italian students,
Guido Cavalcanti, Dante Alighieri and Francesco Barberino.
It is a book that serves for both French kings and
Florentine republicans. The French and the Italian
manuscripts can be richly illuminated for this section,
giving each fish, fowl and beast. Dante particularly
remembers the section concerning serpents and snakes for
his Inferno
cantos using the same. So will also James Joyce, from a
children's book of the Bestiary, given with photographs of
the Amiens capitals of the beasts, that he had bought for
Lucia and Giorgio in Trieste.
Luigi Carrer published Il
Tesoro di Brunetto Latini, volgarizzato da Bono Giamboni,
in Venice using a late Venetian manuscript which gave that
erroneous attribution. The other manuscripts then had that
false information written upon them by later librarians.
Consequently, Italian scholars have paid little heed to
this important text, preferring instead to edit the French
manuscript of Li Livres
dou Tresor in Verona's Biblioteca Capitolare.
The illuminations employ the memory system of alternating
red and blue backgrounds.
For another illuminated and exquisite Bestiary, but
earlier and in Latin, see the Aberdeen Bestiary: http://www.abdn.ac.uk/bestiary/
For an Exhibition of Bestiaries see: http://expositions.bnf.fr/bestiaire/expo/version_us/salle2/index.htm
For a woman's Bestiary see: http://bestiary.ca/articles/anne_walshe/index.html
For Google's arguments against Aristotle's taxonomy see:
For
M.Moleiro, Facsimile Edition of the St Petersburg, Li Livre dou Tresor,
see: http://www.moleiro.com/
http://www.florin.ms/facsimiles.html
pesce sere, demer, glavie,
fol. 46, anguille, echinus, corcorel

St Petersburg, Li Livres dou Tresor codex,
facsimile di M. Moleiro: fol. 45v, sere, demer,
glavie, fol. 46, anguille, echinus, corcorel
Capitolo I
Qui comincia le nature delli animali, e prima delli pesci
i pesce sono senza numero,
con tutto che Plinio non ne conti se non
centoquarantaquattro per nome. E sono di diverse maniere.
Chè l'una generazione vivono in mare solamente, ed altri
conversano in terra ed in aqua, e vivono secondo suo
luogo. Havvi generazioni che fanno uova, e gittanle in
acqua, e l'acqua le conserva, sì che ne nascono li pesci.
Ed è generazione che vivi escono di corpo, sì come sono le
balene e il delfino, e molte altre generazioni. E quando
la madre li vedi nati, ella li va guardando molto
dolcemente e molte teneramente. E quando ella vede alcun
pesce che sia di preda, per temenza che'suoi figlioli non
li siano tolti e divorati, sì li si ritorna in quel luogo
medesimo ov'ella gli ha conceputi; e quando vede che non
ha alcun dubbio, ed ella gli mette fuori al tempo e'l
luogo. E sappiate che'pesci non sanno che sia lussuria,
imperciò che in nulla maniera si congiunge l'uno con
l'altro carnalmente, secondo che fa l'asino con la
cavalla, o'l cavallo con l'asina, nè alcuno puote vivere
che sia si lungi dal suo lingnagio. E sonne che si
nutricano in diversi modi: chè tali sono che si nutricano
mangiando li minori di loro, e tali che vivono di
vermicelli di fondo di mare. La balena
è di maravigliosa grandezza, che gitta l'acqua più alta
che niuna generazione di pesce, il suo maschio quando
concepe, e maschio concepe.

Sara è uno pesce ch'ha una cresta,
ch'è alla maniera di serre, onde rompe le navi di sotto, e
le sue ali sono sì grandi, ch'egli ne fa vela, e va bene
otto leghe contra alle navi, ma alla fine ch'egli non
puote più sofferire, se ne va in profondo del mare. Porco
è d'una ragione pesce che cava la terra di sotto l'acqua
per cercare dond'egli viva così come i nostri porci; e la
loro bocca hanno sotto la gola, per tale modo ch'ellino
possano rugumare, chè altrimenti non si portrebbero
pascer. Glave è uno pesce che ha
il becco come una spada, con che egli pertusa le navi, e
falle perire. Scarpione è appellata une generazione di
pesce, li quali si magagnano altrui le mani. Anguilla è un pesce che nasce di
limaccio di terra, cioè di mota, e però quando la pigli,
quanto più la stringi, più ti fugge; di cui gli anziani
dicono, che chi bevesse del vino ov'ella fosse annegata
non avrebbe mai più voglia di bere. Morena è una
generazione di pesci, di cui li pastori dicono che ella
concepono di serpenti; e però li fanciulli le chiamano
sufulando, sì come le serpi, elli vegnono e sono prese; e
la loro vita è nella coda, e chi la fiede nel capo o nel
dosso non ha male, ma chi la fiede nella coda immantinente
è morta. Chimus è un pesce di mare, ma egli è sì savio
ch'egli cognosce quando dee essere la fortuna, innanzi che
egli sia, incontanente prende una pietra e portala come
una persona, e quando la fortuna è, egli la mette in fondo
di mare, e sta sopr'essa, e dopo esce infino a tanto che
la fortune è rimasa. E però molte i marinari ne prendono
guardia, quando lo veggiono.
Capitolo II
Dei coccodrilla
occodrillo è uno animale con quattro piedi, e di
colore giallo, chiamato corobel. E nasce nel fiume del
Nilo, cioè quello che corre nella terra d'Egitto, sì come
il conto ha divisato a dietro, là ove parla di quella
contrada; ed è lungo venti piedi, ed è armato di grandi
denti e di grandi unghie. Il suo cuoio e sì duro, che non
sente colpo di pietra che uomo li gittasse con mano. Il dì
sta in terra, e la notte ritorna nel fiume, che non vi
puote ire; e sappiate ch'egli non ha lingua. E non è
animal al mondo se non questo che muovo la mascella di
sopra, e quella di sotto rimanga ferma. E se vede alcuno
uomo egli lo piglia e sì lo mangia, e poi che l'ha
mangiato egli lo piange. Or avviene che quando uno uccello
chiamato sconfilions vuole carogna, va a questo animale, e
ponesi alla bocca, e grattali la gola sì dolcemente
ch'egli apre la booca. Allora viene un altro animale ch'ha
nome calcatrice, ed entrali dento lo corpo, ed esceli
dall'altra parte, compendolo tutto in tal modo ch'ella
l'uccide. Il simigliante fa il dalfino, che quando il vede
venire sì se li fa a rincontro, e gettaseli addosso e poi
gli entra, e fiedelo in tal modo ch'ella l'uccide. E
sappiate che la calcolatrice, con tutto ch'ella nasca in
acqua e viva nel Nilo, ella non è pesce, anzi è serpente
d'acqua, che ella uccide l'uomo se'l puote ferire, se
fegato di bue non lo guarisce. Ed in quella contrada
abitano uomini molto piccioli, ma elli sono sì arditi
ch'elli la contrastono col coccodrillo, ch'è di tal
natura, ch'egli chiunque fugge. E quelli che fuggono
gridano, e fanno in modo ch'ellino il pigliano alcuna
volta, e quando è l'hanno presso, elli perde tutta la sua
fierezza, e diviene sì umano che'l suo signore lo puote
cavalcare su vuolo, e fallo fare ciò che vuole. E quando è
dentro dal fiume vede poco, e quando è in terra vede molto
bene. E nel fondato verno non mangia, e non fa lordura, e
quattro mesi dell'anno sta senza mangiare.
Capitolo III
Della balena
a balena è di maravigliosa grandezza, e molte
genti la chiamano graspios. E molte volte rimane in secco,
per basso di fondo. E questo è perchè'l mare cresce e
scema trenta piedi, sì come noi avemo detto di sopra. E
questo è il pesce che recevette Giona nel ventre suo,
secondo che le storie del vecchio Testamento ne contano,
che li parea essere ito in inferno, per lo grande luogo
ch'egli era. E questo pesce si salta tanto dall'acqua,
che'l suo dosso si pare di sopra a tutte l'onde del mare,
poi il vento vi rauna suso rena, e nasconvi erbe, tanto
che molte volte ne sono ingannati li marinari, che quando
veggiono ciò si credono che sia isola, e scendonvi suso, e
ficcano insuso i pali nella rena per cuocere. E quando
questa balena sente lo palo e il fuoco, sì si muove, e
quelli che vi sono suso sono a mala condizione, e talvolta
ne periscono infino che sta in questo modo. E quand'ella
vuol mangiare apre la bocca e sta a bocca aperta, e un
certo pesce va, e accompagnasi con gli altri pesci, e sì
li mena nella bocca di questa balena, credendosi gli altri
pesci che sieno due sassi, e quando gli ha messi dentro ed
ella se n'esce e la balena gl'inghiottisce. In questa
meniera si pasce alcuna volta.
Capitolo IV
Cella cochilla
ochilla è un pesce di mare, lo quale sta chiuso
con due ossa grosse, ed apre e chiude, e sta in fondo di
mare, e la mattina e la sera viene a sommo, e toglie la
rugiada. E poi sta al sole, e indurano alquanto queste
gocciole della rugiada, ciascuna secondo che le sono, non
tanto ch'ella sia compiuta di fermezza; poi quando sono
cavate di queste cochille elle indurano e queste sono
quelle che l'uomo chiama perle, le quali sono pietre di
grande nobiltà, e specialmente in medicina; e come la
rugiada è pura e netta, così sono le perle bianche e nette
simigliantemente, sì si vogliono cavare per chiaro tempo.
Anche è in mare un'altra cochilla d'un' altra maniera, che
si chiamano moricche, e le più genti le chiamano ostrice,
in ciò che quando l'uomo gli taglia intorno, eglino
nascono lagrime, di che l'uomo tigne le porpori di diversi
colori, e quella tintura è delle sue carni. Ed un'altra
cochilla è che l'uomo la chiama cancro, però che l'ha
gambe, ed è nimica dell'ostrice, ch'ella mangia la loro
carne per grande ingegno, ch'ella porta una piccola
pietra, e va di sopra all'ostrice, e quando ella apre la
bocca, ed ella lascia cadere questa pietre tra le sue ossa
con che ella si chiude, e quando ella vuole non si può
richiudere, sì che ella la si mangia in questo modo.
Capitolo V
Del dalfino
alfino è un grande pesce, e molto leggiere, che
salta di sopra dell'acqua; e già sono stati di quelli che
sono saltati di sopra delle navi, e volentieri seguiscono
le navi, e le boci delli uomini, e non vanno se non a
molti insieme, e cognoscono lo mal tempo quando dee
essere, e vanno contro alla fortune che dee essere. E
quando li marinari veggiono ciò, sì so antiveggiono della
fortuna. E sappiate ch'egli ingenera e porta dieci mesi, E
quando gli ha fatti, ed ella li nutrica del suo latte. E
quando ella vede pesci di che li figliuoli temano, ella se
li mette un corpo, e tanto vi tiene, ch'ella vede luogo
sicuro. E vivono trenta anni, e muoiono di piccola fedita
ch'elli abbiano. E mutano la lingua. Ed a nullo altro
animale d'acqua addiviene quello che a lui, che mentre
ch'egli sta sotto l'acqua non può inspirare. E però
ispesso viene di sopra dell'acqua, secondo che l'uomo lo
puote vedere quando lo truova in mare. Alla primavera
vanno al mare di ponente, quando fa egli figliuoli, per
l'abbondanza dell'acque dolci. E l'occhio sinistro vede
peggio che lo diritto, e lo diritto vede bene. E sappiate
che dal fiume del Nilo è una generazione di dalfini che
hanno sullo spino del dosso una spina con ch'egli uccide
lo coccodrillo. Ed egli si trova nelle storie antiche che
uno garzone nutricò uno dalfino col pane, ed amavalo tanto
che'l fanciullo lo cavalcava e giuocava con lui.

Andrea
Verrocchio. Boy with Dolphin. Palazzo Vecchio, Firenze
Avenne che'l garzone morì; ed egli stimando che'l fosse
morto, si lasciò morire. Ed anche in Egitto, una garzone
nutricò un altro, che simigliantemente lo cavalcava, e
giuocava con lui. Addivenne che questo garzone, a
preghiera d'uno signore, sì lo fece uscire fuori e saltare
nella piazza, e quelli lo uccisero. E sappiate ch'egli è
quel pesce, che più amore porta all'uomo, che nessuno
animale che d'acqua sia.
Capitolo VI
Delle portame
ortame è un pesce, ch'è chiamato cavallo
fiumatico, però che'l nasce nel fiume del Nilo. E lo suo
dosso e li suoi crini e la sua boce, è come di cavallo. E
le sue unghie son fesse, come d'uno grande porco
salvatico. E ha la coda come cane bretone ritonda. E
va a dietro quando vede l'uomo, per paura che non li
faccia alcuno aguato, e questo fa per sua guardia. E
quando mangia troppo, e conosce ch'è rinfuso per troppo
mangiare, egli va suso per le canne che sono tagliate di
novello, tanto che'l sangue li esce de'piedi in grande
abbondanza, per le canne che sono tagliate che li tagliano
i piedi. E in questo modo si medicina della sua malattia.
Capitolo VII
Della serena
erena furono tre, secondo che le storie antiche
contano. E aveano sembianze di femine dal capo infino alla
coscia, e dalle coscie in giù hanno sembianza di pesce, ed
aveano ale e unghie. Onde l'una cantava molto bene con la
bocca, e l'altra di flauto, e l'altra di cetera, e per
loro dolce canto e suono facevano perire le navi, che
andavano per mare udendole. Ma secondo la verità, le
serene furono tre meretrici, che ingannavano tutti i
viandanti, e mettevanli in povertade, e dicono le storie
che le aveano ale e unghie, a similitudine dello amore che
vola e fiede. E conversavano in acqua, perche la lussuria
fu fatta a modo dell'acqua, che così come nell'acqua non
si truova fine, così nella lussuria non si trova fine. E
alla verità dire, in Arabia è una generazione di serpenti
bianchi, che l'uomo appella serena, che corrono sì
maravigliosamente, che molti dicono ch'elli volano, e loro
ferite sono sì crudeli che s'elli mordano alcuno conviene
dee moia anzi ch'egli senta alcuna dolore. Della diversità
dei pesci e di loro natura non dirà ora più il maestro che
detto ha, anzi dirà degli altri animali che sono in terra,
e prima dirà delli serpenti che sono in molte cose più
simiglianti a'peschi.
fol. 46v, cete, kokille,
kokille, delfin, fol. 47, ypotaine, sieraines

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 46v, cete, kokille, kokille,
delfin, fol. 47, ypotaine, sieraines
LIBRO
QUINTO
Capitolo I
Qui comincia il trattato delli serpenti, e loro natura
erpenti sono di molta
generazione, e hanno diverse nature, ma
tutti serpenti sono di fredda natura. E non
fiedono, se primo elli non sono riscaldati,
e però esce di loro più veleno di dì che di
notte, perchè di notte si ricoglie e fa
bolge per la rugiada, e tutto verno giaccono
nelle loro tane, e la state n'escono. Tutti
i veneni son freddi, però addiviene che
l'uomo n'ha paura, quando egli n'è ferito,
però che l'uomo è di calda natura, e però
fugge la freddura del veneno. Egli è
appellato veneno però che li entra dentro
dalle vene, e non avrebbe podere di malfare
se non tocasse lo sangue dell'uomo, e quando
il tocca, tutto l'arde infino che l'uccide,
se non vi si fa argomenti. Le nature dei
serpenti son tali che quando egli invecchia,
li suoi occhi diventano torbi e tenebrosi,
perchè elli sono coperti, ed elli s'il
conosce bene. Ed allora dimagra tanto che la
sua pelle gli è molto grande e larga, ed
allora egli entra per forza tra due pietre,
e spoglia la sua pelle vecchia, e diviene
giovane e fresco, e di buono colore e
ritornali il buono vedere, e mangiano
finocchi per avere chiara veduta. E quando
elli vanno a bere, elli lasciano il veneno
in alcuno luogo sicuro; e la sua bocca è
piccola, e han la vita nel capo; chè s'elli
è riciso, e rimanga pure due dita, non more,
e per ciò mette tutto il suo corpo in difesa
del capo, e per la grande guardia ch'egli fa
del capo, non vede quasi bene. E non ha gli
occhi nel capo, anzi gli ha dallato dalli
orecchi, e non vede guari bene dinanzi, ma
vede ben traverso, e se è ferito tra'l capo
e'l collo non può andare se non poco, e
s'egli mangia di corpo d'uomo a digiuno si
more, e nascono due uova. E poi che le serpi
hanno fatte le uova, sì le covano sotterra,
e nascono di quelle uova, sì come gli
uccelli.
fol.
47v, serpens, fol. 48, aspyde, enfemenie, basilicus, draghon

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 47v, serpens, fol. 48, aspyde,
enfemenie, basilicus, draghon
Capitolo II
Dell'aspido
spido è una generazione di velenosi serpenti che
con suoi denti uccide l'uomo. Tutto che ne sono di più
maniere, e ciascuno ha per propria maniera di malfare, che
quel ch'è chiamato difise fa con suo fiato morire l'uomo.
L'altro ha nome prialis, che fa tanto dormire l'uomo che
more. L'altro ha nome emori, e fa tanto sangue uscire
all'uomo che'l fa morire. E quello che ha nome presto, va
tutto die con la bocca aperta, e quando egli istrigne
alcuno con li suoi denti, si cufia tanto ch'egli se ne
more, e puzza subitamente, sì ch'è orribile cosa. E
sappiate che l'aspido porta in capo una pietra preziosa,
che ha nome carboncalo, e quando l'incantatore vuole
quella pietra, dice sue parole, e quando l'aspido se ne
avvede, incontanente ficca l'una orecchia in terra, e
l'altra si tura con la coda, sì che non ode le parole
dello incantatore. Nel regno delle femine son serpenti che
hanno due teste, l'uno come debbono, e l'altra nella coda,
e va da ciascuna parte e corre prestamente; i suoi occhi
sono lucenti come candela accesa. E sappiate che questo
serpente sole è quello che sta alla freddura tutto dì, e
va dinanzi a tutti gli altri come guerriere e capitano.
Capitlo III
Della natura del basilischio
asilischio sì è una generazione di serpenti e sì
pieno de veleno, che ne riluce tutto di fuori, eziandio
non che solo il veleno, ma il puzzo avvelena da presso e
da lungi, perchè egli corrumpe l'aria e guasta gli arbori,
e'l suo vedere uccide gli uccelli per l'aria volando, e
col suo vedere attosca l'uomo quando lo vede: tutto che
gli uomini anziani dicono che non nuoce a chi lo vede in
prima. E la sua grandezza, e' suoi piedi, e le tacche
bianche sul dosso, e la cresta sono proprie come di gallo,
e va la metà diretto sopra terra, e l'altra metà va per
terra come gli altri serpenti. E con tutto ch'egli sia
così fiero, si lo uccide la bellula. E sappiate che quando
Alessandro li trovò, egli fece fare ampolle di vetro
colato dove gli uomini entravano si che vedeano gli uomini
i serpenti, ma li serpenti non vedeano gli uomini e così
gli uccideano con saette, e per cotale ingegno ne fu
deliberata l'oste; e questa è qualità del basilischio.
Capitolo IV
Della natura di più dragoni.
ragoni è maggiore generazione di tutti serpenti,
ed eziando è maggiore che nessuna bestia del mondo, ed
abitano in India nel paese d'Etiopia, là ove sempre è
grande istate. E quando elli esce del suo luogo, egli
corre per l'aria sì ismisuratamente e per sì grande forza,
che l'aere ne riluce dopo lui, sì come ardente fiamma. E
ha piccola cresta e bocca, e ha una buso aperto quindi
onde cava la lingua il suo spirito. E la sua forza non è
nella bocca, anzi è nella coda, onde fa peggio per battere
con la coda, che per mordere con la bocca. E la forza
della sua coda è sì grande, che nessuno animale n'è sì
grande, n'è sì forte, che s'ella lo stringe con la coda,
non lo uccida. Ed eziandio lo leofante uccide
istringendolo, ed è intra loro odio mortale, secondo che
lo maestro dirà più innanzi, colà ove parlerà del
leofante.
fol. 48v, scitalis, wive, laisarde, fol. 49, aigle,
ostoir,

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol.
48v, scitalis, wive, laiarde, fol. 49, aigle, ostoir,
Capitolo V
Della natura dello isitalis
sitalis
è
una generazione di serpenti, che vanno lentamente, ma egli è si
bene taccato di diversi colori chiari e lucenti, che le genti lo
veggiono volentieri tanto ch'elli se li appressano, e per la sua
paura non si possono partire, e così li prendono. E sappiate che
egli è di calda natura, che eziandio di verno si spoglia la sua
pelle, per calura ch'è in lui.
Capitolo VI
Della vipera
ipera
è una generazione di serpenti, ch'è sì fiera di natura, che
quando il maschio si congiunge con la femina, egli mette il capo
dentro alla bocca della femina; e quand'ella sente il diletto
della lussuria, ella stringe con denti e morde via il capo, e
quello capo singhiotte dentro dal suo corpo. E quando li
figliuoli sono in tempo che ne vogliono uscire fuori, elli lo
rompono disopra dalla schiena per diritta forza, ed escono fuori
in tal maniera, ch'elli veggiono la lor madre. Di questo
serpente dice santo Ambrogio, che questa è la più crudele
bestia, che sia al mondo, e più di malizia senza pietade. E
sappiate che quello serpente, quando egli ha talento di
lussuria, mette il capo nella bocca della femina, ond'ella
l'uccide, sì come detto è di sopra.
Capitolo VII
Del lusardes e della salamandra
usardes
sono
di più maniera, tali grandi e tali piccoli, l'una specie quando
è caldo si morde l'uomo con denti malamente, ma quando lusardes
invecchia, egli entra per uno buso di muro stretto, contr'al
sole, e spogliandosi la sua veste, lascia tutta la sua
vecchiezza. E simigliasi alla salamandra, di colore variato. Il
suo veleno e più traffitivo, che tutti gli altri veleni, ch'egli
nuoce a molte cose. Così s'egli avveleno tutti li pomi
dell'albore, uccide tutte le persone che ne mangiano, e s'ella
cade in un pozzo, egli avvelena chiunque ne bee. E sappiate, che
la salamandra vive entro nel mezzo del fuoco, senza alcuno
dolore, e senza alcuno dannaggio di suo corpo, anzi ispegne il
fuoco col suo vento. Qui fa fine la storia e'l parlare di
serpenti e di loro natura e di vermini, come sono di diversa
maniera e come nascono in terra e in acqua e in mare e in
caverne e in foglia e in legno e in drappi e in uomo e in altri
animali, dentro e di fuori, senza congiungimento di maschio e di
femina. Anche che alcuni ne nascono per generazione, non ne dirà
più il conto, però che sarebbe lunga materia, senza grande
profitto, e seguirà altra materia, per parlare degli altri
animali, e primieramente dell'aquila, ch'è podestà di tutti
animali, cioè uccelli.
Capitolo VIII
Della natura dell'aquila
'aquila
è
come la migliore veduta che nessuno altro uccello del mondo. E
vola sì in alto, che l'uomo perde la sua veduta, e vede si
chiaramente che conosce in terra ogni piccola bestia che vola, e
li pesci nell'acqua, e quando vi si abbatte si li piglia. E dura
di guardare verso il sole sì fissamente, che' suoi occhi non
muove niente. E però piglia li suoi figliuolo, e volgeli verso
li raggi del sole, e quello che vi guarda dirittamente senza
mutare suoi occhi, s' è ricevuto e nutricato, sì come degno, e
quello che muta li suoi occhi, sì è rifutato e cacciato del
nido, sì come bastardo. E ciò non addiviene per crudeltà di
natura, ma per giudicamento di dirittura, che non lo ha per suo
figliuolo, anzi come uno strano. E sappiate che un vile ucello,
ch'è chiamato fortezza, ricoglie quello ch'è cacciato, e mettelo
tra suoi figliuoli, e nutricalo come suo. E sappiate che
l'aquila ha lunga vita, che ella rinovella e spoglia sua
vecchiezza. E dicono molti, ch'ella vola sì alto che le sue
penne ardono, e le sue scorze degli occhi, tanto s'appressa al
calore del fuoco. Ed allora si lascia cadera in una fontana,
ov'ella si bagna, ed immantinente torna giovane come dal suo
cominciamento. Anche dicono molti, che quando ella invecchia il
becco gli cresce tanto che si volge in giuso, sì ch'ella non può
beccare cosa che prode le faccia. Ed ella va ad una pietra, e
tanto ella vi percuote, che quello ch'è cresciuto si parte
dall'altro, e in tal maniera che torna così bello e così
tagliente, come egli era quando era giovane.
Capitolo IX
Dell'astore
'astore
è
uno ucello di preda che l'uomo tiene per diletto d'uccellare, sì
come l'uomo tiene isparaviere e falconi, ed è di fazione e di
colore simigliante allo sparaviere, ma è maggiore del falcone. E
sappiate che astori e falconi e sparvieri ed altri uccelli di
preda, che l'uomo tiene per diletto d'uccellare, sono molto
fieri ai loro figliuoli; chè quando elli sono in aria che
possano volare, elli li cacciano da loro in tale maniera, che
mai quasi non si ritruovano con loro, perchè vogliono ch'elli
medesimi si pascano, non volendo che lascino quello che debbono
fare per natura, e perchè non diventino nighittosi, e per questo
cagioni li dipartono da loro. E sappiate che astori sono di tre
maniere, grande e mezzani e piccoli. Li minori sono a guisa di
terzuolo, ed è prode e maniero, e bene volenteroso di beccare,
ed è leggiere da uccellare. Lo mezzano ha ale rossette e piedi e
corpo ed unghie piccole e malvagie e gli occhi grossi e scuri.
Questi sono molto duri a farli manieri, e però non vagliono
guari lo primo anno, ma al terzo anno sono buoni e di bona aria.
Lo grande astore è maggiore che gli altri, e più grosso e più
maniero, e migliore, e gli occhi ha begli e chiari e lucenti, e
grossi piedi e grandi le unghie e lieto viso, ed ardito che per
nessuno uccello si trae addietro, ed eziandio dell'aquila non ha
paura. Però dice il maestro che quando l'uomo vuole cognoscere
il buono astore, l'uomo dee guardare che sia grande, e ben
fornito di tutto. Ed alla verità dire, in fra tutti gli uccelli
cacciatori li maggiori sono le femine, e li minori sono li
maschi, ciò sono li terzuoli, e sono si caldi per la maschiezza
e sì orgogliosi, che appena prendono se non ne viene loro
voglia. Ma la femina, ch'è fredda per natura, è tutto giorno
volonterosa di prendere, però ch'ella è fredda, e la freddura è
radice di tutta cupidità, e ciò è la cagione perchè li grandi
uccelli rapaci sono migliori, per ciò che non hanno nullo
desdegno di prendere, anzi desiderano sempre la preda, a più
l'un di che l'altro, in tal maniera che alcune fiate prendono
mal vizio, ma nella muda lo lasciano, e megliorano le penne, e
li mali terzuoli vi prendono molte fiate vizio.
Capitolo X
Anche degli astori
quando vuoi scegliere astore grande, guarda ch'agli abbia la
testa lunga, a guisa d'anguilla e che la sua ciera sia allegra,
e un poco chinata infino ch'egli è concio. E poi dee essere lo
suo viso come malinconico e cruciato e piena d'ira, e abbia le
nare ben gialle, il mezzo ch'è in tra gli occhi sia ben
lungo, e sopra il ciglio sia ben pendente, e gli occhi sieno in
fuori, e grossi, e ben per ragione coloriti direttamente, che
ciò è segno che'l sia figluolo d'astore che abbia più di tre
mude: onde vive più lungamente quando è ingenerato da padre che
sia vecchioa. Il suo collo sia lungo e serpentino, il petto
grosso e ritondo come colombo, e che le due penne dell'ale, le
quali le più genti chiamano ispade, sieno serrate con l'ale, sìi
che le non li paiano di fuori, e l'ale brune, e ben tenente, e
gli artigli grossi de nerbora, e non di carne, e l'unghie grosse
e bene forti. E tanto sappiate che quelli che hanno le gambe
lunghe prendono più leggiermente, ma non tegnono così bene come
quelli che le hanno corte.
fol.
50, esprimer

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 50, esprimer
Capitolo
XI
Degli sparvieri
parvieri
vogliono
essere di questa maniera, ch'elli abbiano la testa picciola, e
gli occhi infuori e grossi, il petto ben tondo, i piedi bianchi
e aperti e grandi, e le gambe grandi e corte, e la coda lunga e
sottiletta, e l'ale lunghe infino alla terza parte della coda, e
la piuma di sotto la coda sia taccata. E se egli ha li piedi
rostigiosi, sì è simiglianza che siano boni. E quelli che hanno
tredici penne nella coda, debbono essere migliori che gli altri.
E se t'avviene bono lo sparvieri, guardati di non farli prender
colombo in su torre, però che spesse volte se ne guasta, per la
grande caduta che elli fanno. E sappiate che tutti gli uccelli
feditori sono di tre maniere, cioè, ramacie, grifagni e nidacie.
Il nidacie è quello che l'uomo cava di nido, e che si nutrica e
piglia per sicurtade. Ramacie è quello che già è volato, e la
preso alcuna preda. Grifagni son quelli che son presi
all'entrata di verno, che sono mudati, e che hanno li occhi
rossi come fuoco. E sappiate che uccello giovane ingenera
uccello rossetto, e occhi di colore ardito, ma elli non vivono
ingenera isparviere bruno con minute teccha, e occhi coloriti, e
sono migliori e di lunga vita.
fol.
50v, faucon, merillon,
alcion, ardea, agnes
e anwes, besennes

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 50v, faucon, merillon, alcion,
ardea, agnes e anwes, besennes
Capitolo
XII
Dei falconi
alconi
sono di sette generazioni, e'l primo lignaggio sono lanieri che
sono siccome vani in fra gli altri. E questi medesimi sono
divisati in due maniere; onde quelli che hanno la testa piccola,
non vagliono nulla; e quelli che hanno grosso il capo, e l'ale
lunghe, la coda curta e' piedi grossi e formati, sono buoni,
tutte ch'elli siano duri a conciare, ma chi lo fa mudare tre
volte, ne può prendere ogni ucello. Lo secondo lignaggio son
quelli che l'uomo appella pellegrini, perchè persona non può
trovare lo loro nido, anzi son presi siccome in pellegrinaggio,
e sono molto leggieri a nudrire, e cortesi, e di buon'aria, e
valenti e arditi. Lo terzo lignaggio son falconi montanini, e è
nascondente per tutti luoghi, e poi ch'egli è nascoso non
fuggirà giammai. Lo quarto lignaggio sono falconi gentili che
prendono la grue, e vagliono poco a persona che sia senza
cavallo, però che fanno molto lungo volare. E sappiate che di
questi quattro lignaggi, voi dovete iscegliere quelli che hanno
la testa piccola. Lo quinto lignaggio sono gerfalchi, i quali
passano tutti gli ucelli della loro grandezza, ed è forte e
fiero e ingegnoso, bene avventurato in cacciare e in prendere.
Lo sesto lignaggio è lo sagro, e quelli sono molto grandi, e
somiglianti all'aquila, ma degli occhi e del becco e dell'ale e
dell'orgoglio sono simigliante al girfalco, ma trovansene pochi.
Lo settimo lignaggion si è falcone randione, cioè lo signore e
re di tutti gli uccelli, chè non è niuno che osi volare appresso
di lui, nè dinanzi, chè caggiono tutti stesi in tal maniera che
l'uomo li puote prendere come fossero morti. Ed eziandio
l'aquila non osa volare colà dov'egli sia, e per paura di lui
non apare colà dove sia.
Capitolo XIII
Delli smerli
merli
sono di tre maniere. L'uno che ha la schierna nera, e l'altro
che ha grigia, e son piccioli e sottili uccelletti. L'altro è
grande e somiglia al falcone laniere bianco, ed è migliore di
tutti gli altri smerli, e più tosto si concia. Ma egli addiviene
loro una malizia, che si mangiano tutti piedi, se l'uomo non li
ritiene dell'uccellare al tempo della sementa del lino e del
miglio. Qui lascia il conto il parlare degli uccelli di caccia,
e vuol seguire la natura e la maniera degli altri animali, cioè
d'altri uccelli che non son da caccia.
Capitolo IV
Della natura delli alions, ovvero alcioni
lions è uno ucc ello di mare, a
cui Iddio ha donato molta grazia. E intendete
com'egli pone le sue uova in sulla rena presso al
mare, e ciò fa egli nel onore del verno quando le
orribili tempestadi sogliono essere nello mare. Ed
egli compie il nascimento de'suoi figliuoli in
sette dì, e in altri sette gli ha allevati, ciò
sono di quattordici, secondo che'marinari che
usano quel paese testimoniano, e hanno tanta
grazia, che in quelli quattordici dì non à
tempesta, nè mal tempo, anzi è sereno e dolce
tempo.
Capitolo XV
Dell'ardes
rdes sono generazione d'uccelli
che più genti li chiamano tantalus, e tali
imairon. E tutto ch'egli prenda sua vivanda in
acqua, niente meno fa suo nido pure in arbore. E
la sua natura è tale che incontanente che tempesta
dee essere, egli vola in alto, cioè in aria, e si
alza su in aere che la tempesta non ha podere di
farli noia o male. Per lui cognoscono molte genti
che tempesta dee essere quando il veggiono levare
in aria.
Capitolo XVI
Dell'anatra
natre e oche quanto sono più
bianche tanto son migliori, e più dimestiche. Oche
o anatre che sono taccate, o nere, sono nate di
salvatiche, e però non ingenerao siccome le
bianche. E sappiate che anitre e oche non
potrebbero vivere, se non dove avessero acqua o
erba, ma molto danno fanno con loro becco alle
biade, e molto guastano tutte erbe con loro
uscito. Il tempo ch'elle si congiungnono
carnalmente si è dal marzo infino a'grandi dì
d'istate. E alle boci dell'oca puote l'uomo
conoscere tutte le ore della notte. E non è
nessuno altro animale che si senta l'uomo come fa
l'oca. E alle lor grida furono sentiti li
Franceschi quando voleano imbolare lo castello di
campidoglio di Roma.
Capitolo XVII
Dell'ape
pe son quelle che fanno il mele e
la cera, e nascono senza piedi e senza ali, e poi
le mettono quando sono grandi. Queste api portano
grande diligenza a fare lo mele e la cera, la
quale elle cogliono di diversi fiori, e fanno
elleno diverse magioni, e diverse camere, onde
ciascuna ha su proprio nome e luogo quivi dov'elle
tornano. Elle fanno re e oste e battaglia. E
fuggono per lo fumo, e rannansi per suono di
ferro, o di pietre, o di cosa che faccia grande
romore. E cotanto sappiate che tra tutti gli altri
animali del mondo solamente l'api hanno loro
lignaggio, e tutte le cose comunalmente, per ciò
ch'elle abitano tutte in una magion, e quindi
escono e vanno pasturando per la contrada; e il
lavorio d'alcune è comun a tutte. E tutte raunanze
e frutti e pomi sono comuni a tutte. E anche più
che loro figluoli sono comuni a tutte. Elle sono
tutte caste e vergeni, e senza nulla corruzione di
loro corpo di lussuria. E fanno figliuoli in
grande quantità. Elle ordinano lor popolo e loro
comune. Ed eleggono loro re; e non eleggono per
sorte, anzi che è più nobile ne' costumi e più
bello e maggiore e di miglior vita, quelli è
eletto re e signore dell'altre. E perchè egli sia
re e signore, di ciò egli è più umile e di grande
pietade. Ed eziandio lo suo pungiglione, ovvero
spina, non usa contra alcuno malvagiamente. E non
pertanto ch'egli sia signore, l'altre sono tutte
franche e hanno di loro libera signoria. Ma la
buona voluntà ch'elle hanno, le fa amare insieme e
ubbidire al lore maggiore in tal modo, che niuno
esce di sua magione infino tanto che il loro
signore non è fuori, e piglia la signoria del
volare dove li piace. Ma le loro api novelle non
si osano posarsi, infino a tanto che'loro mastri
non son posti. E quando è posto, le giovane si
posano intorno di loro e osservano diligentemente
loro leggi, e quando alcuna di loro fa alcuna cosa
che sia contra a loro signore, fa ella medesima
vendetta di sè, chè ella si leva e rompe il suo
pungiglione, secondo che soleano fare quelli di
Persia, che sa alcuno rompea la sua legge, non
attendeva sentenza di sè, anzi si uccideva egli
medesimo per vendetta di suo fallo. E in somma
sappiate che le api amano il loro re sì
ferventemente e di tanta fede, quanto elle hanno
intenzione che ben sia, e mettonsi alla morte per
aiutare e per difendere il loro re. E tanto quanto
lo re è con loro sano e salvo, non sanno mutare
fede nè pensiero. Ma quando egli è morto e
perduto, elle perdono la fede e'l giudicamento in
tal modo, ch'elle non empiono il loro mele, e
gustano loro abitazione. E sappiate che ciascuna
sta al suo ufficio, che tale va per ricogliere la
rugiada del fiore, e tali iscelgono la cera del
mele, e mettonlo per le camere. E tali istanno a
guardare lo re il dì e la notte, il tempo che sia
dolce, nè no con nuvoli, nè con vento. E quando
nasce alcuna tra loro che sia negligente, cioè che
non voglia stare a niuno di questi officii, lo re
la fa cacciare di fuora da loro magione, in tal
modo che non ve la raccolgono più. E se l'uomo fa
loro male, o poco o assai, si se ne mettono alla
morte per vendicarsi di quello ch'è loro fatto.
fol. 52, calandre, pertris, papegay,
paon

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 52, calandre, pertris, papegay, paon
Capitolo XVIII
Della calandra
alandra è un uccello piccolo, e'l
suo polmone schiara li occhi a chi gli ha turbati.
Elle sono di cotal natura, che se uno uomo infermo
la va a vedere, s'ella li pone mente diretto nel
viso, egli è certo di guarire, e s'ella non li
pone mente, si è significanza che dee morire di
certo del male ch'egli ha a quel punto. E sono
molti di quelli che dicono, che quando ella il
guarda per lo viso, sì li leva tutto il male e va
in aria, e'l calore del sole consuma quel male, sì
che non rimane appo lui.
Capitolo XIX
Dei colombi
olombi sono uccelli di molto
maniera e di molti colori, che usano intorno agli
uomini, e non hanno niente di fiele, cioè il
veleno che hanno gli altri animali appiccato al
fegato. E movono la lussuria per lo baciare, e
piangono in luogo di canto, e'loro nidi sono in
grotte di pietre, o in fori di muro, e non in
arbori. E quando perdono la veduta per vecchiezza,
o per alcuna malizia, elli la ricovrano poi per
grande studio. E volano a grande turma insieme. E
la loro natura è cotale, che se gli uomini che li
tegnono fanno una bella figura di colombo, quivi
dov'elli hanno a stare, quando elli smontano, se
elli le pongono mente, li figiuoli che fanno
somigliano quella figura. E se l'uomo prende li
funi, con che l'uomo è stato impiccato, e gittsle
dinanzi di loro, indi mai non si partirebbono
d'intorno. E se l'uomo dà loro beccare comino, e
ungeli l'ale di balsamo, elli menano grande torma
di colombi ad albergo al loro colombaio. E se
l'uomo dà loro beccare orzo cotto e caldo, elli
ingenerao figliuoli assai. E vuolsi mettere per li
cantoni delle colombaie spine e altre cose, sì che
mala bestiuola non vi possa andare. E sappiate che
si trova nella santa Scrittura tre colombe; l'una
che portò l'olivo a Noè, quando era nell'arca:
l'altra a Davit; e l'altra che si accorse del
battesimo del nostro signore Gesù Cristo.
Capitolo XX
Del corbo
orbo è uno uccello grande, ed è
tutto nero. E quando vede nascere i suoi figluoli
con la calugini bianche, sì non crede che siano
suoi figliuoli, e partesi dal nido e poi a pochi
ddì vi torna. E vedendo che quelle penne vegnono
annerando, sì li comincia da capo a nudrirli. Elli
vivono di carogna, e quando trovano la carogna la
prima cosa che beccano sono gli occhi, e dopo
l'occhio beccano il cervello. E sappiate che'l
corbo fu quello uccello che Noè mandò per cercare
la terra, e non tornò. E molti sono che dicono,
che egli rimase per beccare carogna. E altri
dicono ch'egli annegasse per la grandissima
moltitudine dell'acqua.
Capitolo XXI
Della cornaccia
ornacchie sono di molto grande
vita. E dicono molti uomini ch'essi indovinano
quello che dee addivenire all'uomo. E questo
soleano molto dire gli antichi, e mostravando per
molti ragioni. Se l'uomo n'è maestro di conoscere
quelle dimostrazioni, ch'elle fanno alle fiate,
puote l'uomo conoscere quando dee piovere, che le
gridano molto, e fanno grande sbattere d'ali. E
amano tanto li loro figliuoli, che poi che sono
grandi usciti del nido, sì li vanno molto
seguitando, e imbeccando siccome fossero piccoli.
Capitolo XXII
Delle cotornici o ver quaglie
otornice è uno uccello
che'Franceschi chiamano greoce, però che fu prima
trovato in Grecia. E l'astore piglia tuttavia la
prima ch'esce e si dimostra dinanzi all'altre. E
però eleggono per lor capitano e per lor guida un
uccello d'altro lignaggio, perchè l'astore abbia
che prendere, e ch'elle vadano a salvamente. E
sappiate che le loro vivande sono velenose
semenze, per ciò li savi antichi hanno vietato che
nullo uomo ne mangi, per ciò che quello solo è
quello animale il quale cade in parlasia, e cade
si come fa l'uomo paralitico. Elle ardono molto
del vento all'ostro, sì com'elle mostrano; e molto
s'adagiano del vento a tramontana, perchè è secco,
e molto leggiero.
Capitolo XXIII
Cella cicogna
icogna è uno grande uccello, e
sono senza lingua, e per ciò fanno gran romore col
becco, battendolo molto insieme. E sono nimiche
delle serpi; e però dissero li savi antichi che
nessuno ne mangiasse. E tornano delle parti di
Europe alla primavera. E fanno loro nidi sopra
alle grandi abitazioni. E mettono grande studio a
nutricare loro figliuoli, che ad alcune caggiono
tante penne che non puote volare, sì che conviene
che li figliuoli nutricano lei, com'ella ha
nutricati loro, infino ch'ella ha remesse le sue
penne. E questo si è spesse volte. L'arcivescovo
di Milano mise uno uovo di corbo un uno nido di
cicognia; quando questo fue nato, il maschio vi
menò una grande quantità di cicogne. E quando lo
videro così divisato a loro natura, elle corsero
addosso alla femina, e ucciserla villanamente. E'
la state quando elle si partono della contrada di
Europe a grande compagnia insieme, e vannosene in
Mauritania cioè in Africa dalla parte di mezzodì.
E quelle che giungono troppo dietro all'altre sono
prese e spennate e percosse dall'altra malamente.
Capitolo XXIV
Delli ibes
bes è uno uccello simigliante
alla cicogna, ed usa in Egitto per lungo il fiume
del Nilo. E non si pascono se non di pesci che
trovano morti, e d'uova di serpente, e di bestie
morte, ch'elle trovano lungo la riviera. E questa
addiviene perchè non mette piede in acqua, chè non
sa notare. E quando si sentono alcuna malizia nel
loro corpo, per le vivande ch'elle mangiono, sì se
ne vanno al mare e beono dell'acqua, ed empiesene
bene la sua gorgia, e mettesi il becco di dietro a
modo di cristeo, a caccia sì quell'acqua in corpo,
e in quel modo purga la sua malizia. E però dicono
che Ipocras, lo grande medico, trovasse il cristeo
a quello esempio. E però potemo noi conoscere che
uccelli e bestie hanno cognoscimento, secondo che
loro natura gli ammaestra.
Capitolo XXV
Del cecino
ecino è uno molto grande uccello,
con le penne tutte quante bianche, e con la carne
nera, ed usa a fiumi, ed a tutte acque grandi
notando. E portano il capo alto che non lo mette
in acqua, e quando li marinari lo trovano dicono
chè' buono iscontro; e hanno il collo molto lungo,
e cantano molto dolcemente, e volentieri ascolta.
Quando oda cantare, o sonare suono di zampogna,
dolcemente vi sì raunano; e quando viene al morire
una penna del capo gli si rizza al cervell, ed
egli lo cognosce bene, ed allora comincia a
cantare infino che muore, ed in questo modo
finishe sua vita.
Capitolo XXVI
Della fenice
enice è un uccello il quale è in
Arabia, e non è più in altro mondo, ed è in
grandezza d'aquila. E ha la testa due creste, cioè
una da ciascuna lato sopra le tempie, e le penne
del collo sono molto rilucenti come di paone,
dalle spalle infino alla coda ha colore di porpre,
e la coda è di colore di rose, secondo che dicono
quelli che abitano in Arabia, che per loro è
veduto molte volte. E dicono alcuni ch'egli vive
cinquecentquaranta anni. Ma li più dicono ch'egli
invecchia in cinquencento anni. Altri sono che
dicono ch'ella vive mille anni. E quando ella è
cotanto vivuta, ed ella cognosce alla sua natura
che la sua morte s'appressa, ed ella per aver vita
sì se ne va a a'buoni arbori savorosi e di bono
odore, e fanne un monticello, e favvi apprendere
il fuoco. E quando il fuoco è bene acceso, ella
v'entra dentro dritto al sole levante, e quando è
arso, in quel dì esce della sua cenere uno
vermicello. Al secondo dì è creato come uno
piccolo pulcino. Al terzo dì è grande sì come dee
essere, e vola in quel luogo ove usò, ed ov'è la
sua abilitazione, e si dicono molti che quel fuoco
fa un prete d'una città che ha nome Eliopolis là
ove la fenice si arde, sì come il conto ha diviso
dinanzi.
Capitolo XXVII
Della grue
rue sono una generazione
d'uccelli che vanno a schiera, come i cavalieri
che vanno a battaglia, e sempre vanno l'uno dopo
l'altro, sì come vanno i cavalieri in guerra. E
sempre ne va uno dinanzi, sì come confaloniere, e
quello li mena e conduce con la sua boce. Egli
gastiga tutti quelli della sua schiera, ed ellino
li credono, ed ubidiscono alla sua volontade. E va
innanzi, e dall'una parte e dall'altra gli vanno
appresso. E quando questo ch'è capitano è stanco
di guardale, che la sua boce è arantolata e roca,
non si vergogna, che un'altra ne vegna in suo
luogo, ed ella torna a schiera, e vola con le
altre. E quando v'è alcuna che sia stanca, che non
possa volare con l'altre, elli l'entrano allora
sotto, e tanto la portano in questo modo, ch'ella
ricovera sua forza, tanto che la vola con l'altre.
E la state abitano in Asia verso la tramontana.
E'l verno abitano verso le marine, perchè non v'è
così grande freddo, e molto grande quantità di
loro ne passano in Africa, e quando vegnono a
passare lo mare, ellino inghiottiscono molto
sabbione, per potere meglio volare incontro al
vento, e piglia ciascuna di loro col piè una
pietra, per potere meglio volare incontra'l vento
e contra'l monte, e quando hanno passato mezzo il
pelago, elle si lasciano cadere la pietra secondo
che dicono li marinari che hanno molte volte
veduto. Ma l'arena non lasciano infino a tanto
ch'elle non sono in luogo ov'elle possano avere
pastura, e quando sono in terra dov'elle vogliano
abitare simigliantemente sì si tengono buona
compagnia e sicura. Chè la notte, delle dodici
l'una, prendono una pietra col piede, e vegghiano,
ed altre ve n'è che vanno intorno guardando quelle
de dormono, e quando elle sentono alcuna cosa
ch'elli possa tenere danno, elle gridano tutte, e
quando queste hanno tanto vegghiato, quanto è loro
costume, elle si vanno a posare e l'altre
vegghiano in loro luogo, e fanno loro guardie,
secondo loro ordine e loro costume e loro tempo. E
puossi apertamente conoscere, ch'elle anneriscono
quando vegnono nel tempo.
Capitolo XXVIII
Della upupa
pupa è uno uccello con una cresta
in capo, e vivono di cose putride e laide, e però
è il loro fiato puzzolente molto. E quando le loro
madri invecchiano tanto che non possono bene
volare, e li loro figliuoli le prendeno e mettonle
nel nido, e spennanle tutte ad ungono loro occhi,
e tengonle coperte con le loro ale, e tanto le
portano beccare, infino ch'elle possono bene
volare, sì come è mestiero.
Capitolo XXIX
Delle rondine e ver ceselle
ondina è uno piccolo uccello, ma
ella vola alla volta diversamente, e la sua
pastura prende volando, e non posando, e si è
preda degli altri uccelli cacciadori. Tuttavia
sicurtà abitano tra uomini, e li loro nidi fanno
sotto le case e sotto tetti e sotto altre
copertura, e non mai di fuori: e si dicono i più
ch'elle non entrano in case che debbiano cadere, e
fanno loro nido di loto e di paglia, per ciò
ch'ella non è di tanto podere ch'ella possa
portare lo loto, anzi si bagna nell'acqua che vi
si appicca, porta ed edifica il suo nido. E quando
li suoi figliuoli perdono la veduta per alcuna
cagione, ella porta loro d'un'erba che ha nome
celidonia, e danne loro beccare, e ricevano la
veduta secondo che molti dicono. Ma l'uomo dee
guardare li suoi occhi da loro uscita e sterco,
per ciò che Tobia ne perde la veduta, sì come
conta la Bibbia.
Capitolo XXX
Del pelicano
elicano è uno uccello in Egitto
di cui li Egiziani dicono che li figliuoli
tradiscono i padri, e fediscondo con l'ali per
mezzo il volto, ov'egli se ne crucia in tal
maniera ch'elli gli uccide, e quando la madre li
vede morti sì li piange tre dì, tanto ch'alla fine
si fiede nel costato col becco, tanto che ne fa
uscire molto sangue, e fallo cadere sopra agli
occhi de'suoi figliuoli, tanto che per lo calore
di quel sangue risuscitano e tornano in vita. Ma
altri sono che dicono che nascono quasi senza
vita, e il padre li guarisce col suo sangue in tal
maniera ch'egli non muore. Ma come sì sia, la
santa Chiesa lo testimonia, là ove David per bocca
di Cristo disse: Io sono a similitudine del
pellicano. E sappiate che di pellicano sono due
maniere. L'una che usa alle riviere, e vivono di
pesci, e gli altri che sono in boschi ed in
campestre, e vivono di lucerte e d'altre serpi e
bisce.
Capitolo XXXI
Della pernice
ernice è uno uccello che per
bontà di sua carne sempre è cacciata per gli
uccellatori. Ma molto sono peccatrici per lo
calore della lussuria. Elle si combattono per la
femine in tal maniera ch'elle perdono la
conoscenza della nua natura. Ed usano li maschi
insieme sì come con le femine. E si dicono molte
genti, che quando le femine sono di calda natura,
elle concepono di vento, che viene da lato del
maschio. E sì dicono molti di loro malizie,
ch'elle furano l'uova l'una all'altra, e quando
sono nate, udendo la boce della diritta madre, sì
si partono da quella che l'ha covate, e vannosene
con lei. E sappiate che la pernice fa suo nido di
spine e di piccoli stecchi, e le loro uova
cuoprono di polvere. E spesso volte la madre
tramuta li suoi figliuoli d'un luogo in un altro
per paura del suo maschio, e quando alcuna
s'approssima al nido loro, ella si mostra di
presso e fa sembianza che non possa volare, infino
a tanto che l'è allungata dal nido.
Capitolo XXXII
Del pappagallo
appagallo è una generazione
d'uccelli verde, e hanno il becco torto a modo di
sparviere, e hanno maggior lingua e la più grossa
che nessuno altro uccello, secondo la sua
grandezza, perchè egli dice parole articolato, sì
come l'uomo, se gli è insegnato l'anno ch'egli
nasce, perchè dal primo anno innanzi sono sì duri
e sì ingrossati, che non imprendono cosa che sia
loro insegnata, e sì 'l debbe l'uomo castigare con
una piccola verghetta di ferro. E dicono quelli
d'India, che non ha in nessuna part se non in
India. E di sua natura salutano secondo il
linguaggio di quella terra. E quelli che hanno
cinque dita sono più nobili; e quelli cha hanno
tre sono di vile lignaggio. e tutta sua forza
hanno nel becco e nel capo. E tutti i colpi e
cadute ricevano nel capo s'elli non li possono
ischifare.
Capitolo XXXIII
Del paone
aone è uno uccello grande, di colore
biadetto la maggior parte, ed è semplice e molto
bello, ed ha testa di serpente, e voce di diavolo,
e petto di zaffiro e molto ricca coda, e di
diversi colori, ove egli si diletta
maravigliosamente, tanto che quando vede gli
uomini che guardano la sua bellezza, ed egli rizza
la coda in suso per avere lode. E tanto la dirizza
che mostra la parte di dietro villanamente,
e molto ha a dispetto la laidezza de' suoi piedi,
e la sua carne è molto dura maravigliosamente, e
di suavissimo odore.
fol.
52v, tortoriele, toutoir, ostruises, kok,
fol. 53, lyon

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 52v, tortoriele, toutoir,
ostruises, kok, fol. 53, lyon
Capitolo XXXIV.
Della tortola
ortola è uno uccello di gran
castitade, che dimora ne' buchi delli arbori, e
volentieri dimorano dilungi da gente. E quando le
penne le sono cadute, fa cinque buchi e fa il nido
de'suoi figliuoli, e questo nido murano, e
fasciano d'una erba, che ha nome sacchiel, perchè
alcuna cosa che contraria sia loro, non vi puote
andare. E sappiate che la tortola è si amabile al
suo marito, che quando ella il perde per alcuna
cagione, mai non s'accosta a nessuno altro, per
castitade, o per paura ch'ello non torni; chè per
certo elle il vanno molto cercando, e quando non
lo possono trovare, che è perduto, allora osserva
castitade, e più non bee acqua chiara, e non si
posa mai in alcun ramo verde, anzi sempre in
secco.
Capitolo XXXV
Dell'avoltoio
voltoio è uno uccello molto
grande simigliante all'aquila, e, secondo che
dicono molti, egli sente oltre più che niun altro
animale; ch'egli sente la carogna più di
cinquecento miglia. In quella parte ov'elli usano
di stare è molta uccisione d'uomini, o grande
mortalità di bestie. E concepono senza
congiungimento di maschio e di femina, e fanno li
figliuoli che vivono più di cento anni. E sappiate
che elli non beccano di nessuna carogna, s'elli
non la levan prima di terra. E volentieri vanno
per terra per li grandi unghioni ch'elli hanno.
Capitolo XXXVI
Delle struzzolo
truzzolo è uno uccello grande,
tutto che molti uomini l'assomigliano a una
bestia, ed ha le penne sì come uccello, e gambe, e
piedi, sì come camelle, ma egli non vale niente,
ma egli sta grande di sua complessione, ed è
dimenticato molto, chè non li soviene delle cose
passate, però gli avviene sì come per molestamento
di natura, e non è si pesante, che un buon cavallo
non abbia assai di giungerlo, di tal giusa corre.
E di state, intorno al mese di giugno, quando li
conviene pensare della sua generazione, egli
isguarda in una stella che ha nome Vergilia, e
quando ella si comincia a levare, egli posa le sue
nova, e cuoprele di sabbione, e vassene a
procacciare di sua pastura in tal maniera che mai
non se ne ricorda, nè poco nè molto. Ma il calore
del sole, e'l temperamento dell'aria, gli fa
venire a compimento, che scalda ciò che la madre
dee scaldare, tanto che suoi pulcini nascono si
grandi che incontanente procacciano lor vita. Il
padre loro, quando li truova, che dovrebbe lor far
bene e nudrirli, egli fa loro male e noia, e fa
loro di crudeltà tanto quanto più puote. E
sappiate, contro a quelli che dicono che gli è
bestia, cioè perch'egli hanno due unghie come le
bestie, egli hanno ale, onde si fiede e batte sè
medesimo, come con due sproni, quando egli ha
grande fretta di correre. Lo suo stomaco è forte,
più che stomaco di niuno altro animale. E tutto
che beccano biade, e molte altre cose, niente meno
elli beccano lo ferro, e sonne molto vaghi, e si
'l consumano come un sottile pasto. E questi
uccelli abitano nelle parti di verso mezzodì, sì
come avemo detto di sopra, quivi ove si dice delle
parti del monte Chiaro; e sappiate che'l suo
grasso giova molto a tutte doglie che suole
avvenire agli uomini.
Capitolo XXXVII
Del cuculo e di sua viltade
uculo è uno uccello di colore e
di grandezza di simiglianza di sparviere, salvo
che à più longo, ed ha il becco teso, ed è sì
nigligente e si pigro, che eziandio le sua nova
non vuole covare. E quando viene il tempo di fare
le sue uova, egli va al nido d'un piccolo uccello
che ha nome scerpafolea che de'maggiori ha paura,
e bee uno de'suoi uovi, e favvi entro undo de'suoi
in quel cambio. Ed in questo modo pone le sue
uova, e così ha li suoi figliuoli che non vi dura
fatica. E sappiate che'l cuculo non canta di
state, poi che le cicale cominciano loro canto,
che lo odiano molto, che quando le cicale l'odono
cantare, incontanente vanno ov'egli è, ed entrambi
sotto l'ali, e non ha podere di levarsile da
dosso, e tanto li fanno noia, mordendoli le sue
carni, che non sta in luogo fermo, anzi va volando
di uno arbore in altro, e non becca mai, e se si
lascia morire. In questo maniera ha la cicala
potere d' uccidere il cuclo.
Capitolo XXXVIII
Del rigogolo
igogolo è uno uccello della
grandezza del pappagallo, e volontieri usa
ne'giardini e ne'luoghi freschi e inarborati, e
chi va al nido loro, e tronca la gamba ad uno de'
figliuoli loro, la natura gli dà tanta conoscenza
ch'egli va per una erba, e portala al suo nido, e
la mattina li truova l'uomo sani; e
simigliantemente se l'uomo lega bene li suoi
pulcini, l'altro di li truova isciolti, non
sarebbono stati legati sì fortemente. E non puote
l'uomo sapere con che erba egli li guarisce, nè
con che ingegno egli li scioglie.
Capitolo XXXIX
Del picchio
icchio è uno uccello della
grandezza della ghiandaia, ed è molto lungo,
secondo le sue membra, ed è di diversi colori, e'l
suo becco è si fermo che in qualunque arbore egli
vuol fare suo nido, per covare le sue uova, egli
vi fa col becco un gran buco, e quivi fa le sue
uova, e covale. E chi li chiude con una caviglia
ben duramente e forte, e serri quanto puoi la
detta buca, l'altra mattina la retroverai fuori; e
non si può sapere, se ne la cava con erba, o con
altro ingegno.
Capitolo XL
Del gallo
allo è uno uccello dimestico, il
quale abita e vive con le persone. E per la sua
voce puote l'uomo conoscere qual ora ch'è di dì e
di notte, ed eziandio lo mutamento del tempo; e
tutto che la notte canti più alto e più
orgoglioso, verso'l dì canta più chiara e più
spesso, ed anzi che cominci a cantare batte il suo
corpo con l'ali, de che li buoni prendono esemplo,
cioè anzi che cominciar a laudare il nome di Dio,
sì si dee battere, e colpare de'suoi peccati, per
ciò che niuno è senza essi. E quest'è l'uccello
solo, a cui li uomini cavano i coglioni per far li
capponi, che sono molto buoni e sani di state. E
le galline non sono migliori di state che di
verno, per ciò ch'elle sono tutte covaticcie, ed
intendono più a covare ed a nutrire li suoi
figliuoli, e per lo dolore di loro, e di loro
piuma, che perdono per cagione di loro, dimagrano
elle malamente. E perciò dee il signore della casa
scegliere galline nere e bigie, e schifare le
bianche, e le taccate, e dee dare loro beccare
orzo bollito e cotto, per farli ingenerare più
avaccio. E quando il verno passa, e'l signore
vuole pulcini, egli dee insegnare alla sua
famiglia quando debbiano porre l'uova, cioè
ch'essi pongono a luna crescente, ed in numero
caffo. Ora si tace il conto di parlare delli
uccelli, e di loro natura, per dire alquanto della
natura delle bestie; e diremo prima della natura
del leone, che ne è signore.
Capitolo XLI
Del leone e di sua natura
eone è appellato secondo la
lingua de' Greci, che vale tanto a dire come re,
chè il leone è appellato re di tutte le bestie. E
però là ov'egli grida fuggono tutte le bestie, sì
come la morte le cacciasse, a là ove egli fa
cerchio con la coda, nulla bestia non osa poi
passare. E sappiate che' leoni sono di tre
maniere. L'una maniera son corti, e li velli
crespi, e quelli non sono molto fieri. E li altri
sono lunghi e grandi, e li velli distesi, e quelli
sono di maravigliosa fierezza. E'l suo coraggio si
può conoscere nel suo piglio e nella coda, e la
sua forza è nel petto, e la sua fermezza è nel
capo. E tutto ch'egli sia temuto da tutti animali,
niente meno egli teme di gallo bianco, e le grida
delle alte voci; il fuoco teme molto, ed anche lo
scorpione li fa gran male se il fiede, ed eziandio
lo veleno del serpente l'uccide. E quegli che non
volse che nessuna cosa sia senza contrario, volle
bene. Il leone, ch'è forte e orgoglioso sopra
tutte le cose, e per la sua fierezza è sì fetido
ciascun dì, che ispezza la sua grande crudeltade,
onde non ha podere che si defenda, onde per ciò è
malato tre dì della settimana di malattia sì come
di febbre, che molto abbassa lo suo orgoglio. Ma
nientemento natura gl'insegna a mangiare lo sugo
che'l guarisce delle sue malattie. E tutto che'l
leone sia di sì grande coraggio e potenza,
nientedimeno egli ama l'uomo, e sta volentieri con
lui; e se avviene che egli si crucci con l'uomo,
gran maraviglia è la sua pietade; chè quando egli
è più crucciato incontro all'uomo e più d'ira
pieno e di mal talento contro a lui, allora gli
perdona più tosto s'egli si gitta in terra e fa
atto di dimandarli mercede; ed appena si cruccia
contro a femina, o contro a' fanciulli, e non li
tocca mai, se non per grande talento di mangiare.
E l'ordine di sua natura sì è di mangiare l'uno dì
e l'altro bere, però ch'egli è di sì grande pasto
che appena lo può cuocere nel suo stomaco, onde la
bocca gli pute molto malamente. Ma quando egli si
conosce che'l pasto non è tutto consumato dentro
alle sue forcelle, sì gli fa noia. Ed egli il
prende con le sue unghie, e cavalo fuori della sua
gorgia. E quando egli ha molto mangiato, e che'l
suo ventre è bene satollo, e li cacciatori lo
cacciano, egli gitta fuori tutto il suo pasto, per
deliberarsi della gravezza del suo corpo. E così
si fa eglim quand'egli ha troppo mangiatom per
sanità del suo corpo, e non mangià l'altro dì nè
poco nè molto. E non mangia carne che sia di
bestia stata morta da un dì innanzi. E quando egli
va di notte per procacciare sua vivanda ed alcuno
le sente, sì gli va dietro mugghiando, facendoli
noia, e se'l leono li puote porre mano per niuno
modo non l'uccide però, ma rompeli le gambe, e
scompiscialo per farli più onta. E sappiate che'l
leono giace con la femina a rivescio come fa il
lupo cerviere, e come il cammello e come il
leofante e l'unicorno e come il tigro. Lo leone
ingenera la prima volta cinque figliuoli, ma la
fierezza ch'elli hanno nell'unghie e ne' denti sì
guasta la matrice della loro madre, tanto come vi
sono dentro al corpo della loro madre. E quando
n'escono n'escono altresi in tal modo che alla
seconda volta quivi ove concepe il seme del
maschio non ha potere di concepere se non quattro
figliuoli, alla terza volta tre, alla quarta due,
ed alla quinta uno, e poi niuno, però che quello
luogo è ì sì guasto che non ritiene il seme più; e
però dicono alcuni che per lo grande dolore ch'e'
leoni hanno al nascimento, nascono quasi tutt
isgomentati, ch'elli giacciono tre dì, quasi come
tramortiti, sì come s'elli non avessero vita, il
quarto dì viene il loro padre, e grida loro si
fortemente, e sì fieramente in capo, ch'elli si
levano in loro natura. L'altra maniera di leoni
sono ingenerati da una bestia che ha nome Prende,
e questi leono sono senza velli e senza nobiltà, e
sono conti in tra l'altre vili bestie. Ma tutte
maniere di leoni tegnono li occhi aperti quando
dormono, e là ovunque vanno cuoprono le orme
de'loro piedi con la loro coda, e quando cacciano
sì saltano e corrono molto isnellament, e quando
son cacciati non hanno podere di saltare, e le
loro unghie guardano in tal maniera, che non le
portano se nonne a rivescio, e il loro tempo è
conosciuto.
fol.
53v, anteleus, asnes,
buef

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 53v, anteleus, asnes, buef
Capitolo XLII
Anteleus
ntelous è una fiera bestia, la
quale non può pigliare niuno uomo per alcuno
ignegno, e le sue corna sono grandi, e son fatte a
maniera di sega, e tagliano con esse grandi
arbori. Ma egli avviene che elli vanne a bere al
fiume di Eufrates, là ove è un piccolo bosco di
piccoli arbuscelli lunghi, che sì menano e piegano
a tutte parti, sì che per la loro fiebolezza, non
li possono tagliare, sì come cosa che non sta
ferma al loro colpo. E perchè non li puote
tagliare, si vi iniquitisce suso, e mescolasi con
essi, ed impacciavisi in quelle verghe, che non ne
puote uscire, nè non si può partire, credendole
poter tagliare. E quando egli conosce che non si
può partire nè andare, grida molto forte,
credendosi aver aiuto. E quando gli uomini l'odono
gridare, ellino vi corrono, e sì l'uccidono, e
così il pigliano.
Capitolo XLIII
Arnes, ovvero asino salvatico
rnes sono di due maniere, cioè dimesitche
e salvatiche. Di dimestiche non è cosa da contare,
se non la sua negligenza, e del suo allentamento,
che gli uomini ne contani molti proverbi, che
danno molti esempli altrui di ben fare. L'altra
ch'è salvatica, che si trova in Africa, è si fiera
che l'uomo non li puote dimesticare. E sì è
sufficiente uno maschio a molte femine. E quelli
ha sì quell'uso, che quande vede che nessuno
figluiolo li nasca maschio, incontinente li corre
a dosso, per levarli
li coglioni, se la madre non se ne prende guardia, sì ch'ella lo
tegna nascoso in luogo salvo e riposto. E sappiate che questo
arnes salvatico, che l'uomo chiama onagro, a ciascuna ora del dì
e della notte grida ina volta, si che l'uomo può bene conoscere
le ore, e sapere certamente quando è pare il dì con la notte e
quando no.
Capitolo XLIV
De' buoi
uoi
sono di molte maniere. Una che nasce nelle parti d'Asia, ed ha
chioma e crini come cavallo. E le sue corna sono sì grande,
ch'elle si avvolgono intorno alla testa, sì che nullo lo può
ferire, se non sullo corno. E quando l'uomo, o altra bestia lo
caccia, egli scioglie lo suo ventre, e gittasi da dietro una
feccia, una grande pezza di lungi da lui, sì putente, che arde
come bragia ciò che tocca. Un'altra n'ha India, che non ha se
non un corno, e le sue unghie sono intere come di cavallo. Uno
altro bue salvatico nasce in Alamagna, che ha sì grande corna,
che sono buone per sonare e per portare vino. Li altri sono
chiamati bufali, e dormono ne'fondi di grandi fiumi, e vanno
così bene per lo fondo dell'acqua, come per terra. Ma i buoi che
son dimestichi, e lavorano la terra, son dolci e pietosi, e
amano loro compagnoni teneramente, e di buona fede, secondo che
mostrano al grido che fanno spesse volte, quando lo suo compagno
è perduto. E però ch'elli sono mlto utile a lavorare la terra
del signore della magione, sì si vogliono iscegliere buoi che
sieno giovani e che abbiano tutte le membre belle, e sieme
giovani e che abbiano tutte le membra belle, e sieno grandi e
quadrati, e grandi occhi ed allegri, e le corna nere e ferme, e
non sieno avvolte, nè a modo di luna, e le nare aperte e larghe,
e la pagliolaia molto pendente, e largo petto, e grandi spalle,
e larghissimo ventre, e lunga la schiena, diritta e piena, le
gambe lunghe, e dure nerbora, e piccole unghie, e coda grande e
pilosa, e tutti i polsi del corpo bene disposti, cioè corti e
spessi. E sia di pelo rosso. Ma le vacche deve l'uomo scegliere
molto alte, e lunghe di grandissimo corpo, che abbian la fronte
alta, ed occhi grossi e neri, e la gorgia pilosa, la coda
grandissima, e l'unghie piccole, le gambe corte e nere, e siano
di tempo di tre anni ed infino a dieci anni porteranno figliuoli
migliori che mai poi e prima. E dicono li Greci che se di questa
bestia tu vuoi far fare nascere figuliuol maschio, sì si vuol
legare il coglione manco al toro quendo egli va alla vacca, e se
vuoli ch'egli ingeneri femina legali il diritto.
fol.
54v, brebis, belote, kamel, fol. 55, castoire,
chieveriel, chierf

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 54v, brebis, belote, kamel, fol. 55,
castoire, chieveriel, chierf
[Brebis]
Capitolo XLV
Della donnola
onnola è una bestiuola piccola,
più lunga alcuna cosa che'l topo, e odiala il topo
molto, e la serpe, e la botta. E quando si
combatte con loro, ed ella è morsa da loro, ella
incontanente corre al finocchio, ovvero alla
cicerbita, e mangiane, ovvero ch'ella ne
dentecchia. E quando ha presa questa sua medicina,
ella incontanente torna alla battaglia. E sappiate
che le donnole sono di due maniere, l'una che usa
nelle case con gli uomini, ed un'altra ch'è
campestra. Ma ciascheduna ingenera per li orecchi,
e figlia per la bocca secondo che molti dicono; ma
il più dicono ch'elli dicona falso. Ma come si
sia, spesse volte tramutano li loro figliuoli,
perchè l'uomo non li sappia, e se l'uomo li trova
morti, ella li fa resuscitare, e non può l'uomo
sapere come si fa, se con erba o con altra cosa.
Capitolo XVVI
Del cammello
ammeli si sono di due maniere.
L'una maniera sono più piccoli che gli altri, li
quali si chiamano dromedari. E sono molto grandi,
e portano sì grande peso che n'avrebbero assai due
cavalli di portarlo. E quando l'uomo li vuole
incaricare, elli si coricano in terra, e stanno
cheti e soavi, infino a tanto che sono caricati; e
con la soma si levano senza alcuna aiuto. Ed è di
piccolo pasto, secondo la sua grandezza, e secondo
la sua potenza. E vivono di pasture sì come
e'buoi; e più, che mangiano spini e cardi e quello
che alcuna bestia non osa toccare. E
simigliantamente mangiano noccioli di datteri, e
stanno senza bere più di dieci dì. E quando
trovano alcuna acqua beono molto, tanto quanto
egli avrebbe bevuto in quelli dì che è stato senza
bere. Anche bee più per la sete che dee venire e
che aspetta. E quando egli ha molto bevuta, se
l'uomo li fende la pelle delle coste e pone la
bocca, e tiri a sè come una mammella, sì ne esce
acqua chiara e fresca, come d'una fontana. E più
ama acqua torbida che chiara; e se la truovano
chiara la intorbidano con i piedi s'elli possono.
E sono molto umili bestie e soavi, salvo che nel
tempo da congiungersi con le loro femine, che
allora mordano fieramente. E li lor piedi sono
quasi callo, ed hanno poca unghia, ed è sfessa, e
non si guastano per cammino ch'elli facciano. Ma
in loro cammino non vogliono trovare pietre nè
fango. E molto temono neve e grande freddo. E'l
grande serigno ch'elli hanno sul dosso li Arabi
che li tengono, fendono la pelle per mezzo la
schiera, e scorticanlo infino al terzo delle
coste, e cavano quello scrigno, ch'è tutto grasso,
e quello insalano, e serbanlo molto, e condiscono
loro vivande. Secondo li savi antichi quest
cammelli erano fiere bestie, e divoravano ogni
cosa, anzi che'l popolo d'Israel uscisse del reame
di Faraone. E quando Moises ne li cavò, e mennoli
in terra di promessione, cioè in Ierusalem, si
domandò a Dio, che desse loro bestie che
portassero loro fanciulli e loro masserizie. E che
portassero assai e mangiassero poco. E Dio dette
loro queste fiere bestie come avete inteso. E
vivono longamente.
Capitolo XLVII
Del castore
astore è una bestia che conversa
nel mare di ponente, chiamato can pontico,
perch'egli è quasi simigliante di cane. E suoi
coglioni sono molto caldi, ed utili in medicina. E
però li prendono i cacciatori. Ma natura che
insegna tutte proprietadi agli animali, l'insegna
la cagione perchè l'uomo li caccia; e quando vede
che non possa fuggire, egli stesso se li schianta
co'denti, li coglioni, e gittali dinanzi
a'cacciatori, e così campano loro corpi. E
l'allora innanzi se l'uomo lo caccia egli apre le
coscie, e mostra apertamente com'egli non ha
coglioni.
Capitolo XLVIII
Dei cavriuolo
avriuoli sono una maniera di bestie di
nobile conoscenza, che da lungo conoscono le genti
per sottiglienza di veduta, se sono cacciatori o
no; e così conoscono le buone erbe e le rie,
solamente per lo vedere. E sappiate che se l'uomo
il fedisse in niuna maniera incontamente va ad una
erba che ha nome dittamo, e toccane le sue piaghe,
ed incontanente è guarito e sana.
Capitolo XLIX
Del cervio
ervio è una bestia salvatica di cui li
savi dicono che non ha mai febbre in vita sua, per
ciò sono alcune genti che mangiano la sua carne
ogni dì innanzi mangiare, e sono sicuri di non
avere febbre in loro vita, e certo vale assai
prendendone un poco senza più; e nel core ha un
osso molti medicinale, secondo ch'e' medici
dicono. Lo cervio medesimo c'insegna la dieta,
ch'ellino non mangiano quando l'uomo gli ha
fediti, che la virtù di quella erbe leva loro da
dosso, e guarisceli delle loro fedite. E tutto
ch'l cervio sia grande nimico del serpente,
nientemeno il serpente li vale molto a medicina.
Or intenderete come egli va alla buca del serpente
con la bocca piena d'acqua, e gittavela entro, e
quando egli ha ciò fatto, egli la trae a sè per
ispiramento di suo naso e di sua bocca, tanto
ch'egli ne fa uscire fuori, a suo mal grado, e poi
l'uccide co'piedi. E quando il cervio vuole
lasciare la sua vecchiezza, o sua malatia, egli
mangia lo serpente, e per la paura del veleno se
ne va ad una fontana e bee molto. Ed in questa
maniera muta suo pelo, e gitta le sue corna, e la
vecchiezza; e però vivono lungamente, secondo che
Alessandro provò, quando egli fece prendere molti
cervi e fece mettere a ciascheduno nelle corna un
cerchio d'oro o d'ariente, che poi furon presi e
trovati per gran tempo appresso di cento anni. E
sappiate che quando il cervio tiene le orecche
chinate, egli non ha gotta, e quando le dirizza ha
grievamento. E quando elli passano per alcuno gran
fiume, quello di drieto porta il capo sopra alla
groppa di quel dinanzi, e così il sostiene s'egli
si travagliasse niente. E quando il cervio è
ammalato, e commosso di fiera lussuria quando è
stagione, la femina non concepe se non si leva una
stella, ch'è chiamata Arturo
ovver
il
carro.
E
quando è la stagione ch'e'figliuoli debbono nascere, elli vanno
a fare lo loro letto nel più nascoso luogo ch'elli possono
trovare, là ove il bosco è più profondo e più spesso, e qui
insegna a'suoi figliuoli correre e fuggire, ed andare per ripe e
per montagne. E loro natura è che là ov'elli sentono abbaiare
cani che li caccino lì dirizzano la loro andatura, acciò che li
cani non sentano loro odore. E non per tanto che là ov'è li
cacciatori che li cacciano li tengono sì corti e dispari, che
non conta di più potere salvarli, egli ritorna indietro correndo
e battendo quella parte, là onde li cacciatori vegnono per
morire dinanzi da loro più leggermente.
Capitolo
L
Del zevere
evere sono una generazione di
bestie che abitano nelle parti di Spagna, cioè di
Castiglia vecchia, e sono maggiori che cervi. Ed
hanno li loro orecchi molto lunghi. Ed hanno una
lista su per le schiene infino in sulla coda, come
mulo. Ed hanno li loro piedi fessi. E la loro
carne è molto buona da mangiare. E sono sì
correnti che l'uomo non li pote prendere in alcun
modo, se non che sono molto vaghi del fuoco. E
però quando li cacciatori li trovano al bosco,
elli vanno intorno di loro di notte, e fanno gran
fuochi e ben chiari in quella parte onde possono
esser veduti meglio. E quando elle li veggono, si
ne sono si vaghe, che non pongono bocca in terra
per pascere, e quando li cacciatori li hanno
tenuti quasi il terzo dì, elli vanno in verso di
loro, e vannogli traviando in verso quello parte,
ove dee avere acqua. E quando elli gli hanno
condotti all'acqua, elli li danno tanto di spazio,
che elli possono bere, e beono molto volentieri. E
quando hanno molto bevuto, ed elli le cacciano. Ed
elle allora sono sì lasse per lo grande digiuno
che hanno fatto, e per la molta acqua che hanno
bevuto, ch'elle non possono guari correre. Allora
li cacciatori le prendono leggermente.
fol.
55v, chiens, fol. 56, camelyon

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 55v, chiens, fol. 56, camelyon
Capitolo LI
Della natura di più cani
ani non veggono quando nascono, ma
per ricoverano loro veduta secondo l'ordine di sua
natura, e tutto ch'ellino aman l'uomo più che niun
altro animale del mondo, elli non conoscono le
strange genti, se non coloro con cui usano, e si
conoscono bene loro nome alla boce di loro
signore. Le sue piaghe guarische forbendole con la
sua lingua spesso. E gitta il suo pasto e poi il
rimangia. E quando elli porta carne in bocca, e
egli vada sopra acqua che veggia la sua ombra
nell'acqua di quello che ha in bocca, incontanente
lascia quello che porta per quello che vede
nell'acqua. E sappiate che quando si congiungono
insieme cane e lupo egli ne nasce una maniera di
cani, ch'è molto fiera. Ma li molto fieri cani
nascono di cagna e di tigro. E sono sì leggieri e
sì aspri, che ciò è forte meraviglia. Gli altri
cani che sono di dimestica ragione sono di molte
maniere. Che ci nascono di piccoli, che sono molto
buoni a guardare case. E sì ne sono d'altri
piccoli che sono buoni a cacciare, e quelli che
sono generati di picciolo padre puote l'uomo
nutrire in loro gioventude in questa maniera,
ch'egli lo metterà in una piccola paniera, e
nutrichilo di poca vivanda, e tirigli spesso gli
orecchi contra a terra, che allora sono più
avvenevoli quanto son minori cogli orecchi
pendenti e grandi. E cognoscono al fiato ove passa
o bestia o uccello, e quelli che si dilettano del
cacciare li debbono guardare molto da falsi sem
. . . . .
e discrezione ch'ellino cognoscono il loro
signore. E spesso mutan modi ed atti quando mutan
signore. E fremita nella battaglia. E rallegrasi
per lo sono delle trombe. E sono lieti quando
hanno vittoria, e sono tristi quando hanno
perdita. E puote l'uomo bene conoscere se la
battaglia si dee perdere o vincere alla vista che
fanno i cavalli di rallegrarsi o di contristarsi.
E sonne assai di quelli che conoscono il nimico
del loro signore e mordonlo duramente. E di tali
sono che non portano se nonne il loro signore
diritto, secondo che fece il cavallo di Giulio
Cesare, e Bucefalas d'Alessandro, che in prima si
lasciò toccare come angelica bestia, e poi che'l
re vi montò suso, e'non degnò poi mai di lasciarsi
toccare ad altro uomo per cavalcare. E sappiate
che Bucefalas aveva testa di toro, e molto fiera
guardatura, ed aveva due corna. Ed il cavallo di
Cintareto duca di Galazia, Antioco, montò poi che
ebbe vinto il duca lo cavallo, e lo cavallo corse
al chino in tal modo ch'egli uccise sè ed il re
Antioco. E quando lo re de'Sciti combatteva col
nimico suo a corpo a corpo, ed egli fu morto,
l'altra gente il voleva spogliare, e tagliarli la
testa, lo cavallo suo lo difendè infino alla sua
morte, che non volle mai mangiare. E sappiate
ch'egli è cosa provata che'l cavallo lagrima per
amore di suo signore, e non è niun'altra bestia
che'l faccia. E sappiate che'cavalli mischiati
sono di lunga vita; chè non troviamo scritto d'uno
cavallo che visse settant'anni. Ma le giumente
vivono lungamente, e la lussuria loro la può
l'uomo ristrignere se l'uomo li rade li crini. E
del suo parte nasce una cosa d'amore nella fronte
del puledro, ma la madre gliele cava co'denti che
non vuole che rimanga tra mano d'uomo. E se l'uomo
gliele levasse la madre non gli darebbe poi del
suo latte. E sua natura è che tanto quanto il
cavallo è più sano e di miglior cuore, tanto più
mette la bocca e'l naso nell'acqua quando bee. Ed
al cavallo dee l'uomo guardare in quattro cose,
secondo lo detto de'savi antichi, cioè, forma,
beltade, bontade e colore. Chè nella forma del
cavallo dee l'uomo considerare che la sua carne
sia forte e dura, e ch'egli sia ben altro secondo
la sua forma, le coscie debbono essere larghe e
piene, la groppa ritonda e largo petto, di bella
guisa, piedi secchi e ben cavati di sotto. In
beltà dei guardare che abbia piccola tesa e secca,
sì che l'uomo vi sia suso bene stante, poi abbia
gli occhi grossi, e larghe le nare, e orecchi
piccoli e diritti e saldi, e la testa diritta, il
sembiante a testa montanina, e'crini sieno bene
spessi, e la chioma ferma, e la pannocchia della
coda grande, l'unghie salde da tenere bene i
ferri, e sian tonde. E in bontade guarda ch'egli
abbia ardito coraggio e andatura, e membra non
stipi, e bene corrente alla sua voluntade. E
sappiate che l'isnellezza del cavallo sì conosce
agli orecchi, e la sua forza alle membre, che li
balisca bene. E in colore dei tu guardare lo baio,
il ferante rotato, o nero, o bianco, o fallago, o
d'altra maniera che tu potrai trovare più
avvenevole. Per ciò che sono cavalli di molte
maniere, chè tali sono destrieri grandi per
combattere, e tali sono palafreni da cavalcare per
agio del corpo, e tali sono ronzini per portare
soma o muli fatti di giomenta e d'asino. E dei tu
bene avere a memoria di scegliere quello cavallo
che ti sia bisogna a tuo
. . . . .
ella, e fa si che ne mangia il maschio con lei, ed
incontanente riscaldano. Alla volta ingenerano uno
figliuolo e non più, cioè una volta tutto'l tempo
della loro vita. E si vivono bene trecento anni. E
quando viene il tempo di parto, cioè due anni dopo
loro assemblamente, elli se ne vanno dentro ad un
fiume, infino entro il levante, a qui la madre
posa il suo figliuolo. Il padre sta presso, e
prendelo per paura del dragone ch'è loro nimico
per volontà ch'egli ha di loro sangue, che'l
leofante ha più freddo, ed in maggior copia che
bestia del mondo. E dicono molti che quando
giacciono non si possono mai levare per loro
podere, perchè non hanno ginocchi, nè niuna
giuntura; ma la natura che tutto guida si
gl'insegna a gridare con loro insieme sì
fortemente che tutti quelli che sono in quelle
parti li sentono, e vegnono tanti che sono insino
a dodici che gridano insieme. Ed un piccolo
leofante mette i suo becco sotto, e con la sua
forza s'aiuta levare, tanto che intra la forza di
quello egli si conforta per li gridi degli altri,
che egli se leva suso.
fol.
56v, chevals, fol. 57, olifant

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 56v, chevals, fol. 57, olifant
Capitolo
LV
Delle formica
ormica è un piccolo animale, ma
ella è di grande providenza; chè ella procaccia la
state di che ella vive il verno, e sceglio il
grano, e rifuta l'orzo, e conoscelo al fiato. Il
grano e l'altre sementi ch'elle ripognono sì lo
dividono per mezzo, perchè non nascono per lo
grande umidore del verno. E sì dicono gli
Etiopiani che ne son in una isola formiche grandi
come cani che cavano l'oro del sabbione con loro
piedi, e guardando sì fortemente, che nessuno ne
puote avere senza morte. Ma quelli di quel paese
mettono in su quella isola giumente che abbiano
poledri, e pongonle due corbelle addosso senza il
puledro. E quando queste formiche veggono queste
corbelle, si vi mettono l'oro perchè si credono
mettere in lungo salvo, e quando egli è sera che
la giumenta è pasciuta elli portano il puledro
dell'altra parte della riviera, e quando ella ode
a nitrire il figliuoli ella viene alla riva, e
mettonla su loro navicelle senza prendere alcuno
danno dalle dette formiche. In questa maniera
hanno di quello oro che in altro modo non ne
possono avere.
Capitolo LVI
Della hyene
yene è una bestia che l'una volta
è maschio e l'altra è femina, ed abita quivi ove
abbia presso cimitero di uomini morti, e cavano li
corpi degli uomini, e mangianli, e l'osso della
sua schiena è si duro che non può piegare il
collo, e s'egli entra per alcun luogo stretto non
ne può uscire se non è a culo indietro, sì come
egli è entrato. Ma li più dicono, ch'egli non
ritorna quindi ond'egli è entrato, ed usano nelle
case, ove son stalle, e contraffanno le boce
dell'uomo e del cane, e divoranli. E molti dicono
che nelli suoi occhi è una pietra, ch'è di tal
virtù che se l'uomo l'avesse sotto la lingua, egli
potrebbe indovinare le cose che debbono venire,
però che la bestia che tocca di sua ombra non si
può movere di quello luogo. E dicono gli antichi
che questa bestia è ripiena d'incantamento e
d'arte magica. E sappiate che in Etiopia giace
questa bestia con la lionesse, ed ingenera una
bestia che ha nome cococie, o ver corococte, che
contraffa altresì la boce dll'uomo, e nella sua
bocca non ha niuna gengia nè denti partiti, come
le altre bestie, ma ha tutto uno dente, e strigne
come bestia.
Capitolo LVII
Di più maniere di lupi
i lupi ha molti Italia e molte
altre provincie, e la sua forza è nella bocca, e
nel petto, ma nelle rene non ha punto di forza. Il
suo collo non puote piegare a dietro. E sì dicono
molti, ch'elli vivono alcuna volta di piova, ed
alcun'altra di terra, e alcun'altra di vento. E
quando il tempo della lussuria loro viene molti
lupi vanno dopo la lupa. Alla fine la lupa si dà
al più laido che vi sia. E non si congiungono se
non dodici dì dell'anno. E non ingenerano se non
del mese di maggio. E per guardia de'loro figluoli
non prende preda in quelle parti vicine al suo
nido. E sappiate che quando egli vede l'uomo prima
che l'uomo veggia lui, l'uomo non ha podere di
gridare. E se l'uomo vede prima lui, egli perde
tutta sua fierezza, e non può correre. E nella sua
coda ha una lana d'amore, che la si lieva co'denti
suoi, quand'egli conosce ch'egli sia preso. E
quando egli urla, egli si mette li suoi oiedi
dinanzi la bocca per mostrare che sieno molti
lupi. Un'altra maniera di lupi sono che si
chiamano cervieri, che sono taccati di nero come
leonza, ed in altre cose sono simiglianti al lupo,
e hanno si chiara veduta che li loro occhì passano
li monti, e li muri, e non portano se non un
figluiolo, ed è più dimentica cosa del mondo, che
quando egli mangia il suo pasto, ed egli vegga
un'altra cosa, incontanente dimentica ciò che
mangia e non vi sa ritornare, e così il perde. E
dicono quelli che li hanno veduti che del suo
piscio nasce una pietra preziosa che si chiama
ligures. E questo cognosce bene la bestia
medesima, secondo che gli uomini l'hanno veduto
coprire col sabbione, per una invidia di natura
che cotal pietra non vegna a mano d'uomo.
fol.
57v, formis, fol. 58, iena, leus,

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 57v, formis, fol. 58, iena, leus,
Capitolo
LVIII
Del loccotus
occotus è una bestia, la quale
dimora nelle parti d'India, che d'isnellezza passa
tutti gli altri animali, formata come asina e ha
groppa di cervio, e gambe di leone e testa di
cavallo e piè di bue e ha la bocca grande, infino
agli orecchi, e'suoi denti sono d'un osso.
Capitolo LIX
Del menticore
enticore è una bestia in quello
paese medesimo con faccia d'uomo, e colore di
sangue, ed occhi gialli, e corpo di leone, e coda
di scarpione. E corre sì forte che nessuno bestia
li capa dinanzi. Ma sopra tutte vivando ama la
carne dell'uomo. E ha quattro gambe di sopra e
quattro di sotto. E tal fiata corre con quelle di
sopra, e tal fiata corre con quelle di sopra, e
tale con quelle di sotto, tutte che siano fatte
quelle di sopra come quelle di sotto. Ed
avvicendasi sì come li piace quando v'ha alcuna
stanchezza, od alcun corso ch'egli faccia od abbia
fatto.
Capitolo LX
Della pantera
antera è una bestia taccata di
piccole tacche bianche e nere, sì come piccoli
occhi. Ed è amico di tutti animali, salve del
dragone. E la sua natura si è, che quando ella ha
presa sua vivanda si entra nel luogo della sua
abitazione, ed addormentasi e dorme tre dì. E poi
si leva ed apre la sua bocca, e fiata sì
dolcemente che le bestie tutte che sentono quello
odore traggono dinanzi a lei, se non il dragone
che per paura entra sotto terra, perchè sa bene
che morire gliene conviene. E sappiate che la
pantera femmina non porta figliuoli più che una
volta. Ed udirete perchè. Li figliuoli, quando
sono cresciuti dentro al corpo delle madre, non
vogliono soffrire di starvi infino all'ora della
diritta natività, anzi sforzano la natura sì che
guastano la matrice della loro madre con l'unghie,
ed escono fuori in tal maniera che mai la non
porta più figliuoli.
Capitolo LXI
Del parendres
arenderes è una bestia ch'è in
Etiopia, e ha capi come cervio, e ha colore di
rosa. Ma quelli del paese dicono ch'ella prende
suo colora diritto per paura secondo la tinta che
l'è più presso. E questo medesimo fanno i polpi in
mare, e come lo leone in terra, di che lo conto fa
menzione addietro.
Capitolo LXII
Della simia
imia è una bestia che di molte
cose somiglia l'uomo, e volentieri contraffà
quello che la vede fare all'uomo, e molto
s'allegra della luna nuova, e della tonda si
conturba maravigliosamente. E sappiate che la
simia porta due figliuoli, l'uno ama molto
teneramente, e l'altro odia; e quando li
cacciatori la cacciano, ella prende il figliuolo
ch'ella molto ama in braccio per meglio camparlo,
e quello che non ama, sì sei gitta alle spalle. E
quando i cacciatori s'appressano, sì ch'ella vede
bene che non puote campare, ella lascia lo
figliuolo ch'ella ama più per guarire la sua
persona, e quello ch'ella non ama le s'attiene
alle spalle, e quello scampa da'cacciatori. E
sappiate che la simia passa del gusto tutt altri
animali. Nelle parti di Buggea ne son molti mali,
e gli Etiopiani dicono che in loro paese ve n'è di
diverse maniere.
Capitolo LXIII
Del tigro
igro è uno animale che nasce
nelle parti d'Organia, ed è taccata di varie
tacche. E senza fallo egli è una bestia molto
corrente, e di gran fieritade. E sappiate che
quando egli va alla sua abitazione, ed ella truova
chè cacciatori li hanno tolti suoi figliuoli, ella
corre prestamente, e seguisce i cacciatori che
gliene portano. E l'uomo che gli ha sì dotta molto
della sua fierezza e crudeltà, ch'egli sa bene
che'l fuggire di cavallo o d'altra bestia nol
potrebbe da lui scampare. Ed egli gitta per la via
molti specchi, uno di qua ed uno di là. E quando
il tigro vede nelli specchi la sua imagine, crede
che'l sia il suo figliuolo. E va allo specchio
intorno intorno, e vedendo che non sono li suoi
figliuoli, sì si parte, e corre per trovare li
cacciatori che ne portano suoi figliuoli. E quando
egli è assai corso, ed egli trova ancora di questi
specchi, che li cacciatori v'hanno posti
simigliantemente, gli va d'intorno credendo
trovare suoi figliuoli. E tanto fa così, che'l
cacciatore iscampa la persona.
Capitolo LXIV
Della talpa
alpa è una piccola bestiuola che sempre
abita sotto terra, e la cava per diverse
parti, e mangia le radici ch'ella trova.
Anco che molti dicono ch'ella vive pure di terra.
E sappiate che la talpa non vede lume, ch' natura
non volle adoperare in lei d'aprire le pelli
de'suoi occhi si che non vede niente, perchè non
sono aperti. Ma ella vede con la mente del cuore,
tanto ch'ella va, come s'ella avesse occhi.
Capitolo LXV
Dell'unicorno
ell'unicorno voglio dire, il
quale è bestia fiera, ed ha il corpo simigliante
al cavallo, ed ha li piedi del leofante e coda di
cervio, e la sua boce è fieramente ispaventevole,
e nel mezzo della sua testa sì ha un corno di
maraviglioso splendore, ch'è lungo ben quattro
piedi. Ed è si forte e sì acuto, che egli fiede. E
sappiate che l'unicorno è si forte, e si fiero,
che l'uomo nol puote giungere se non è in una
maniera, nè prendere, e ciò puote bene essere. Il
modo è questo, che quando li cacciatori lo sentono
per la foresta, ed ellino vi mandano una fanciulla
vergine, e quando l'unicorno vede la fanciulla,
nature gli dà che incontanente se ne va a lei, e
pone giù tutta sua forza, e ponle il capo in
grembo, e addormentasi, e dorme sì forte, per la
grande sicurtà ch'egli prende sopra li panni della
fanciulla, ch'è forte cosa. Allora vegnono li
cacciatori e fanno di lui loro volontade.
Capitolo LXVI
Dell'orso
rso è una grande bestia, ed ha
molto frale testa e la sua forza è nella gambe e
l'unghie, però va ella molte volte ritta. E
sappiate che quando l'orso è disagiata d'alcuna
malattia o di colpi, ella mangia d'un erba che ha
nome flonius, che la guarisce. Ma s'ella mangia
pome di mandragora, le convien morire, se subito
non mangiasse formiche. Ma lo mele mangia ella
volentieri sopra tutte le altre cose. E sua natura
sì è ch'ella non è iscaldata di lussuria. E
giacciono insieme, come il leone, il maschio con
la femina. E non porta suoi figliuoli più di
trenta dì. E per brevità di tempo non può natura
compiere la loro forma nè le loro fazione dentro
dal corpo della madre loro, anzi nascono come un
pezzo di carne disfigurata, se non che ha due
occhi. Ma la madre li conforma, e dirizza con la
lingua, secondo la sua similitudine nelle sue
braccia, per darli calore, e spirito di vita. E
così s'adormenta la madre, e dorme con essi in
braccio quattordici dì senza mangiare e senza
bere. E dorme sì forte che l'uomo la potrebbe
innanzi uccidere che la si svegliasse. In questa
maniera istà la madre ben quattro mesi perchè i
suoi occhi sono sì tenebrosi che non vede se non
poco. E questo le addiviene per li suoi figliuoli.
Ben son molti che dicono ch'ella non ne fa più che
uno. Di questa bestia dicono i più che ella
ingrassa per essere battuta, ma non ch'ella si
diletti d'essere battuta, anzi gliene pesa molta
niquitosamente. Chè quando ella va sotto ad alcun
pero o melo per mangiare, ed alcuni gliene cade
addosso, ella vi monta su con grande niquitade, e
rompelo e fiaccolo tutto.
Capitolo LXVII
Qui finisce le prima parte di questi libri
ui finisce la prima parte di
questi libri che divisa brevemante la generazione
del mondo, e l'incominciamento de're, e lo
stabilimento dell'uno legge e dell'altra, e la
natura delle cose del cielo e della terra, e
l'antichità delle vecchie istorie. E brevemente
conta di ciascuna cosa lo suo essere. Che se'l
maestro avesse più lungamente scritto, e mostrato
di ciascuna cosa la perchè e come, lo libro
sarebbe senza fine, chè acciò bisognerebbero tutte
arti e tutte filosofie. E però dice il maestro,
che la prima parte del suo Tesoro, si è come
danari contanti, sì come le gente non potrbbero
accivire lo bisogno senza moneta, così non
potrebbe l'uomo sapere ciò che questa prima parte
conta. Qui tace il maestro delle cose che
appartegnono teorica, ch'è la prima scienza del
corpo della filosofia, e vuole tornare all'altre
due scienze, cioè a pratica ed a loico, per
ammassare la secondo parte del suo Tesoro, che dee
essere di pietre preziose. Ed in questo sesto
libro parla di vizii e virtudi.
fol.
58v, eutrote, mancicore, pantere,
paraude, fol. 59, singes, tygres

St
Petersburg, Li
Livres dou Tresor codex, facsimile di M.
Moleiro: fol. 58v, eutrote, mancicore,
pantere, paraude, fol. 59, singes, tygres
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Convegno 'L'enciclopedismo Medievale'. San Gimignano,
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Ravenna: Longo Editore, 1994. Pp. 363-381.
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T.H. The Book of Beasts, being a Translation from a Latin
Bestiary of the Twelfth Century. London: Jonathan Cape,
1954.
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